martedì 16 dicembre 2008

Il postmoderno e la crisi dell’arte

A CURA DI D. PICCHIOTTI

Non si tratta di considerare la crisi dell’arte solo come fenomeno negativo, ma di capire che cosa succede nella produzione artistica contemporanea con il postmoderno; cambiano le forme di fare arte, ma anche i meccanismi concettuali che la producono, il suo contenuto. Oggi il postmoderno esalta altre dimensioni espressive, altre attività umane, ad esempio lo sport e lo spettacolo popolare in genere, quali momenti di produzione di un’immagine portatrice di senso. Ma in che modo lo sport o altri eventi di massa possono sostituire l’arte tradizionale? E, più importante ancora, cos’è successo con il postmoderno al concetto di arte e quali sono le conseguenze di comprendere l’arte in tal modo?
Chiunque oggi capisce che l’arte contemporanea ha perso di senso, si smarrisce nella tecnologia, e fa difficoltà ad attirare su di se l’attenzione. Diviene evento casuale in perenne contrasto con il senso che l’uomo tenta di dare alla sua vita, ironizza con esso. Un gioco artistico potrebbe essere quello di immaginarsi in un altro luogo, quindi lo spaesamento, il portarsi ad altro, lontano dal senso della realtà, nella virtualità, diviene oggi arte. Ma la continua ripetizione di cose già viste può acquistare senso? Cioè l’arte tradizionale ha ancora un senso, oppure anch’essa è tratta in quel processo che vede la progressiva perdita di significato di ciò che oggi consideriamo arte.
Di fronte alle stravaganze dell’arte moderna molte persone sono perplesse e, infine, la rifiutano; altre l’accolgono, ma non sanno seguirne i percorsi, ne sono suggestionati pur non comprendendola. La tecnica che si appoggia alla scienza contemporanea ha senz’altro superato l’arte in quanto insieme di procedimenti miranti ad un “fare”[1], ma allora cosa ne è dell’originario significato dell’arte in quanto téchne? Rimane vivo un “artigianato”, un autentico “fare”, nell’arte? Gli eventi tendono ad andare più veloci del pensiero e l’arte si è proposta di superare lo stesso pensiero in velocità, ciò segna l’irrazionalità e l’inquietudine del tempo che stiamo vivendo. Ma il tentativo di togliere i limiti, i paletti non solo del buon senso ma del senso tout court, lascia un residuo: il desiderio inappagato di qualcosa di misterioso, di metafisico. Tuttavia, se l’arte contemporanea non ci piace, possiamo gettare via, con essa, lo specchio del mondo in cui viviamo?
In tale prospettiva, tentare di capire il processo di globalizzazione e perdita di alterità in atto nel mondo contemporaneo forse significa tentare di vederne un importante anticipazione nel postmoderno.
Il postmoderno nell’arte attualmente è descritto dall’artista e filosofo dell’arte dell’università di Lubiana Jozef Muhovič tramite due concetti chiave: sofismo e manierismo.
Sofismo, in quanto l’arte postmoderna è intesa come surrogato del mondo contemporaneo, essendo rappresentazione dell’atto del vivere quotidiano; cioè essa diviene la stessa vita che ci circonda (si tratta di concetti elaborati da Platone nel Gorgia). Sport, cucina e cosmesi, sono le tre facoltà che nel Gorgia Platone ci indica quali “medicine per l’uomo”. Nella visione del filosofo ateniese, lo sport è la migliore, cioè l’attività che ci fa stare meglio. La contemporaneità propone lo sport come surrogato dell’atto che più può soddisfa l’uomo moderno, esso diviene arte nella misura in cui agisce da “convertitore della realtà”.
Manierismo invece vuole esprime il carattere ibrido della cultura contemporanea, nel senso che in essa ogni cosa si trasforma e può essere presa come originale. Dunque siamo circondati da un’infinità di originali in cui uno vale l’altro e l’alterità perde il suo senso originario per appiattirsi sulla univocità di significato del tutto. Un esempio può essere costituito dalla musica contemporanea più popolare, nella quale la creazione consiste nell’assemblare ibridi con pezzi conosciuti e dare nuove combinazioni al vecchio.
I due aspetti complementari del postmoderno individuati da Muhovič sono ben descrivibili tramite il metodo della decostruzione di Jaques Derrida. Si tratta di distruggere, frammentare la realtà per poi ricostruire qualcosa di nuovo e sempre diverso. In tale prospettiva, tutti i cambiamenti dell’arte postmoderna sono soggetti a tre movimenti fondamentali: antefatto al processo, momento costruttivo - critico e vero reale – popolare.
Ma al di là delle teorizzazioni, in concreto oggi che ne è delle arti figurative? Sembra che tutta l’attenzione si sia spostata verso il processo, il quale acquista maggior valore del risultato. L’arte diviene ri-produzione continua del processo di produzione dell’oggetto “opera d’arte”, in cui l’artista stesso ha un ruolo ben definito, e l’opera d’arte in quanto oggetto non ha quasi più valore. Cosa accade alle varie installazioni degli artisti contemporanei quando viene esaurito il tempo di un’esposizione? Probabilmente vengono smantellate senza troppi rimpianti. L’importante è che il pubblico segua il processo. L’artista statunitense Jeckson Pollok vede l’arte come un processo continuo di conoscenza in cui il prodotto finale è meno importante del cammino seguito per ottenerlo. Tale situazione consente all’artista di andare costantemente contro le regole del mercato. Non si tratta più di vendere l’”oggetto” d’arte, sempre meno interessante nella misura in cui è indefinitamente riproducibile dall’artigiano tramite le nuove tecnologie. Ma allora l’artista come vive? Di solito vendendo il processo di creazione dell’arte.
Pensiero critico e pensiero costruttivo secondo gli psicologi cognitivisti moderni sono le due modalità di comprendere le cose. L’arte contemporanea è sempre tesa fra queste due tendenze, oscillante all’interno di tale dicotomia. Il pensiero critico è sempre reazionario a qualcosa, quello costruttivo propone cose nuove rispetto al vecchio, è innovativo, ma si inserisce necessariamente sul già fatto. Entrambi sono necessari all’arte, e l’arte stessa ha sempre contribuito a formare l’uno e l’altro. Oggi però prevale la tendenza a formare l’uomo critico piuttosto che quello costruttivo, poiché il critico è reazionario e quindi ben prevedibile nella sua reazione a qualcosa che può ben essere prevista e appositamente messa in atto, ad esempio secondo i ben noti meccanismi pubblicitari. Il costruttivo invece è poco amato dalle élite, essendo per sua stessa natura imprevedibile. Però, se ci pensiamo bene, storicamente, l’essere creativo è sempre stato il ruolo dell’arte, mentre coloro che reagivano ad essa, i reazionari, erano il pubblico e i mecenati committenti. La grande arte creava scandalo con il nuovo assoluto, ciò che non era subito compreso.
Oggi il postmoderno sorprendentemente ha ribaltato tale prospettiva; l’artista contemporaneo non si propone più di creare forme nuove e sfrutta le realtà più note, cose che tutti conoscono, tanto che nessuno più sembra stupirsi e le stravaganze dell’artista sono solo apparenti. Ma allora dove sta la forma e il valore alternativo dell’arte contemporanea? L’arte è ormai parassita della società globalizzata e ha perso il tradizionale ruolo immaginativo. Non scuote più le élite, anzi le segue e le imita. Viene proposto un tema e gli artisti si configurano e adattano ad esso in modo reazionario e non creativo, divenendo con ciò semplici soggetti di reazione. E’ una situazione patologica, che ha innescato una crisi della creatività dalla quale non sembra possibile uscire. Il postmoderno ha necessità del “popolare”, ma la popolarità ha oggi bisogno dell’arte? O gli bastano i miti sportivi o musicali. E’ con essi che l’artista si trova a competere, ma se si tratta di una contrapposizione esclusiva allora l’arte ha già perso… Se i limiti fra l’arte cosiddetta “alta” e il popolare vengono abbattuti, con essi crolla la differenza fra ciò che si ritiene serio e degno di essere rappresentato e ciò che è puro intrattenimento, spettacolo scontato.
Vengono a crearsi due modi di intendere l’arte e la lotta fra la cultura alta e quella popolare non è qualcosa di puramente estetico, ma coinvolge lo stesso relativismo etico, che è la più importante e definitiva proposta del postmoderno, anche se in esso le istanze etiche sono spesso mascherate da quelle estetiche. Inoltre, forse meno importante del problema etico, ma più insidioso per la risoluzione della crisi in atto è il problema della decidibilità sollevato dalla pluralità di logiche previste dal postmoderno, tutte egualmente valide e in base alle quali (a qualsiasi di esse, in quanto fra loro condizionate) la scelta fra le due arti viene a perdere tutta la sua serietà.
Se vogliamo una scelta autentica fra ciò che è alto nell’arte ed esprime un senso del mistero e mette sempre in questione, stimolando la reazione poiché innovativo, e ciò che è volutamente popolare, reattivo di una reazione prodotta, allora dobbiamo porre l’assoluto che il serio non diventerà mai popolare. Dobbiamo mantenere tale differenza come elemento che arricchisce l’uomo, poiché ne accompagna la scelta consapevole fra momenti alti e meno alti, fra ciò che è serio nella vita e ciò che non ha la pretesa di esserlo e, nemmeno, la volontà di diventarlo.
E. Severino definisce la tecnica un “predisporre mezzi per raggiungere scopi”. Qual è lo scopo dell’arte?
Fabrizio Miani

lunedì 8 dicembre 2008

Dcisioni Giuste e Raggiungere i Propri Obiettivi

> A CURA DI D. PICCHIOTTI

Sincronizzare gli emisferi del cervello per educare la mente a pensare come Einstein. 
Studi e ricerche dimostrano che l'uomo utilizza solo un 5% del suo potenziale di risorse mentali mentre il restante 95% resta inutilizzato. Ognuno di noi possiede però la capacità di pensare come Einstein. L'uomo riceve consapevolmente un massimo di 16 stimoli al secondo mentre il suo inconscio ne riceve fino a 100 miliardi! L’inconscio costituisce, dunque, un inestimabile reservoire di sapere. Sarebbe quindi meraviglioso trovarvi accesso diretto: quanto più chiare sarebbero le nostre problematiche e facili le nostre decisioni!
L’arte di saper decidere per obiettivi giusti. Con una sufficiente dose di impegno, prima o poi, si raggiungono i propri obiettivi. Ma cosa succede quando essi poi non procurano la felicità desiderata? Quasi l’80% delle persone si prospetta obiettivi sbagliati e agisce secondo il motto: provare e sbagliare. Si prova qualche cosa e se non funziona, ci si orienta verso un altro obiettivo: occorre molta costanza e tenacia ed il dispendio energetico risulta enormemente alto. Sarebbe molto più semplice, invece, conoscere anticipatamente l’obiettivo ideale. Nikolaj Tesla, inventore geniale, collaudava motori a livello mentale fino a che funzionavano e poi li realizzava. Con questa modalità, egli giungeva velocemente alla soluzione giusta ed ha brevettato più di 100 nuove invenzioni.
In che modo sfruttare l’intero potenziale di risorse della mente? Ogni uomo racchiude in sé tutto il sapere. Se esiste la possibilità di accedere all’inconscio, è possibile anche richiamare questo sapere alla coscienza. Dopo 10 anni di intensa attività di ricerca, il dott. Minister ha sviluppato il metodo CreativPower®, con cui ogni individuo può richiamare la sua parte inconscia per sfruttare appieno il potenziale di risorse della mente!
Trovare le soluzioni giuste e le decisioni più appropriate. Se allenate il vostro intuito, sarete in grado di prospettare decisioni e verificarne già da subito le conseguenze future evitando così di orientarvi verso direzioni sbagliate. Vi sarà possibile trovare soluzioni in tempi molto più brevi e ideare invenzioni a comando. Prendetevi del tempo per voi stessi ed allontanatevi dalla frenesia quotidiana. Molte buone idee capitano in situazioni di relax: ad es. durante una meditazione, una passeggiata, una doccia, o in mare. Se vi allenate con regolarità potete richiamare a voi l’intuizione in modo mirato. Immaginatevi mentalmente i vostri obiettivi, entrateci ed esperiteli in anticipo, sperimentando ogni variante; nel frattempo prestate attenzione alle vostre emozioni e sensazioni. In questo modo potrete evitare a priori errori inutili e ogni scelta (giusta professione, partner, finanze, salute ecc.) in futuro si rivelerà più facile.
(liberamente tratto da testi vari)

Il suonatore di liuto

A CURA DI D. PICCHIOTTI
Per la filosofia rinascimentale la trasformazione spirituale equivale a un processo di purificazione della mente subconscia, di trasmutazione della mente inconscia e di trasformazione della mente iperconscia in coscienza della Realtà. Ciò richiede l'utilizzzo di una tecnica artistica che si esplicita attraverso due tempi: l'azione e la contemplazione simbolica.
La tecnica alchemica
L’evoluzione spirituale di un individuo è un concreto processo di “trasfigurazione” della materia biologica (istinti), psichica (pulsioni) e mentale (libido) che si compie generalmente attraverso una azione “rituale”, prima “manuale”, poi “artistica” e infine cognitiva. Agendo prima con le “mani” (mudra), poi con il “cuore” (yantra) e infine tramite la “lingua” (mantra), l’alchimista provoca il risveglio dello “Spirito Santo” , metafora di un concreto collegamento funzionale tra i due emisferi cerebrali quando l’attenzione (la mente silente) rimane “sospesa” sui movimenti della mano intenta a lavorare su un oggetto (ad esempio la modellazione di un vaso).
In questo caso il collegamento mano/occhio produce una connessione significativa tra i due emisferi cerebrali che elaborano sinesteticamente i valori della forma e dell’armonia, i valori funzionali e quelli estetici, ecc…
La connessione neurologica stimolata dalla mano/percezione (marte/venere) e indotta dall’attenzione (mercurio) attira lo Spirito Santo (l’ispirazione creativa) trasmesso da una realtà psichica (la mente di Zeus) in grado di comunicare in forme subconscie, inconscie e iperconscie con il mondo degli Dei (gli archetipi).
Il metodo e la prassi
Lo scopo dell’artista è di attirare, attivare e generare lo Spirito Santo utilizzando i talenti corporei (la manualità e la percezione), le abilità mentali (la parola e l’immagine) e le qualità sensoriali (creatività dell’anima e conoscenza sensoriale). Questo triplice processo di compenetrazione delle funzioni cerebrali è definito nel linguaggio alchemico dall’unione di “Marte e Venere” (l’ermafrodito), di “Mercurio e Venere” (l’androgino) e di “Venere con Vulcano” (il Rebis). L’unione è veramente possibile quando l’artigiano, l’artista e il ricercatore si “autosospendono” dal carattere personale, dall’individualità e dall’identità sociale e culturale e sviluppano le doti peculiari del “Livello mentale” (attenzione, concentrazione e focalizzazione) dove possono accadere i fenomeni dell’immaginazione creativa (l’arcangelo Gabriele), dell’ispirazione creativa e cognitiva (la colomba bianca) e dell’intuizione cognitiva e spirituale (le fiammelle della Pentecoste).
Il livello mentale
Come dice Lama Govinda, “il livello mentale non può essere raggiunto attraverso la creazione di convinzioni, ideali o scopi basati sul ragionamento, ma solo attraverso la penetrazione consapevole di quegli strati della nostra mente che non possono essere influenzati dall’argomentazione logica (i tuoni di Zeus) e dal pensiero discorsivo (i fulmini di Zeus). Tale penetrazione e trasformazione è possibile solo grazie alla forza irresistibile della visione profonda, le cui immagini primordiali o “archetipi” sono i principi formativi della nostra mente: come semi tali immagini affondano nel terreno del nostro subconscio, per far germogliare, crescere e sviluppare le loro potenzialità.” (Fondamenti del misticismo tibetano)
Di simili immagini primordiali Jung dice:
“Esistono tanti archetipi quante sono le tipiche situazioni della vita. L’infinita ripetizione ha scolpito tali esperienze nella nostra struttura psichica, non come immagini riempite di contenuto, ma, inizialmente, solo come forme prive di contenuto, le quali rappresentano semplicemente delle possibilità di percezione e di azione. Quando si verifica una situazione che corrisponde ad un dato archetipo, quell’archetipo viene attivato….”(Jung, La struttura della psiche).
L’aurea Apprehensio (o corpo mentale)
Le vicende umane e creative degli artisti rinascimentali si intrecciano senza sosta
perché era sufficiente l’incontro con un maestro, un cardinale, un frate, un mistico o la semplice contemplazione dell’opera di un contemporaneo ad innescare (per sincronicità) l’attivazione di un archetipo “dormiente” negli strati profondi della psiche.
Il fenomeno era ben conosciuto e dibattuto in ambito mistico, poiché si discorreva tra gli eruditi delle congregazioni ecclesiastiche quale fosse il temperamento spirituale più adatto a ricevere l’impronta di Cristo.
Il suonatore di liuto
Caravaggio porta il ragionamento sul piano dell’esplorazione artistica dell’archetipo. Nel 1596 , due anni dopo aver realizzato il fanciullo/ermafrodito, l’artista dipinge il suonatore di liuto/androgino, emblema di uno stadio evoluto di sintesi creativa tra “parola e musica”, “poesia e immagine”, “filosofia e concerto di significati”. La fonte di ispirazione sono sempre le emozioni del cuore (il vaso di fiori), ma anche la consapevolezza di essere finalmente in grado di evolvere negli strati profondi della mente in forme sempre più sottili, logiche e translogiche (le due pere in primo piano illuminate dalla luce).
L’androgino segna la seconda tappa evolutiva dell’identità alchemica, emblema della congiunzione cerebrale degli opposti, del maschio (emisfero sinistro) e della femmina (emisfero destro). In uno stato di completa concentrazione l’artista/musico inizia a interpretare lo “spartito del Sè”, metafora di una disposizione creativa di simboli, metafore e allegorie che descrivono l’eterno gioco della coscienza universale (l’inconscio collettivo).
L’energia evolutiva
Alla luce delle scoperte di Jung è possibile comprendere una delle verità del tantrismo: “Nel cervello umano non solo gli istinti primari (la parte anteriore del corpo)
sono preformati, così come le immagini primordiali che da sempre sono alla base del pensiero umano (Jung), ma esiste un Istinto evolutivo (l’energia kundalini attiva nella parte posteriore del corpo) preformata al concepimento in grado non solo di portare a compimento il programma biologico definito dalla struttura genetica del DNA, ma anche di illuminare il cervello (Spirito Santo/Kundalini Shakti) ogni qualvolta la libido dell’ego (la parte anteriore) cede il posto alla libido dell’anima (la parte posteriore) di conoscere la verità attraverso i talenti corporei, le abilità mentali e le qualità creative e cognitive dell’anima.
Ecco allora che la congiunzione alchemica dei due emisferi cortocircuita l’egoicità e innesca il fenomeno dell’immaginazione, dell’ispirazione e dell’intuizione creativa e cognitiva in grado di tradurre la disposizione ordinata degli archetipi in emblemi in grado di descrivere il processo di trasformazione della materia.
Un artista (anche un blogger) diventa androgino quando è in grado di comunicare il proprio percorso artistico/spirituale secondo regole che vengono recepite dall’osservatore e dal critico in forma subconscia, segno che l’opera (o il blog) “parla ” all’anima e soddisfa (almeno parzialmente) il suo inesauribile desiderio di amore, verità e bellezza.
(liberamente tratto da testi vari)

martedì 2 dicembre 2008

L'ILLUMINISMO 
(in sintesi)

A CURA DI D. PICCHIOTTI
 
Per Illuminismo s'intende quel vasto movimento culturale, sviluppatosi nel '700, che predica l'assoluta fiducia nella ragione, in grado di illuminare le menti, contro le superstizioni e i pregiudizi delle religioni, della tradizione e di tutti quegli elementi sociali e culturali che limitano la libertà dell'uomo.
Dunque dal terreno fertile del Rinascimento e dell'Umanesimo nasce una nuova filosofia e un nuovo modo di accostarsi al mondo destinato a cambiare radicalmente i destini della civiltà occidentale.
Originario dell'Inghilterra, l'Illuminismo si diffonde e trova pieno sviluppo in Francia, dove nascono e divulgano le proprie teorie Voltaire e Rousseau, i due massimi esponenti della filosofia illuminista; quindi i vari Condillac, Montesqieu (definitivo teorizzatore della divisione dei poteri), Quesney (precursore della scienza economica) e gli enciclpedisti Diderot e D'Alambert (e molti altri).
Le principali caratteristiche dell'illuminismo si possono così riassumere:
1. Il razionalismo progressista, per cui la cultura non è più difesa della tradizione ma ricerca permanente di un progresso che serva a liberare l'uomo dai limiti dell'ignoranza grazie all'aiuto della regione illuminante;
2. Il cosmopolitismo, per cui il bisogno di libertà diventa universale e rende l'uomo cittadino del mondo, ovvero soggetto alle medesime istanze di giustizia e di libertà in ogni luogo, senza distinzione di razza, sesso, religione e classe sociale.

Il nuovo protagonista della storia è quindi il borghese, né nobile né ecclesiastico, semplice cittadino del mondo: commerciante, artigiano, ma anche letterato e uomo di Stato;
3. La divulgazione del sapere, ovvero il bisogno di rendere noti a tutti i progressi delle scienze e della cultura, per cui il sapere non è riservato come privilegio ad un'elitè chiusa ma è strumento di miglioramento per tutti gli uomini (si ricordi il monumentale progetto dell'Encyclopédie e la conseguente attenzione per le arti e per i mestieri produttivi che porterà progressivamente allo sviluppo dell'industria moderna);
4. L'antistoricismo. L'avversione per le religioni e in particolare per la religione cattolica, portò gli illuministi a revisionare la storia e a considerare il medioevo come periodo oscuro, epoca di soprusi e di ingiustizie, in cui la ragione era rimasta ottenebrata e l'uomo privato del bene supremo della libertà di pensiero.
Questa critica portò gli storici illuministi a contrapporre la realtà dei fatti a ciò che sarebbe dovuto essere secondo ragione, escludendo così l'analisi delle cause interne e delle necessità di azione proprie dei diversi periodi storici;
5. Il Deismo, ovvero la teorizzazione di una religiosità raggiungibile mediante l'esclusivo uso della ragione e della coscienza morale, escludendo così l'adesione a qualsiasi tradizione religiosa;
6. Il materialismo, nella misura in cui si impone il bisogno di indagare e giustificare la realtà nei termini del solo approccio al mondo materiale: nella lotta contro ogni forma di religione e superstizione alcuni andarono oltre il deismo e predicarono un atteggiamento esclusivamente meccanicistico.
La materia e suoi movimenti dovevano quindi bastare a spiegare ogni aspetto dell'esistenza, comprese le attività spirituali (si veda il materialismo di Hobbes).
Il materialismo risente pesantemente dell'entusiasmo attorno alle attività della fisica di Galileo e di Newton, in grado di estrapolare leggi universali dalle osservazioni sperimentali;
7. La fondazione della scienza economica. L'illuminismo vede la nascita della scienza economica, ovvero lo studio organizzato delle leggi che regolano l'economia su grande scala.
Francois Quesney (1694-1774) definisce le categorie economiche del tempo distinguendo tra agricoltura, industria e commercio: egli sostiene che solo l'agricoltura (classe produttiva) e in grado di produrre realmente ricchezza materiale, mentre industria e commercio (definite classi sterili) sarebbero solamente in grado di trasformare la materia prima.
La sua dottrina prende il nome di fisiocrazia (=dominio della terra, della natura), in quanto presuppone che il prodotto economico realmente valido sia la sola materia prima agricola e non il lavoro.
L'inglese Adam Smith (1723-1790) fu invece il grande teorizzatore del liberismo.
Egli va aldilà della fisiocrazia e teorizza il lavoro e la divisione del lavoro come fonti di vera ricchezza, in aggiunta a quella agricola (di secondaria importanza).
Per Smith il capitalismo è il migliore dei sistemi economici possibili, in quanto in grado di autoregolarsi e trovare un equilibrio attraverso il gioco della domanda e dell'offerta, per ottenere tale equilibrio occorre però che lo Stato non intervenga direttamente in campo economico ma si limiti tutt'al più a rimuovere gli ostacoli alla libera concorrenza.

8. La discussione politica. Naturalmente l'illuminismo vide molto accesa la discussione politica attorno ai temi della struttura statale ideale.
In proposito si distinsero particolarmente Charles-Louise de Montesquieu e Jean-Jacque Rousseau.
Montesquieu (1689-1755) vede il dispotismo come degenerazione del sistema politico, introduce il concetto che anche ambiente geografico e clima influenzino l'assetto giuridico di una nazione e teorizza definitivamente la divisione dei poteri in legislativo, esecutivo e giudiziario (si veda anche Locke).
Rousseau (1712-1778) insiste invece sul fatto che ogni progresso dell'uomo non è altro che una forma di degenerazione di una primitiva e perfetta natura selvaggia, priva di ogni abiezione e immoralità ma portatrice di una genuina vitalità.

La forma sociale migliore è il contratto sociale tra uomini che rinunciano tutti alla propria libertà individuale, vista come tendenza all'egoismo, in nome di una volontà generale giusta e al di sopra degli interessi individuali.
  L'illuminismo porterà quindi alla Rivoluzione industriale e ispirerà direttamente la Rivoluzione francese, incidendo profondamente sulla realtà del tempo e dando alla società occidentale una direzione filosofica nuova, fondata sul rispetto dei diritti civili universali, che persiste ancora oggi, pur tra mille difficoltà.
  (liberamente tratto da testi vari)

lunedì 1 dicembre 2008

La storia dell'arte: dal Neoclassicismo a oggi.

A CURA DI D. PICCHIOTTI

Caratteri generali sul novecento
Mai come nel Novecento (1900) la cultura artistica ha conosciuto una tale velocità di evoluzione. Nel corso di questo secolo le novità e le sperimentazioni artistiche si sono susseguite con ritmo talmente incalzante da fornire un quadro molto disomogeneo in cui è difficile la organizzazione del tutto in pochi schemi interpretativi.
Decine e decine di movimenti e di stili si sono succeduti, esaurendo la loro presenza in qualche decennio, ma anche nel giro di pochi anni. La storiografia di questo secolo, nella maggior parte dei casi, è un elenco di tanti movimenti e protagonisti apparsi alla ribalta della scena artistica. Ciò, tuttavia, fornisce scarsi riferimenti di catalogazione critica. Un diverso approccio all’interpretazione artistica del Novecento può ottenersi ricorrendo a categorie dell'ambito culturale più generali. In particolare, con riferimento agli inizi del Novecento, le categorie critiche più agevoli sono soprattutto tre:
1. la comunicazione
2. la psicologia
3. il relativismo.
La comunicazione
La comunicazione è quell'atto mediante il quale si ottiene una trasmissione di informazioni da un soggetto (emittente) a un altro soggetto (ricevente). Il mezzo di trasmissione della comunicazione è il linguaggio. Perchè vi sia comunicazione, condizione essenziale è che il linguaggio possa essere conosciuto da entrambi i soggetti: emittente e ricevente, cioè devono essere sintonizzati.
Nell’ambito dell’arte molti possono essere i linguaggi utilizzabili: dalle parole (poesia) alle immagini (pittura), dai suoni (musica) ai movimenti del corpo (danza) e così via. Alcuni linguaggi posseggono una universalità, quali la musica, che possono in genere essere compresi da tutti. Altri linguaggi richiedono una conoscenza specifica: per poter leggere una poesia bisogna conoscere la lingua in cui è stata scritta. Le immagini possono essere considerate un linguaggio anch’esso universale, purché esse rimangano nell’ambito della rappresentazione naturalistica.
Ricordiamo che definiamo «naturalistiche» quelle immagini che propongono una rappresentazione della realtà simile a quella che i nostri occhi propongono al cervello. Le immagini naturalistiche rispettano i meccanismi fondamentali della visione umana: la prospettiva, il senso della tridimensionalità, la colorazione tonale data dalla luce e così via. Il naturalismo è sempre rappresentazione della realtà in quanto ne segue le leggi fondamentali di strutturazione.
La gran parte dell’arte occidentale ha sempre utilizzato il naturalismo per la rappresentazione artistica. Ciò ha permesso all’arte figurativa di essere un mezzo di comunicazione più popolare e diffuso piuttosto che la scrittura. Nel corso dell’Ottocento, la nascita prima della fotografia e poi della cinematografia, ha permesso la riproduzione della realtà con strumenti tecnici pressoché perfetti. Ciò ha decisamente tolto alla pittura uno dei suoi scopi ritenuti specifici: quello di riprodurre in immagini la realtà. Ciò può apparire negativo, ma di fatto ha imposto alla pittura una diversa impostazione del suo fare. Abbandonato il terreno della rappresentazione, del naturalismo, l’arte figurativa ha cominciato a esplorare i vasti e inediti territori della comunicazione.
In sostanza, l’arte moderna non ha più interesse a «rappresentare» la realtà. L’arte moderna usa le forme per «comunicare» pensieri, idee, emozioni, ricordi e quanto altro può risultare significativo. Pertanto, nell’approccio all’arte moderna, non bisogna mai porsi l’interrogativo, guardando un'opera d'arte, di cosa essa rappresenti, ma cosa essa comunichi. Tuttavia, la comunicazione richiede sempre un linguaggio che deve essere noto sia all’artista sia al fruitore dell’opera. Il naturalismo è un linguaggio universale in quanto rispetta le regole universali della visione umana. L'arte moderna, abbandonando il naturalismo, di fatto abbandona il linguaggio comunicativo più diffuso e popolare: per questo è costretta, ogni volta, a inventarsi un nuovo linguaggio, col rischio che i linguaggi nuovi non siano sempre assimilati e compresi. Ciò può produrre l'incomprensibilità del messaggio che l'artista voleva trasmettere e un singolare paradosso: l’arte moderna vuole solo comunicare, ma per far ciò sceglie spesso la strada della incomunicabilità. Comunque impone, prima di capire il messaggio, la necessità di studiare il nuovo linguaggio utilizzato dall'artista. Ciò comporta che l’arte moderna necessita di un approccio qualificato. Solo studiando da vicino le problematiche connesse ai movimenti e ai singoli artisti è possibile comprendere il significato di un'opera d'arte.
La psicanalisi
La nascita della psicanalisi, grazie a Sigmund Freud, ha rivoluzionato il concetto dell'interiorità umana: prima l'articolazione della psiche era posta sul dualismo ragione-sentimento, ora è spostata sul dualismo coscienza-inconscio.
L’inconscio è quella parte della nostra psiche in cui sono collocati pensieri e emozioni nascoste, le quali, senza che l’individuo se ne renda conto, interagiscono con la sua coscienza orientando o influenzando le sue preferenze, motivazioni e scelte esistenziali. L’aver individuato questo nuovo territorio dell’animo umano ha aperto notevoli possibilità all’arte moderna.
Il linguaggio delle parole, essendo un linguaggio logico, consente la comunicazione più immediata e diretta con la coscienza delle persone, ove di fatto ha sede la razionalità umana. Il linguaggio delle immagini, data la sua natura di linguaggio analogico, si presta meglio per esplorare, o comunicare, con l’inconscio delle persone. Alcuni movimenti artistici sono nati proprio con l’intenzione di tradurre in immagini ciò che ha sede nell’inconscio. Tra tutti, chi ha scelto con maggior impegno questa strada è stato soprattutto il Surrealismo.
Tale interesse ha alimentato anche la poetica di altri movimenti avanguardistici dell’inizio secolo, quali l’Espressionismo e l’Astrattismo. Tuttavia, è costante in tutti i movimenti del Novecento, la finalità di una «comunicazione totale», cioè veicolata verso i territori più profondi e recessi della psiche umana.

Il relativismo
Nel corso del Novecento si assiste ad una sempre maggiore frantumazione delle epistemologie forti. Cadono le certezze, sia nella religione, sia nella scienza, sia nella politica e nella filosofia.
L’uomo si sente sempre più immerso in un mondo incerto, dove tutto è relativo. A questa conclusione sembra giungere anche la scienza che, con la Teoria della Relatività di Einstein, porta a riconsiderare tutto l’impianto di certezze fisse su cui era costruito l’edificio della fisica. A analoghe posizioni giungono gli scrittori, quali Luigi Pirandello, che con le sue opere letterarie e teatrali vuole dimostrare come la verità sia solo un «punto di vista» che varia da persona a persona.
In campo filosofico la comparsa dell’esistenzialismo contribuisce a ridefinire la realtà solo in rapporto al singolo individuo. Questo nuovo clima culturale non poteva non incidere sul panorama artistico.
Mancata meno la certezza d'una verità assoluta, ogni sperimentazione sembra muoversi nel campo di una preventiva ricerca di sé. Nasce l’esigenza di manifestare preventivamente le proprie intenzioni per dare le coordinate entro cui collocare la nuova esperienza estetica; ne è la riprova il fatto che quasi tutti i movimenti avanguardistici dei primi anni del secolo nascono con dichiarazioni programmatiche, quali i manifesti, che servono proprio a questo scopo.
In seguito, la ulteriore frammentazione della ricerca artistica, rimette in gioco anche la partecipazione del fruitore dell’opera d’arte, al quale si chiede una partecipazione attiva alla significazione del fare artistico. In questo caso, l’arte, più che dare delle risposte, propone delle domande, lasciando il senso di quanto proposto alla libera, a volte diversa, interpretazione del pubblico e dei critici. La necessità di un rapporto così problematico all’arte contribuisce in modo, a volte decisivo, a rendere l’arte moderna sempre meno popolare e sempre più élitaria.
I numerosi movimenti artistici sorti all’inizio del Novecento sono stati tutti caratterizzati da una volontà di rottura con il passato. Questa forte carica di rinnovamento li ha di fatto posti in prima linea nell’ambito delle nuove ricerche artistiche. Ciò ha determinato l’appellativo, dato a questi movimenti, di «avanguardie». Tutto il Novecento, in realtà, è stato caratterizzato da un clima di sperimentazione continua, ma, per delimitare i primi movimenti di rinnovamento, v'è la convenzione di definirli «avanguardie storiche».
Lo spazio temporale di questo fenomeno coincide con gli anni a cavallo della prima guerra mondiale. Le prime avanguardie sorgono intorno al 1905, con l’Espressionismo; le ultime agli inizi degli anni ’20, con il Surrealismo (1924). Parigi, nel corso del XIX secolo, si era affermata come la capitale europea in campo artistico.
Il fenomeno delle avanguardie storiche interessa invece tutta l’Europa, anche se Parigi continua a conservare un ruolo determinante nel campo artistico. Le prime due avanguardie sorsero infatti nella capitale francese. Nel 1905, si costituì il gruppo dei Fauves, che rappresenta il primo movimento di ispirazione espressionistica. Nello stesso anno l’Espressionismo si diffuse soprattutto in Germania e nei paesi nordici. Nel 1907, grazie a Picasso e Braque, sempre a Parigi sorse il movimento del Cubismo. Anche il Futurismo, che è un’avanguardia decisamente italiana, partì da Parigi. Qui, infatti, sul quotidiano Le Figaro, Filippo Tommaso Marinetti pubblicò nel 1909 il «Manifesto del Futurismo». Il Cubismo e il Futurismo produssero influenze notevoli in Russia dove in quegli anni sorsero movimenti quali il Cubofuturismo, il Suprematismo e il Costruttivismo.
Anche la seconda avanguardia italiana di quegli anni, la Metafisica, in embrione nacque a Parigi, dove Giorgio De Chirico, il massimo rappresentante del movimento, svolse parte della sua attività giovanile. Una cesura notevole nello sviluppo delle avanguardie fu determinato dallo scoppio, nel 1914, della prima guerra mondiale. Numerosi artisti furono costretti a partire per il fronte bellico e molti di essi morirono in guerra.
A Zurigo, nella neutrale Svizzera, dove si rifugiarono numerosi artisti e intellettuali, nacque nel 1916 il movimento di maggior rottura tra le avanguardie storiche: il Dadaismo. Dal Dadaismo e dalla Metafisica, nel 1924, nacque quella che viene considerata l’ultima delle avanguardie storiche: il Surrealismo. Anche qui, il centro di maggior irradiamento del nuovo movimento fu soprattutto Parigi e la Francia. Infine, pur se non può essere considerato un movimento omogeneo e compatto, le avanguardie storiche produssero il fenomeno di maggior novità nell’arte del Novecento: l’Astrattismo. L’abbandono definitivo della mimesi naturalistica avvenne intorno al 1910, grazie soprattutto a un artista di origine russa, operante in Germania: Wassilj Kandinskij. La sua formazione artistica è di matrice espressionistica, tanto che l’Astrattismo, nella sua fase iniziale, può essere considerato un estremo limite dell’Espressionismo.
In seguito, l’Astrattismo conobbe sviluppi notevolissimi, divenendo, soprattutto nel secondo dopoguerra, terreno fertile per numerose sperimentazioni, che attraverso l’arte Informale e l’arte Concettuale, arrivano fino ai giorni nostri.
Il fenomeno delle avanguardie si spense intorno agli anni ’30. La foga rinnovatrice aveva momentaneamente esaurito la sua carica rivoluzionaria. A questo momento di pausa artistica corrispose, in quegli anni, l’affermazione in campo politico di regimi totalitari e reazionari: il fascismo in Italia e il nazismo in Germania, che si fecero fautori di un indirizzo artistico di stampo tradizionalistico e accademico. Avversarono apertamente i nuovi stili artistici, arrivando in Germania a definirli «arte degenerata», eliminandola dai musei e dalle collezioni statali. Molti esponenti artistici, che avevano operato in Germania, furono costretti a emigrare negli Stati Uniti dove trasferirono molte delle novità culturali prodotte in Europa. Un fenomeno analogo accadde in Russia dove, sotto Stalin, si affermò un indirizzo artistico, definito «realismo socialista», che rifiutava la sperimentazione in favore di un’arte di matrice popolare con forti contenuti ideologici. Le avanguardie storiche avevano oramai totalmente modificato il concetto di arte visiva. In pochi anni avevano accumulato un patrimonio enorme di idee e di concetti che diventarono la vera eredità per tutti i futuri movimenti che si sono sviluppati in campo artistico fino ai giorni nostri.
(liberamente tratto da testi vari)

sabato 29 novembre 2008

Per i creativi quello che conta è sviluppare e coltivare la loro creatività.

A CURA DI D. PICCHIOTTI

Per i creativi quello che conta è sviluppare e coltivare la loro creatività. Di qui deriva la parte fondamentale della loro soddisfazione. Possono essere nuove idee e soluzioni, ma l’aspetto fondamentale risiede nel modo, nello stile del loro lavoro e nell’esperienza stessa della creatività.
Sono attentissimi alla motivazione, che non è un dato, un patrimonio acquisito una volta per tutte, un tesoro nascosto nel loro animo, ma piuttosto un talento da investire e sviluppare costantemente, un patrimonio da rinnovare e arricchire.
La motivazione è l’energia stessa che li attraversa, che alimenta il loro lavoro e prima ancora il loro essere e sentire di essere.
Troverete i creativi sempre impegnati in un percorso interiore, spirituale, perché la vita interiore è il luogo dove le immagini dei loro sogni prendono consistenza e luminosità. Li troverete impegnati nella cura di sé perché la creatività è vista come un traboccare di vitalità. I creativi sanno che non si può dare quel che non si ha. E ciò che bisogna avere è entusiasmo, passione, slancio, gusto per l’ideazione.
Molti creativi sono impegnati in un lavoro di produzione di immagini e simboli che aspirano a diventare i simboli della vita creativa stessa. Perché la cultura della creatività è ancora in formazione e suscita, con gli stimoli e le sfide che il superamento del mondo industriale comporta, una potente corrente di creazione di linguaggio, di immagini, di simboli che aspira ad una visione matura e adeguatamente rappresentativa della creatività stessa.
Per lo più amano la semplicità la funzionalità ma strettamente connesse con il buon gusto estetico.
L’estetica dei creativi è impegnata nella espressione delle emozioni e dei sentimenti, e di quell’atmosfera magica che è il contesto coerente in cui nascono le intuizioni.
La formazione – in gran parte, autoformazione – dei creativi aspira a superare il livello degli espedienti e delle tecniche con cui hanno fatto i primi passi nella creatività, Vogliono partorire una filosofia della creatività, capace di raggiungere la radice delle proprie opzioni, alimentare la sorgente stessa del loro lavoro e del loro sentire, tenere insieme uno stile di vita che aspira a diventare cultura universale.
Le conversazioni tra creativi sono sempre conversazioni creative, protese ad alimentare la creatività, a far scoccare scintille nella testa, ad aprire nuovi orizzonti là dove sembravano chiusi.
L’ambiente in cui vivono e lavorano ha aspetti bohémien ma senza lo squallore e il tormento di certi ambienti bohémien dell’inizio del secolo XX. Un caos pulito, una molteplicità nutritiva senza polvere, un turbine di stimoli visivi e musicali.
I creativi sono impegnati nel contempo a partorire le loro creazioni e a inventare modi nuovi e strategie originali per far loro spazio nella società e nel mercato, spesso reinterpretando e ridefinendo territori concettuali che sembravano cristallizzati per sempre dalle regole del gioco e dalla scienza del management.
Cercano modi per finanziare il loro tempo di lavoro creativo, aggirando ostacoli e trappole apparentemente insormontabili; cercano nuove forme che realizzino la visibilità delle loro opere e di loro stessi, uscendo dalla scarsa capacità comunicativa del già detto e del ripetuto.
Per lavorare in team i creativi trovano non poche difficoltà, perché lo stile di collaborazione di cui hanno bisogno deve rispettare pienamente il loro spazio di libertà e di manovra. Ma i creativi stanno sviluppando una reale coscienza delle regole del lavoro di team proprio a partire dalla loro esperienza individuale. Un creativo sa ed accetta di essere un intero gruppo. In lui convivono diverse istanze, quasi diverse persone. E il creativo impara in proprio a creare sinergia tra queste varie istanze, a trovare i modi naturali per far combaciare le varie tessere della sua personalità perché formino un disegno unitario e si muovano costantemente nella stessa direzione di marcia.
I creativi sono impegnati a trovare una sintesi felice, postindustriale, tra modalità del mondo dell’artigianato e la realtà industriale. Sono entusiasti della tecnologia perché la tecnologia consente oggi di fare artigianalmente in casa propria ciò che nel passato doveva essere demandato a diverse imprese esterne.
I creativi vivono.
(liberamente tratto da testi vari)

mercoledì 26 novembre 2008

la Musica è affascinante, enigmaticamente ammaliante, non meno di quanto lo sia l'idea di un Dio

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

Ci siamo mai chiesti perché la Musica, l'arte astratta per antonomasia, nonché la regina stessa delle arti, disponga di così innumerevoli quantità d'armi per la "cattura" dell'animo e del corpo umano?
Esaltare, con la grandiosità e la forza dei suoi cori; deprimere, con la malinconia e la tristezza delle sue nenie; percuotere, con l'energia e la tribalità dei suoi ritmi; accarezzare, con la dolcezza e la soavità delle sue melodie. Ed ancora, commuovere, rilassare, irare, addormentare, svegliare, stordire, intimorire e mille altre cose ancora. Per non parlare poi dei " si dice che...", in cui Essa può guarire o procurare malattie, incantare animali, immobilizzare pesci, render mansuete le bestie, ed inoltre far gonfiare e traboccare fiumi, far germogliare piante, pacare tempeste.
Insomma sembra proprio che ci governi. La Musica ha il potere di gestire lo stato d'animo ed il comportamento di tutto ciò che sia ad Essa esposto. Per cui la Musica è affascinante, enigmaticamente ammaliante, non meno di quanto lo sia l'idea di un Dio che ci ha creato o di un Aldilà che ci sta aspettando. Sono queste le caratteristiche che hanno attribuito alla Musica una connotazione divina, quindi estranea ed anteriore all'uomo.
A ben vedere l'operato e l'influsso che essa esercita sull'Uomo non è dissimile da quello prodotto, sullo stesso, dai transiti degli Astri. Ed è quì praticamente inutile illustrarne le affinità, tanto forte ne è l'analogia.
Quello che mi propongo, invece, è di accennare ad una riflessione storica sul paragone, una riflessione cioé in cui la Storia abbia la possibilità di confermare come di smentire il significato di ciò su cui stiamo riflettendo.
Diamo quindi un veloce sguardo ad alcuni punti che potrebbero interessare il nostro argomento.

La tradizione orfeico-pitagorica
Una delle più importanti ipotesi sull'origine e sulla provenienza della Musica ci giunge dalla tradizione orfeico-pitagorica.
L'Apollo Iperboreo dalla "coscia d'oro" (Pitagora, per intenderci), c'insegna come la Musica non sia altro che un pallido riflesso di quel divino suono prodotto dai moti armonici dei Dieci corpi celesti che ruotano attorno ad un Fuoco centrale ( di quì le dieci note del Salterio Decacorde, lo strumento mistico che svelò a Gioacchino da Fiore il mistero della Trinità).
Per Pitagora quindi lo studio della Musica e dell'Astronomia, già note dai tempi dei Caldei, condotto su leggi matematiche, costituirebbe un notevole tramite per raggiungere la Conoscenza.
Non è indegno di nota il fatto che tale ipotesi sistematica abbia avuto ampio consenso in tutto il mondo culturale di allora, e abbia influenzato attivamente il pensiero di grandi personaggi come Platone, Aristotele e Plotino ( per citare i più autorevoli), tanto da sopravvivere anche alle scoperte rivoluzionarie di Copernico e Galileo.
Agrippa e il De occulta Filosofia
Fin dagli arbori della Cultura post-atlantidea troviamo quindi Musica ed Astri legati indissolubilmente in un rapporto che verrà più chiaramente esposto in quella meravigliosa sintesi del sapere umano (ed iniziatico) cinquecentesco che è il De occulta Filosofia di Cornelius Agrippa.
Il noto, seppur misterioso filosofo di Nettesheim, facendo pieno riferimento al sistema dei pitagorici, riporta ( nei capitoli XXIV, XXV, XXVI della sua opera) uno schema di corrispondenza tra Muse, corde del Salterio, scale musicali e pianeti ( e che troviamo già anche nel Pratica Musice di Gafurius (figura 1), andandolo ad inserire nel capitolo dedicato al "Mondo celeste".
Quest'ultima considerazione è fondamentale poiché introduce a quella concezione dell'Universo che vedeva il Cosmo diviso in tre livelli:

- Mondo Elementare, costituito dai quattro elementi, tutto il terrestre quindi.
- Mondo Celeste, costituo dai Corpi celesti e dalle Stelle fisse.
- Mondo Intellettuale, occupato dal Creatore e dalle Sue dirette emanazioni.

Ad ognuno dei tre Mondi veniva inoltre riferito un particolare tipo di Conoscenza, che si trovava quindi scissa in tre grandi gruppi di Sapere:

- Magia Naturale (Fisica), che studiava i fenomeni che avvengono nel mondo organico ed inorganico.
- Magia Celeste (Matematica), che si occupava del moto dei Corpi celesti.
- Magia Cerimoniale (Teologia), che trattava di Dio e di tutte le creature divine.

L'importanza di aver dovuto ricordare il sistema di Agrippa s'identifica con la necessità di mostrare in quale circostanza egli si sia occupato della Musica: il Mondo Celeste. Questo, che governava il Mondo Elementare e dal Mondo Intellettuale era retto, faceva da
tramite alle influenze che dal Creatore erano dirette alla Terra, ed era quindi anche il terreno dell'Astrologia. Abbiamo perciò una solare equiparazione di MUSICA e ASTROLOGIA: da un lato la Musica come dono, messaggio proveniente dalla Divinità e recepito sulla Terra dall'uomo, dall'altro l'Astrologia come prodotto dello sforzo umano di una conoscenza superiore.
Sono entrambi due tentativi di comunicazione tra gli stessi estremi.
Per cui anche Agrippa non riteneva certo fuori luogo l'idea che studiando gli effetti della Musica sull'animo umano e riferendoli a teorie astrologiche, si possa giungere ad una più alta Conoscenza. Prova ne è il largo successo riscosso in tutto il mondo musicale rinascimentale, decretando, per un certo verso, lo svilupparsi della polifonia.

L'antroposofia di Steiner

Ma è in Rudolf Steiner (1861-1925) che il nostro trinomio di partenza ritrova il fattore mancante: l'UOMO.
La necessità di aver dovuto fare un balzo di quattro secoli - escludendo quindi la possibilità di parlare di personalità eminenti quali Mozart, Goethe, Schopenhauer, Wagner, Nietzsche e molti altri ancora - viene dettata dal fatto che mai come con Steiner si era indagato tanto intimamente sull'atavico legame tra Umanità, Musica e Terra.
L'autore della Scienza Occulta (1910), oltre a tracciare le note linee di sviluppo parallelo tra le reincarnazioni dell'Uomo e quelle della Terra, elabora tra l'altro anche una similitudine tra l'evoluzione umana e quelle della Musica, o meglio della comprensione che l'Uomo ha e ha avuto della Musica ( Steiner predilige di parlare di "Esperienza musicale sperimentabile dall'Uomo").
Ma vediamo di seguire sommariamente le tappe del suo discorso:
L'Uomo è il risultato della compenetrazione di tre diversi livelli del proprio Essere:
- il corpo Fisico, ovvero l'insieme di tutte le strutture materiali che compongono il corpo vero e proprio ( apparato osseo, muscolare, epidermico, etc.); lo abbiamo in comune con il mondo minerale.
- il corpo Eterico, il complesso di quelle attività vitali che ci mantengono in vita (apparato circolatorio, linfatico, respiratorio etc.); lo abbiamo in comune col mondo vegetale.
- il corpo Astrale, dimora degli istinti, degli impulsi e dei desideri che ci impongono di agire (fame, sesso, conservazione della vita etc.), corpo che abbiamo in comune col mondo animale.
La consapevolezza, poi, che noi tutti abbiamo di questi corpi, dà luogo ad un quarto livello: l'IO, che ci distingue dagli animali e che caratterizza l'evoluzione umana sulla Terra. Gli altri corpi li abbiamo infatti ricevuti graduatamente ( durante l'arco di miliardi d'anni ), in passate "reincarnazioni" della Terra stessa ( l'Antroposofia chiama solo indicativamente Antico Saturno, Antico Sole, Antica Luna quei pianeti in cui noi abbiamo assunto rispettivamente il corpo Fisico, l'Eterico, e quello Astrale). L'Uomo, così come la Terra, dovrà
ancora passare attraverso altri tre gradi della propria evoluzione: il Sé spirituale, lo Spirito vitale e l'Uomo-Spirito, che acquisiremo quando la Terra sarà rispettivamente il Nuovo Giove, la Nuova Venere e il Nuovo Vulcano.
L'"ottava" musicale (i sette toni più i cinque semitoni) si evolve anch'essa ed è attualmente organizzata in modo simile all'Uomo, affinché possa egli sperimentarla (fig.2):
I primi quattro gradi della scala ( do, do#, re, re#) agiscono sull'Uomo facedone vibrare il corpo fisico, i quattro intermedi (mi, fa, fa#, sol) operano sul corpo eterico, mentre gli ultimi quattro (sol#, la, la#, si), sul corpo astrale.
Alla successiva ottava corrisponde l'Io, il quarto livello in cui si sperimenta in fondo tutta la scala.
L'esperienza musicale percorre quindi l'Uomo per intero, di modo che ogni singolo intervallo tra una nota e l'altra assuma in egli un determinato significato:

- l'intervallo di 2a (maggiore e minore) provoca sconcerto, asfissia melodica.
- l'intervallo di 3a (maggiore e minore) è proprio dell'interiorità umana e suscita debole gioia e
tristezza.
- nell'intervallo di 4a (giusto ed eccedente) ci si senti incerti, sospesi come in un precario
equilibrio: è infatti un intervallo di confine tra il corpo Fisico e quello Eterico, tra il mondo
umano e quello divino indicato da
- l'intervallo di 5a (giusto ed eccedente), in cui l'uomo sperimenta la piacevole sensazione del
rapimento dal proprio essere, che avviene per mano divina; ritrovandosi poi potenziato in
un'altra condizione.
- l'intervallo di 6a (maggiore e minore) indica infatti un felice risveglio, il ritrovarsi in un
ambiente soavemente bucolico, ma non certo reale.
-l'intervallo di 7a (maggiore e minore) infonde dolore e malinconia, poiché è il più lontano, e
perciò simboleggia il ricordo, la Memoria. E' tra i più notevoli perché, oltre al fatto che con esso
si sperimenta tutta la scala musicale, rappresenta inoltre, come la 4a, un momento di
transizione, di passaggio dalla zona astrale ( quella appunto della 7a) ad un livello superiore
del proprio Essere, l'Io, indicato ne
- l'intervallo di 8a, che ci conduce a possedere di nuovo noi stessi.

Per quanto riguarda la provenienza della Musica, Steiner si mostra tacitamente d'accordo con la tesi pitagorica: i suoni cosmici prodotti dal moto dei Pianeti, e residenti nel DEVACHAN - il mondo dei suoni fluttuanti che il nostro corpo Astrale attraversa quando si libera dalla "prigionia" del corpo Fisico (durante il sonno) - raggiungono le sostanze terrestri che, sotto l'influenza di tali vibrazioni, cominciano a "danzare". In tal modo ogni elemento terrestre ha un suo corrispettivo negli Astri, che plasmano la Terra attraverso la Musica.
Credo che a questo punto la traccia che ho voluto fornire sia sufficiente per favorire altre riflessioni riguardo all'argomento ASTRI-MUSICA-UOMO, che personalmente ritengo possa costituire un solido appiglio nella scalata della VERITA', nella quale però, oltre al pericolo di non avere l'attrezzatura adatta, si corre anche il rischio, una volta raggiuntala, d'identificarla con la CONOSCENZA, quando poi di questa non ne è che un infinitesima e relativa componente.
(liberamente tratto da testi vari) 
by Jon Clayt Graziano

Luce, colori, effetti, curiosita', terapie e salute "La cromoterapia "

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

L'influenza che i colori hanno sui nostri stati d'animo è nota a tutti (o, almeno, dovrebbe esserlo!).
Ma i colori, se opportunamente usati, possono essere di grande aiuto anche nei disturbi del corpo fisico, offrendo una valida alternativa, quando sia possibile, all'uso indiscriminato di farmaci.
La cromoterapia ha delle solide basi scientifiche e viene applicata perfino in qualche reparto ospedaliero.
Le vibrazioni dei colori hanno un'azione riequilibrante sul metabolismo cellulare.
E' stato dimostrato da esami di laboratorio che le cellule, in condizione di salute, emettono una certa luce colorata, che varia a seconda del tessuto al quale appartengono. Se le cellule di un certo tessuto si "ammalano", ossia smettono di funzionare in modo ottimale, la loro emissione cromatica cambia ed influenza in tal senso tutte le cellule vicine. Applicando il colore appropriato, in base alla legge fisica della risonanza è possibile riportare il sistema alla sua originaria condizione di equilibrio.
Questa la base scientifica della cromoterapia. Ma il vero valore dei colori va ben al di là di una semplice osservazione e sta nei risultati. La cromoterapia funziona sempre, anche su quei soggetti per i quali è da escludere un'azione di suggestione, come, per esempio, i neonati, gli animali e le piante.
D'altra parte, tutti usiamo la cromoterapia pur senza saperlo: imparare ad usarla con consapevolezza non può fare altro che tradursi in vantaggi concreti per la nostra vita quotidiana.

Che cos'e'

La cromoterapia è una medicina alternativa che usa i colori per aiutare il corpo e la psiche a ritrovare il loro naturale equilibrio. I colori possono essere assorbiti in diversi modi: attraverso gli alimenti, attraverso la luce solare, attraverso le onde elettromagnetiche della luce, attraverso il bagno, attraverso la meditazione, attraverso la visualizzazione.
In particolare, la cromoterapia con onde elettromagnetiche è l'utilizzazione della luce colorata che, all'interno di una precisa lunghezza d'onda, penetra nei tessuti creando le condizioni di interagire con le cellule ripristinando l'equilibrio elettrico e chimico dell'omeostasi cellulare migliorandone le funzioni biologiche.
Anche questa cromoterapia non cura i sintomi ma scende alle radici dello squilibrio e non lascia, come alcuni farmaci, residui dannosi che il corpo deve faticosamente eliminare. Non ci si deve stupire di fronte al fatto che le irradiazioni colorate agiscono sui nostri stati emotivi, sull'andamento del nostro stato psichico e sul nostro corpo favorendo così l'equilibrio, la calma e il benessere fisico.
Proprio per questi motivi sempre più ricercatori e medici si stanno concentrando nell'analisi di questa medicina alternativa e più persone si stanno con essa curando data per certa l'influenza che i colori hanno sulla nostra psiche, sulle nostre emozioni e quindi sul nostro stato fisico, come anche documentato dal famoso test cromatico di fama mondiale di Luscher.
Anche secondo Christa Muths, esperta cromoterapeuta tedesca, i colori sono forza vitale e fonte di energia, se ne usufruiamo nel modo giusto. Le irradiazioni con fasci di luce colorata, quindi, sono in grado di stimolare la formazione delle cellule del corpo e influire su nervi e organi.

Le origini

La cromoterapia ha origini antichissime, poiché le medicine tradizionali hanno sempre attribuito grande importanza all'influenza dei colori sulla salute e sullo stato d'animo dell'uomo. Egizi, Romani e Greci praticavano l'elioterapia (esposizione alla luce solare diretta) per la cura di diversi disturbi. In India la medicina ayurvedica ha sempre tenuto conto di come i colori influenzino l'equilibrio dei chakra, i centri di energia sottile che vengono associati alle principali ghiandole del corpo. Anche i Cinesi affidavano il proprio benessere fisico all'azione delle varie tinte: il colore giallo serviva a rimettere in sesto l'intestino, il violetto ad arginare gli attacchi epilettici. In Cina, addirittura, le finestre della camera del paziente venivano coperte con teli di colore adeguato e il malato doveva indossare indumenti della stessa tinta.
Grazie alle scoperte di I. Newton, poterono essere riprodotte artificialmente radiazioni di ogni singolo colore, che fino ad allora potevano soltanto essere passivamente osservate in natura. Le notizie si perdono e gli studiosi si susseguono fino al 1877, quando il dott. S. Pancoast pubblica il primo trattato sull'impiego dei colori a scopo terapeutico. L'anno successivo il dott. E. D. Bobbit rende pubblico un suo lavoro in cui descrive il diverso effetto dei colori in terapia.
Negli ultimi anni la cromoterapia ha avuto un notevole sviluppo grazie ai numerosi studi scientifici che evidenziano l'influenza dei colori sul sistema nervoso, immunitario e metabolico.

Perche' e' poco usata

Pur essendo così vantaggiosa, non la si utilizza di più per pochi motivi principali: primo, perché gli utenti non la conoscono ancora sufficientemente bene (chi ne ha già avuto beneficio, di solito ne pubblicizza le doti ai conoscenti solo per la sua particolare problematica, pensando, erroneamente, che Cromoterapia sia specialistica solo per certe disfunzioni). Secondo, di fronte all’immediato aggravio di spesa, c’è chi pensa: “ora mi sto già curando con altro, magari la proverò in futuro”, non tenendo conto che se la si abbinasse subito all’altra cura si otterrebbe un risultato più rapido e completo, quindi, proporzionalmente meno dispendioso. Terzo, per poterla praticare ad alto livello, con ottimi risultati, occorrono anni di esperienza e pratica quotidiana, perciò, chi ha già altre specializzazioni, in genere adopera Cromoterapia solo a livello base, con risultati senz’altro positivi, ma notevolmente migliorabili con interventi completi. Infine, occorre sottolineare che qualsiasi terapia, deve stimolare l’individuo a cambiare in meglio il proprio stile di vita, per evitare di vanificare gli effetti positivi ed immediati della cura; ma, riuscire a rinunciare ai “vizi” e alle “abitudini” nocive con metodi persuasivi e non invasivi, non è un’impresa alla portata di tutti.

Curiosita'

Perché nella sale operatorie si usa il verde? Perché il verde ha delle riconosciute proprietà antibatteriche. E perché i bambini che nascono con l'ittero vengono posti sotto una luce blu? Perché il blu scompone la bilirubina, responsabile del fenomeno.
Il viola rappresenta un efficacissimo sistema per dimagrire senza troppi sacrifici? E il rosso è un validissimo alleato di qualsiasi dieta.
Con il verde chiaro, il viola ed il rosso si risolvono moltissimi disturbi femminili.
Per dormire bene e riposare davvero occorre fare molta attenzione ai colori della camera da letto e delle lenzuola. Per far abbassare la temperatura corporea troppo alta (quella che comunemente si chiama 'febbre'), sconfiggere il mal di gola e gli abbassamenti di voce, non è necessario rimpinzarsi di farmaci. Con alcune bottiglie colorate, riempite di comunissima acqua e poste al sole, puoi avere in casa, con pochissima spesa ed ottimi risultati, un antirughe, un collirio, un disinfettante, un collutorio, un antidepressivo, un tonico… e tante altre cose ancora.
Insomma, per ogni frangente esiste il colore adatto a risolvere bene, in fretta, con poca fatica e poca spesa.
Il rapporto del mondo attuale con i colori è assolutamente privo di equilibrio e questa è una delle tante Conoscenze che l'uomo moderno ha perduto, seppellendole sotto montagne di inutili schemi mentali frutto di mille paure.
(liberamente tratto da testi vari)

martedì 25 novembre 2008

"Il pensiero debole" Gianni Vattimo

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

Gianni Vattimo è uno dei massimi teorici del pensiero debole, ovvero di un nuovo modo di porsi del pensiero nei confronti delle problematiche filosofiche ed etiche. L'idea che sta alla base di questa forma di pensiero è che non esiste alcuna possibilità, da parte del pensiero, di affermare o raggiungere una qualsiasi verità stabile o definitiva (si può notare la forte connessione tra pensiero debole e problematica della postmodernità).
La filosofia si era strutturata in passato come indagine del senso autentico della verità, ogni sistema filosofico aveva come proprio obiettivo quello di racchiudere in un sistema di regole razionali il senso ultimo dell'esistenza e dell'essere. Vattimo riconosce, come molti altri, la tendenza storica che vede l'occidente perdere progressivamente questa volontà di dimostrare il senso stabile della realtà.
Il pensiero filosofico è arrivato, a parere di Vattimo, al termine della sua avventura. Ogni tentativo di dimostrare i principi metafisici che regolano e sorreggono eternamente la realtà si è risolto in un fallimento, questo dimostra (sempre storicamente) che non esiste alcuna verità stabile.
Da queste premesse si evince che occorre dare alla filosofia un altro senso: il nuovo senso della filosofia, quella strada che la filosofia dovrà percorrere in futuro, non è la ricerca della verità assoluta, ma è invece l'adeguarsi alla verità che esistono diverse verità (per cui non esiste verità assoluta, ma solo una pluralità di verità relative), per cui Vattimo auspica l'avvento di un pensiero debole, una forma di pensiero che non si ponga come spiegazione certa e incontrovertibile di un'unica verità alla quale adeguarsi (ovvero un pensiero forte, che non sia negabile), bensì una forma di pensiero che avverta e lasci apparire la pluralità dei sensi che il mondo via via verrà ad assumere. 
Il pensiero debole (contrapposto alla forma di pensiero forte che ha monopolizzato in passato il cammino della conoscenza) è in sostanza una forma di pensiero che si adegua al mutamento incessante delle condizioni della realtà, un pensiero morbido, che è in grado di accettare la pluralità dei punti di vista senza imporre alcun punto di vista come l'assoluto e incontrovertibile.
(liberamente tratto da testi vari)

"rapporto tra freud e cartesio "

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

La ricerca metafisica di Cartesio poggia sulla certezza del pensiero, l'unica in una realtà dove il dubbio può mettere in discussione ogni cosa. Se io dubito, allora io penso, io esisto come "cosa pensante", afferma lo scienziato e filosofo francese. Il mondo materiale e il corpo sono territorio dei sensi; ma i sensi ingannano, sono fallaci. Per questo l'identità del soggetto coincide con il pensiero prima che con la corporeità. Tanto che il corpo muore, l'anima, invece, in quanto principio spirituale, sopravvive.
Freud, il padre della psicanalisi, rivendica le ragioni del corpo. Scopre e ribadisce che non esiste una manifestazione "pura" del pensiero. Anche le parti più elevate dell'io (il pensiero e l'arte) vanno ricondotte a pulsioni biologiche. In ogni atto dell'uomo - nel sintomo dei nevrotici, nel sogno, nel delirio - si iscrivono forze, motivazioni e spinte che restano perlopiù sconosciute. E il "modello" di funzionamento dell'apparato psichico è prevalentemente di natura fisica.

La ricerca metafisica di Cartesio poggia sulla certezza del pensiero, l'unica in una realtà dove il dubbio può mettere in discussione ogni cosa. Se io dubito, allora io penso, io esisto come "cosa pensante", afferma lo scienziato e filosofo francese. Il mondo materiale e il corpo sono territorio dei sensi; ma i sensi ingannano, sono fallaci. Per questo l'identità del soggetto coincide con il pensiero prima che con la corporeità. Tanto che il corpo muore, l'anima, invece, in quanto principio spirituale, sopravvive.
Freud, il padre della psicanalisi, rivendica le ragioni del corpo. Scopre e ribadisce che non esiste una manifestazione "pura" del pensiero. Anche le parti più elevate dell'io (il pensiero e l'arte) vanno ricondotte a pulsioni biologiche. In ogni atto dell'uomo - nel sintomo dei nevrotici, nel sogno, nel delirio - si iscrivono forze, motivazioni e spinte che restano perlopiù sconosciute. E il "modello" di funzionamento dell'apparato psichico è prevalentemente di natura fisica . .

Nella filosofia moderna, inaugurata da Cartesio, la coscienza ha il significato di "consapevolezza soggettiva" di sé e dei propri processi mentali. Di noi stessi, in quanto coscienza, siamo certi direttamente.
Tutto il resto cade sotto la critica corrosiva del dubbio.
Con Freud l'inconscio diviene una costruzione teorica comprensiva degli aspetti motivazionali della personalità, sia sana che patologica. E pur non arrivando a esaltare il lato notturno e inconsapevole della vita contro la ragione e la coscienza, il medico austriaco sostiene che la nuova scienza deve esplorare ciò che non si sa, ciò che è nascosto, perché è là, nella "via regia" che si determinano le condotte affettive, intellettuali e sociali.

L'io per Cartesio è il soggetto pensante e consapevole di sé opposto alla natura: spirito contro materia, mente contro corpo. Nel celebre trattato Le passioni dell'anima Cartesio fornisce una sorta di "medicina" per diventare proprietari unici e autorevoli del proprio "io".
Come? Attraverso il dominio della passioni da raggiungere con lo strumento della ragione.
L'io, per Freud, non è pura trasparenza, non è forza della ragione che domina il mondo. Il soggetto ospita dentro di sé più parti. L'io - la parte consapevole dell'uomo - è solo una piccola porzione della "topografia" della psiche. L'io subisce le inibizioni e le pressioni del "super-Io" (la voce genitoriale che ognuno ha introiettato e che ancora comanda , castiga e affligge con il senso di colpa) ma è anche in balia dell'altro (in tedesco "es" o "lui"). Ed è l'"es", che è in-coscio, la scaturigine profonda dei desideri e delle azioni.
(liberamente tratto da testi vari)

Il rito, il sacrificio e la passione

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI
Il rito
Due sono gli elementi che contraddistingono il rito.
Il primo è l’azione (elemento fisico, materiale, tangibile, fisiologico). Una serie di operazioni rigorosamente codificate. Esse vengono poste in essere dall’officiante – sciamano, sacerdote – e riconosciute come parte e materia del rito da lui stesso e dagli altri partecipanti.
Il secondo è la convinzione (elemento spirituale, immateriale, intangibile, psicologico). Esso si rapporta all’intimo sentire dell’officiante, dei soggetti direttamente o indirettamente coinvolti. Agli oggetti inanimati che possono acquistare anima. All’ambiente, alla natura, all’universo. La convinzione dà senso e significato a situazioni e azioni che altrimenti non ne avrebbero.
Dall’incontro e dalla fusione di questi due elementi nasce il rito. Esso si colloca in una realtà ulteriore, altra, trascendente. L’esistenza di questa realtà è parte stessa del rito, dei soggetti che vi partecipano e che ne sono coinvolti.
Il rito è autentico. Non è finzione, non è recitazione.
Il rito è immanente e trascendente. Immanente, presente, concreto, reale per chi vi è coinvolto e/o vi assiste. Trascendente, perché permette di entrare in contatto con l’Altro da sé, nel senso più ampio del termine.
Il rito è comunicazione e comunione. Attraverso il rito, ci si rispecchia in un’unica realtà, in un unico senso di essere che viene reciprocamente comunicato, che viene messo in comune.
Il rito è soggettività ed oggettività. Soggettività perché attraverso di esso si concretizza un proprio sentire, un proprio individualissimo rapportarsi a sé, al rito stesso e all’universo. Oggettività, perché questo sentire, attraverso la condivisione (operata sia spazialmente, in senso intersoggettivo – sia temporamente, in senso diacronico) diventa qualcosa che trascende le proprie dimensioni individuali e si concretizza in qualcosa di più grande.
Il rito è ricerca. Attraverso di esso si va oltre, si cerca, si incontra, si esplora, si scopre.
Il rito è causale e finalistico. Esso ha sempre una ragione, e tende sempre a uno scopo. E ciò può essere più o meno sancito, determinato, condiviso, partecipato, ma ne è l’unica ragione di esistere.
Il rito è religioso. Un rito senza religione può esistere – e in tal caso sarà lo stesso rito a costruire una sacralità. Ma una religione priva di riti, non è data.
Il rito è un valore altro che viene dato anche alle azioni quotidiane. Chiunque è in grado di identificare, nella sua personale esistenza, alcune azioni – di effetto più o meno pratico, ma comunque reali e persistenti – che per lui hanno un valore particolare, magico, sacro, significante – ritualistico, appunto. Spesso è proprio a queste azioni che ci si lega per offrire un significato al proprio esistere, al proprio sentire, al proprio essere qui (dasein). In qualche misura il rito è una necessità della mente e dello spirito umano, un modo per riconoscere la propria esistenza, per ancorare la propria identità, per rispecchiarsi nell’altro da sé.
Il rito può diventare strumento e fine anche dell’incontro con l’altro da sé nel suo senso più immediato, concreto, animale: il senso carnale e sessuale. Non deve stupire pertanto che molte religioni pongano l’incontro sessuale come strumento del rito (il tantrismo, varie forme di sacralità tribali un po’ ovunque nel mondo, compreso il nord America; e perfino la religone cristiana, nonostante tutta la sua sessuofobia, riserva un valore sacrale-ritualistico al congiungimento carnale come parte integrante e culminante del rito del matrimonio, tanto che il matrimonio non "consumato" può essere sciolto, ed è l’unico caso in cui ciò sia possibile).
Sesso (sesso come atto, quindi dinamico, agito, pensato, vissuto; non faccio, in questo contesto, ricorso al concetto di eros, troppo lontano da una dimensione genitale, l’unica qui che ci può interessare) come luogo del rito – e del sacro. Luogo dove quanto sopra scritto può trovare compimento e realizzazione.
Come il rito, il sesso è autentico. Non è possibile pensare un sesso finto, recitato, giocato (uso comunque queste parole con somma prudenza, in quanto il rito, e tutto quello che ne consegue, investe non poco anche le dinamiche della recitazione e del gioco, trascinandole a forza fuori dalla dimensione della finzione). Il fatto che il sesso richiami e utilizzi dimensioni peculiarmente fisiologiche, animali, naturali, lo costringe all’autenticità appunto della natura e dell’animalità. In questo senso non può esistere altra scelta che l’autenticità anche per il sesso giocato nella finzione (prostituzione, pornografia).
Allo stesso modo il sesso può essere immanente e trascendente. Immanenza dei corpi, degli umori, degli odori. Trascendenza dell’andare oltre, del sentire oltre, del cercare oltre la fase materialmente animale-fisiologica.
Sesso come comunicazione e comunione. Può realizzarsi su molti piani differenti, ma fondamentalmente il sesso è – anche, o soprattutto – un linguaggio, che permette di comunicare al di là dei significati semantici delle parole, dei comportamenti, delle sensazioni. E di condividere, se non piaceri ed emozioni, almeno i momenti e le cause che ne stanno alla base.
Sesso come soggettività ed oggettività. Nella pratica sessuale, sicuramente è importante il proprio sentire e il proprio piacere – qualcosa di forte e di concreto, che si individua e si realizza nell’io. Ma questo sentire individuale trascende in un’esperienza più globale, esterna, oggettiva, creatoria (in senso demiurgico, non artistico) che sta fuori dal corpo e dall’essere – a questo proposito vorrei usare le parole "esistenza cosmica", ma esito a farlo, dato l’abuso che di tale armamentario concettuale è stato fatto da parte di teosofie "usa e getta" molto diffuse in questi ultimi tempi…
Sesso come ricerca. E’ proprio della dimensione culturale – artificiale (da arte intesa come tecnica e studio) dell’uomo non limitarsi al principio della natura, e cercare oltre, costruire, sentire e vivere qualcosa che si colloca oltre la propria animalità. Proprio nel sesso, che come il rito parte da azioni oggettive, questa ricerca può trovare una sua dimensione privilegiata, imparentandosi e collimando con la sperimentazione, l’incontro, la rivelazione (queste ultime due proprie del rito).
Sesso come causa e fine. Non è facile definire quali possano essere la causa e il fine del sesso; può trattarsi di motivi biologici – la conservazione della specie – o mistici – la trascendenza, appunto – ma in ogni caso devono esistere. In quanto in loro assenza lo stesso sesso non avrebbe ragione di essere e motivo di essere agito.
Sesso come religione. E’ il senso di questo discorso.
Il sacrificio
Nella grande tradizione ebraico-cristiana, il rito utilizza una grande quantità di strumenti simbolici, allegorici, metaforici. Alcuni di essi hanno delle ascendenze di tipo pagano. Tra questi, il più importante e significativo è quello del sacrificio.
Il sacrificio è l’offerta (Opfer) alla divinità. Mediante di esso, la divinità viene placata se in collera; ad essa viene chiesta un’intercessione o un favore: la fine di una siccità, di una carestia, la concessione di una buona caccia o di un raccolto abbondante; la vittoria sui nemici. Il sacrificio è il rito cardinale; è attraverso di esso che – mediante la distruzione e la rinuncia a qualcosa di prezioso; nelle società pastorali, ad un capo di bestiame (pecus) – la divinità viene placata, appagata, gratificata. Il sacrificio è il gesto strumentale, inoltre, attraverso cui la colpa viene redenta.
Il sacrificio più estremo è il sacrificio umano. La divinità viene pacificata e soddisfatta col sangue di una vittima (Opfer). Il valore della vittima sacrificale è tale in quanto essere umano – quindi fisiologicamente simile all’offerente-officiante, e la similitudine limitarsi a questo, ad esempio un nemico catturato in battaglia (altra gente, altro popolo, altra identità). Ma tanto maggiore sarà la forza del sacrificio quanto più la vittima sarà simile all’offerente: medesima gente, medesimo sangue. Ecco quindi i sacrifici umani delle popolazioni precolombiane, dove la vittima veniva scelta con cura nella medesima popolazione che la sacrificava, accudita ed onorata (e per essa stessa, quella scelta era un onore). Ancora più forte è il sacrificio della tradizione giudaico-cristiana: Abramo sacrifica nientemeno che il proprio figlio Isacco, salvo poi sostituirlo con un simbolo (e nel rito, il simbolo è di importanza cardinale: la pittura rupestre al posto della belva da cacciare, l’animale al posto dell’essere umano da sacrificare). Ancora oltre: non solo la vittima sarà sangue dello stesso sangue dell’offerente, ma dovrà essere anche "innocente", "pura", "priva di peccato". Al sacrificio dell’animale "prezioso" (valore pecuniario) si preferisce l’animale "innocente" e "puro" per eccellenza, l’agnello. Il valore del sacrificio umano sarà tanto più alto quanto più si ricorrerà ad un essere "puro" ed "innocente", quanto più sarà una scelta libera e volontaristica, fino ad arrivare al definitivo, totale rispecchiamento tra divinità e vittima (questa figlia di quella) che si giocherà nel sacrificio cardinale della civiltà occidentale, quello di Cristo.
In tutto questo processo, com’è evidente, viene completamente a mancare un rapporto causale diretto tra "colpa" e "redenzione"; in un’ottica causale e non simbolica, come scrisse Borges il "vero" sacrificio redimente non sarebbe più quello di Cristo, ma quello di Giuda. La "redenzione" avviene per conto terzi, in seguito ad una sorta di processo di delega – anche questo, inevitabilmente, simbolico. "Il cristianesimo ha fatto man bassa sull’Errore e sulla Redenzione. Quella statua al centro del mantello rosso era una crocifissione laica, il riscatto delle colpe più pesanti, quelle che non si sono commesse". Sono le parole con cui Florence riflette sul suicidio della sua amante Nathalie, al termine del romanzo "Dolorosa soror" di Florence Dugas.
Non sarebbe inopportuno, a questo punto, interrogarsi sul valore sacrificale, in senso strettamente antropologico, che nel mondo contemporaneo possono avere determinate azioni sociali come le condanne a morte (l’aspetto punitivo e/o vendicativo recede nettamente di fronte a quello ritualistico, visti i rigorosi e ridondanti protocolli a cui gli attori, primo tra tutti il condannato, devono sottoporsi; o l’esplicita richiesta della condanna da parte di alcuni criminali particolarmente efferati, quale evidente ricerca di redenzione ed espiazione) o determinate azioni individuali come l’immolarsi, liberamente scelto e testardamente perseguito, di alcune figure poi divenute simboliche (me ne viene in mente una sola, quella di Ernesto Guevara, che peraltro assume connotazioni decisamente cristologiche).
La passione
Abbiamo detto che il sesso è rito. Adesso possiamo aggiungere che il rito, e, all’interno della dimensione del rito, il sacrificio collimano nelle pratiche sessuali cosiddette "bdsm". Qui infatti la ritualità non è soltanto un motore sottinteso, un substrato antropologico (o forse biologico) all’incontro, alla comunicazione, alla trasmissione di sensazioni, calori, umori. Qui diventa parte attiva, integrante, consapevole, giocata. E’ un rito che si richiama a mondi altri, a vissuti, sensazioni, sogni; al subconscio, all’onirico. In cui si fa (o si può fare) un uso abbondante e strutturato di simboli materiali o psichici. In cui la dimensione della rappresentazione (intesa come manifestazione di una realtà interiore e giocata) viene vissuta, esperita e agita fino in fondo.
Il sacrificio è l’essenza della sottomissione, del dolore. Talvolta dell’umiliazione. E il valore del sacrificio diventa tanto maggiore quanto maggiore è l’innocenza, reale o presunta, del soggetto che si sottomette (volontariamente e liberamente) ad esso. Il fatto che si tratti di un gioco non toglie nulla alla profondità e alla realtà delle sensazioni che vengono vissute, esperite e costruite. A volte il gioco può essere di ruolo, e allora si attueranno delle parti (carnefice e vittima, giudice e imputato, inquisitore e strega) e delle scene; altrimenti parti e ruoli potranno essere lasciati da parte, e il motore primo dell’azione non sarà null’altro che il proprio sentimento, il proprio desiderio ritualizzato; la commozione che nasce dalla contemplazione e dall’esperienza del sacrificio liberamente disposto, desiderato, agito, dalla sofferenza e dal dolore che ne deriva; il valore catartico e purificatorio che nasce dalla malinconia del sì, dal’accettazione e dalla sottomissione al dolore. E del rito rivestirà le caratteristiche – azione, convinzione – che faranno del vissuto e dell’agito un evento oltre la realtà, oltre il contingente, di dialogo con forze oscure, profonde, creatrici, trascendenti.
(liberamente tratto da testi vari)

mercoledì 19 novembre 2008

CARNE E ANIMA

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

L'umano è un essere al contempo pienamente biologico e pienamente culturale, che porta con sé questa unidualità originaria. E' un super- e un ipervivente: ha sviluppato in modo inaudito le potenzialità della vita. Esprime in modo ipertrofico le qualità egocentriche e altruistiche dell'individuo, giunge a parossismi di vita nell'estasi e nell'ebbrezza, ribolle di ardori orgiastici e orgasmici, ed è in questa ipervitalità che l'homo sapiens è anche homo demens. L'uomo è dunque un essere pienamente biologico (Marte) ma, se non disponesse pienamente della cultura (che lo spoglia del suo armamento biologico: istinti, pulsioni e libido), sarebbe un primate del rango più basso. La cultura accumula in sé ciò che è conservato, trasmesso, appreso, e comporta norme e principi di acquisizione." 

Le parole del sociologo Morin esprimono un punto di vista che tutti condividiamo. Già San Paolo, Sant'Agostino e Meister Eckhart avevano messo il dito nella natura biologica  fatta di carne (sarx), anima (psichè) e mente (pneuma), così come Caravaggio aveva esasperato nel dito di  San Tommaso  la percezione critica degli effetti atroci prodotti dalla  libido  nel "corpo" sociale (Gesù) e spirituale (Cristo) della società.
Velazquez dipinge l'emblema di Marte con lo stesso intento pedagogico di Morin, nel tentativo "utopistico" di "liberare" l'uomo del suo tempo dalla cultura dell'aggressività, dell'egocentrismo, del maschilismo e del protagonismo a tutti i costi. Contestualizzata all'interno di una società in cui la donna è relegata a ruoli di 'fattrice' e i bambini sfruttati come forza lavoro, l'opera di Velazquez assume un rilievo  pedagogico quanto mai attuale e significativo. 

"Marte desnudo" non si spoglia solo dell'armamentario "biologico" costituito dalle armi, dall'armatura e dallo scudo, ma anche dei vestiti che la cultura gli cuce addosso. Seduto mollemente sopra un rosso lenzuolo (la rubedo) l'homo sapiens ricopre di coscienza (il perizoma azzurro copre il bacino) il nucleo di energia sessuale, vitalistica e creativa in grado di "liberarlo" dai modelli sociali e dalla "cultura di massa". Il messaggio è chiaro, esplicito, semplice da decodificare. La trasformazione  della libido sessuale  in amore, creatività e coscienza è l'unica via per far di nuovo risplendere la bellezza all'interno della cultura contemporanea (i baffi di marte).
La libido sessuale è l'energia fondamentale necessaria  per attivare l'alchimia interiore. Non deve essere inibita, frustrata e repressa altrimenti si corre il rischio di "ridurla in cenere" e di renderla inutilizzabile per la trasformazione. Il Tantra (l'alchimia  della coscienza)  insegna che  il contenimento dell'energia sessuale suscita  il desiderio di amare il corpo, l'anima e la mente del partner. Quando ciò avviene le donne descrivono l'amore come passione fisica, follia  e attrazione fatale,  a rimarcare  il grado di coinvolgimento della propria libido sessuale e la sua inevitabile evoluzione  in  "amor di sè".
Ma l'amor di sè, lo stesso che genera l'orgoglio ferito, la sensazione di essere usati, o di non essere stati compresi,  è la soglia per entrare nel mondo della coscienza alchemica.
Dante vi giunge  attraverso una consapevole frustrazione del desiderio sessuale, una infinita procrastrinazione della soddisfazione carnale e infine elevando Beatrice  a  Musa ispiratrice. L'amor di sè è la logica manifestazione dell'introversione della passione amorosa che, pur rappresentando  una sensibile evoluzione della coscienza individuale, diventa comunque espressione di un sentimento egocentrico e autoreferente. 
mino della salvezza , intesa come salus, salute psicosomatica, l'anima deve  giungere a "pentirsi" come Maria Maddalena.  Il pentimento interpretato da Caravaggio non è religioso, ma  è indotto da  un secondo livello di introversione. Maddalena sta seduta, immobile,  a capo chino, in  uno stato di profonda meditazione. Ai suoi piedi sono disseminati i simboli della rinuncia  alla passione carnale e materiale (i gioielli) a significare  che  l'introversione della passione  e la rinuncia all'ore egocentrico di sè, suscita  il  "desiderio alchemico": conoscere e amare se stessi.
Questo secondo stadio di trasformazione dell'anima è chiamato "rubedo delle passioni" (la  gonna rossa di Maddalena).  Caravaggio dipingerà tre volte Maddalena per rendere esplificito, fino in fondo,  le fasi di trasformazione della libido sessuale (il seme maschile) e della passione ( il sangue femminile)  in  amore, coscienza e conoscenza di sè (le tre dita aperte da Maddalena) che conducono sulla soglia dell'iniziazione all'alchimia  della coscienza (La presentazione al tempio della Vergine). 

Tito Lucrezio Caro

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

Le notizie sulla vita di Tito Lucrezio Caro sono estremamente poche ed anche imprecise. I dati riferiti dal grammatico Donato ( nella sua vita di Virgilio ) e dal padre della chiesa Girolamo ( 347 ca-420 d.C. ), in opposizione talora fra loro, dovrebbero a loro volta rimontare allo storico Svetonio. Senza entrare nel merito dei riscontri cronologici elaborati dagli studiosi della questione, pare accertato che Lucrezio nacque nei primi anni del I secolo a.C. e morì intorno al 54. Sul luogo d’origine non abbiamo particolari conferme, se non per il fatto che il cognomen “Carus” risulta attestato nel territorio di Napoli e di Pompei. Sulla condizione sociale del poeta non siamo informati. Qualcuno ha voluto intravedere un atteggiamento da cliens nel tono delle parole rivolte a Memmio, il dedicatario dell’opera, quello stesso al cui seguito si trovò Catullo quando si recò in Oriente ( 57/56 ).Fatta eccezione per l’indicazione cronologica, Girolamo sostiene che Lucrezio divenne folle per un filtro d'amore ( poculum amatorium ) e che compose il poema, poi pubblicato da Cicerone, nei momenti di lucidità mentale ( per intervalla insaniae ), e si suicidò poi all’età di 44 anni. Non abbiamo alcuna conferma di queste notizie: esse apparirebbero sicuramente leggendarie se non fosse per l'effettiva incompiutezza del poema, quella certa aria di eccitazione che lo pervade e quella descrizione degli effetti disastrosi della passione amorosa che chiude il libro IV. In effetti, Cicerone in una lettera al fratello Quinto ( II, 9, 3 ) fa un cenno proprio al poema di Lucrezio: Lucreti poemata, ut scribis, ita sunt: multis luminibus ingeni, multae tamen artis, “il poema di Lucrezio è così come scrivi, ricco di talento, tuttavia molto meditato” ( tuttavia è opportuno sotolineare che sulla tradizione manoscritta di questa asserzione sono stati sollevati dei dubbi ). Quanto alle altre osservazioni di san Girolamo, è quanto meno credibile che la tradizione cristiana abbia voluto dare un’immagine negativa del poeta, facendo passare Lucrezio per un folle e per un suicida. Si vuole credere che la sua formazione culturale sia avvenuta all’interno del circolo di Filodemo ad Ercolano nella villa di Calpurnio Pisone, noto epicureo ( e nemico personale di Cicerone ), ma anche su questo punto non esistono certezze. Certo è invece il fatto che la vita di Lucrezio ebbe a svolgersi in uno dei periodi più drammatici della storia romana, caratterizzato da un’intensità senza precedenti di scontri politici e civili, oltre che dalle scorrerie delle bande armate e dalle famigerate liste di proscrizione. In quest'ottica dunque acquistano un senso particolare le sue osservazioni sulla negatività del contenzioso politico, sui danni dello spopolamento delle campagne, addirittura sull’approssimarsi della fine del mondo. È quanto si ricava dal poema, al quale abitualmente si usa fare riferimento come unica fonte affidabile di informazioni.

Il titolo De rerum natura, che ripropone quello di alcune opere filosofiche greche ( Perì phýseos ) si traduce in italiano semplicemente “La Natura”, tuttavia con l'avvertenza che res potrebbe propriamente indicare i “fenomeni” che della natura, cioè delle leggi dell'universo, sono le manifestazioni. Si discute anche sulla struttura generale del poema: il fatto che certi antichi autori riportino versi non reperibili nel testo dell'opera quale noi possediamo, legittimerebbe, secondo alcuni, successivi tentativi di revisione e di riordinamento. Si può certamente parlare di incompiutezza del poema: l'autore non ebbe modo di terminarlo nè tanto meno di revisionarlo, come dimostrerebbe la palese contraddizione tra l'intento dichiarato di utilizzare la dottrina epicurea per salvare l'uomo dal male, e la conclusione dell'opera, che rappresenta scene di sconcertante drammaticità relative alla peste di Atene. Che il poeta non sia riuscito a revisionare il testo della sua opera risulterebbe inoltre dimostrato dalle frequenti ripetizioni di versi singoli o di gruppi di versi, di lacune chiaramente non imputabili a imperizia degli amanuensi, o altri elementi di carattere tecnico. Comunque si debbano interpretare questi aspetti strutturali ( le ripetizioni infatti potrebbero trovare ragione nel fine didascalico dell'opera ), è certo che il disegno dell'opera appare ben congegnato e simmetricamente definito. I sei libri di cui si compone il De rerum natura, quanto ai temi fondamentali che trattano, possono distribuirsi in tre coppie: - libri I-II: La dottrina atomistica ( costituzione del mondo e della materia ); - libri III-IV: La scienza antropologica ( costituzione dell'anima; problema gnoseologico ); - libri V-VI: II sistema cosmologico ( fenomeni celesti e terrestri ). Lo schema ripete sostanzialmente quello canonico delle scuole epicuree, tuttavia è significativo che Lucrezio lo abbia sconvolto solo per porre al centro il problema riguardante l'uomo, problema che la tradizione usualmente poneva come ultimo. Ciascuna delle tre coppie prende inizio con un preludio e termina con l'esposizione e l'interpretazione di un episodio triste o drammatico. Altre corrispondenze e parallelismi possono rintracciarsi in un gioco non rigido ma studiato che contempla un intrigo di microsequenze in seno alle più grandi ripartizioni, così da giustificare l'opinione secondo cui il De rerum natura è un poema terminato in sé stesso. Le incongruenze innegabili troverebbero spiegazione tenendo conto del particolare ingegno di Lucrezio, distinto come detto da contraddizioni, del suo metodo di lavoro e non da ultimo della mancata revisione del testo. La conclusione del poema, improntata ad una concezione del mondo irrimediabilmente pessimistica, è prova dell'originale spiritualità dell'autore, che si sovrappone alla dottrina ottimistica dell'epicureismo che pur vuole illustrare. In altri termini, potremmo affermare che per provare la necessità di un equilibrio razionale garante della felicità, egli non veda altro mezzo didattico che mostrare i mali prodotti dalla condizione contraria, cioè dall'ignoranza e dalla passionalità.

martedì 18 novembre 2008

LUCREZIO, L'ORIGINE DEL LINGUAGGIO

A CURA DI D. PICCHIOTTI

I vari suoni della lingua, poi, fu la natura che costrinse
ad emetterli, e l'utilità foggiò i nomi delle cose,
in modo non molto diverso da quello in cui si vede che la stessa
incapacità della lingua a esprimere parole induce i bimbi a gestire,
quando fa che mostrino a dito le cose che sono presenti.
Difatti ognuno sente per qual uso possa valersi delle proprie facoltà.
Il vitello, prima che le corna gli siano spuntate e sporgano
dalla fronte, con esse irato assale e ostile incalza.
Dal canto loro, i cuccioli delle pantere e i leoncini
si difendono con unghie e zampe e morsi già quando
denti e unghie non sono ancora ben formati.
Vediamo poi ogni specie di uccelli affidarsi alle ali
e chiedere alle penne un aiuto che ancora è tremolante.
Perciò pensare che qualcuno allora abbia assegnato i nomi
alle cose e che da lui gli uomini abbiano imparato i primi vocaboli,
è follia. Infatti, perché colui avrebbe potuto designare con parole
ogni cosa ed emettere i vari suoni della lingua, ma si dovrebbe
credere che nello stesso tempo altri non abbiano potuto farlo?
Inoltre, se delle parole non avevano fatto uso fra loro
anche altri, donde fu impressa in quello la nozione
della loro utilità e donde fu data a lui per primo la facoltà
di sapere e di vedere nella mente che cosa volesse fare?
Parimenti, non poteva uno solo costringer molti e vincerli
e domarli, sì che acconsentissero a imparare i nomi delle cose.
Né in alcun modo è facile insegnare a sordi e persuaderli
di ciò che bisogna fare; difatti non lo sopporterebbero,
né in alcun modo tollererebbero che inauditi suoni di voce
più volte assordassero le loro orecchie invano.
Infine, che c'è di tanto sorprendente in questo,
se il genere umano, che aveva voce e lingua vigorose,
secondo le diverse impressioni designava le cose con suoni diversi?
Quando le greggi prive di parola, quando perfino le stirpi
delle fiere son solite formare voci dissimili e varie,
secondo che sentano timore o dolore o cresca in esse la gioia.
E infatti è possibile conoscer questo in base a fatti palesi.
Quando le larghe morbide labbra dei cani molossi
incominciano a fremere irritate, scoprendo i duri denti,
tirate indietro per la rabbia, minacciano con suono molto diverso
da quando poi latrano ed empiono tutti i luoghi delle loro voci.
Ma, quando prendono a lambire con la lingua carezzevolmente i cuccioli
o li sballottano con le zampe e, minacciando di morderli,
senza stringere i denti fingono di volerli divorare teneramente,
li vezzeggiano col mugolìo in modo molto diverso
da quando lasciati soli in casa abbaiano, o quando
uggiolando scansano col corpo schiacciato a terra le percosse.
E ancora, non si vede che parimenti differisce il nitrito,
quando un polledro nel fiore dell'età infuria fra le cavalle,
colpito dagli sproni di amore alato,
e con le froge dilatate freme movendo all'assalto,
e quando, in altri casi, nitrisce con membra tremanti?
Infine, le specie degli alati e i vari uccelli,
gli sparvieri e le aquile marine e gli smerghi
che cercano il nutrimento e la vita nei salati flutti del mare,
in un tempo diverso gettano gridi di gran lunga diversi
da quando contendono per il cibo e le prede fanno resistenza.
E alcuni mutano col mutare del tempo i rauchi canti,
come le longeve stirpi delle cornacchie e le frotte dei corvi,
di cui si dice che a volte invochino l'acqua e la pioggia,
altre volte chiamino i venti e le brezze.
Dunque, se sensi diversi costringono gli animali,
benché siano privi di parola, a emettere voci diverse,
quanto è più naturale che gli uomini allora abbian potuto
designare cose dissimili con suoni differenti fra loro!