lunedì 28 luglio 2008

MUSEO POMPIDOU

a cura DI D. PICCHIOTTI
     
Il Centre Pompidou, ovvero avventurarsi per il sentiero un po’ scosceso dell’arte contemporanea, approcciando la bellissima, ma destabilizzante per molti, realtà del Centre Pompidou. Non si tratta di un semplice museo già dalla nomenclatura, chiamandosi in realtà “Centro nazionale d'arte e di cultura Georges-Pompidou”. Vuol quindi avere il ruolo di un’officina di idee, di un centro di ricerca, di un luogo vivo e attivo, che produce ed ospita cultura. Trovandosi in Rue Beaubourg 19, a Parigi, è conosciuto anche come Beaubourg.
Il nome Pompidou deriva invece da Georges Pompidou, presidente francese dal 1969 al 1974. Il Centre è stato progettato dall’architetto italiano Renzo Piano, con Richard e Sue Rogers, l'ingegnere inglese Edmund Happold e l’irlandese Peter Rice. E’ fatto principalmente di vetro e acciaio. All’epoca del progetto quelli che ora sono considerati dei mostri sacri del settore erano dei semi-sconosciuti, che presentarono il progetto migliore, e più adatto alle intenzioni degli ideatori della nuova struttura, vincendo la gara indetta per la costruzione nel 1971. Il museo è stato invece aperto al pubblico il 31 gennaio 1977. Come in una versione riveduta e corretta dell’architettura medievale, le diverse parti della struttura esterna dichiarano senza timori, anzi gridano, la loro “funzione”: se nell’architettura medievale decorazioni e linee sottolineavano i punti staticamente più importanti all’interno ed esterno degli edifici, come i capitelli, i pilastri, gli archi, i portali ecc., nel Pompidou diversi colori evidenziano la diversa destinazione delle tubature esterne: quelle gialle sono dell’elettricità, le rosse degli ascensori e delle scale mobili, le blu dell'acqua, le verdi dell'aria. Vedi foto accanto al titolo.

La rivoluzionaria idea per l’esterno viene ripresa all’interno da una sistemazione molto varia, con diversi spazi differenziati, con diverse destinazioni. Il centro ospita in primis l’arci-noto Musée National d'Art Moderne, poi una bellissima biblioteca pubblica (Bibliothèque publique d'information) e l’IRCAM, centro per la musica e le ricerche acustiche. Il Pompidou annovera tra i suoi “dipartimenti” anche il Centro del design industriale. 
Ecco che cosa vuol dire “poli-funzionalità”. 
Il museo dei nuovi tempi vuol essere vivo e attivo. Se si tratta di un museo d’arte contemporanea, poi, l’impresa è facilitata, essendo l’arte contemporanea la più mobile, mutabile e varia che esista, prestandosi, dunque, a maggiori sperimentazioni museali, senza scandalizzar nessuno, senza violare sacre teorie e stratificate convinzioni. C’è anche qui un’attivissima sezione didattica, con dipartimento apposito per il “giovane pubblico”; tante iniziative editoriali, di comunicazione interna ed esterna, di intrattenimento e di didattica dell’arte rendono davvero il museo uno spazio a misura di ogni tipo di pubblico, nonostante la notevole grandezza.
 
Il Musée National d'Art Moderne è quello che in questa sede ci interessa trattare. Si trova al quarto e quinto piano del Centro. La collezione consta di oltre 50.000 opere d'arte tra dipinti, sculture, disegni e fotografie. Annovera tra i suoi autori Marc Chagall, Georges Braque, Pablo Picasso, Henri Matisse, Vasily Kandinsky, Miró, e molti altri. La vicina fontana Stravinsky è chiamata anche Fontaine des automates ed è opera di Jean Tinguely e Niki de Saint-Phalle. 

Il progetto per la sistemazione delle collezioni è stato invece realizzato dalla milanese Gae Aulenti negli anni Ottanta. Prevalse nella scelta la scuola francese, con rappresentanti del fauvismo (come Matisse e Derain), del cubismo (Braque, Picasso), del surrealismo (secondo alcuni, Chagall rientra in questa orbita, ma lo vedremo poi). C’è anche Brancusi, scultore rumeno, inventore di forme nuove e sperimentazioni ideali arditissime per l’epoca; Giacometti, scultore futurista italiano; gli espressionisti astratti o pittori informali americani, come Pollock e Rauschenberg, oltre che il genio pop Andy Warhol. 
So che è limitativo scegliere una sola opera e soffermarvisi, specie considerando che un centro poli-funzionale come il Pompidou va vissuto nella sua totalità, anzi frequentato, per essere davvero capito ed apprezzato… 
Tuttavia, non me ne vogliate, confesso un debole per Chagall e qui al Beaubourg è conservata proprio una delle sue opere più belle e rappresentative, "A la Russie, aux ânes et aux autres", del 1911, olio su tela, 157x122 cm. Fu donata dall’artista stesso al museo nel 1953.

Marc Chagall nacque in Russia, presso Vitebsk, nel 1887 da famiglia ebrea. Dal 1906 al 1909 studiò prima a Vitebsk, poi all'accademia di Pietroburgo. Nel 1910 si trasferì a Parigi con la sua fidanzata, Bella. Qui conobbe le nuove correnti del momento, in particolare Fauvismo e Cubismo. Si inserì negli ambienti artistici d'avanguardia. Frequentò tra gli altri Apollinaire e Delaunay e conobbe il mercante berlinese Herwarth Walden, che nel 1914 gli allestì una personale presso la sua galleria Der Sturm. Nel 1912 aveva però già esposto sia al Salon des Indépendants che al Salon d'Automne. Nello stesso anno Chagall prese un atelier nel grande complesso de "La Ruche". L'edificio conteneva altri 140 studi di artisti “rivoluzionari”, tra cui Léger, Archipenko, Modigliani e Soutine. Allo scoppio della guerra (1914) Chagall tornò a Vitebsk. Qui fondò l'Istituto d'Arte, di cui fu direttore fino al 1920, quando gli subentrò Malevic, ideatore dell’arte “suprema” o “suprematista”, basata sull’astrattismo e sulle forme geometriche. Si trasferì poi a Mosca. Qui iniziò le decorazioni per il teatro ebraico statale "Kamerny". Nel 1923 ritornò a Berlino. Poi fu di nuovo a Parigi. Qui conobbe Ambroise Vollard, collezionista ed intenditore, che gli commissionò l'illustrazione di vari libri. Nel 1924 una sua importante retrospettiva si tenne presso la Galerie Barbazanges-Hodeberg. In seguito, Chagall effettuò viaggi in Europa e in Palestina. Nel 1933 presso il Kunstmuseum Basel ebbe luogo un’altra sua grande retrospettiva. Ma quasi contemporaneamente il nazismo salì al potere in Germania. Tutte le opere di Chagall vennero confiscate ai musei tedeschi. A Chagall non rimase che rifugiarsi in America, come fecero molti altri tra artisti, intellettuali e uomini di scienza. Nel 1947 però fece finalmente ritorno a Parigi e nel 1949 si stabilì a Vence. Importanti mostre gli vennero dedicate ovunque. Fu chiamato a decorare grandi strutture pubbliche. Nel 1962 disegnò le vetrate per la sinagoga dello Hassadah

Medical Center, presso Gerusalemme, e per la cattedrale di Metz. Nel 1964 realizzò le pitture del soffitto dell'Opéra di Parigi. L'anno dopo fu la volta delle grandi pitture murali sulla facciata della Metropolitan Opera House di New York. Nel 1970 disegnò le vetrate del coro e del rosone del Fraumünster di Zurigo. Di poco successivo è invece il grande mosaico a Chicago. Morì a Saint-Paul-de-Vence nel 1985. 
Quale fu il segreto del suo successo? Spero che l’opera che ho selezionato, dedicata alla Russia, la patria di Chagall, sia emblematica dei motivi del suo successo perenne. Chagall fa sognare…
Con i suoi temi da favola, con i colori vivaci che a volte contrastano con sfondi cupi, a volte si armonizzano con improbabili cieli popolati da strane creature, con le forme riconoscibili, ma al tempo stesso trasfigurate, oniriche, deformate, Chagall è la faccia umana delle rigidità delle avanguardie. I movimenti avanguardisti cercarono nel cambiamento a tutti i costi una via di fuga dagli orrori della guerra. L’arte si spinse talmente oltre che tuttora ne paghiamo le conseguenze: l’oggetto d’arte fu messo in discussione, come pure i confini tra le discipline artistiche. Le geometrie prevalsero sulla figurazione, si aprì la via al dominio dell’irriconoscibile e dell’ignoto. I materiali diventarono sempre più importanti, si mischiarono, si fusero, all’insegna della sperimentazione materica oltre che materiale. Chagall, seppure a volte abbia scelto temi inquietanti come la guerra e la morte, o abbia alluso ad episodi negativi, lo ha fatto sempre col sorriso del bambino, di colui che sempre cerca la luce, il colore, la forma fantastica del sogno. Dai surrealisti prese questo, la dimensione onirica, ma non ne ereditò le codificazioni troppo rigide, con le teorie sull’automatismo psichico e le complicazioni freudiane. Chagall fu un puro e pura è la sua pittura. 
Questo quadro è un omaggio di Chagall alla Russia, la sua terra. L’omaggio è scherzoso, sin dal titolo: “Alla Russia, agli asini e agli altri”. Chagall amava molto la sua terra, ma ne soffriva un po’ i limiti, il provincialismo, la chiusura mentale di alcuni piccoli centri, tra cui la sua stessa città natia. Chagall vedeva a colori e spesso la Russia, coi contadini e gli animali, con le chiese ortodosse e le donnone locali, gli sembrava spenta. Un modo per ravvivarne i colori, operazione che spesso fa la memoria stessa quando si è lontani, fu per Chagall rivederne i soggetti, rendendoli assurdi, patetici, divertenti, malinconici, fantastici. Come certi suoi suonatori, il violinista, in particolare, romanticissima caricatura di un se stesso lontano, o certi asini, vacche, galli, animali da fattoria umanizzati e avvicinati con tenerezza od ossessivamente, come croce e delizia della sua vivace immaginazione. E via libera al colore! Senza regole. Via libera alle forme esplose, alle parti separate dal tutto, alle associazioni libere di forme dissonanti… Come nella musica contemporanea. Come nell’arte astratta. Come in molta poesia del Novecento. 

 
di Laura Panarese

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