sabato 30 giugno 2007

5.000.000 a.C. ANDATURA A DUE GAMBE

 ____ ANDATURA A DUE GAMBE - Non avvenne per caso ma fu un atto voluto; provando e riprovando un pongide fece la sua prima sensazionale "scoperta": che poteva rimanere eretto. Quando ebbe questa idea di erigersi su due gambe e camminare, liberando le mani dal compito di locomozione, questo essere, nel fare il primo tentennante passo, diede inizio alla lunga avventura di quello che d'ora in avanti chiameremo ominide. Quando, nonostante gli insicuri tentativi, espresse una cosciente "caparbietà" di voler rimanere eretto, e pur con degli inconvenienti fisiologici che ancora oggi sono causa di disturbi, questa "volontà" segnò l'inizio di molte altre scoperte, e quindi del progresso dell'uomo. La Terra offriva allora un aspetto non molto differente da come si presenta oggi. In luogo della vita intelligente e attiva che circonda sulla sua superficie; in luogo di queste città popolate, dei nostri villaggi e delle nostre abitazioni; di questi campi coltivati, dei vigneti e dei giardini; delle strade e delle ferrovie, dei navigli, delle officine nostre e dei laboratori; in luogo di questi palazzi, dei monumenti, dei templi; in luogo di questa incessante attività umana che trae profitto attualmente di tutte quante le forze della natura, penetra le profondità terrestri, interroga gli enigmi del cielo, studia gli avvenimenti dell'Universo, e sembra concentrare in se stessa l'intera storia del creato......  non vi erano che foreste selvagge ed impenetrabili, fiumi che scorrevano silenziosamente in mezzo a rive solitarie, montagne senza anima viva che le ammirasse, valli senza traccia di capanne, e sere senza incanti, e notte stellate senza alcuno che le contemplasse. Non scienza, né letteratura; non arti, né industria, né politica, né storia; non parola, né intelligenza, né pensiero.

INFORMALE (GESTUALE, SEGNICO, MATERICO), ESPRESSIONISMO ASTRATTO, ACTION PAINTING,

La seconda guerra mondiale arrecò inevitabilmente conseguenze irreparabili, come inquietudine e diffidenza, in una società fragile, azzerata d’ogni valore. L’intera umanità aveva assistito e aveva vissuto sulla propria pelle esperienze spaventose come le dittature, l’orrore delle guerra con i suoi bombardamenti aerei, i campi di sterminio nazisti. Essendo l’arte il riflesso della società che la esprime, anch’essa di conseguenza sperimenta nuovi linguaggi. La rottura con il passato appare definitiva, infatti d’ora in poi l’obiettivo artistico è far riflettere, sbalordire, contestare. Gli artisti sono liberi di creare, di dar libero sfogo al loro stato d’animo, vogliono manifestare il loro pensiero. Il New Deal americano, che coincise con la diffusione dei regimi assoluti, aveva favorito l'immigrazione di artisti e intellettuali in fuga dall'Europa alla ricerca di condizioni che consentissero una ricerca libera da vincoli e tradizioni appartenenti alla cultura europea, portando negli Stati Uniti espressioni di ogni tendenza. Se prima Parigi poteva ben considerarsi la capitale mondiale dell’arte moderna, questo primato si è successivamente trasferito a New York, ma in generale all’America, polo d’attrazione perché vista come simbolo di democrazia e libertà, meta adatta al diffondersi di nuove idee. Nell'ambito delle arti visive il fenomeno più importante fu la nascita di un vasto movimento, l'Espressionismo Astratto, destinato ad acquisire rapidamente una posizione di grande prestigio internazionale per la sua vitalità e la creatività . Il movimento prende il suo nome dalla combinazione dell'intensità emotiva e auto-espressiva con l'estetica anti-figurativa, attraverso il rifiuto della forma, dove la linea, il colore, la figura perdono il loro significato; i n aggiunta, questa corrente possiede un'immagine di ribellione. L’Espressionismo Astratto ha determinate particolarità come l’utilizzo di ampie tele in canapa, un approccio a tutto campo, dove ogni area della tela viene curata allo stesso modo. Un elemento singolare è la sintonia che tale espressione aveva con la musica, filosofie e culture non occidentali, una sorta d’influenza reciproca che si esternava sia sul piano della poetica che delle tecniche utilizzate. Tali caratteristiche vengono dunque applicate a tutti quegli artisti operanti a New York, a cavallo tra gli anni Quaranta e Cinquanta, con differenti stili.Prima, però, di analizzare le diverse espressioni in ambito americano, è giusto sottolineare l’importanza fondamentale che assunse il vero e proprio atto di dipingere, l’arte gestuale attraverso cui l’artista è libero di esprimersi, identificandosi nell’Action Painting (Pittura d’azione). L'artista concepisce il quadro come un mezzo di conoscenza, come il luogo ove sprigionare le proprie emozioni, le proprie energie interiori; si impadronisce della tela con una sequenza di gesti: pennellate energiche, spazzolate di colore, in alcuni casi vere e proprie sciabolate.Egli giunge a spremere il colore dal tubetto o a farlo gocciolare direttamente sulla tela. Il risultato è svariato: tracciati di linee spesse, organizzate in maniera casuale, grovigli, matasse, macchie-gocce, composizioni monumentali di laghi di colore.Il maggior esponente dell’Action Painting è Jackson Pollock, uomo dall’animo irrequieto e ribelle, che ha realizzato le sue opere grazie al segno proveniente dall’azione non della mano, ma bensì del braccio, a sua volta governato dal corpo, che lascia fuoriuscire slanci espressivi lontani da qualsiasi logica, in un’assurda e furiosa concatenazione di gesti, travolgendo i sensi e la visione. Dal '47 al ' 52 l'artista americano mette a punto la tecnica del dripping, (sgocciolamento): dal pennello o direttamente da barattoli pieni di colore, egli lascia cadere le gocce, in modo libero e aleatorio, su enormi tele stese sul pavimento. Pollock, lavorando a tutto campo e senza intervenire manualmente, generava caotici grovigli filamentosi di vari colori intrecciati tra di loro. Il suo modo di dipingere segnò, senza dubbio, il ribaltamento delle sorti dell’arte contemporanea. Tra gli altri esponenti di rilievo della cerchia newyorchese ricordiamo: Willem de kooning, la cui gestualità, grottesca e non del tutto astratta, assunse la tecnica del mai-finito, ossia egli dipingeva ossessivamente sui suoi quadri finiti, trasformandoli continuamente; Franz Kline, che definisce il suo lavoro attraverso frenetiche e ampie pennellate nere su sfondi bianchi.È però di notevole rilevanza chiarire che non tutto l’Espressionismo Astratto americano ha assunto toni gestuali, ma ha seguito un percorso pittorico più moderato. Le correnti che adottarono questo pensiero furono il Color Field (Campo colorato) e La Scuola del Pacifico. La prima è così chiamata perché gli artisti valorizzavano le proprie opere con larghe distese di colori uniformi e piatti, producendo, attraverso l’assenza di forme e la totale impersonalità del tocco del pennello, un effetto di “infinito” sullo spettatore. Esponente di primo piano è senza dubbio Mark Rothko, impegnato ad accostare semplicemente pochi colori stesi a grandi campiture, non definite, di evanescente qualità, accentuandone la sublime atmosfera. Questo tipo di pittura venne accolta anche da Barnett Newman, che concepiva un ideale dell'arte come idea pura, mistica. La Scuola del Pacifico, invece, fa riferimento alle filosofie orientali, più intimiste e meditative e la pittura di Mark Tobey ne è testimone.Contemporaneamente agli Stati Uniti, si presentò anche tra gli artisti europei la necessità di abbandonare la forma, rapportandosi con la propria realtà; infatti, i punti in comune tra i due continenti erano l’atteggiamento istintivo-emozionale da parte degli esponenti e la concezione del quadro come un’arena in cui combattere; però non bisogna tralasciare che all’Europa, a differenza dell’America, le tracce belliche diedero un’impronta maggiormente drammatica. Negli anni Cinquanta, dunque, con il termine Informale si definiva una serie di esperienze artistiche, che rifiutavano il concetto di forma. Questa espressione, coniata dal critico francese Michel Tapié, tende a individuare due principali correnti: l’informale che valorizzava il segno-gesto, più vicino all’Action Painting, e l’informale materico.
Il primo versante di pittura informale dava risalto al segno di origine inconscia, espressione estrema di una coscienza, nell’atto di dar voce alle proprie ansie, di comunicare una realtà interiore attraverso un’esaltazione di segno e colore. Emblema di questa pittura è la macchia, intesa come elemento pittorico senza una forma definita, casuale, però ricca di forza espressiva ed evocativa. Tra i rappresentanti più significativi di questa “poetica” spiccano i nomi di Wols, il capostipite, che giunge all'informale dopo la traumatica esperienza in un campo di concentramento a seguito della quale il suo sottile segno si fa graffiante e rabbioso; di Hans Hartung, dal suo impulso creativo egli trae una pittura fatta di graffi eseguiti con punteruoli smussati, improntata sulla tradizione orientale del calligrafismo.Se da una parte ci si rifugia nel segno, dall’altra si dà risalto alla materia, con la quale l'opera finisce per identificarsi, attraverso qualsiasi materiale come legno, stoffa, vetro, muro o lo stesso colore reso semplicemente sostanza materica e posto sulla tela. In questo caso il colore ha una sua corporeità, viene steso a strati, con le dita o con spatole e coltello, come nel caso di Jean Fautrier, che ammassa il colore trattandolo come materia scultorea. Nelle sue opere, infatti, campeggia un unico grumo di colore a rappresentare un frammento di corpo umano dal profilo appena accennato e tremolante. Giunse ad un’informale più “grezzo”, come lui stesso lo definì con il termine Art Brut, Jean Dubuffet, il quale accostò al colore ad olio sabbia, gesso, terra, creando un impasto ancora più corposo riportandoci sopra dei disegni graffiti.Come ricorderemo, nel Dopoguerra la situazione artistica nel nostro Paese era caratterizzata dalla polemica tra Astrattisti e Realisti legata a questioni politiche; solo in un secondo momento giunse l’Informale anche in Italia, citando, l’esponente principale, Alberto Burri, che propose come sue opere materiali poveri: legni bruciati, vecchi sacchi di juta lacerati, lamiere, plastiche bruciate, che divengono significanti del degradarsi e del decomporsi della realtà contemporanea . Ed è con le sue Muffe, Catrami e Combustioni che egli raggiunse una delle vette più alte sul panorama italiano. di Sara Liuzzi

Willem de Kooning(Figurativismo ed astrattismo nel più europeo degli espressionisti americani.)

" Willem de Kooning,Figurativismo ed astrattismo nel più europeo degli espressionisti americani."Tutta la pittura è illusione. Il disegno di un volto non è il volto. E' il disegno di un volto". (Willem De Kooning) Willem de Kooning, nato in Olanda e giunto negli Stati Uniti nel 1926 già adulto, rimane il più europeo dei pittori dell'Espressionismo astratto, quello nel quale è più rintracciabile la matrice espressionista storica del movimento americano.
Artista culturalmente preparato e di spirito irrequieto, de Kooning fu attivo in una grande quantità di generi pittorici, dalla figura al nudo femminile, nei quali in genere permane il ricordo della raffigurazione, ad una nutrita serie di paesaggi al limite dell'astrattismo totale.Con Pollock e gli altri action painters come Kline, Motherwell, Francis, Gottlieb, de Kooning frequenta a New York la cerchia del musicista John Cage, che come gli espressionisti in pittura, porta avanti un suo discorso musicale sull'idea dell'indeterminazione dei parametri di riferimento e la scissione di ogni rapporto con la concezione formale classica della musica occidentale, sviluppando un tipo di musica che, pur essendo scritta, abbia anche caratteri di estemporaneità ed improvvisazione.Convinto sostenitore dell'astrattismo e dell'action painting, de Kooning attribuisce a Pollock il merito di aver "rotto il ghiacco", dimostrando che era possibile "andare fino in fondo" e far accettare dall'ambiente artistico e sociale di tutto il mondo il radicale cambiamento rappresentato dall'Espressionismo astratto americano, mettendo definitivamente da parte il primato delle avanguardie europee.Si tratta di un atteggiamento tipico del movimento espressionista americano, che ha sempre cercato di rivendicare poteri e radici autonomi, rappresentando in effetti, questo movimento, uno spartiacque tra il precedente primato europeo e l'affermarsi di New York come centro del mondo artistico.Tuttavia molti fra gli artisti americani, fra l'altro quasi tutti di origine europea, non negarono mai la loro derivazione culturale dall'Europa, come lo stesso Pollock, affascinato dal Cubismo e dal Surrealismo, dal quale mutuò molti caratteri della sua poetica dell'inconscio.De Kooning, che utilizza per dipingere il cavalletto, cosa assai strana per i pittori informali americani condizionati dal formato espanso introdotto da Pollock, usa tecniche in grado di amplificare al massimo la casualità dell'operare artistico, esasperando le componenti automatico-gestuali e il valore autonomamente espressivo del segno, giungendo a risultati di estremo equilibrio tra l'indeterminatezza del dettaglio e la capacità suggestiva di influire sull'immaginazione dello spettatore, come ben esemplificato in un suo celebre quadro "Door to the river", del 1960.Dice di lui Thomas B. Hesse, nel 1967: " Per de Kooning è essenziale includere tutto, non tralasciare niente, anche se questo significa lavorare in un turbine di contraddizioni e, come è stato suggerito, un turbine di contraddizioni risulta il suo ambiente preferito."Queste parole esprimono molto efficacemente la ricchezza del linguaggio e la complessità dell'opera di de Kooning: accanto ad un astrattismo pressochè totale, puro slancio comunicativo di impronta spirituale, ritroviamo, come in questo "Woman I", più di un accenno al reale, seppure interpretato e deformato in un figurativismo ambiguo che per certi versi può richiamare Francis Bacon, senza il suo intellettualismo e pur essendo quest'ultimo sicuramente più controllato e metodico nella sua opera di disfacimento della figura."Woman I", un olio del 1950/52, 192.7x147,3 cm, fa parte di una serie di ritratti di donne dove prevale la dichiarazione cruda di una sessualità aggressiva e scomposta, fatta di segni incisivi e colori violenti, che si stempererà, nell'opera successiva dell'artista, in immagini più delicate ed in un certo senso più devitalizzate.L'accanimento di de Kooning su parti e sezioni del corpo denunciano la presenza di pulsioni violente ed incontrollabili che affiorano dall'inconscio e si organizzano sulla tela in composizioni complesse e potenti, dove frammenti di esperienza emergenti dal contesto, in un discorso fortemente "espressionista", evocano un dramma che resta per certi versi irrisolto ai nostri occhi di spettatori sgomenti davanti al "turbine di contraddizioni" di cui si nutre la poetica di questo artista.
di Vilma Torselli

Mamma, ho riperso la forma

Nell’Europa del secondo dopoguerra, crollata la tirannia nazifascista, l’unico principio è: rinascere. La ricostruzione ed il rilancio economico del vecchio Continente, raso al suolo dai bombardamenti, sono sostenuti dalla cultura, dall’arte, dalla moda, dal design, dalla tecnologia e dalla scienza; questi e altri fattori contribuiscono a formare la nuova mentalità dell’uomo europeo, dei sopravvissuti ancora in crisi di coscienza per il trauma subito. Dopo l’espressionismo astratto americano, l’informale europeo è il nuovo linguaggio artistico in opposizione al realismo più o meno “socialista”. L’informale, nel periodo della ricostruzione, riflette un momento di transizione e di profonda crisi e critica alla civiltà contemporanea, rispondendo anche alle necessità evolutive di una pittura figurativa che ormai ha fatto il suo tempo, puntando sul gesto pittorico, sullo spazio e sui materiali industriali. Nel 1947 dall’America, con gli aiuti finanziari del piano Marshall, arriva il “dripping”(il termine significa “gocciolare” o “sgocciolare”): una tecnica rivoluzionaria caratterizzata dal gesto di lasciare cadere il colore acrilico sulla tela (“action painting”) elaborata da Jackson Pollock (1912-1956), anche se già anticipata dal surrealista Max Ernst e Hans Hoffmann. E’ evidente che la scrittura automatica dei surrealisti, il dripping americano e la pittura informale europea, nomadica e soggettivista, sono accomunati dalla dissoluzione della figura e dalla tensione d’infrangere gli schemi figurativi, geometrici, prospettici delle composizioni tradizionali, enfatizzando l’esplosione segnica, all’insegna di un neo-espressionismo materico-cromatico o spazialista, originale anche per stridenti contrasti cromatici e per le stratificazioni di colore, dagli esiti suggestivi per gli effetti tattili autoreferenziali. Dal 1951, Michel Tapié definisce informale (dal francese “informel”) questo nuovo linguaggio non figurativo, liberatorio, spontaneo e casuale che sviluppa tracce, segni ed esplosioni di colore come espressioni di stadi emotivi, di pulsioni secondo la soggettività dell’autore. La pittura informale non corrisponde a un modello unitario prestabilito, ma segue le potenzialità espressive dell’artista sempre più distaccato dalla realtà, deluso da una civiltà che ha prodotto guerre incomprensibili. In Francia, tra i protagonisti dell’informale più originali, si distingue Jean Fautrier (1898-1964), che già dagli anni Trenta aveva anticipato un linguaggio di tipo - appunto - informale, elaborato con la drammatica serie degli “Otages” (Ostaggi). Si deduce che i suoi ostaggi sono le vittime del nazismo, dipinti tra il 1943-1945: impronte indelebili nella memoria collettiva di uno sterminio di massa avvenuto nel silenzio. Queste opere sono esempi originalissimi di un “materismo” pittorico che ha spianato la strada a informalismi successivi, fino agli aniconici contemporanei. In generale, tra gli anni Quaranta e Cinquanta, i linguaggi informali sostenuti da ideologie anarchiche e individualiste si diffondono rapidamente in Europa come negli Stati Uniti. Tra i primi ad aprire nuove vie espressive è Lucio Fontana (1899-1968), con cinque manifesti “spazialisti”: manifesti teorici in riferimento all’era spaziale che all’epoca sta dischiudendo orizzonti ermeneutici rivoluzionari. A Milano Fontana fonda il “movimento spaziale”, unendo i percorsi di scienza e di arte e sviluppando un linguaggio gestuale e sperimentale basato su una spazialità tridimensionale riformulata in termini fisici. Da questi ed altri fatti si evince che nel dopoguerra è molto difficile parlare di gruppi unitari riconoscibili; anche la pratica del manifesto è sostituita dalle riviste fondate da intellettuali e artisti sperimentali. Con lo sbarco degli alleati nella vecchia Europa, si affermano nuovi modelli di vita e linguaggi rivoluzionari, che si consolideranno negli anni Sessanta (pop art e arte concettuale). Tornando all’informale europeo, si ricordano per originalità Wols, Soulanges, Mathieu, De Stael, Hartung, Jorn, Appel, Burri, Vedova, Crippa, Dova, Peverelli, Borlotti, Birolli, Chighine, Leoncillo: ognuno di loro presenta diversi codici e morfologie visive differenziate da immaginari e linguaggi sensibili ed evocativi, mai accademici. Alcuni artisti “informali” si rivelano più gestuali o materici, più vicini a Pollock o Sam Francis, mentre altri seguono una via più lirica ed emozionale, basata su tracce di figurazioni non definite, come per esempio fanno i sostenitori dell’“art brut”, teorizzata da Jean Dubuffet. In questo clima post-atomico di prevaricazione di segni, gesti, colature e macchie di colore, alla ricerca di nuova espressività, fioriscono diverse tendenze informali che si realizzano anche nella contrapposizione di materiali. In Giappone, grazie all’attività degli artisti Gutai, si sviluppano linguaggi originalissimi che puntano sul gesto e sul colore e danno il via a performance innovative, anticipando gli happening degli anni Sessanta. A Parigi, dal 1948 nasce dalle file del surrealismo olandese, danese e belga il movimento COBRA (da COpenaghen, BRuxelles, Amsterdam), caratterizzato da un linguaggio sperimentale e dall’atteggiamento nomadico degli artisti, sempre in movimento da una città all’altra d’Europa, più vicini alla tradizioni popolari, etniche, primitive e in contrapposizione ai linguaggi astrattisti, geometrici o formalisti, e con molti punti in comune all’art brut. Le ricerche del gruppo si esauriscono nel 1951, ma resta il loro linguaggio caratterizzato da una pittura con pennellate incisive, violente, spesse, contro la tecnologia e il progresso. Negli anni Sessanta la poetica gestuale ed emotiva dell’informale entra in crisi, anche se oggi l’aniconismo, o la non figurazione, che dir si voglia, continua ad essere praticato da molti artisti che esordirono negli anni Cinquanta e da altri più giovani, senza alcun riferimento al movimento storico descritto in questo articolo. Nel presente gli aniconici propongono linguaggi puramente emozionali; sono di cultura internazionale e seguono vie autonome, liriche e soggettive. E’ il caso ad esempio di Iachetti, Raciti, Olivieri, Monrad, Pierfranceschi, Coda Zabetta, Frangi, Spampinato, Spadari, fino al gruppo “Alterazioni Video”: sette giovanissimi artisti che utilizzando la tecnologia traducono i suoni e i fotoni della luce in esplosioni e vibrazioni cromatiche suggestive, oniriche e destabilizzanti allo stesso tempo. Autore: Jacqueline Ceresoli

venerdì 29 giugno 2007

SCI - L'uso degli sci sembra sia stato il più antico mezzo di locomozione inventato dall'uomo,

> SCI - L'uso degli sci sembra sia stato il più antico mezzo di locomozione inventato dall'uomo, prima ancora della ruota. Un'incisione rupestre all'isola di Rodoy in Norvegia databile nel 3000 a.C. raffigura uomini che hanno ai piedi degli sci. A confermare questa scoperta, in una torbiera di Hoting in Svezia, ne sono stati rinvenuti un paio in ottime condizioni di conservazione databili 2500 a.C.Ma sembra che l'invenzione dello sci e insieme della slitta, affonda nella preistoria e che perfino la prima e originaria colonizzazione dell'America sia avvenuta proprio con gli sci ai piedi. Alcuni grandi esploratori e storici (Luther, Nansen) studiando le origini degli sci, fanno risalire questa invenzione nella zona della Siberia e della Mongolia. Precisamente nella zona degli Altai. Fu qui che si formarono - prima della fine dell'ultima era glaciale - due correnti migratorie: una verso la Manciuria e proseguendo attraverso lo stretto di Bering ghiacciato entrarono nell'Alaska poi in Canadà colonizzando il continente; mentre l'altra dirigendosi a ovest attraverso la Siberia sarebbe pervenuta nei paesi scandinavi sul Baltico. (Non dimentichiamo che si possono percorrere con gli sci ai piedi dai 300 ai 400 chilometri al giorno. Il record é del finlandese Rantenen con 401,28 km. Quello femminile detenuto da Kainulaisen é invece di 330 chilometri. Poi non dimentichiamo l'impresa dello stesso Nansen (direttore del museo di Bergen) che nel 1888 in 39 giorni raggiunse la Groenlandia, la attraversò interamente e raggiunse la baia di Baffin (America). La teoria di Luther e di Nansen è avvalorata dal rinvenimento di questi attrezzi (sci e racchette) nelle tribù athabasca del Canadà che hanno una straordinaria somiglianza a quelle in uso nelle popolazioni arcaiche in Islanda, in Finlandia, in Lapponia ed infine dopo aver fatto mezzo giro del mondo rinvenute proprio nel nord-est asiatico in Manciuria e nella punta estrema della Siberia.Una saga norvegese narra che il paese venne occupato circa 8000 anni fa da un popolo di sciatori venuti dal nord-est. Mentre una cronaca della Cina Manciù, nella regione di Mukden (nello Shen-Yang)  narra l'incontro di un gruppo di cacciatori con delle assicelle di legno con la punta ricurva fissate ai piedi con dei lacciuoli, che scivolavano velocissimi sulla neve aiutandosi con due bastoncini. Luther ha pure scoperto nell'arcaico alfabeto cinese un ideogramma che significa e indica un preciso attrezzo: la "tavoletta per scivolare". Veri specialisti degli sci (dato l'ambiente) furono però i Lapponi; circa 2000 anni fa calzavano uno sci lungo e sottile, quasi come quello attuale nel piede destro, mentre nel sinistro ne calzavano un altro più corto con sotto una pelle di foca, usato per appoggiarsi e darsi la spinta.  Questo particolare mezzo di locomozione era ancora in uso in Lapponia fino all'inizio del nostro secolo. Una cronaca Norvegese ancora del 1200 narra che in una famosa battaglia (quella di Isen) i soldati calzarono gli sci. Ma é tre secoli dopo che in Svezia inizia la vera leggenda dello sci. Re Gustavo I di Vasa, convinto di aver perso la guerra contro i Danesi fuggì verso la Norvegia, mentre i suoi sudditi ritornati alla riscossa avevano ripreso in mano la situazione nel paese. Due di loro per dargli la bella notizia e farlo tornare indietro, per raggiungerlo percorsero senza mai fermarsi 89 chilometri. (In memoria della leggendaria "galoppata" nel 1923 é stata istituita la famosa Vasa-loppet).Il primo manuale-trattato di sci che si conosca (come si fabbricano e come si usano; insegnandolo perfino con delle illustrazioni) è quello di un vescovo svedese Olaus Magnus, che però rientrando in Italia dai Paesi nordici pubblica il volume a Roma nel 1555. Quel trattato rimase nell'Urbe una bizzarria e nulla più.Una prima mostra di sci lapponi si svolse in una Fiera Commerciale nel 1636 a Worms, ma anche qui molti dei visitatori presero quelle assicelle come una stramberia degli uomini delle nevi, attrezzi adatti ai primitivi del nord. Nelle valli alpine italiane gli sci invece arrivarono con moltissimo ritardo, ma non in una zona molto limitata della Carnia per una singolare circostanza: nella Guerra dei trentanni partecipò un gruppo di soldati scandinavi, che alla pace di Westfalia del 1648 rimasero in Carnia (Cortina e dintorni) trapiantandovi così questo costume che non fece molta presa sui nativi, anche perchè grandi distese di terreno piano innevato come nei paesi nordici non ce ne sono, ci sono valli e montagne; i valligiani indigeni alla prima discesa ruzzolavano, e sappiamo tutti, quanto bisogna insistere senza scoraggiarsi per stare in piedi con gli sci. I montanari rinunciarono subito a imparare pensando che quelli erano "diavoli", già nati con gli sci ai piedi, quindi inutile insistere a volerli imitare. Anche se col tempo i "Cortinesi" diventarono poi dei grandi campioni. Il resto d'Italia dovrà aspettare più di due secoli, e per merito di un altro "diavolo", "el diau". L'ing. Adolf Kind (Coira 1848 - Bernina 1907) Svizzero, di antica origine Walser, arrivò a Torino nel 1890. Vi aprì una fabbrica di lucignoli incurante della diffusione delle lampadine alimentate dalle centrali idroelettriche che Giovanni Giolitti disseminava in tutto il Piemonte.Ma Adolf Kind ci interessa per la sua intraprendenza, non tanto industriale quanto sportiva. Di ritorno da uno dei suoi viaggi, un giorno del 1897, portò infatti con sé dalla Svizzera (qui esistevano  artigiani che già firmavano i propri sci) ) un paio di ski di frassino marca JAKOBER , il cui uso Kind illustrò nel salotto di casa agli sbigottiti amici, poi cominciò a portarli a Bardonecchia, e lui che era già partico esibendosi con grande abilità nei pendii insegnò loro i primi rudimenti. Facciamo notare che aveva già 50 anni! Si dice che i montanari che per primi videro quell'uomo scendere leggero dai pendii, skivolando sulla neve, rosso in viso e con una fluente barba bianca, scapparono gridando spaventati: "el diau, el diau". Un buon diavolo però, la cui passione per la montagna fece nascere in breve tempo vari Ski Club in Italia

FALSI PROFETI

"Da ogni tempo e luogo gli esseri evoluti, i Saggi dell'Universo, ci inviano parole di Verità per la nostra crescita spirituale. La “Parola del Maestro” è un modo per conoscersi, per trovare le risposte alle domande di sempre.Il Maestro molte volte vi ha messo in guardia dai falsi profeti. Come ho sempre detto la fede è ciò che conta. La fede, la verità, la speranza, stanno al di là dei falsi profeti. Vanno al dì la di falsi profeti. Ma ora vi chiederete “chi sono i falsi profeti”? Sono coloro che attraverso spiriti guida, Maestri o entità, perseguono il fine di vincolare l’anima di chi gli sta intorno alla terra e non al cielo. Falso profeta è colui che spesso dicendo la verità, ha come finalità l’inferno, la dannazione , il fuoco. Falso profeta è colui che dice, che scrive, che parla con una finalità diversa dalla verità e che solo lui conosce. Quindi attenzione ai falsi profeti. Vi è un meccanismo che serve per disorientare, far arrendere i falsi profeti. Ed è quello di guardarli fissamente negli occhi, e di dire con la mente “Satana fuggi, vai”. Falsi profeti, false verità e false speranze. Voi dovete capire chi, come e quando appariranno e perché appariranno. Voi sulla terra la chiamate magia, il legame d’amore. Il falso profeta è colui che lega, che fa magari anche per gioco legami d’amore. Legami d’amore che distruggono, che annientano, che seppelliscono. Quindi ciò che posso dirvi è di fuggire dai falsi profeti che si presentano a voi con flauti d’oro. Ma ahimè quell’oro presto si trasformerà in ferro e poi in cenere. State tutti attenti ai falsi profeti. State attenti a cosa vi dicono, ma anche a come ve lo dicono, e a cosa vi portano a fare. Non lasciatevi condizionare dagli altri, da nessuno, neanche da me. Ma sappiate essere liberi. Il falso profeta è chi opera con la menzogna: è ciò che ho chiamato prima Satana che ritorna come falso profeta, per tentarvi. Fuggite da lui. Non ascoltatelo. Fate come quel navigatore che si mise la cera nelle orecchie per non sentire. Questa è la verità. Ricordate cosa dice il Maestro: 1. chi non sa digiunare non può essere mio discepolo 2. chi non sa rimanere solo, non può essere mio discepolo 3. chi non sa combattere non può essere mio discepolo 4. chi non sa mantenere la rotta non può essere mio discepolo 5. chi non sa attuare il SILENZIO non può essere mio discepolo 6. chi non sa astenersi dal giudicare non può essere mio discepolo Ma ricordate. Sia che noi Maestri rimaniamo legati a voi, sia che ognuno di voi prenda la propria strada…. 7. Ricordatevi che ciò che conta è non perdere mai la speranza . E’ essere forti, attivi, e seguire la luce che si vede in lontananza. Non lasciatevi abbagliare, ma seguite la luce che è in fondo alla strada. Ma se non saprete discernere i profeti dai falsi profeti, se non saprete seguire la rotta, vi distruggerete, ognuno di voi, si distruggerà! E infine ricordate anche che quando tutti vi evitano, quanto la vita vi crolla addosso, quando resterete soli, stanchi, sfiduciati vi accorgerete che solo il Maestro è rimasto con voi.

ACTION PAINTING

Espressione inglese che significa Pittura d’azione e che definisce una particolare corrente artistica contemporanea, che si vale di strumenti pittorici di ogni genere, da quelli ortodossi ai più volgari, lo spruzzare, lo sgocciolare, persino il gettare della materia sul dipinto e che implica perciò anche l’impiego di spatole e di cazzuole. Detta tecnica, che fu inaugurata da Jackson Pollock (Scheda Ceris) nel 1947, permise così all’artista di “sentirsi più vicino, quasi parte integrante della pittura”. Il termine francese “tachisme” ne é virtualmente un sinonimo.

La prospettiva interreligiosa di Gandhi

La prospettiva interreligiosa di GandhiCercare la verità è una naturale aspirazione umana, un risultato dell'intelligenza e della mente umane: queste qualità rendono gli esseri umani superiori agli animali. Tuttavia, le differenti condizioni umane rappresentano molte diverse esperienze e conoscenze e queste portano con sé varietà di vite e reciproche interazioni tra soggetti ed oggetti; ognuno ha, quindi, molti strumenti per investigare fatti e verità, al meglio delle proprie capacità. Di conseguenza, il riconoscimento delle realtà e del vero modo di ricercare esse sono i principi generali per fondare una religione, una fede o un Dharma. Effettivamente, Buddha stesso insegnò le Quattro Nobili Verità nel suo primo discorso. I molti fondatori religiosi credevano che la Verità è il solo fenomeno che può soddisfare il naturale umano desiderio. Loro credevano che lo stato ultimo della felicità della mente è realizzabile, e che gli esseri umani hanno il potenziale sufficiente per raggiungerlo tramite le proprie esperienze. Inoltre loro credevano che ogni essere umano è responsabile del piacere degli altri e che il benessere di un essere umano deve considerare come bene gli altri. Loro credevano anche che lo stato naturale delle cose è basato su una ed ultima realtà. Per esempio Buddha dice che la realtà ultima è la vacuità, giacché tutti i fenomeni sono vuoti di un'esistenza intrinseca in loro stessi. Gesù dice che l'universo è una creazione di un ultimo vero Padre.Di conseguenza tutti i fondatori religiosi avevano una pura e gentile motivazione e i loro insegnamenti divennero questa grande risorsa per la felicità umana. Quindi io credo che rispettivamente ogni religione ha il potenziale di dare gli opportuni insegnamenti per guadagnare la pace della mente, se seguita come un'eccezionale sentiero spirituale. Naturalmente ogni essere umano ha il diritto e la possibilità di addestrarsi con tutte le diverse religioni affinché sviluppi una pratica religiosa organica e personale. Io non intendo dire né che tutte le religioni dovrebbero essere unificate, né che tutti gli esseri umani dovrebbero studiare e praticare tutte le religioni. Bensì, io sto sottolineando un importante concetto: le persone non dovrebbero considerare le religioni come contrapposte l'un l'altra o intoccabili.Le persone devono considerare le religioni come risorse di felicità e non come la distruzione di essa.Ogni qualvolta il nome di una religione diventa sinonimo di distruzione, ciò non accade per causa della religione o del suo fondatore, ma a causa delle persone che fraintendono il significato e l'uso della religione.Ma come portare tutte le differenti religioni insieme negli studi e nella pratica di un singolo essere umano? Io vorrei spiegarlo qui parlando di Gandhi e della sua vita. Gandhi nacque in una famiglia Hindu e fu educato sia in Occidente sia in Oriente. Accanto ai suoi studi accademici, egli considerò la pratica religiosa come un grande compito della sua vita e studiò le differenti religioni ogni volta e dovunque ne aveva l'opportunità. Egli praticò religioni diverse appena poteva. Noi consideriamo Gandhi come un mente veramente grande e intelligente, mossa da pura conoscenza umanaLui credeva che il valore di una religione ha fondamento sulle basilari buone qualità umane. Per valori umani intendo mente compassionevole e senso del perdono. Se qualcuno fallisce in queste qualità umane basilari, lui o lei non otterrà mai alcun beneficio da una fede religiosa. Perciò coltivare i valori umani fondamentali è il primo dovere di una persona religiosa. Le qualità umane fondamentali sono la porta per iniziare una genuina pratica religiosa.Allo scopo di raccogliere differenti studi religiosi in una sola vita umana, una persona dovrebbe capire i concetti delle diverse religioni e, per questo, i seguaci delle varie religioni dovrebbero incontrarsi e studiare insieme per il beneficio e la comprensione reciproci.Questa è la principale ragione per cui promuovere il dialogo e gli incontri interreligiosi è molto importante nel mondo odierno.
Io considero la vita di Gandhi e il suo insegnamento come la migliore via e motivazione per attuare un così importante compito.A causa dell'assenza di un'apertura e di buon cuore, molte persone del mondo oggi soffrono per sentimenti di insoddisfazione, malinconia e senso di insicurezza. Così, promuovere valori umani più profondi è un insegnamento di cui oggi il mondo ha bisogno.Inoltre, la promozione di un'armonia tra le diverse religioni è essenziale per sviluppare le umane qualità. Allo scolpo di sviluppare una reale armonia tra le differenti religioni, base di una reciproca comprensione, noi dobbiamo promuovere maggiore comunicazione e interazione tra quelle diverse religioni. Perciò oggi il dialogo interreligioso è un compito e un bisogno essenziale.I valori umani essenziali stanno a significare che per sua natura, effettivamente ognuno ha lo stesso desiderio di felicità e stesso diritto di realizzarlo. Un'altra verità è che la felicità dipende dall'aiuto degli altri o dal loro supporto, e dalla loro gentilezza. Quindi, giacché noi siamo esseri umani in una società umana, dobbiamo vivere nello sforzo comune del reciproco beneficio
Di conseguenza, noi dobbiamo occuparci o dovremmo pensare al benessere degli altri, avere il cuore aperto e capire la realtàGandhi e le religioni del mondoConsideriamo Gandhi come un uomo universale che aveva una fede costante negli immortali valori umani e denunciava tutti i tipi di barriere: geografica, razziale, culturale ecc.Riguardo alle diverse religioni nel mondo egli credeva profondamente che: "Tutte le religioni hanno una sorgente e nessun uomo ha il diritto di dire che la sua è la migliore, o che sia la sola vera forma di credo".L'induismo di Gandhi era una religione con una prospettiva universale. Egli si lasciò influenzare da tutte le culture, e rifiutò di ridurre la sua eredità culturale a una visione ristretta della vita e degli eventiGandhi credeva nella grandezza di tutte le religioni. Egli dice: "Io credo la verità fondamentale di tutte le grandi religioni del mondo". Ogni qualvolta Gandhi ne aveva l'opportunità, egli citava le sacre scritture Hindu, Islamiche e cristiane alle riunioni di preghiera. Gandhi provava a capire e adottava ogni cosa che trovava essere di valore nelle altre religioni. Lui credeva in tutti i grandi profeti e santi. Lui proclama: "Il mio induismo non è settario. Esso include tutto ciò che io so essere il meglio nell'Islamismo, nel Cristianesimo, nel Buddismo e Zoroastrismo".Gandhi non separava mai la sua religione dal resto della sua vita. Egli dice: "Io non conosco alcuna religione a parte l'attività umana".Gandhi era un uomo politico che regolava la sua vita politica sui dettami dei principi morali e religiosi e in base alla voce della coscienza. Thomas Matron riconosce un appropriato tributo a Gandhi, quando dice: "Per Gandhi, strano che possa sembrarci, l'azione politica deve essere la sua vera natura di religioso, nel senso che, essa doveva essere permeata dai principi di saggezza religiosa e psicologica. Separare religione e politica era agli occhi di Gandhi "follia", perché per Gandhi, la politica è fondata interamente su una religiosa interpretazione della realtà della vita e della condizione dell'uomo nel mondo".Nella prospettiva di Gandhi "Dio" e "Verità" hanno la stessa denotazione. Perciò l'asserzione "Dio è Verità" può essere convertita semplicemente senza cadere in errore. Il significato psicologico di questa citazione è rilevante. Dopo "Crossed the Sahara of atheism", Gandhi accettò l'idea di Dio delle religioni del mondo.Gandhi e le religioni del mondoConsideriamo Gandhi come un uomo universale che aveva una fede costante negli immortali valori umani e denunciava tutti i tipi di barriere: geografica, razziale, culturale ecc.Riguardo alle diverse religioni nel mondo egli credeva profondamente che: "Tutte le religioni hanno una sorgente e nessun uomo ha il diritto di dire che la sua è la migliore, o che sia la sola vera forma di credo".L'induismo di Gandhi era una religione con una prospettiva universale. Egli si lasciò influenzare da tutte le culture, e rifiutò di ridurre la sua eredità culturale a una visione ristretta della vita e degli eventiGandhi credeva nella grandezza di tutte le religioni. Egli dice: "Io credo la verità fondamentale di tutte le grandi religioni del mondo". Ogni qualvolta Gandhi ne aveva l'opportunità, egli citava le sacre scritture Hindu, Islamiche e cristiane alle riunioni di preghiera. Gandhi provava a capire e adottava ogni cosa che trovava essere di valore nelle altre religioni. Lui credeva in tutti i grandi profeti e santi. Lui proclama: "Il mio induismo non è settario. Esso include tutto ciò che io so essere il meglio nell'Islamismo, nel Cristianesimo, nel Buddismo e Zoroastrismo".Gandhi non separava mai la sua religione dal resto della sua vita. Egli dice: "Io non conosco alcuna religione a parte l'attività umana".Gandhi era un uomo politico che regolava la sua vita politica sui dettami dei principi morali e religiosi e in base alla voce della coscienza. Thomas Matron riconosce un appropriato tributo a Gandhi, quando dice: "Per Gandhi, strano che possa sembrarci, l'azione politica deve essere la sua vera natura di religioso, nel senso che, essa doveva essere permeata dai principi di saggezza religiosa e psicologica. Separare religione e politica era agli occhi di Gandhi "follia", perché per Gandhi, la politica è fondata interamente su una religiosa interpretazione della realtà della vita e della condizione dell'uomo nel mondo".Nella prospettiva di Gandhi "Dio" e "Verità" hanno la stessa denotazione. Perciò l'asserzione "Dio è Verità" può essere convertita semplicemente senza cadere in errore. Il significato psicologico di questa citazione è rilevante. Dopo "Crossed the Sahara of atheism", Gandhi accettò l'idea di Dio delle religioni del mondo. Geshe Gedun Tharchin

prospettiva interreligiosa di Gandhi


<"dCercare la verità è una naturale aspirazione umana, un risultato dell'intelligenza e della mente umane: queste qualità rendono gli esseri umani superiori agli animali. Tuttavia, le differenti condizioni umane rappresentano molte diverse esperienze e conoscenze e queste portano con sé varietà di vite e reciproche interazioni tra soggetti ed oggetti; ognuno ha, quindi, molti strumenti per investigare fatti e verità, al meglio delle proprie capacità. Di conseguenza, il riconoscimento delle realtà e del vero modo di ricercare esse sono i principi generali per fondare una religione, una fede o un Dharma. Effettivamente, Buddha stesso insegnò le Quattro Nobili Verità nel suo primo discorso. I molti fondatori religiosi credevano che la Verità è il solo fenomeno che può soddisfare il naturale umano desiderio. Loro credevano che lo stato ultimo della felicità della mente è realizzabile, e che gli esseri umani hanno il potenziale sufficiente per raggiungerlo tramite le proprie esperienze. Inoltre loro credevano che ogni essere umano è responsabile del piacere degli altri e che il benessere di un essere umano deve considerare come bene gli altri. Loro credevano anche che lo stato naturale delle cose è basato su una ed ultima realtà. Per esempio Buddha dice che la realtà ultima è la vacuità, giacché tutti i fenomeni sono vuoti di un'esistenza intrinseca in loro stessi. Gesù dice che l'universo è una creazione di un ultimo vero Padre.Di conseguenza tutti i fondatori religiosi avevano una pura e gentile motivazione e i loro insegnamenti divennero questa grande risorsa per la felicità umana. Quindi io credo che rispettivamente ogni religione ha il potenziale di dare gli opportuni insegnamenti per guadagnare la pace della mente, se seguita come un'eccezionale sentiero spirituale. Naturalmente ogni essere umano ha il diritto e la possibilità di addestrarsi con tutte le diverse religioni affinché sviluppi una pratica religiosa organica e personale. Io non intendo dire né che tutte le religioni dovrebbero essere unificate, né che tutti gli esseri umani dovrebbero studiare e praticare tutte le religioni. Bensì, io sto sottolineando un importante concetto: le persone non dovrebbero considerare le religioni come contrapposte l'un l'altra o intoccabili.Le persone devono considerare le religioni come risorse di felicità e non come la distruzione di essa.Ogni qualvolta il nome di una religione diventa sinonimo di distruzione, ciò non accade per causa della religione o del suo fondatore, ma a causa delle persone che fraintendono il significato e l'uso della religione.Ma come portare tutte le differenti religioni insieme negli studi e nella pratica di un singolo essere umano? Io vorrei spiegarlo qui parlando di Gandhi e della sua vita. Gandhi nacque in una famiglia Hindu e fu educato sia in Occidente sia in Oriente. Accanto ai suoi studi accademici, egli considerò la pratica religiosa come un grande compito della sua vita e studiò le differenti religioni ogni volta e dovunque ne aveva l'opportunità. Egli praticò religioni diverse appena poteva. Noi consideriamo Gandhi come un mente veramente grande e intelligente, mossa da pura conoscenza umanaLui credeva che il valore di una religione ha fondamento sulle basilari buone qualità umane. Per valori umani intendo mente compassionevole e senso del perdono. Se qualcuno fallisce in queste qualità umane basilari, lui o lei non otterrà mai alcun beneficio da una fede religiosa. Perciò coltivare i valori umani fondamentali è il primo dovere di una persona religiosa. Le qualità umane fondamentali sono la porta per iniziare una genuina pratica religiosa.Allo scopo di raccogliere differenti studi religiosi in una sola vita umana, una persona dovrebbe capire i concetti delle diverse religioni e, per questo, i seguaci delle varie religioni dovrebbero incontrarsi e studiare insieme per il beneficio e la comprensione reciproci.Questa è la principale ragione per cui promuovere il dialogo e gli incontri interreligiosi è molto importante nel mondo odierno.
Io considero la vita di Gandhi e il suo insegnamento come la migliore via e motivazione per attuare un così importante compito.A causa dell'assenza di un'apertura e di buon cuore, molte persone del mondo oggi soffrono per sentimenti di insoddisfazione, malinconia e senso di insicurezza. Così, promuovere valori umani più profondi è un insegnamento di cui oggi il mondo ha bisogno.Inoltre, la promozione di un'armonia tra le diverse religioni è essenziale per sviluppare le umane qualità. Allo scolpo di sviluppare una reale armonia tra le differenti religioni, base di una reciproca comprensione, noi dobbiamo promuovere maggiore comunicazione e interazione tra quelle diverse religioni. Perciò oggi il dialogo interreligioso è un compito e un bisogno essenziale.I valori umani essenziali stanno a significare che per sua natura, effettivamente ognuno ha lo stesso desiderio di felicità e stesso diritto di realizzarlo. Un'altra verità è che la felicità dipende dall'aiuto degli altri o dal loro supporto, e dalla loro gentilezza. Quindi, giacché noi siamo esseri umani in una società umana, dobbiamo vivere nello sforzo comune del reciproco beneficio
Di conseguenza, noi dobbiamo occuparci o dovremmo pensare al benessere degli altri, avere il cuore aperto e capire la realtàGandhi e le religioni del mondoConsideriamo Gandhi come un uomo universale che aveva una fede costante negli immortali valori umani e denunciava tutti i tipi di barriere: geografica, razziale, culturale ecc.Riguardo alle diverse religioni nel mondo egli credeva profondamente che: "Tutte le religioni hanno una sorgente e nessun uomo ha il diritto di dire che la sua è la migliore, o che sia la sola vera forma di credo".L'induismo di Gandhi era una religione con una prospettiva universale. Egli si lasciò influenzare da tutte le culture, e rifiutò di ridurre la sua eredità culturale a una visione ristretta della vita e degli eventiGandhi credeva nella grandezza di tutte le religioni. Egli dice: "Io credo la verità fondamentale di tutte le grandi religioni del mondo". Ogni qualvolta Gandhi ne aveva l'opportunità, egli citava le sacre scritture Hindu, Islamiche e cristiane alle riunioni di preghiera. Gandhi provava a capire e adottava ogni cosa che trovava essere di valore nelle altre religioni. Lui credeva in tutti i grandi profeti e santi. Lui proclama: "Il mio induismo non è settario. Esso include tutto ciò che io so essere il meglio nell'Islamismo, nel Cristianesimo, nel Buddismo e Zoroastrismo".Gandhi non separava mai la sua religione dal resto della sua vita. Egli dice: "Io non conosco alcuna religione a parte l'attività umana".Gandhi era un uomo politico che regolava la sua vita politica sui dettami dei principi morali e religiosi e in base alla voce della coscienza. Thomas Matron riconosce un appropriato tributo a Gandhi, quando dice: "Per Gandhi, strano che possa sembrarci, l'azione politica deve essere la sua vera natura di religioso, nel senso che, essa doveva essere permeata dai principi di saggezza religiosa e psicologica. Separare religione e politica era agli occhi di Gandhi "follia", perché per Gandhi, la politica è fondata interamente su una religiosa interpretazione della realtà della vita e della condizione dell'uomo nel mondo".Nella prospettiva di Gandhi "Dio" e "Verità" hanno la stessa denotazione. Perciò l'asserzione "Dio è Verità" può essere convertita semplicemente senza cadere in errore. Il significato psicologico di questa citazione è rilevante. Dopo "Crossed the Sahara of atheism", Gandhi accettò l'idea di Dio delle religioni del mondo.Gandhi e le religioni del mondoConsideriamo Gandhi come un uomo universale che aveva una fede costante negli immortali valori umani e denunciava tutti i tipi di barriere: geografica, razziale, culturale ecc.Riguardo alle diverse religioni nel mondo egli credeva profondamente che: "Tutte le religioni hanno una sorgente e nessun uomo ha il diritto di dire che la sua è la migliore, o che sia la sola vera forma di credo".L'induismo di Gandhi era una religione con una prospettiva universale. Egli si lasciò influenzare da tutte le culture, e rifiutò di ridurre la sua eredità culturale a una visione ristretta della vita e degli eventiGandhi credeva nella grandezza di tutte le religioni. Egli dice: "Io credo la verità fondamentale di tutte le grandi religioni del mondo". Ogni qualvolta Gandhi ne aveva l'opportunità, egli citava le sacre scritture Hindu, Islamiche e cristiane alle riunioni di preghiera. Gandhi provava a capire e adottava ogni cosa che trovava essere di valore nelle altre religioni. Lui credeva in tutti i grandi profeti e santi. Lui proclama: "Il mio induismo non è settario. Esso include tutto ciò che io so essere il meglio nell'Islamismo, nel Cristianesimo, nel Buddismo e Zoroastrismo".Gandhi non separava mai la sua religione dal resto della sua vita. Egli dice: "Io non conosco alcuna religione a parte l'attività umana".Gandhi era un uomo politico che regolava la sua vita politica sui dettami dei principi morali e religiosi e in base alla voce della coscienza. Thomas Matron riconosce un appropriato tributo a Gandhi, quando dice: "Per Gandhi, strano che possa sembrarci, l'azione politica deve essere la sua vera natura di religioso, nel senso che, essa doveva essere permeata dai principi di saggezza religiosa e psicologica. Separare religione e politica era agli occhi di Gandhi "follia", perché per Gandhi, la politica è fondata interamente su una religiosa interpretazione della realtà della vita e della condizione dell'uomo nel mondo".Nella prospettiva di Gandhi "Dio" e "Verità" hanno la stessa denotazione. Perciò l'asserzione "Dio è Verità" può essere convertita semplicemente senza cadere in errore. Il significato psicologico di questa citazione è rilevante. Dopo "Crossed the Sahara of atheism", Gandhi accettò l'idea di Dio delle religioni del mondo. i Geshe Gedun Tharchin

giovedì 28 giugno 2007

ARTE

In generale, con questo termine si designa un insieme di procedimenti volti a produrre un determinato risultato. L'a. in questo significato si oppone da una parte alla scienza dall'altra alla natura: alla scienza concepita come conoscenza pura indipendente dalle applicazioni; alla natura concepita come potenza che produce senza riflessione. Secondo un senso più ristretto e più preciso, per a. si intende ogni produzione della bellezza da parte dell'uomo. Dei due significati quello che interessa maggiormente la filosofia è il secondo.1. Nozione di arte - Come s'è detto, l'a. è produzione di bellezza da parte di un essere cosciente, una produzione di opere che suscitano ammirazione in chi le percepisce. L'a. è prodotta dalla collaborazione di varie facoltà: la fantasia, l'intelletto, il sentimento e la fabbrilità. L'uomo si definisce sia come animale simbolico sia come homo faber; ma l'a. non è né mero simbolismo né semplice tecnica, bensì l'incontro e la simbiosi di tutt'e due: del simbolismo e della tecnica. Grazie al suo rapporto inscindibile con la bellezza, l'a. si distingue dalla tecnica: questa ha come oggetto proprio l'utilità e l'efficienza, non la bellezza. Nel mondo greco la distinzione tra a. e tecnica non era sufficientemente formulata e con la parola techne i greci intendevano una qualsiasi abilità conseguita con cosciente applicazione, che conferisce all'uomo un dominio sulle cose e una capacità di operare sugli uomini stessi. La techne greca divenne poi l'ars dei latini, i quali anch'essi non distinguevano sempre e bene i due tipi di tecnica. La tecnica designa una semplice abilità a produrre qualche cosa di utile. L'a. invece implica il concetto di creazione, che non è la produzione di tanti oggetti eguali (come nell'opera dell'artigiano), bensì la formazione di opere belle, uniche, originali che prima non c'erano. Questa creazione è operata trasformando la natura (i vari materiali necessari alla formazione dell'opera d'a. ), vincendola e trasfigurandola. Nell'a. l'autore cerca di dare espressione sensibile a sentimenti profondi o a valori ideali; l'opera d'a. è una materializzazione di un valore spirituale; l'espressione dell'universale nel particolare, dell'intelligibile nel sensibile.2. Classificazione - Le opere d'a. sono molteplici, quantitativamente e qualitativamente; ma oltre ad esser unificate nella comune idea dell'a. , vengono anche unificate attraverso alcuni criteri di distinzione che danno luogo ai cosidetti generi artistici. Un criterio è, per esempio, la categoria della spazialità (che darebbe luogo alla scultura, alla pittura, al disegno ecc. ), contrapposta alla categoria della temporalità (che dà luogo all'a. della poesia, della musica ecc. ). Nella classificazione kantiana le a. si distinguono in: a. della parola (eloquenza e poesia), a. figurative (plastica e pittura), e a. del giuoco delle sensazioni (distinte in sensazioni auditive, ossia la musica, e in sensazioni visive ossia l'a. del «colorito»). In Schopenhauer, la scala delle a. riproduce la gerarchia delle idee, gradi di oggettivazione della volontà; l'architettura rappresenta i gradi inferiori di questa gerarchia (per i suoi specifici elementi del peso, della durezza, della rigidezza ecc. ). Nei gradini più alti della scala si trovano invece la pittura, la scultura e la poesia. Una collocazione speciale ha la musica che riprodurrebbe la volontà stessa. Ma se in Schopenhauer la musica occupa un posto privilegiato, in Kant invece, essendo la musica un'a. che parla per mere sensazioni senza concetti, è giudicata dal punto di vista della ragione umana e quell'a. ha minor valore di qualunque altra delle belle a. Secondo Heidegger l'essenza di tutte le a. è costituita dalla poesia: «Ogni arte, come far accadere l'avvento della verità, è nella sua stessa essenza poesia; [. . . ] la verità, come illuminazione e nascondimento dell'ente, accade in quanto è poesia» (Sentieri interrotti). Tuttavia, non pochi filosofi dell'a. hanno rifiutato qualsiasi tipo di classificazione.3. Finalità e autonomia - I filosofi assegnano all'a. anche altre finalità. Così per Platone, Agostino e Tommaso essa ha una finalità eminentemente pedagogica, per cui sono da condannare le opere d'a. che favoriscono la corruzione. Per Aristotele, Plotino e Schopenhauer l'a. ha uno scopo eminentemente catartico, cioè aiuta l'anima a liberarsi dalle passioni, a elevarsi verso la contemplazione. Per Vico, Schelling, Hegel, Croce e Gentile l'a. ha una finalità eminentemente teoretica: conoscere le verità ultime della natura profonda delle cose, del mondo intelligibile, dell'Assoluto. Oggi questi fini secondari dell'opera d'a. (pedagogici, catartici e metafisici non riscuotono molti consensi tra i filosofi in quanto si afferma, ci sembra giustamente, che essa ha una sua funzione autonoma, che è fine a se stessa, come la scienza, la religione, la morale, la politica e l'economia. E questo in quanto attività primigenia dello spirito che dispone di una propria facoltà, l'ammirazione e la creazione, e di un proprio oggetto, il bello. Autonomia dell'a. significa che il metodo e i criteri dell'a. si desumono unicamente all'interno dell'attività artistica. Dice san Tommaso: «I prodotti dell'a. si dicono falsi in modo assoluto e per se stessi nella misura che si discostano dalla forma voluta dall'arte; e così di un artista si dice che fa un'opera falsa, quando viene meno alle regole dell'arte» (S. theol. 1, 17, 1). Tuttavia lo statuto di autonomia dell'a. non va assolutizzato, semplicemente per il fatto che l'a. non è un compartimento stagno della vita umana e neppure un elemento che da solo può determinare le altre attività umane; né può da solo esaurire la pluriforme ricchezza dell'essere. L'autonomia dell'a. non può escludere che al suo fianco s'instaurino altre esigenze, altri valori. A loro volta queste alterità non sono tali da condizionare il valore intrinseco dell'a. , e tuttavia sono tali da dare un senso più ampio e compiuto all'opera d'a. , inserendola nella concretezza e totalità della vita personale dell'artista, che è artista in quanto è anche uomo, ed è uomo in quanto è essenzialmente soggetto spirituale, e perciò aperto al vero e al buono oltre che al bello.
4. Arte e morale - Quali siano i rapporti tra a. e morale è argomento assai disputato, per il quale sono state proposte svariate soluzioni che si possono ridurre a quattro. Prima: totale estraneità dell'a. rispetto alla morale, per cui dell'a. si possono dare soltanto giudizi estetici; seconda: assoluta sottomissione dell'a. alla morale e pertanto l'unico giudizio esprimibile obiettivamente sull'a. è quello della morale; terza: identità di a. e morale, e perciò la bellezza e artisticità di un'opera d'a. sono la stessa cosa della sua moralità o bontà; quarta: correlazione tra a. e morale. Secondo questa tesi il giudizio estetico e il giudizio etico, sebbene siano distinti, non sono però del tutto indipendenti l'uno dall'altro, ma sono correlati. Delle quattro soluzioni l'ultima sembra la più valida. Infatti a. e morale sono attività essenzialmente distinte in quanto perseguono obiettivi differenti e coinvolgono immediatamente differenti facoltà: l'obiettivo dell'a. è il bello, quello della morale il bene; la facoltà che realizza l'a. è l'ammirazione e la creazione; la facoltà che attua il bene è la volontà. E, mentre l'a. si propone di fare un'opera bella, la morale si propone di fare l'uomo stesso. Tuttavia a. e morale si intersecano vicendevolmente, cosicché l'a. non può fare a meno della morale e viceversa la morale non può far a meno dell'a. In effetti, tra le opere belle da fare c'è anzitutto l'uomo, e l'a. di fare l'uomo è la morale; d'altro canto l'artista trova nella sua a. quell'attività a lui più congeniale per realizzare se stesso come uomo.

L'Action Painting e Pollock


L'arte informale americana, legata alle diverse e più pragmatiche tradizioni di quel popolo, si identifica con la cosiddetta Action Painting, che potremmo forse tradurre come "pittura d'azione". Precoce anticipatrice di alcune tematiche europee, essa si sviluppa nel primo decennio del dopoguerra e per le caratteristiche che assume viene anche definita Espressionismo astratto, in quanto in essa si coniugano la virulenza espressiva e l'assenza di forme immediatamente riconoscibili. Il maggior esponente dell'Action Painting è senza dubbio lo statunitense Jackson Pollock (1912-1956), la cui vita sregolata, stroncata da un incidente d'auto, si riallaccia a quella degli artisti bohémien della bélle epoque o dei primi anni del Novecento.
Pollock, uno dei pochi artisti-mito dell'ultimo dopoguerra, ha una formazione abbastanza irregolare, trascinata di malavoglia tra varie accademie e scuole d'arti applicate americane. Fin dall'inizio risente molto del fascino della pittura popolare messicana e di quella che gli indiani d'America praticavano secondo riti antichissimi a scopo magico-propiziatorio. Nel 1937, neanche trentenne, Pollock è già gravemente affetto dall'alcolismo e deve sottoporsi a varie terapie psicoanalitiche. Proprio nell'ambiente medico e culturale il giovane artista ha modo di conoscere le ultime avanguardie europee, dalle quali rimane immediatamente affascinato. Nel 1947, infine, Pollock mette a punto la tecnica del dripping, consistente nel sopprimere il pennello e sostituirlo con sgocciolature più o meno regolari di colori sintetici puri su tele o cartoni distesi al suolo. In questo modo si ottengono risultati quasi assolutamente casuali, generando grovigli filamentosi di colore che si sovrappongono gli uni agli altri in un caotico intreccio di schizzi, gocce e colature, come ben si vede in "Foresta Incantata", dove tecnica e soggetto si amalgamano in un'unica ragnatela di segni. Scrive Pollock: "Io dipingo per terra ma non è una cosa anomala. Gli orientali lo facevano. Il colore che uso quasi sempre è liquido e molto fluido. Utilizzo i pennelli più come bastoni che come veri pennelli. Il pennello non tocca mai la superficie della tela, resta al di sopra".Nel celebre "Pali Blu", infine, realizzato dall'artista nel 1953, si ha un'idea abbastanza precisa di cosa sia il dripping. Lavorando concitatamente intorno alla tela disposta per terra, Pollock la schizza con batuffoli di cotone, con pennelli da verniciatore e con pezzi di legno; poi vi cola sopra fili sottili di colore che, a seconda del movimento della mano, si distribuiscono o si addensano creando zone di maggiore o minore concentrazione. Quel che ne nasce è un caotico labirinto di segni e colore all'interno del quale è lecito che ciascuno immagini ciò che più desidera o, al contrario, che più teme. I pali blu del titolo corrispondono agli otto segmenti variamente inclinati che percorrono l'intero dipinto. Essi rappresentano gli ultimi elementi geometrici residui, attorno ai quali si addensa il convulso assedio delle sgocciolature variopinte. È il grido disperato della ragione sopraffatta dall'urlo dell'irrazionale. È la testimonianza più tragica dell'intimo tormento di Pollock, l'eterno ribelle che amava ripetere: "ogni buon artista dipinge solo ciò che è". L'artista entra definitivamente nella leggenda nel 1956, quando muore in un incidente stradale.Acclamato come artista maledetto per eccellenza, come talento giovane, illimitato e autodistruttivo, Pollock può ben collocarsi tra quelle celebrità "ribelli" a lui contemporanee: l'attore James Dean, anch'egli morto vittima di un incidente stradale alla sola età di ventiquattro anni e lo scrittore Jack Kerouac, per il quale il ricorso all'alcool diventa sempre più sistematico fino al 1969 quando un attacco di ernia non curata chiude un'esperienza umana che sembra segnata dal riconoscimento del primo e fondamentale principio del buddhismo: che la vita umana è essenzialmente dolore

A Zeus la cadmeia Semele generò un figlio illustre,


I. La nascita di Dioniso

A Zeus la cadmeia Semele generò un figlio illustre,
unitasi a lui in amore, Dioniso ricco di gioia,lei mortale un figlio immortale, e ora ambedue sono dèi.In questi versi di Esiodo (Teogonia, 940-42) sono già tracciate le linee essenziali del mito di Semele: dal suo grembo uscì Dioniso quando lei morì incenerita dalla folgore di Zeus. Semele è in origine dea ctonia dell’Anatolia ed il suo nome è forse da legare col nome slavo Zemlja, che significa "terra". L’unione ierogamica sembra riflettere uno schema tipico della cosmologia mitica: Semele, la terra, è fecondata da Zeus, il fulmine, cui segue tempesta ed acqua pluviale. Il mito racconta di amori segreti tra Semele, figlia di Cadmo e Armonia, e Zeus. Hera, gelosa, con un’astuzia mortale tenta di opporsi all’amore del re degli dèi con la principessa tebana: appare in sogno alla giovane nelle vesti della sua nutrice e convince Semele a chiedere al re degli dèi, suo amante, di mostrarsi a lei come appariva alla sua moglie legittima. Zeus allora venne tra tuoni e lampi a visitarla, e Semele restò folgorata. Zeus, però, riuscì a salvare il feto di Dioniso dalle fiamme e lo cucì nella sua coscia fino al compimento della gestazione. Fatali furono le doglie di Semele, fatale il suo tragico parto di Dioniso, che ebbe dunque gestazione e nascita maschile: si tratta di un motivo arcano della mitologia indoeuropea, che trova un altrettanto misterioso parallelo nella tradizione indiana delle Upanishad. Il dio Soma, equivalente indiano di Dioniso, in quanto patrono delle inebrianti bevande fermentate a base di miele, fu cucito nella coscia della divinità celeste Indra. Ma questa seconda nascita di Dioniso può essere posta anche in relazione simbolica con forme di adozione: è attestata una pratica detta couvade, in cui il padre simulando un parto maschile, riconosceva come proprio il figlio: in questo modo si voleva forse preservare la buona salute del neonato, legato da indissolubile rapporto simpatetico col padre. L’usanza appartiene a popoli mediterranei, quali corsi, iberi e ciprioti, ed ha avuto grande diffusione in varie epoche e fino ai nostri giorni. Ne abbiamo notizia anche da Apollonio Rodio (2.1011) che a proposito degli abitanti di Amatunte racconta:

Filosofia: philèo sophia = amo conoscenza.

 Dal greco: philèo sophia = amo conoscenzaAnche se esistono elementi "filosofici" presenti in diverse culture, per lo più orientali, tuttavia la Filosofia, intesa come forma di sapere organizzato scientificamente e attività intellettuale specifica, nasce in Grecia e dunque ha origini occidentali.
Per Aristotele (Metafisica) Talete di Mileto (624-544 a.C.), fondatore della scuola Ionica, fu il primo filosofo, avendo egli ricercato un principio in grado di rilevare la natura di tutte le cose, l’ arcή.
Secondo una tradizione riferita da Diogene Laerzio (Vite dei filosofi) sarebbe stato Pitagora (540 a.C.) il primo a definirsi "amante del sapere", ovvero filosofo. Successivamente quest’ultimo avrebbe descritto la filosofia mediante l’allegoria del mercato: il filosofo è colui che osserva in modo disinteressato lo scorrere della vita.
In generale la filosofia va intesa come una disciplina scientifica ben definita, chiamata da Aristotele scienza prima, avente per oggetto i principi e lo studio delle strutture dell’Essere, identificato di volta in volta ora con la Realtà, ora con Dio.
A partire da questo significato del termine si collocano una grande moltitudine di sensi più specifici del concetto, legati, tra l’altro, al tempo e alle condizioni storiche e culturali dell’epoca in cui essi sono stati concepiti.
 

mercoledì 27 giugno 2007

L'inferno e il paradiso

Dopo una lunga ed eroica vita, un valoroso samurai giunse nell'aldilà' e fu destinato al paradiso. Era un tipo pieno di curiosità e chiese di poter dare prima un'occhiata anche all'inferno. Un angelo lo accontentò e lo condusse all'inferno. Si trovò in un vastissimo salone che aveva al centro una tavola imbandita con piatti colmi e pietanze succulente e di golosità inimmaginabili. Ma i commensali, che sedevano tutt'intorno, erano smunti, pallidi e scheletriti da far pietà.
"Com'e' possibile?", chiese il samurai alla sua guida. "Con tutto quel ben di Dio davanti!"."Vedi: quando arrivano qui, ricevono tutti due bastoncini, quelli che si usano come posate per mangiare, solo che sono lunghi più di un metro e devono essere rigorosamente impugnati all'estremità. Solo così possono portarsi il cibo alla bocca".
Il samurai rabbrividì. Era terribile la punizione di quei poveretti che, per quanti sforzi facessero, non riuscivano a mettersi neppur una briciola sotto i denti.Non volle vedere altro e chiese di andare subito in paradiso. Qui lo attendeva una sorpresa. Il paradiso era un salone assolutamente identico all'inferno! Dentro l'immenso salone c'era l'infinita tavolata di gente; un'identica sfilata di piatti deliziosi. Non solo: tutti i commensali erano muniti degli stessi bastoncini lunghi più di un metro, da impugnare all'estremità per portarsi il cibo alla bocca.C'era una sola differenza: qui la gente intorno al tavolo era allegra, ben pasciuta, sprizzante di gioia.
"Ma com'e' possibile?", chiese il samurai.
L'angelo sorrise.
"All'inferno ognuno si affanna ad afferrare il cibo e portarlo alla propria bocca, perché si sono sempre comportati così nella vita. Qui al contrario, ciascuno prende il cibo con i bastoncini e poi si preoccupa di imboccare il proprio vicino

Semplici Riflessioni


L'inferno e il paradisoDopo una lunga ed eroica vita, un valoroso samurai giunse nell'aldilà' e fu destinato al paradiso. Era un tipo pieno di curiosità e chiese di poter dare prima un'occhiata anche all'inferno. Un angelo lo accontentò e lo condusse all'inferno. Si trovò in un vastissimo salone che aveva al centro una tavola imbandita con piatti colmi e pietanze succulente e di golosità inimmaginabili. Ma i commensali, che sedevano tutt'intorno, erano smunti, pallidi e scheletriti da far pietà.
"Com'e' possibile?", chiese il samurai alla sua guida. "Con tutto quel ben di Dio davanti!".

"Vedi: quando arrivano qui, ricevono tutti due bastoncini, quelli che si usano come posate per mangiare, solo che sono lunghi più di un metro e devono essere rigorosamente impugnati all'estremità. Solo così possono portarsi il cibo alla bocca".
Il samurai rabbrividì. Era terribile la punizione di quei poveretti che, per quanti sforzi facessero, non riuscivano a mettersi neppur una briciola sotto i denti.

Non volle vedere altro e chiese di andare subito in paradiso. Qui lo attendeva una sorpresa. Il paradiso era un salone assolutamente identico all'inferno! Dentro l'immenso salone c'era l'infinita tavolata di gente; un'identica sfilata di piatti deliziosi. Non solo: tutti i commensali erano muniti degli stessi bastoncini lunghi più di un metro, da impugnare all'estremità per portarsi il cibo alla bocca.

C'era una sola differenza: qui la gente intorno al tavolo era allegra, ben pasciuta, sprizzante di gioia.
"Ma com'e' possibile?", chiese il samurai.
L'angelo sorrise.
"All'inferno ognuno si affanna ad afferrare il cibo e portarlo alla propria bocca, perché si sono sempre comportati così nella vita. Qui al contrario, ciascuno prende il cibo con i bastoncini e poi si preoccupa di imboccare il proprio vicino".

dal forum: www.riflessioni.it/forum

   Tibet: una tragedia dimenticata   


In breve situato a nord dell'Himalaya, tra l'India e la Cina, il Tibet ha una superficie di 2,5 milioni di Kmq (cinque volte la Francia).
La popolazione tibetana è attualmente stimata in 6,5 milioni di abitanti contro più di 7 milioni di coloni cinesi insediati sul territorio.
Per secoli il Tibet è stato un paese unito, libero e indipendente, come attestato da ben tre risoluzioni approvate dalle Nazioni Unite nel 1959, 1961 e 1965, sfortunatamente rimaste lettera morta.
E' un paese incomparabile, ricco di una tradizione di saggezza millenaria meravigliosamente incarnata dal XIV Dalai Lama, la cui lotta non-violenta, che è anche quella di tutto un popolo, è stata premiata nel 1989 con il Premio Nobel per la pace.Ignorando le Convenzioni Internazionali nel 1950 le truppe dell'esercito della Repubblica Popolare Cinese invasero ed occuparono il Tibet, uno stato fino ad allora assolutamente indipendente e del tutto differente dalla Cina in quanto ad etnia, sistema sociale, cultura, religione e tradizioni.Nel 1959 il Dalai Lama, prima autorità del paese, fu costretto all'esilio.
Gli ultimi 40 anni sono stati segnati da continue offese sia ordite contro il popolo tibetano che alla sua cultura.
Quello che è stato fatto subire al Tibet e al suo popolo è uno spaventoso sopruso che ripugna alle coscienze di tutte le persone libere e amanti della libertà, della pace e dei diritti umani.
Un vicino immensamente più forte sul piano del numero e della potenza militare ha consumato un vero e proprio genocidio ai danni di una nazione, quella tibetana, che aveva come unica arma la non- violenza.Le forze d'occupazione hanno commesso e commettono tuttora numerosi e orribili atti di barbarie.
Si stima che circa 2 milioni di tibetani siano morti tra il 1950 e il 1980, in conseguenza dell'occupazione cinese.
Nel corso della famigerata "rivoluzione culturale" (1966-1976), seimila templi (cioè la quasi totalità dei luoghi di culto) e una miriade di tesori artistici sono stati distrutti.
Alla popolazione tibetana viene negata (totalmente sino al 1980, parzialmente oggi) la pratica del Buddhismo (come del resto il Bön, l'antica religione autoctona del Tibet) e gli viene imposto l'insegnamento della lingua cinese a scapito di quella tibetana.          Mentre leggi questa pagina la tragedia tibetana continua: • Migliaia di tibetani sono in carcere spesso torturati barbaramente per semplici reati di opinione
 • Lingua, religione (della quale il regime vorrebbe cancellare l'influenza), storia e cultura sono negate o assurdamente falsate nei contenuti • Le donne di etnia tibetana subiscono continuamente un esecrabile controllo delle nascite patendo sterilizzazioni forzate e aborti, operati senza alcuna pietà anche in fase avanzata di gravidanza • Quello che risultava fino a pochi anni fa *ecosistema primario*, unico al mondo, è gravemente minacciato.
L'ambiente già efferatamente saccheggiato è in serio pericolo: la imponente deforestazione (che ha fruttato agli invasori vari miliardi di dollari) provoca inondazioni sempre più frequenti e devastanti, si stanno estinguendo numerose specie animali ormai uniche nel pianeta e lo sfruttamento dei terreni sta provocando una preoccupante desertificazione di vaste aree • Malgrado il muro di silenzio eretto dalla Cina, sappiamo che in Tibet esistono molti siti di stoccaggio e di lancio di pericolose armi nucleari • La situazione economica è catastrofica: il livello di vita è tra i più bassi del mondo, tanto che ai coloni e ai soldati cinesi viene dato uno status privilegiato e grossi incentivi economici


- "Ventimila lire"


Gioacchino Rossini incontrò un giorno una delegazione che gli annunciò l'imminente erezione di una statua in suo onore nella piazza principale di Pesaro. "Mi fa piacere" - disse il grande musicista - "E quanto costerà la statua? - "Ventimila lire" - "E' una bella cifra. Vi faccio una proposta: per lo stesso prezzo salirò io sul piedistallo a mettermi in posa tutte le volte che c'è una festa grande"

LA POESIA DI PABLO NERUDA


Nell'area poetica Neruda arriva già con un buon bagaglio letterario, Leo spitzer scrisse di lui "Neruda è in realtà una somma di Quevedo, Whitman e Rimbaud" , e vi entra con l'impeto del suo istinto sfrenato e barbaro e viene definito da Lorca un poeta più vicino al sangue che all'inchiostro . Fin dall'inizio la sua azione letteraria, sebbene alcuni mezzi impiegati possono trarre in inganno, appare condotta contro la roccaforte modernista, contro le forme placate o addirittura immobili dei modernisti, contro il conformismo letterario di quella scuola. Egli scrive Ho un concetto drammatico della vita e romantico; non mi riguarda ciò che non giunge profondamente alla mia sensibilità.Quest'allegria di bastare a se stessi non la possono conoscere gli imbecilli che compongono una parte della nostra vita letteraria.Come cittadino sono un uomo tranquillo, nemico delle leggi, dei governi, e delle istituzioni stabilite. Ho repulsione per il borghese, e mi piace la vita della gente inquieta e insoddisfatta.
L'attacco alle convenzioni alle banalità della vita moderna ai sentimenti codificati, all'ordine costituito si sviluppa aperto o nascosto per tutto l'arco della produzione poetica di Neruda
Ma forte e costante è anche la sua opposizione alla purezza e alla freddezza formale delle poesie moderniste.Così scrive il poeta stesso delle poesie pure: Chi sfugge al cattivo gusto cade nel gelo
La poesia di Neruda è stata definita neoromantica, il poeta si pone di fronte alla realtà e se ne autoproclama interprete completo e assoluto. Per lui anche quando negata la realtà darà segni della sua presenza; anche quando respinta lascerà tracce della sua tiranni occulta o palese. La realtà sarà così sempre presente o sotto l'aspetto di una malinconica rinuncia, di un bene non più afferrabile forse definitivamente perduto, o nella constatazione della eterna rovina, dell'infinita disgregazione e della continua morte che reggono il mondo e la vita agli occhi del poeta, o nella rappresentazione realistica dell'unità tra uomo e natura, tra vita e storia, tra essere e divenire. Il poeta trova consolazione nella poesia, considerata l'unica possibilità di acquisizione della realtà, l'unica vita momentanea nella lenta e incessante morte. Ma con la cosiddetta conversione alla poesia sociale avviene il salto: il poeta ha raggiunto il punto estremo della creazione dei veleni, e ha bevuto fino in fondo la coppa del suo disincantato materialismo . Le sue poesie diventano un inno alla morte :"E per chi ho cercato questo polso freddo se non per una morte?" . Ma su un piano assoluto di risultati e di atteggiamenti un inno alla morte è assai vicino all'inno alla vita.Soltanto tenendo conto di questo momento dialettico, di questo contrasto di luce e ombra, di vita e morte, si potrà comprendere la frase di Lautrèmont tanto cara al poeta: "non si può giudicare la bellezza della vita che attraverso la morte"

martedì 26 giugno 2007

Nella storia dell’Occidente vi sono quattro o cinque giganti ...

Antoni Tàpies N1


Nella storia dell’Occidente vi sono quattro o cinque giganti del pensiero che è impossibile evitare. Le conseguenze delle loro idee sono entrate anche nei dettagli delle cronache, le opere che ci hanno lasciato sembrano dotate del potere di rigenerarsi in ogni epoca. Non cadremo nel tranello di snocciolarne i nomi, ma certamente Aurelio Agostino, nato il 13 novembre del 354 in Numidia, a Tagaste (oggi Souk-Ahras, Algeria), è uno di costoro. Prima di diventare un santo fu un uomo che conobbe il mondo, tanto da avere un figlio da un’unione irregolare; poi pensò di lasciare la sua amante per un matrimonio che gli avrebbe favorito la carriera. Da giovane odiava la lingua greca, e quando cominciò a leggere la Bibbia non ne fu entusiasta, tanto che si legò ai Manichei, i quali almeno gli promettevano una religione ragionevole. A Roma fu attratto anche dallo scetticismo. L’elenco di quelli che possono sembrare difetti non è difficile da stilare, forse perché egli non ce ne ha risparmiato nemmeno uno nelle sue opere; i pregi del suo pensiero sono invece testimoniati senza sosta dai sommi. Petrarca si forma spiritualmente sulle sue pagine, molte concezioni teologiche di Agostino armeranno il coraggio di Lutero e Calvino; inoltre dietro ogni tentativo di dimostrare l’esistenza di Dio c’è un suo suggerimento, e così sarà quando la Chiesa deciderà di combattere le eresie o di intraprendere guerre sante o, al contrario, di scegliere la via della pace. Dostoevskij pianse sulle pagine bianche prima di scrivere qualcosa di nuovo sul mistero che ci attende oltre la vita: in quei momenti Agostino lo aiutò. E inevitabilmente i suoi dilemmi intorno al tempo dovettero apparire come forche caudine della mente per Einstein e Heidegger (le varcarono guardandosi probabilmente in cagnesco). Prima, per altre questioni, ci passò anche Kant. Gli illuministi digrignarono i denti su certi suoi libri, ma furono costretti a leggerli. E anche il pensiero contemporaneo sembra aver subito un’ipoteca agostiniana, sovente senza accorgersene. 
Si capirà dunque perché all’inizio del nuovo millennio Agostino ritorna di nuovo, con più forza che nel secolo scorso. Innanzitutto c’è una notizia che lo riguarda e che lo riporterà all’attenzione delle cronache editoriali: per la prima volta tutta la sua opera è stata tradotta in italiano. È un lavoro cominciato quarant’anni or sono: fu intrapreso, per incarico dell’editrice Città Nuova di Roma, nel 1965 sotto la direzione di Agostino Trapè (1915-1987) con le Confessioni tradotte da Carlo Carena.

Un'analisi del dissenso tra Freud e Jung.

SCHIFANO N1

Un'analisi del dissenso tra Freud e Jung. La genealogia di un turbamento Il problema Già K. Abraham, nella sua critica alle teorie di Jung, aveva detto: «Va sottolineato che Freud stabilisce dapprima proprio il fondamento biologico, e vi costruisce sopra la sua teoria sessuale. Jung invece introduce il suo concetto di libido, cioè una costruzione filosofica, e spiega i fatti nel senso di questa teoria».1 E ancora:Devo infine rilevare ancora che Jung contravviene seriamente al suo principio di prendere per norma solo la verità e non il sentimento morale, accostandosi alla sessualità infantile e all'inconscio con valutazioni etico-teologiche. È proprio verso questo lato che vorrei, in chiusura, erigere le difese. Si tratta di proteggere la psicoanalisi da influssi che potrebbero farne ciò che la filosofia fu in passato: la ancilla theologiae.2Abraham accusa Jung di trasformare l'osservazione scientifica in filosofia e questa, a sua volta, in teologia. Jung, cercando una maniera per sottrarsi all'autorità di Freud, che forse era sentita come opprimente dalla maggior parte dei suoi allievi, cerca di prescindere dall'evidenza empirica per rivolgersi a quello che era sempre stato il punto forte della cultura occidentale: la filosofia. Quello stesso campo del sapere di cui tanto era infatuato Freud in gioventù, e che poi aveva respinto energicamente, poiché considerata incompatibile con l'osservazione scientifica.E, infatti, il concetto di sessualità di Sigmund Freud è il dogma dell'immanenza.Non a caso il metodo attraverso il quale avviene il processo psicoanalitico si basa sulle associazioni libere, ovvero l'esposizione del materiale così come emerge nella sua forma grezza affinché venga esposto all'osservazione e all'analisi.Quello che apparentemente era stato lo scontro tra due personalità diverse era in realtà molto di più. Jung contrappone alla concretezza empirica di Freud una visione metafisica. Nelle pagine seguenti cercherò di provare che questa differenza contiene significati arcaici profondi e può essere decodificata solo analizzando il background etnico e mentale dei due uomini. La tesi che cercherò di dimostrare sostiene che come la società occidentale aveva superato la fedeltà al padre e aveva rotto i legami con il capo tribù autoritario, organizzandosi in una struttura sociale a polis, che la liberava dall'autorità della Legge del Padre e apriva la strada alla filosofia e alla metafisica, così Jung si ribella a Freud, e al posto di una legge che si basi sulle pulsioni, il cui tema principale è la fedeltà-ribellione al padre e lo schema edipico, fonda una teoria che si basa sull'astrazione e su una metafisica trascendentale.Jung assicura continuamente i suoi lettori della innocuità delle pulsioni infantili. Come già aveva fatto l'occidente col crollo del mondo antico, e chiarificheremo più avanti questo punto, desessualizza il comportamento umano e sterilizza il corpo dalle pulsioni. Così facendo, asseconda quel gusto per il soffuso che non è altro che l'espressione di un bisogno di edonismo e decadenza, particolari del tardo ellenismo come dei giorni nostriE infatti, secondo Abraham:Jung fa un serio passo indietro, dal punto di vista scientifico, assicurando continuamente i suoi lettori della innocuità delle pulsioni infantili. Per la verità è anche peggio che egli poi attribuisca all'inconscio addirittura tendenze morali.3A una teoria «ebraica» delle pulsioni, Jung sostituisce la teoria occidentale degli archetipi. Allo specifico sostituisce il generale. A una scienza che si basa sull'osservazione che viene dal basso, una filosofia metafisica. Al codice della Legge, la filosofia come morale.La scienza era rinata in Occidente quando, nel tardo Medioevo e durante il Rinascimento, le teorie neo-platoniche ed aristoteliche erano state abbandonate a favore dell'osservazione empirica.Anche a questo allude forse Abraham quando dice: «Jung fa un serio passo indietro».Jung è, infatti, un serio passo indietro in rapporto a Copernico, Leonardo, Galileo e Newton.4Quando Jung rifiutò la teoria sessuale, Freud fu il primo a meravigliarsi. Non poteva capire come uno dei suoi seguaci che più stimava voltasse le spalle a quello che per uno psicoanalista serio doveva essere di gran lungo scontato. Che ci fosse qualcosa di irrazionale legato a motivi di estrazione etnica, però, lo aveva forse percepito. In una lettera ad Abraham del 1908, in cui lo invitava alla tolleranza nei confronti di Jung, Freud scrive:Non dimentichi che per Lei è più facile rispetto a Jung seguire le mie idee, poiché in primo luogo Lei è completamente indipendente, e inoltre è più vicino alla mia costituzione intellettuale per parentela e razza, mentre lui come cristiano e figlio di un pastore non può che incontrare grosse resistenze interne nell'avvicinarsi a me.5Questa è una ben strana argomentazione dalla bocca di un uomo della levatura intellettuale e morale di Freud. Ci si sarebbe potuto aspettare da lui che si limitasse ad argomentazioni molto più razionali e trasparenti.Mentre Abraham, per ribattere a Jung, si era attenuto a formulazioni strettamente scientifiche, Freud adopera una frase tenebrosa, che non richiama certamente associazioni edificanti.Cosa mai avrà voluto intendere con le parole «per parentela e per razza»?E in che cosa esattamente Abraham era più indipendente di Jung?Nel 1914, dopo che la scissione era stata consumata, Freud definisce Jung come qualcuno con «una posizione indipendente».6 Quindi, pur adoperando lo stesso attributo per entrambi, evidentemente intendeva due cose diverse
Iakov Levi

Friedrich Nietzsche ( Felicità)


Una felicità che finora l'uomo non ha mai conosciuto: la felicità di un dio colmo di potenza e d'amore, di lacrime e di riso, una felicità che, come il sole alla sera, non si stanca di effondere doni della sua ricchezza inestinguibile e li sparge nel mare, e come il sole, soltanto allora si sente assolutamente ricca, quando anche il più povero pescatore rema con un remo d'oro! Questo sentimento divino si chiamerebbe, allora -umanità!

La vita nella materia: Michelangelo scultore

LA PIETA' - Nella Basilica di S. Pietro

: L'arte di Michelangelo era stata ampiamente celebrata dai suoi contemporanei. Come ricorda il Vasari ne "Le vite dei più eccellenti architetti, pittori e scultori italiani", la sua fama di eccellentissimo scultore gli era stata attribuita per la generale ammirazione de La pietà, realizzata quando l'artista aveva circa 25 anni. Nel 1505, quando Michelangelo non aveva ancora trent'anni, Papa Giulio II lo fece convocare per commissionargli il proprio monumento funebre. Si trattava di un'opera ambiziosa e impegnativa, oltre misura. La realizzazione del sepolcro tombale avrebbe infatti conosciuto una travagliatissima gestazione, che si sarebbe protratta per decenni, impegnando fino allo sfinimento le energie e il genio creativo di Michelangelo che si vide costretto a modificare e a rielaborare più volte il progetto anche dopo la morte del Pontefice. Quello che, agli occhi dell'autore doveva rappresentare una magnifica prova del suo genio, sintesi esemplare di architettura e scultura, morte e cristianità, divenne la tragedia della sepoltura, come la chiamò egli stesso. L'opera venne infine portata a termine, ma con un'evidente limitazione rispetto all'intento iniziale di Michelangelo. Nella forma definitiva la statua di Mosé, oggi restaurata, è collocata al centro del monumento funebre. Essa rappresenta una testimonianza autentica della scultura michelangiolesca e della sua insuperabile maestria nell'estrarre la vita dalla materia e nel dare un'anima al corpo umano. Nello sguardo inquietante de "Il Mosé" , che stringe tra le mani le Tavole ricevute da Dio, si riflette la luce della divinità. Il racconto del Vasari a questo proposito è eloquente: "La quale statua non sarà mai cosa moderna alcuna che possa arrivare di bellezza e delle antiche ancora si può dire il medesimo. Ed ha sì bene ritratto nel marmo la divinità che Dio aveva messo nel sacratissimo volto di quello che Mosé può, più oggi che mai, chiamarsi amico di Dio". Ma in che cosa risiede la peculiarità della scultura michelangiolesca? È possibile oggi svelare in ogni piega la sublime tecnica della sua mano? Il restauro di questo capolavoro può rivelarci i segreti del suo genio?Perché Michelangelo inserisce la statua de Il Mosé nel Sepolcro di Papa Giulio II?FORCELLINO: All'inizio, il progetto di realizzare circa quaranta statue, prevedeva di collocare questa, sopra, in un angolo. Poi il Papa, dietro consiglio di Bramante e Raffaello, invidiosi di Michelangelo, decise di non realizzarla più. Soltanto dopo la sua morte, dopo che un nuovo Papa si oppose alla continuazione del progetto - si tratta di un'un'interruzione di tredici anni -, Michelangelo portò a termine il lavoro. In quale momento della vita di Mosé, Michelangelo lo rappresenta?FORCELLINO: L'interpretazione più accreditata è che Michelangelo rappresenti Mosé, quando, sceso dal monte Sinai dove ha ricevuto le Tavole da Dio, trova i suoi amici intenti alla venerazione di un nuovo idolo e, sdegnato, li punisce, rompendo le Tavole con un gesto violento. Tuttavia, noi non abbiamo alcun documento che ci autorizzi a questa interpretazione. Questa statua è stata scolpita per metà nel 1517 e per metà nel 1542, quindi l'opera, così come noi la vediamo, è il frutto di una stranissima elaborazione. Quello che noi vediamo ne Il Mosé va letto alla luce di quello che abbiamo scoperto adesso, ossia che il lavoro è cominciato in un modo e poi è stato completamente modificato dall'autore. Innanzi tutto la sua posizione è stata determinata dallo spazio illimitato per poterla lavorare e dal fatto che la pietra era oramai intaccata.Qual è l'interpretazione di Freud de Il Mosé?FORCELLINO: Freud, in questa statua scorge un Mosè che si siede e contiene l'ira, ma questa lettura va colta nel suo significato storico. In un momento - siamo nell'Ottocento - difficile per l'Europa, Freud ritiene molto importante attribuire all'opera il senso della razionalità e il contenimento dell'ira, infatti, è un traguardo della ragione. Tuttavia, c'è da tener presente che lui non è a conoscenza del fatto che il blocco è stato già lavorato. Per cui ciò che lui legge come una creazione, in realtà è il frutto di una condizione tutta interna all'arte, alla difficoltà della scultura, alla difficoltà di rappresentare, in un blocco di marmo, un uomo.S Come venne considerato Il Mosé dai contemporanei di Michelanghelo?FORCELLINO: Senza dubbio, l'opera è considerata la più grande statua della modernità. Pochi anni dopo viene pubblicata una guida delle sculture antiche dove si elencano le grandi opere pervenute dall'antichità e ritrovate poi a Roma tra il Quattrocento e il Cinquecento. Si tratta de Il Marco Aurelio, de L'Apollo Belvedere e soprattutto de Il Lacoonte, che aveva stupito tutto il mondo. Ebbene, in questo elenco, viene inserito anche Il Mosé, ma questa statua, pur non avendo nulla da invidiare alla scultura antica, non è antica, bensì moderna, perché Michelangelo è ancora vivente quando viene consacrato come l'artista, lo scultore più grande che esiste nell'universo. I contemporanei non possono che ammirarlo per il virtuosismo tecnico mai raggiunto prima e dopo di lui, da altri. Perché Il Mosé viene rappresentato con le corna?FORCELLINO: Quelle che vediamo non sono corna, ma i raggi dell'illuminazione attraverso i quali si esprime la visione divina. Se nella pittura è facile rappresentare precisamente ciò che si vuole, nella scultura la difficoltà è legata al materiale che deve essere modellato. Tuttavia, alcuni notarono, già allora, - e altri adesso cominciano a riflettere -, che quei raggi, forse, potrebbero davvero essere corna. Le corna, come sappiamo, caratterizzano il Dio Pan, il Dio della natura, degli istinti, degli appetiti sfrenati e Michelangelo aveva dei problemi di controllo dell'istinto, delle pulsioni. Tra l'altro, già più di un contemporaneo aveva capito questo, perché, criticando Il Mosé , diceva :" E poi sembra un capro, un satiro con quelle corna...". Oggi, alcuni studiosi sostengono che Mosè, ordinando di distruggere il vitello d'oro e di adorare un nuovo Dio, che è poi il Dio degli ebrei che diventerà il Dio dei cristiani, mantiene qualcosa del Dio che ha distrutto. Quindi, in realtà, quei corni ricordano il Dio che è stato scalzato dal nuovo e a me sembrano delle osservazioni tutte legittime.  In che modo è stato effettuato il restauro? E, poi, si sono verificate delle difficoltà durante questa operazione?FORCELLINO: Il restauro della statua de Il Mosé è inserito nel quadro del restauro dell'intera tomba e della parete a cui è appoggiato, che ha dei problemi di staticità. L'intervento si è reso inoltre necessario per il grasso depositatosi a causa dei calchi dell'opera, che vennero eseguiti nell'Ottocento per ordine del Principe Regnante d'Inghilterra. Quando si fa un calco, lo si fa per pezzi e questi debbono essere separati tra loro con del grasso che finisce per essere assorbito dal marmo, provocando delle macchie molto scure che possono falsare l'espressione e quindi il significato dell'opera. Tuttavia, l'operazione di restauro deve rispettare la pelle del marmo intaccata dal tempo che è trascorso, perché essa arricchisce le sculture. Quindi il restauratore deve rispettare sia l'equilibrio intellettuale che quello visivo. Che tipo di marmi usava Michelangelo e con quale criterio li sceglieva?FORCELLINO: Lui si recava a Carrara a scegliere il marmo, partecipando all'estrazione della pietra e controllando che non avesse la minima imperfezione. Non dimentichiamo che Michelangelo era un maniaco della materia, prima ancora che per la scultura e dunque la scelta era molto accurata. In una lettera che scrisse ad un amico egli disse di aver rischiato di venire schiacciato da un blocco per tirare su una pietra. Questo ci dice quanto lui fosse convinto del fatto che tutto nascesse proprio dalla materia.
STUDENTESSA: Qual'era la tecnica scultorea di Michelangelo?
FORCELLINO: Non abbiamo certezze in merito, tuttavia questo restauro ci ha confermato quanto la scultura di Michelangelo fosse meticolosa e quanto lui fosse ossessivo. Egli non faceva assistere nessuno al suo lavoro, non prendeva mai molti allievi e non voleva collaborare con altri scultori. La singolarità di Michelangelo è quella di utilizzare gli strumenti fino proprio alla pelle della scultura, mentre i suoi colleghi lo facevano per grosse linee. Inoltre egli non usava la raspa come strumento di lavorazione, perché essa danneggiava la materia. Lo scalpello, invece, lo preferiva perché permetteva una vibrazione che per altri era inarrivabile.  Perché Michelangelo esalta molto la muscolatura di Mosé?
FORCELLINO: Michelangelo esalta la muscolatura di tutte le statue, perché intende esaltare proprio l'anatomia. Michelangelo andava all'Obitorio del L'Annunziata a studiare i cadaveri per coglierne proprio il segreto dell'anatomia e poterlo, poi, raffigurare. Egli considerava il corpo umano come l'espressione della perfezione di tutto, attraverso il quale si riesce a esprimere tutto, perché come egli dice : "… l'arte, il nudo, è un fatto di fede, perché l'uomo è specchio di Dio".
STUDENTESSA: Michelangelo sosteneva di essere uno scultore più che un pittore. Secondo Lei la scultura ci rivela meglio, rispetto alla pittura, il genio michelangiolesco?
FORCELLINO: Sicuramente la scultura rivela il virtuosismo di Michelangelo, nel senso che, sul piano tecnico non c'è stato nessuno che potesse competere con lui nel dar vita alla materia. Anche se a me piace forse ancora di più come pittore, senza dubbio Michelangelo, come scultore, ci ha lasciato il segno di un talento inarrivabile. Quale emozione Le ha dato il restauro de Il Mosé?FORCELLINO: In Italia, il restauratore è uno che fa con le mani qualcosa che ha deciso uno storico dell'arte. Si tratta di una considerazione errata, invece, perché il restauro è un lavoro di impegno intellettuale, per compiere il quale, è necessaria una formazione, un'esperienza e anche talento. Se chi interviene non ha questi requisiti, rischia di falsare la percezione dell'opera. Ciò nonostante il restauro alla fine è un lavoro e come tutti i lavori è una risorsa e come tutte le risorse è un potere e come tutti i poteri è appetito; è un circo in cui gli storici dell'arte e gli architetti hanno formulato una legge come conveniva a loro, in cui loro pensano e il restauratore esegue il loro pensiero. Oggi, in Italia, per restaurare Il Mosé la legge prescrive che si facciano delle gare pubbliche, alle quali non solo partecipano quelli che hanno fatto un training regolare presso le scuole d'arte, ma anche le imprese che hanno restaurato il tetto di un palazzo che, appartenendo alla categoria dei Beni Culturali, praticamente li certifica come restauratori. Posso dire che con questa legge, si sia messo la parola fine al prezioso lavoro del restauratore.
Puntata registrata il 7 febbraio 2002
Antonio Forcellino