sabato 23 giugno 2007

La semplice copia di un'opera d'arte non è a sua volta un'opera d'arte


Il filosofo Georg Simmel ai primi del Novecento faceva l'esempio di una frase, che, pur ascoltata una volta sola, è talmente banale da dar l'impressione di averla sentita mille volte. E così i prodotti artistici in serie sono riconoscibili come opere pensate per essere riprodotte anche quando siano dei pezzi unici. Il senso dell'opera d'arte invece, sosteneva Simmel, è l'unicità. La semplice copia di un'opera d'arte non è a sua volta un'opera d'arte. Alcuni decenni dopo Walter Benjamin salutava invece speranzoso proprio la fine dell'aura dell'opera d'arte e vedeva nella sua riproducibilità tecnica un'enorme potenzialità. Sottratta al peso della tradizione e del rituale, l'arte poteva trovare il proprio fondamento nella politica. Da qui l'importanza della fotografia, della R.A.I., del cinema. Nel dopoguerra la "serializzazione" e la mercificazione dell'arte, sono quasi diventate il problema per eccellenza degli artisti contemporanei. La pervasività dei mass media, ma anche il recupero e l'addomesticamento delle avanguardie, sembrano definire una situazione in cui l'idea di originale e di copia perdono di senso. Il plagio, la manipolazione, la citazione, sono stati uno degli elementi portanti del cosiddetto post-moderno. Ma, se da un lato le opere d'arte divengono merci, d'altro canto anche le merci richiedono di essere apprezzate e valutate dal punto di vista estetico. Il feticismo delle merci è ormai da tempo una sensibilità diffusa dell'Occidente sviluppato. Forse allora la pretesa di essere originali e autentici è una presunzione o addirittura una mistificazione per l'artista contemporaneo? Insomma l'autenticità non è più una virtù?

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