martedì 26 giugno 2007

Nella storia dell’Occidente vi sono quattro o cinque giganti ...

Antoni Tàpies N1


Nella storia dell’Occidente vi sono quattro o cinque giganti del pensiero che è impossibile evitare. Le conseguenze delle loro idee sono entrate anche nei dettagli delle cronache, le opere che ci hanno lasciato sembrano dotate del potere di rigenerarsi in ogni epoca. Non cadremo nel tranello di snocciolarne i nomi, ma certamente Aurelio Agostino, nato il 13 novembre del 354 in Numidia, a Tagaste (oggi Souk-Ahras, Algeria), è uno di costoro. Prima di diventare un santo fu un uomo che conobbe il mondo, tanto da avere un figlio da un’unione irregolare; poi pensò di lasciare la sua amante per un matrimonio che gli avrebbe favorito la carriera. Da giovane odiava la lingua greca, e quando cominciò a leggere la Bibbia non ne fu entusiasta, tanto che si legò ai Manichei, i quali almeno gli promettevano una religione ragionevole. A Roma fu attratto anche dallo scetticismo. L’elenco di quelli che possono sembrare difetti non è difficile da stilare, forse perché egli non ce ne ha risparmiato nemmeno uno nelle sue opere; i pregi del suo pensiero sono invece testimoniati senza sosta dai sommi. Petrarca si forma spiritualmente sulle sue pagine, molte concezioni teologiche di Agostino armeranno il coraggio di Lutero e Calvino; inoltre dietro ogni tentativo di dimostrare l’esistenza di Dio c’è un suo suggerimento, e così sarà quando la Chiesa deciderà di combattere le eresie o di intraprendere guerre sante o, al contrario, di scegliere la via della pace. Dostoevskij pianse sulle pagine bianche prima di scrivere qualcosa di nuovo sul mistero che ci attende oltre la vita: in quei momenti Agostino lo aiutò. E inevitabilmente i suoi dilemmi intorno al tempo dovettero apparire come forche caudine della mente per Einstein e Heidegger (le varcarono guardandosi probabilmente in cagnesco). Prima, per altre questioni, ci passò anche Kant. Gli illuministi digrignarono i denti su certi suoi libri, ma furono costretti a leggerli. E anche il pensiero contemporaneo sembra aver subito un’ipoteca agostiniana, sovente senza accorgersene. 
Si capirà dunque perché all’inizio del nuovo millennio Agostino ritorna di nuovo, con più forza che nel secolo scorso. Innanzitutto c’è una notizia che lo riguarda e che lo riporterà all’attenzione delle cronache editoriali: per la prima volta tutta la sua opera è stata tradotta in italiano. È un lavoro cominciato quarant’anni or sono: fu intrapreso, per incarico dell’editrice Città Nuova di Roma, nel 1965 sotto la direzione di Agostino Trapè (1915-1987) con le Confessioni tradotte da Carlo Carena.

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