martedì 31 luglio 2007

La dimensione dell'inconscio

Ossessioni, visioni, incubi, sogni esprimono la dimensione inconscia dell'animo umano.
"Secondo una definizione intuitiva, l'inconscio è l'insieme di quegli aspetti della mente che non sono accessibili alla coscienza. In questo senso si può parlare di meccanismi inconsci, in quanto si suppone che esista una "fabbrica" dei pensieri e delle idee che noi non conosciamo. Ma si può parlare anche di idee inconsce e di fantasie inconsce. Si suppone che ci sia un mondo dietro lo specchio: da una parte il mondo che ci è accessibile, il mondo dei fenomeni che è percepito dalla nostra coscienza; dall'altra parte dello specchio una specie di doppio, in cui esistono altre idee, altri pensieri, altre immagini, altri ricordi " ( G. Jervis )

E' stato Sigmund Freud agli inizi del '900 a dare una definizione ed una configurazione scientifica al concetto, precisandolo in senso psicologico e non filosofico. Oltre al legame che Freud vede tra le dinamiche dell'inconscio e la sessualità, è importante l'analisi relativa all'idea di rimozione.
Con questo termine Freud intende una sorta di autocensura della psiche a riconoscere, far emergere, dare significato a idee, ricordi, fantasie, desideri e pulsioni del nostro passato. Tali elementi continuano ad agire profondamente e segretamente dentro di noi, ma restano preclusi alla nostra coscienza. Essi si manifestano nei momenti di minor controllo della nostra ragione: ad esempio nei sogni, nelle visioni, ma anche attraverso gli atti mancati, i lapsus, i caratteri originali dei nostri atteggiamenti e del nostro linguaggio.
Nell'arte e nella letteratura l'esistenza più o meno esplicitamente riconosciuta di una dimensione inconscia nell'animo umano, ha da sempre influenzato i linguaggi espressivi. In generale la scelta - apparentemente inspiegabile a livello comunicativo - di immagini, contesti, intrecci particolarmente lontani dalla realtà esperibile, si riconduce all'inconscio, che riproduce fertilmente - nell'abbandono dell'ispirazione artistica - ricchi repertori di elementi dal valore analogico e simbolico. In particolare il linguaggio poetico - con i suoi continui scarti semantici - sperimenta le potenzialità visionarie e talvolta allucinatorie del sogno e dell'immaginario in genere.
Anche alcuni narratori sperimentano le potenzialità dell'inconscio, ricreando situazioni fortemente segnate da angosce, incubi, fobie, ansie persecutorie ( Poe, Kafka ) oppure dall'immagine conturbante del doppio che alberga misteriosamente nella nostra personalità ( Stevenson, Wilde). Al di là degli esiti narrativi molto diversi, sarà interessante esaminare quali espedienti espressivi questi autori mettono in campo non solo per rappresentare la loro esperienza allucinatoria, ma anche in qualche modo per farla rivivere al lettore.

Il grafo evidenzia quattro aree di analisi nella vastissima panoramica di ambiti e prospettive che abbraccia la tematica dell'inconscio. 

- In basso a sinistra la parola chiave follia  richiama le degenerazioni, purtroppo stabili, della razionalità, che subisce la forza devastante dell'inconscio, perenne produttore di realtà sostitutive, provocando il pericoloso allontanamento dai rapporti comunicativi.

- In basso a sinistra si ricorda che il tema dell'inconscio è legato all'inscindibile legame della mente con il corpo, con i suoi desideri, le sue pulsioni, i suoi istinti. Esso si configura in Freud, ad esempio, come strumento per dar vita - in modalità simboliche e deviate - alla sessualità. Più generalmente la rimozione investe nel profondo la nostra psiche ed attinge - misteriosamente - dall'io i materiali per creare le sue realtà sostitutive ( sogni e visioni ad esempio ).

- in alto a destra si richiamano alcune modalità di manifestazione dell'inconscio che la letteratura ha valorizzato. I concetti di memoria involontaria e di flusso di coscienza caratterizzano ogni recupero istintivo ed apparentemente incontrollato del passato; un passato perlustrato attraverso approssimazioni progressive, che fanno emergere sempre più nitidamente realtà ricomposte e rivisitate con gli occhi del presente. La casualità delle situazioni che producono lo scatto della memoria involontaria - accanto alla ricchezza delle elaborazioni mentali indotte - sono rintracciabili nell'opera di  Proust Alla ricerca del tempo perduto.

- Infine nello spazio in alto a sinistra si richiama il legame che unisce le forze inconsce dell'animo alla caratterizzazione analogico-simbolica della poesia moderna. Come si è già accennato solo l'abbandono dei legami comunicativi del linguaggio e l'assunzione dei suoi valori evocativi, associativi, correlativi, simbolici e metaforici...può produrre un'arte profonda e sincera, che accetta la sfida comunicativa con il lettore- ascoltatore, impegnandolo a penetrare in profondità l'individualità di ogni artista.
 

La dodecafonia è una tecnica compositiva ideata da Arnold Schoenberg (1874-1951),

Il compositore Arnold Schönberg (Vienna 1874 - Los Angeles 1951) è, con Stravinskij, Bartók e con i "condiscepoli" Berg e Webern, uno dei padri della musica del Novecento, nonché il massimo esponente dell'Espressionismo musicale. Rifondò il linguaggio musicale dapprima attraverso l'atonalismo (sostanzialmente, l'abolizione della gerarchia dei suoni propria del sistema tonale e il conseguente "comunismo" dei 12 suoni), e poi attraverso l'elaborazione del sistema dodecafonico, fondato sistematicamente sull'uso di serie di suoni comprendenti tutti e 12 le altezze del sistema temperato). Il suo apprendistato fu tuttavia disordinato, tanto che amava definirsi autodidatta e violoncellista dilettante, benché da giovane avesse ricevuto consigli e insegnamenti da parte del concittadino Zemlinsky. Visse a Vienna e a Berlino, dove soggiornò dal 1901 al 1903, dal 1911 al 1915 e dal 1926 (prese il posto di Busoni all'Accademia delle Arti) al 1933, quando l'avvento del nazismo lo costrinse a lasciare la Germania per stabilirsi a Los Angeles. Dal 1936 al 1944 insegnò presso l'Università della California. Il catalogo schönberghiano non è vastissimo, ma presenta capolavori in tutte e tre le fasi dell'evoluzione linguistica del compositore. Tra le opere tardo-romantiche si ricordano il sestetto Verklärte Nacht (1899) e il poema sinfonico Pelléas und Mélisande (1902-03), da Maeterlick. Tra quelle atonali, la Kammersymphonie op.9 (1907), il monodramma Erwartung (L'attesa, 1909) e Pierrot lunaire op.21 (1912). Tra quelle dodecafoniche, la Suite op.25 per pianoforte (1921-23) e l'opera incompiuta Moses und Aron. Fondamentale anche la sua opera didattica, di cui è significativa testimonianza il Manuale d'armonia. Tale tendenza (denominata in modo eloquente emancipazione della dissonanza) è evidente in compositori di estrazione culturale eterogenea quali Richard Wagner, Richard Strauss, Alexander Scriabin, Claude Debussy, Maurice Ravel, Béla Bartók, Igor Stravinskij, Ferruccio Busoni, oltre allo stesso Schoenberg, e comportava un progressivo infittirsi della trama armonica, con l'impiego di accordi sempre più densi. Dagli accordi di tredicesima, nei quali le sette note della tonalità sono tutte presenti, si passò ad introdurre note estranee alla tonalità, dapprima giustificate attraverso artifici armonici noti — ma combinati tra loro in maniera sempre più massiccia e imprevedibile — poi introdotte prescindendo dalla logica tonale fino a raggiungere il totale cromatico, vale a dire la compresenza delle 12 note all'interno dello stesso spazio musicale o dello stesso agglomerato sonoro (che non si può più, d'ora in avanti, definire accordo).CaratteristicheÈ a partire da questa situazione storica che Schönberg teorizza ed applica il suo «Metodo di composizione con 12 note imparentate solo le une alle altre». Il sistema dodecafonico prevede la creazione di una serie, cioè una successione di 12 suoni che esaurisca il totale cromatico. La composizione sarà basata sull'impiego sistematico della serie, sia orizzontale che verticale, e sul principio classico della variazione. Questo tipo di architettura musicale comporta l'assenza di un centro tonale globalmente riconoscibile, poiché nessuno dei 12 suoni della serie viene impiegato con frequenza maggiore degli altri. Poiché però il riconoscimento di un centro tonale non dipende solo dalla frequenza media di apparizione di una nota, ma anche dalle particolari successioni orizzontali e verticali adoperate, anche nella musica dodecafonica si avvertono (e nelle opere di Schoenberg sono sfruttati consapevolmente e intensivamente) residui di forza armonica tonale nei singoli passaggi accordali. Nella musica dodecafonica la serie viene utilizzata per formare sia successioni melodiche, sia agglomerati sonori, sincronizzando più note. Inoltre vi sono impiegati i classici metodi di variazione tematica provenienti dalla musica contrappuntistica: la serie può essere impiegata nell'ordine iniziale oppure dall'ultimo suono al primo (serie per moto retrogrado) oppure invertendo specularmente la direzione degli intervalli (serie per moto contrario) o anche combinando le due tecniche precedenti (contrario del retrogrado). Nel complesso la dodecafonia costituì una notevole semplificazione dell'organizzazione musicale rispetto alla situazione immediatamente precedente, in cui, come si diceva, gli artifici armonici impiegati avevano complicato enormemente la musica tonale.Gli sviluppi della dodecafonia La prima composizione basata parzialmente sul metodo dodecafonico fu il n.5 "Pezzi per pianoforte op. 23" di Schoenberg, cosi come parzialmente venne utilizzata per la "Serenata op. 24 per 7 strumenti"; l'utilizzo completo all'interno di un pezzo musicale si avrà nella "Suite op. 25 per pianoforte". In seguito Schoenberg scrisse molte composizioni dodecafoniche, ma in genere la sua tecnica seriale non era troppo rigida, e negli ultimi lavori egli si allontanò ulteriormente dal metodo. Tra gli esponenti di rilievo della dodecafonia vanno citati i due allievi di Schönberg, Alban Berg e Anton Webern, l'uno con una sua visione personale del metodo dodecafonico (del quale si serviva liberamente, come d'altronde il suo maestro), l'altro con una propensione all'utilizzo ferreo della tecnica seriale. In tal modo dalla dodecafonia nascerà la serialità integrale, dove le serie sono prodotte non solo sfruttando l'altezza delle note ma anche altri parametri musicali, quali la durata e il timbro. Webern fu preso come punto di riferimento da molti compositori

lunedì 30 luglio 2007

 IL CONVITO DI PLATONE - UNA CONVERSAZIONE SULL'AMORE

  Platone, tramite il racconto di Apollodoro, discepolo di Socrate, ci fornisce degli elementi di riflessione sul tema dell’Amore. Apollodoro, amico e discepolo di Socrate, racconta le conversazioni tra Socrate, Aristofane ed altri commensali, avvenute durante la cena organizzata dal poeta tragico Agatone per festeggiare la sua vittoria ad un concorso letterario. A conclusione della serata, gli invitati al banchetto decidono di conversare su questo tema : ‘l’elogio della divinità Amore’. 
Ecco in sintesi gli interventi dei partecipanti. 
 Fedro 
L’ Amore è il più antico degli dei, va onorato più degli altri ed è quello tramite il quale si ottiene la felicità e la virtù come il coraggio e la forza di compiere grandi azioni. Fedro presenta alcuni esempi di come può intervenire Amore nell’uomo innamorato: morire per amore, difendere la persona amata, vergognarsi delle brutte azioni se visti dalla persona amata. Gli dei prediligono l’uomo che ama rispetto a chi riceve amore, perché ha comportamenti che lo rendono simile al dio Amore. 
Pausania 
Esistono due dee : la Celeste, figlia del Cielo che non ha madre e Pandemia, figlia di Giove e di Diana detta. L’amore che convive con Pandemia è volgare, orientato più al corpo che all’anima ed è preferito da gente mediocre e superficiale. L’amore della dea Celeste partecipa solo alla natura maschile , non segue l’aspetto corporale, fa nascere solide amicizie tra persone con una certa maturità. Corrispondere chi ama è ritenuta cosa bellissima se compiuta da persone oneste per un fine nobile. E’ cosa spregevole e volgare se ci si concede ad esseri spregevoli e se si ama più il corpo che l’anima e se ci si lascia sedurre dal denaro o dalla carriera, cose che non sono sicure e durevoli. ’E’ cosa bella’ concedersi per ottenere in cambio virtù e sapienza: in questo caso l’amante deve esser in grado di educare, la persona amata deve esser desiderosa di acquistare in ogni modo la sapienza. 
Eressimaco 
Riprende il concetto della doppia natura di Amore espresso da Pausania. Amore esiste in tutte le creature viventi, non solo negli uomini ma anche negli animali e nelle piante. Amore vive anche nella medicina che favorisce lo sviluppo delle parti sane dell’organismo ed agisce con intransigenza sulle parti malate. Eressimaco propone un’analogia tra la condizione di malattia e di salute del corpo umano e l’ Amore: è bello concedersi ad un virtuoso come è bello facilitare la crescita delle parti sane del corpo, è male amare un dissoluto come è male favorire lo sviluppo delle parti malate. La medicina è governata dal dio Amore come la ginnastica e l’agricoltura. Anche la musica , che è costituita da ritmo ed armonia, è scienza d’Amore : elementi inizialmente discordanti tra loro come il tono acuto ed il grave o come il ritmo veloce e lento, si sono armonizzati tra loro. Eressimaco trova le due forme di Amore anche nelle stagioni : il primo Amore porta abbondanza e salute a tutti gli esseri umani ed alle piante, il secondo Amore con la sua violenza porta distruzione e disordine. 
Aristofane 
Gli uomini non si sono accorti della grande potenza dell’Amore. Tra gli dei è quello più vicino agli uomini. In origine c’era l’ermafrodite che aveva le caratteristiche del maschio e della femmina con due facce e quattro gambe e tre sessi. La sua forza e arroganza non piacquero agli dei che decisero di tagliarlo in due creando così l’uomo. La nuova creatura iniziò a camminare con due gambe; dopo la separazione, una metà iniziò a desiderare il ricongiungimento con l’altra metà. Gli dei permisero allora la procreazione tra uomo e donna per perpetuare la specie. Amore perciò rappresenta la perduta unità ed il desiderio di riottenerla. L’uomo può raggiungere la felicità incontrando la persona che più gli è affine. 
Agatone 
Bisogna lodare Amore, il più bello, il più buono ed il più giovane tra gli dei , per i doni che ci offre. Amore risiede nel cuore e nell’animo degli dei e degli uomini. Amore vive anche tra i fiori e rimane solo nelle anime gentili, esce da tutto ciò che é rozzo e avvizzito sia nel corpo che nell'anima. Le virtù dell’Amore sono numerose: non fa torti, non subisce violenza perché non la tocca, ha la giustizia e la temperanza avendo il controllo sulle passioni e sui piaceri. Amore seduce Marte cioè la forza e quindi, essendo più forte colui che possiede rispetto a chi si lascia possedere, possiamo concludere che Amore è il più forte di tutti. Amore è sapiente ed è poeta. Chi è toccato da Amore è un buon poeta e ciò vale per ogni creazione artistica. Nell’attività artistica, chi è toccato da Amore diventa famoso ed illustre. Amore reca bellezza e bontà sia agli dei che agli uomini. 
Socrate 
Socrate esprime le sue riflessioni sull’argomento raccontando del colloquio avuto con Diotima, una donna sapiente della Mantinea, nota ad Atene perché era riuscita , con i suoi consigli,a ritardare di 10 anni la peste in città. Socrate fa sue le obiezioni di Diotima sulla visione dell’Amore di Agatone, un Amore presentato come dio e coincidente con la bellezza e la bontà. L’ Amore di Diotima non è bello né buono , né sapiente e né ignorante. L’ Amore è desiderio del bello e del buono perché ne è privo. Amore non è un dio perché non ha la bellezza e la bontà;è un demone che si colloca tra il mortale e l’immortale, tra il divino e l’umano. Questo demone è l’intermediario tra gli dei e gli uomini : comunica agli dei le preghiere ed i sacrifici degli uomini e gli dei parlano all’uomo attraverso esso. Amore è figlio di Poro, dio dell’abbondanza e di Penia, dea della povertà, viene concepito il giorno della nascita di Afrodite. E’ quindi amante del bello perché Afrodite è bella. Dalla madre ha ripreso le caratteristiche della miseria quindi non è delicato né bello, è selvatico, scalzo, vagabondo. Dal padre ha preso le caratteristiche di virilità, audacia, ha la passione della caccia e della voglia di sapere, abile ad ingannare e pronto ad insidiare il bello ed il buono. Non è mortale né immortale ma nasce e muore nello stesso giorno , non è ricco né povero, né sapiente come il padre né ignorante come la madre. Amore è anche filosofo perché ama le cose belle e la sapienza è tra le cose belle. Chi è amato è bello e perfetto in ogni suo aspetto e non va confuso con Amore che è colui che ama e che non è bello. Gli uomini amano il bene e lo vorrebbero possedere per sempre. Ciò si realizza quando si concepisce ‘nel bello con il corpo e con lo spirito’. Amore vuol dire produrre e creare nel bello, nell’armonia. La procreazione è legata al desiderio di immortalità dell’uomo che è essere mortale, l’unione tra l’uomo e la donna è procreazione ed è un atto divino realizzato perché c’è Amore. Chi vuole conoscere Amore deve avvicinarsi inizialmente alla bellezza fisica ed amare una sola persona . Poi deve capire che quella bellezza si può trovare anche in altri corpi e quindi deve amare tutto ciò che ha belle sembianze e non una sola persona. Poi deve accorgersi che la bellezza spirituale è superiore a quella fisica e quindi può amare una persona che ha una ‘bella anima‘ con un corpo non bello. Infine si dovrà rivolgere allo sterminato oceano della bellezza : bellezza nelle azioni, nelle istituzioni, nella scienza e nella sapienza. Quando si farà questo percorso d’amore si raggiungerà la consapevolezza dell’esistenza di una meravigliosa bellezza che è eterna, che non ha origine né fine, che è valida per tutti, che è sempre uniforme e non si identifica con qualcosa di corporeo in particolare. Questo cammino può esser percorso da soli o insieme : si inizia dalla contemplazione delle belle cose terrene e poi si passa ai corpi, alle attività umane, alla scienza fino ad arrivare alla contemplazione della bellezza in se. Questo sarà il momento per cui vale veramente la pena di vivere. 
 
Conclusioni 
Il testo di Platone è ricco di spunti di riflessione. 
Interessante il concetto di duplice natura dell'Amore di Pausania e di Eressimaco: l' Amore volgare interessato al corpo e l' Amore nobile rivolto all'anima. 
Mi é piaciuta la definizione di Socrate e Diotima che ci presenta Amore come un demone intermediario tra gli dei e l'uomo.
 Con Socrate abbiamo un punto di vista completamente diverso da quello offerto dagli interlocutori precedenti : Amore non é un dio ma un demone, non é bellezza nè sapienza ma é assenza di bellezza, assenza di sapienza. 
Gli elementi che caratterizzano Amore nella presentazione di Aristofane e degli altri, possono essere ottenuti , secondo Socrate, tramite il desiderio. Bellezza, bontà , sapienza quindi non come proprietà innata di Amore ma come obiettivo da raggiungere ed acquisire. Condivido questa idea : l'amore é desiderio di ottenere ciò che non abbiamo. L'amore ci dà la forza di raggiungere i nostri obiettivi superando le difficoltà che incontriamo. Pensiamo per esempio ai sacrifici che fa un genitore per amore dei propri figli. Questo concetto viene espresso esplicitamente da Fedro. 
L'idea di forza e potenza di Amore la esprime anche Agatone dicendo che Amore riesce a sedurre Marte, dio della guerra. 
Anche Socrate ci dà una definizione di Amore sinonimo di potenza: l' Amore può rinascere. Non è immortale perchè è un demone ma è indistruttibile proprio perchè può nascere e morire nello stesso giorno. Mi è piaciuto anche il percorso di Amore suggerito da Socrate per raggiungere la contemplazione della bellezza, un cammino interiore che può essere fatto da soli o con più persone, tenendo sempre presente che Amore é desiderio del bello. 
Originale infine la storia dell'origine della specie umana raccontata da Aristofane che ha come conseguenza l'innata ricerca da parte dell'uomo dell'altra sua 'metà'.
 
Realizzazione : Sergio Maccari 
Bibliografia : "Il Convito" di Platone traduzione di Nino Marziano editore Garzanti

AVANGUARDIE STORICHE a cura di Picchiotti Danilo

Questo termine e quindi questa tendenza che abbiamo appena accennato, lo si richiama per tutte quelle produzioni letterarie e artistiche che si propongono (o vorrebbero proporsi) come  innovative soluzioni del '900, dopo la grande "ondata rivoluzionaria" che sta spazzando via tutto un passato. Le soluzioni sono tante, perchè bastano quattro pittori per creare un proprio manifesto, una propria corrente, un nuovo progetto (che dovrebbe "rivoluzionare" tutto, arte, letteratura, musica) All'inizio di questo secolo, le varie "scuole" o "correnti" sono molte, tante, tantissime; e divengono movimenti artistici-letterari spesso legati a nuove ideologie, fedi, filosofie, teorie; che a loro volta sono molte anche queste, nascono come funghi in un letamaio; alcune sono vaghe, altre utopistiche, altre ancora rivoluzionarie, liberali, anarchiche;  perfino dentro in quella dottrina di lunga tradizione cattolica ci sono scissioni, creando delle diversità culturali e sociali, pochi anni prima impensabili. E quasi tutte -meno una, o al massimo due- si pongono fuori dalla tradizione; e ognuna sviluppa idee nuove, si inoltra in sentieri sconosciuti, unendosi con altri gruppi; oppure con scissioni dentro gli stessi gruppi. Nei primi due decenni del secolo, nascono e muoiono, cenacoli, associazioni, club e tante riviste letterarie dove spesso i redattori emigrano per fondarne o dirigerne un'altra. Tutti vogliono esprimere il senso di una realtà mobile, dinamica, sempre mutevole, in un ambiente e in un modo parossistico, non solo ironico. Nascono alle volte unite -e affermano a caratteri cubitali- per l'amore della cultura, ma al primo drammatico appuntamento del 1914-15 le spaccature ideologiche creano divisioni insanabili (come ne "La Voce" di PREZZOLINI, dove l'idealismo diventa militante, con l'Azionismo giovanile, fra pacifisti e interventisti).Il Novecento inizia così! E continuerà per tutto il secolo così. Con tante scremature dentro questo grande pentolone in ebollizione, fra guerre, rivoluzioni, altre guerre, tragedie, miserie, uomini sulla luna, riflussi e globalizzazioni. Con i ritmi del charleston, del jazz, poi con la struggente Lili Marlen, la melensa e più banale "vola colomba" e infine con il rock . Con quella radio, che sentenziò uno "...gli amanti della vera musica  questa gracchiante scatoletta la ripudieranno ben presto con disprezzo" , o un altro più tardi  "...sedersi davanti e poi guardare questo scatolone solo un cretino lo può fare, noi tutti stiamo vivendo in un mondo dinamico, motorizzato, con i club, lo sport, le gite, i bar, gli incontri vari, la Tv non avrà mai un futuro, è fuori epoca".Un mondo quello del '900,  in mezzo anche a sapori nuovi, come quello delle "mille bollicine", e che termina con una bella spalmata di gratificante cioccolata sul pane. "Che mondo sarebbe altrimenti"? Il mondo pazzo del '900 lo abbiamo visto com'è stato! E' terminato ieri e ha passato il testimone al 2000, che nonostante il consolante slogan, non sappiamo proprio nulla di come sarà. Anzi non sappiamo nemmeno più  noi chi siamo; siamo diventati tutti degli Espressionisti.Come atteggiamento però, perchè in quanto a contenuti spesso si vede solo "il nulla".Tutto è in mano alla cosiddetta "industria culturale";  si stampa solo se c'è il profitto del proprietario; che della cultura (o delle nuove avanguardie) non gli interessa proprio nulla.Ultimamente un famoso filosofo italiano dopo aver scritto una prefazione, l'editore non l'ha pubblicata perché non conforme al suo pensiero. Sul Corriere della Sera l'autore così ha commentato: "Mi hanno comunque pagato, e questa è la cosa più importante, di tutto il resto me ne frego". Iniziando il 1900, Apollinaire aveva profetizzato: "Il '900? sarà un'epoca d'ignoranza e di frenesia".E non aveva visto ancora nulla! Chissà cosa avrebbe detto a questo nuovo inizio del secolo!
La poetica della pittura Metafisica
La Metafisica è l’altro grande contributo all’arte europea che provenne dall’Italia, nel periodo delle avanguardie storiche. Per la sua palese figuratività, esente da qualsiasi innovazione del linguaggio pittorico, la Metafisica è da alcuni esclusa dal contesto vero e proprio delle avanguardie.Tuttavia, fornì importanti elementi per la nascita di quella che è considerata l’ultima tra le avanguardie: il Surrealismo. Protagonista e inventore di questo stile fu Giorgio De Chirico. Iniziò a fare pittura metafisica già nel 1909, anno di nascita del Futurismo. Rispetto a quest’ultimo movimento, la Metafisica si colloca decisamente agli antipodi. Nel Futurismo è tutto dinamismo e velocità, nella Metafisica predomina la stasi più immobile. Manca la velocità e tutto sembra congelarsi in un istante senza tempo, dove le cose e gli spazi si pietrificano per sempre.Il Futurismo vuol rendere l’arte un grido alto e possente, nella Metafisica predomina invece la dimensione del silenzio più assoluto.Il Futurismo vuole totalmente rinnovare il linguaggio pittorico; la Metafisica si affida invece agli strumenti più tradizionali della pittura: soprattutto la prospettiva.Si potrebbe pensare che la metafisica sia alla fine solo un movimento di retroguardia fermo a posizioni accademiche, invece riesce a trasmettere messaggi totalmente nuovi, la cui carica di suggestione è immediata e evidente.Le atmosfere magiche e enigmatiche dei quadri di De Chirico colpiscono proprio per l’apparente semplicità di ciò che mostrano. Invece le sue immagini mostrano una realtà che solo apparentemente assomiglia a quella che noi conosciamo dalla nostra esperienza. Uno sguardo più attento ci mostra che la luce è irreale e colora gli oggetti e il cielo di tinte innaturali. La prospettiva, che sembrava costruire uno spazio geometricamente plausibile, è invece quasi sempre volutamente deformata, così che lo spazio acquista un aspetto inedito. Le scene urbane, che sono protagoniste indiscusse di questi quadri, hanno un aspetto dilatato e vuoto. In esse predomina l’assenza di vita e il silenzio più assoluto.Le rappresentazioni di De Chirico superano la realtà, ci mostrano una nuova dimensione del reale. Da ciò il termine «metafisica» usata per definirla. Le immagini di De Chirico sono il contesto ultimo a cui può pervenire la realtà creata dal nostro vivere. La Metafisica, come movimento dichiarato, sorse solo nel 1917, a Ferrara, dall’incontro tra De Chirico e Carlo Carrà. Quest’ultimo proveniva dalle file del Futurismo, ma se ne era progressivamente distaccato. L’incontro con De Chirico lo convinse al recupero della figura e all’esplorazione di quel mondo arcaico e fisso che caratterizza la pittura metafisica di De Chirico. Alla metafisica si convertì anche Giorgio Morandi, che nella purezza e severità delle immagini metafische trovò la sua cifra stilistica più personale. Alla metafisica aderirono, seppure a tratti, altri pittori italiani, tra cui Alberto Savinio (all'anagrafe Andrea Francesco Alberto de Chirico, fratello di De Chirico), Filippo De Pisis, Mario Sironi e Felice Casorati. Nel 1921 il gruppo della Metafisica era già sciolto, dato che la maggior parte dei suoi protagonisti si erano aggregati intorno alla corrente di Valori Plastici. La pittura metafisica di fatto non scomparve, restando una cifra di fondo, molto riconoscibile, di Giorgio De Chirico e di molti degli artisi
CUBISMO
Cubismo Il termine cubismo viene fatto risalire a una osservazione di Henri Matisse davanti a un paesaggio, l'Estaque, espost esposto da Georges Braque al Salon d'Automne del 1908. La frase di Matisse, che parlò di “piccoli cubi”, fu raccolta dal critico d'arte Louis Vauxcelles che, per primo, usò la parola cubismo in un suo articolo. L'anno precedente era stata pubblicata una raccolta di lettere indirizzate nel 1904 a Emile Bernard da Paul Cézanne che, pur non rinunciando mai da parte sua ad applicare le regole della prospettiva tradizionale, aveva parlato della possibilità di “traiter la nature par le cylindre, le cône et la sphère”, cioè di vedere le forme naturali sotto l'aspetto di solidi geometrici. Ispirandosi alla frase di Cézanne, Braque aveva sostituito nel suo dipinto l'abituale tecnica di modellato con una composizione a piani nettamente accentuati. Dal 1906-1907, d'altra parte, Picasso aveva dipinto, sotto l'influsso della scultura negra, le Demoiselles d'Avignon con violente ed elementari semplificazioni di forme. Il movimento trovò subito un attivissimo sostenitore in Henry Kahnweiler, mercante e appassionato d'arte, al quale si unirono ben presto i poeti Guillaume Apollinaire, André Salmon, Max Jacob, il matematico Princet, il critico d'arte Maurice Raynal. Vennero gradualmente formandosi i princìpi fondamentali del cubismo, primo fra tutti quello della rinuncia alla rappresentazione diretta degli oggetti, che vanno ricreati, dopo essere stati scomposti negli elementi costitutivi, mediante un'operazione per cui la pittura, appropriandosi i metodi della scienza, diviene strumento conoscitivo e si rivolge direttamente all'intelletto, senza passare attraverso impressioni essenzialmente fisiche. Il pittore cubista cerca di rappresentare simultaneamente sulla tela diversi aspetti del medesimo oggetto, ovvero ciò c...

venerdì 27 luglio 2007

  Hegel:" l'estetica"

Quali sono le manifestazioni dell’assoluto? Una di esse è nota a tutti ed è assai familiare: l’arte. L’opera d’arte ci affascina profondamente, perché in essa riconosciamo noi stessi (anche se l’espressione «noi stessi» non si riferisce alla sfera privata del singolo, bensì a ciò che sa parlare a tutti noi): è qualcosa di cui tutti facciamo esperienza nell’arte. Adesso mi trovo in un locale, alle cui pareti sono appese testimonianze dell’arte figurativa. Se percorriamo con lo sguardo questa collezione attraverso le varie epoche, abbiamo la sensazione che l’intera tradizione delle arti figurative, ma anche tutto il copioso universo della letteratura, ci accompagnino sempre con il loro messaggio, e che forse, al giorno d’oggi, circondati come siamo dalla secolarizzazione e dalla trasformazione tecnica del mondo, l’arte possieda un valore espressivo particolare. Già solo l’arte basta a ricordarci che un mondo completamente secolarizzato non può più definirsi a pieno titolo un «mondo». Di esso fa parte, infatti, anche la trascendenza, ovvero la necessità che abbiamo noi uomini (sospesi tra la nascita e la morte) di pensare al di là di noi stessi. Anche prima che l’ultimo bagliore di vita si sia spento, prima che l’ultimo respiro sia stato esalato, già durante la nostra esistenza, ciascuno di noi (singolarmente e nella società) ha sempre e comunque trasceso, nel pensiero, il mistero della morte e il destino dell’uomo. In questo senso la religione è molto vicina all’arte. Una volta essa era immediatamente presente nelle grandi opere plastiche dell’arte greca, che raffiguravano le divinità. Oggi, grazie all’annuncio del cristianesimo, capiamo che l’aldilà di Dio concorre a determinare profondamente l’aldiqua della nostra esistenza terrena.Ci stiamo dunque occupando della vicinanza tra l’arte e la religione. Per far luce su questa prossimità, illustrerò le Lezioni di estetica, che sono tra le più belle di Hegel. Questo corso universitario fu inaugurato da Hegel a Heidelberg, una città che, non a caso, è così privilegiata dalle Muse: era la patria del Volkslied, vi si trovavano le grandi raccolte di canti popolari e di fiabe; insomma: lo spirito del Romanticismo con tutto il suo incanto e la sua magia.
di Hans-Georg Gadamer

IL BELLO NELL’ARTE

Più tranquilla è la posizione del corpo e più è in grado di esprimere il vero carattere dell’anima: in tutte le posizioni che troppo si allontanano da quella del riposo,l’anima non si trova nel suo stato normale ,ma in uno stato di costrizione e di violenza.L’anima si fa più facilmente conoscere ed è più caratteristica nelle forti passioni,ma grande e nobile è solo in stato d’armonia,cioè di riposo.Nel Laocoonte la sola espressione del dolore sarebbe stata parenthyrsus;l’artista gli diede perciò,per rappresentare insieme la caratteristica e la nobiltà dell’anima,l’atteggiamento che ,con un dolore simile,più si avvicina allo stato di riposo.Ma in questo riposo l’anima dev’essere caratterizzata da tratti che ad essa e non ad altre  anime si addicono,per apparire calma ma allo stesso tempo attiva, quieta ma non indifferente nè addormentata.La nobile semplicità e la quieta grandezza delle statue greche costituiscono il vero segno caratteristico degli scritti greci dei tempi migliori,degli scritti,cioè,della scuola di Socrate;e sono anche le qualità che fanno la particolare grandezza di Raffaello,alla quale egli giunse mediante l’imitazione degli antichi.
DI Johann J.Winckelmann

Arte astratta ed arte informale -a cura di Vilma Torselli

Ciò che va rilevato è che l'Astrattismo, nelle sue varie forme, compie in sostanza un'opera di allontanamento, di astrazione, di straniamento dalla realtà naturalistica, mutevole e fenomenica, entro la quale viviamo, il che implica, comunque, l'intenzione di rapportarsi con essa, se non altro per negarne o stravolgerne le forme, secondo la ricerca consapevole di una spiegazione filosofica, e in definitiva razionale, del legame referenziale fra immagine e realtà.Sul tema dell'Astrattismo è particolarmente significativo un libro scritto nel 1908 da Wilhelm Worringer, fra i primi ad utilizzare tale termine, "Astrazione e Empatia", che analizza la posizione in cui si pone l'uomo nei confronti della natura, distinguendo un atteggiamento di einfuhlung (empatia), un sostanziale equilibrio, una comunione spirituale fra essere umano e mondo reale, da un atteggiamento di rifiuto, di angoscia e precarietà per la condizione dell'essere uomo: secondo Worringer, proprio da questo stato di estraneità fra essere umano e natura nasce il desiderio di allontanamento da essa, la volontà di astrarsi, e da questo rapporto non naturalistico deriva la rappresentazione non conforme di una realtà alla quale l'artista non riconosce di appartenere, dando quindi origine alla pittura astratta.La seconda guerra mondiale, un'immane tragedia che sconvolge in profondità la coscienza storica e filosofica dell'umanità, incide in modo molto significativo sulla struttura culturale del tempo, e sull'arte in particolare.La necessità di rifondare una società disgregata, il desiderio di rinnovamento e di rinascita, la necessità di esprimere liberamente tensioni e pulsioni interiori in modo immediato, spingono l'evoluzione del linguaggio artistico dei pittori dell'epoca verso posizioni trasgressive e antitradizionaliste, come sempre era avvenuto in passato quando si affermava il desiderio di cambiare (basti pensare al Dadaismo e ai movimenti avanguardisti in genere), di rompere i ponti con il passato, qualunque esso fosse: in questo caso, era anche l'Astrattismo.In questo clima storico-culturale si afferma la pittura informale, che si configura subito come antagonista del passato, come rifiuto di qualsiasi legame culturale con esso, peraltro già reciso dalla guerra, come trionfo dell'irrazionale e negazione di quel substrato intellettuale e spirituale che caratterizzava la pittura astratta.Come sempre, l'Informale ha relazioni e dipendenze dal passato che pure nega, collegandosi soprattutto ai recenti movimenti artistici europei, dall'Impressionismo in poi, a conferma che la storia dell'umanità, e con essa la storia dell'arte, si svolge senza soluzione di continuità e che ogni presente è figlio del suo passato: ha la carica emotiva dell'Impressionismo, l'anticonformismo dei dadaisti, l'aggressività dell'Espressionismo, il misticismo della pittura surreale.Particolarmente significativa è, nell'ambito della pittura informale, l'opera dell'americano Jackson Pollock, il quale, forse perchè americano ed in un certo senso più avulso dalla cultura pittorica precedente, eminentemente europea, concretizza il suo linguaggio poetico in un gesto liberatorio che simbolicamente cancella ogni traccia del passato ed inventa un nuovo linguaggio formale, il dripping, sorprendente, trasgressivo, eppure così memore dell'empatia di tanta pittura europea data per superata.

Vasilij Kandinskij il padre dell'astrattismo, La spiritualità nell'arte

Kandinskij nelle sue opere espone le sue teorie sull'uso del colore, intravedendo un nesso strettissimo tra opera d'arte e dimensione spirituale. Il colore può avere due possibili effetti sullo spettatore: un effetto fisico, superficiale e basato su sensazioni momentanee, determinato dalla registrazione da parte della retina di un colore piuttosto che di un altro; un effetto psichico dovuto alla vibrazione spirituale (prodotta dalla forza psichica dell'uomo) attraverso cui il colore raggiunge l'anima. Esso può essere diretto o verificarsi per associazione con gli altri sensi.L'effetto psichico del colore è determinato dalle sue qualità sensibili: il colore ha un odore, un sapore, un suono. Perciò il rosso, ad esempio, risveglia in noi l'emozione del dolore, non per un'associazione di idee (rosso-sangue-dolore), ma per le sue proprie caratteristiche, per il suo "suono interiore". Kandinskij utilizza una metafora musicale per spiegare quest'effetto: il colore è il tasto, l'occhio è il martelletto, l'anima è un pianoforte con molte corde.
Il colore può essere caldo o freddo, chiaro o scuro. Questi quattro "suoni" principali possono essere combinati tra loro: caldo-chiaro, caldo-scuro, freddo-chiaro, freddo-scuro. Il punto di riferimento per i colori caldi è il giallo, quello dei colori freddi è l'azzurro. Alle polarità caldo-freddo Kandinskij attribuisce un doppio movimento: uno orizzontale ed uno radiante. Il giallo è dotato di un movimento orizzontale che lo fa avanzare verso lo spettatore rispetto al piano in cui è fisicamente, inoltre è dotato di un movimento eccentrico-cenrifugo perché si allarga verso l'esterno, abbaglia, respinge. L'azzurro è dotato di un movimento orizzontale che lo fa indietreggiare dallo spettatore ed è dotato di un movimento concentrico-centripeto perché si avvolge su sé stesso, esso crea un effetto di immersione, attira lo spettatore.
Kandinskij, sempre in base alla teoria secondo la quale il movimento del colore è una vibrazione che tocca le corde dell'interiorità, descrive i colori in base alle sensazioni e alle emozioni che suscitano nello spettatore, paragonandoli a strumenti musicali. Egli si occupa dei colori primari (giallo, azzurro, rosso) e poi di colori secondari (arancione, verde, viola), ciascuno dei quali è frutto della mescolanza tra due primari. Analizzerà anche le proprietà di marrone, grigio e arancione.
Il giallo è dotato di una follia vitale, prorompente, di un'irrazionalità cieca; viene paragonato al suono di una tromba, di una fanfara.
L'azzurro è il blu che tende ai toni più chiari, è indifferente, distante, come un cielo artistico; è paragonabile al suono di un flauto.
Il rosso è caldo, vitale, vivace, irrequieto ma diverso dal giallo, perché non ha la sua superficialità. L'energia del rosso è consapevole, può essere canalizzata. Più è più chiaro e tendente al giallo, più ha vitalità, energia. Il rosso medio è profondo, il rosso scuro è più meditativo. È paragonato al suono di una tuba.
L'arancione esprime energia, movimento, e più è vicino alle tonalità del giallo, più è superficiale; è paragonabile al suono di una campana o di un contralto.
Il verde è assoluta mobilità in una assoluta quiete, fa annoiare, suggerisce opulenza, compiacimento, è una quiete appagata, appena vira verso il giallo acquista energia, giocosità. Con il blu diventa pensieroso, attivo. Ha i toni ampi, caldi, semigravi del violino.
Il viola, come l'arancione, è instabile ed è molto difficile utilizzarlo nella fascia intermedia tra rosso e blu. È paragonabile al corno inglese, alla zampogna, al fagotto.
Il blu è il colore del cielo, è profondo; quando è intenso suggerisce quiete, quando tende al nero è fortemente drammatico, quando tende ai toni più chiari le sue qualità sono simili a quelle dell'azzurro, se viene mischiato con il giallo lo rende malto, ed è come se la follia del giallo divenisse "ipocondria". In genere è associato al suono del violoncello.
Il grigio è l'equivalente del verde, ugualmente statico, indica quiete, ma mentre nel verde è presente, seppur paralizzata, l'energia del giallo che lo fa variare verso tonalità più chiare o più fredde facendogli recuperare vibrazione, nel grigio c'è assoluta mancanza di movimento, che esso volga verso il bianco o verso il nero.
Il marrone si ottiene mischiando il nero con il rosso, ma essendo l'energia di quest'ultimo fortemente sorvegliata, ne consegue che esso risulti ottuso, duro, poco dinamico.
Il bianco è dato dalla somma (convenzionale) di tutti i colori dell'iride, ma è un mondo in cui tutti questi colori sono scomparsi, di fatto è un muro di silenzio assoluto, interiormente lo sentiamo come un non-suono. Tuttavia è un silenzio di nascita, ricco di potenzialità; è la pausa tra una battuta e l'altra di un'esecuzione musicale, che prelude ad altri suoni.
Il nero è mancanza di luce, è un non-colore, è spento come un rogo arso completamente. È un silenzio di morte; è la pausa finale di un'esecuzione musicale, tuttavia a differenza del bianco (in cui il colore che vi è già contenuto è flebile) fa risaltare qualsiasi colore.
La composizione pittorica è formata dal colore, che nonostante nella nostra mente sia senza limiti, nella realtà assume anche una forma. Colore e forma non possono esistere separatamente nella composizione. L'accostamento tra forma e colore è basato sul rapporto privilegiato tra singole forme e singoli colori. Se un colore viene associato alla sua forma privilegiata gli effetti e le emozioni che scaturiscono dai colori e dalla forma vengono potenziati. Il giallo ha un rapporto privilegiato con il triangolo, il blu con il cerchio e il rosso con il quadrato. Molto importante è anche l'orientamento delle forme sulla superficie pittorica, ad esempio, il quadrato su un lato è solido, consapevole, statico; su un vertice (losanga) è instabile e gli si assocerà un rosso caldo, non uno freddo e meditativo. La composizione di un quadro non deve rispondere ad esigenze puramente estetiche ed esteriori, piuttosto deve essere coerente al principio della necessità interiore: quella che l'autore chiama onestà. Il bello non è più ciò che risponde a canoni ordinari prestabiliti. Il bello è ciò che risponde ad una necessità interiore, che l'artista sente come tale.

giovedì 26 luglio 2007

Alla scoperta del REIKI   

 Il Reiki è una parola giapponese che significa " energia vitale universale". L'universo è circondato da spazio che è pieno di energia infinita ed inesauribile. Il Reiki è energia terapeutica naturale ed essa fluisce in forma forte e concentrata lungo le mani del canale reiki. Per attivarla bisogna ricevere l'iniziazione durante un seminario da un Reiki Master autorizzato. Dato che il Reiki è energia divina universale, appartiene a tutti coloro che sono pronti ad accettare il "dono delle mani guaritrici". Nasciamo tutti con questa energia vitale universale, ma nel corso della vita il "canale ", si sporca e si ostruisce (per traumi, per condizionamenti, per pregiudizi, per blocchi, per malattie, ecc.) creando così patologie avvolte non curative.Il significato della parola Reiki è nella suddivisione della stessa in due parti , cioè: Rei che significa "energia vitale universale" e Ki che è una parte del Rei e scorre in tutto ciò che vive, è dunque la nostra energia vitale., il Ki a sua volta ha significati diversi a seconda dell'appartenenza, per es.: i cristiani traducono come "luce", i cinesi traducono come "chi", gli indù come "prana", i kahunas come "mana", ed anche detta bioplasma o bioenergia o energia cosmica.Nel sistema di Usui il Reiki è l'energia curativa che viene trasmessa al proprio organismo o a quello di altri con l'imposizione delle mani spontaneamente e senza concentrazione, qui la forza dell'energia fornita si regola secondo il bisogno del ricevente o beneficiario. Il Reiki attraversa qualsiasi materiale cioè passa attraverso qualsiasi materiale, vestiti, ingessatura, bende, metallo, ecc.
Il guaritore o l'operatore Reiki trasmette l'energia vitale universale lungo un canale energetico. Quando si infonde Reiki si diventa semplici canali, poichè "noi siamo Reiki", siamo "l'energia universale" - "Dio è in noi", colui che compie quest'opera. Non è attraverso il nostro ego, ma attraverso l'io-sono-presente, il sè divino che è dentro di noi, che la cura e la guarigione può avere luogo.
Il Reiki coadiuva le terapie mediche, come l'agopuntura, l'omeopatia, la cromoterapia, la chiroterapia, il massaggio cosmetico, il massaggio zonale dei piedi, il linfodrenaggio, le pratiche respiratorie, la psicoterapia, ecc. Il Reiki agisce dovunque si tocchi con le mani, dato che le mani-Reiki emanano, ovunque e sempre, il potere curativo. Il Reiki è, quindi, utile e vantaggioso per coloro che praticano la professione medica, guaritori, infermieri, chinesiterapisti, estetiste, terapisti della riabilitazione, e tutto il personale sanitario.Il Reiki apporta il giusto equilibrio tra anima e corpo ed agisce a tutti i livelli sia fisico, mentale, emotivo e psichico. Il Reiki esige la cura di sè, scioglie i blocchi, purifica da sostanze tossiche, equilibra i centri energetici (chakra), ristabilisce l'armonia e fluisce in quantità illimitata. Il Reiki di darà l'esperienza dello sviluppo spirituale, di darà una trasformazione, e proverai gratitudine.
Reiki è Condivisione.
Reiki è Amore Incondizionato.
Reiki è Donare a se stessi e agli altri.
Reiki è.
E' esistere. Per cui voi esistete, siete e condividete il dono delle mani guaritrici. Dentro di voi si è accesa la consapevolezza dell'Essere nell'Energia. Infatti Reiki è Energia Universale di Amore. Reiki è Amore. Amore è Armonia. Armonia è Bellezza, e l'Amore, secondo Aristofane, è semplicemente il nome che si dà al desiderio e alla ricerca della completezza, e Reiki è completezza. Tu sei Reiki e Reiki è te.Sei, dunque, in armonia e in pace con te stesso e col mondo. Il Reiki è la grazia divina, un dono incommensurabile.
Il Reiki ha la sua natura su le seguenti regole di vita spirituali:Per oggi sii libero e felice, Per oggi sii contento, Per oggi bada a te stesso, Vivi consapevole nl presente, Sii riconoscente dei tuoi benefici, Onora i tuoi genitori, i maestri e gli anziani, Guadagnati da vivere onestamente, Ama il tuo prossimo come te stesso, Sii riconoscente di tutto e abbi amore per tutte le creature. Ecco è su questi principi che ruota tutta la struttura Reiki. Energia di luce, di pace e di amore.Il Reiki è composto di tre livelli. Il primo livello che viene iniziato da un maestro-Reiki mette in contatto il corpo fisico con l'energia, Il secondo livello che apre i canali dell'energia mentale con la possibilità di inviare energia Reiki a distanza e il terzo livello dà l'accesso alla maestria e si entra nello spazio dell'energia spirituale. E' col master che si apre lo spazio della diffusione e iniziazione al Reiki.Il Reiki permette l'autoguarigione con le sessioni di autotrattamento, e vi posso dire che per esperienza personale funziona e aiuta molto, io mi sono curata da uno stato di profonda sofferenza interiore col Reiki, e vi garantisco che appena fuori dalla situazione di malessere ho voluto prendere i livelli fino al master, permettendo al mio essere interiore di crescere e di realizzarsi nella sua essenza. Sono grata e onorata di aver conosciuto il Reiki e di averlo ricevuto e ringrazio tutti coloro che mi danno la possibiltà di diffonderlo e di comunicarlo.Con Pace, Amore e Luce,
DI Annamaria Mazzè

ANDRE' BRETON E L'AMOUR FOU. di Alessandra Borsettii Venier

Il Surrealismo è una risorsa per ogni teoria di liberazione individuale e collettiva. E lo è se i suoi libri vengono rimessi in circolo. Adempiamo a questo impulso. E partiamo dalla parola Amore che i surrealisti, in maniera rabdomantica, misero sulle labbra della loro teoria. IL SURREALISTA BRETON E L'AMORE
Il surrealista vive il nutrimento del quotidiano scommettendo di possederne i diversi linguaggi e suggerne le scoperte. Il surrealismo non è la fuga nel sogno che rende la realtà un vulcano o una vescica sgonfia, come una vulgata semplicistica vorrebbe, ma il tentativo di entrare in un mondo più reale dell’universo logico e obiettivo. C’è un oltre surrealista per trovare l’Essere ma, a differenza dell’al di là religioso, l’oltre surrealista si compone in questo mondo si dilata nella nostra vita. È contraddittoriamente un al di là immanente, innervato negli esseri stessi, che vivendolo ne avranno la chiara percezione affidandosi contemporaneamente alla sua presenza. L’oltre individuato dai surrealisti si manifesta in eventi che gli uomini possono vivere e in cui l’oggetto, che sembra superare se stesso, si rivela nello stesso tempo come quotidiano e quasi-sacro, originario e sconvolgente. Breton, nel suo libro L’Amour fou, racconta «la sorpresa», che secondo lui, «deve essere ricercata per se stessa, incondizionatamente, esiste in un solo oggetto, nel groviglio del naturale e del sovrannaturale». L’amore proposto è quello che Stendhal definì amore-passione, e diventa subito, nelle scelte surrealiste, il motore che consuma tutti i cicli vitali. Ne sapevano qualcosa i personaggi di Catherine e Heathcliff in Cime tempestose. Amore-Passione. Nel trattino che tiene legate le due parole nascono tutti i momenti prestigiosi dell’universo, tutti i poteri della coscienza, tutta la forza del sentimento. Nell’amore avviene il crepitio di ogni scintilla conoscitiva: la sintesi suprema del soggettivo e dell’oggettivo e ci viene offerto quel rapimento che le lacerazioni artistiche propongono con il colore e i versi più o meno sciolti.Ma l’amore non può essere fine a se stesso, perché nella sua più profonda intenzione è amore di ciò che ama. Già nel Convivio di Platone, Socrate rifiuta, in questo senso, l’elogio retorico che Agatone ha pronunziato dell’amore: l’amore - dice - è amore dell’altro da sé, tende verso ciò che non ha. Così sono bandite tutte le forme di narcisismo: l’amore vero è amore dell’altro, amare è uscire da sé e non amarsi amando. Il surrealismo accetta questa logica.Per Breton la donna è il termine di un simile processo mistico. Mettendo fine alla serie dei presagi meravigliosi che l’annunciano prende il posto dell’assoluto. Così la descrive in Nadja: «Ti sei sostituita alle forme che mi erano più familiari, così come a parecchi aspetti del mio presentimento... tutto ciò che so è che questa sostituzione di persona si ferma a te, perché niente ti è sostituibile e, davanti a te, doveva per me finire da tempo immemorabile questa successione di enigmi terribili o affascinanti. Tu non sei un enigma per me. Dico che tu mi allontani per sempre dall’enigma, poiché tu esisti, come tu sola sai esistere...»La pluralità delle donne amate «alcune per anni, altre per un giorno» è evocata al principio dell’Amour fou. Appaiono sedute di fronte a dei personaggi «vestiti di nero» che rappresentano Breton nell’atto di amarle. E nelle pagine seguenti si sviluppa contraddittoriamente l’idea di un’essenza comune a tutti gli amori successivamente provati. In modo contraddittorio perché Breton non è convinto da tale idea e dice che l’amante non scoprirà «in tutti quei visi di donne che un solo viso: l’ultimo viso amato». Siamo davanti alla speranza che compaia il raggio dell’amore unico: le donne precedentemente amate non sarebbero per l’amante che l’annuncio e la promessa della donna attualmente amata. Soltanto lei è dunque veramente amata, le altre sono state amate per illusione e, se possiamo azzardare, in rapporto a lei. Breton è avvolto dalla nube preziosa della concezione platonica per la quale nessun essere concreto e finito potrebbe sostituire l’Amabile e diventare lo scopo unico dell’Amore. Però Breton ci consegna un quesito: la donna amata a cosa rinvia? Di che cosa l’amore è attesa? Quale speranza bisogna riporre nell’amore?
Il Convivio di Platone, che presenta tutte le ipotesi possibili relative alla natura di un amore che si incarna in una forma fisica (cioè di ogni amore diverso dall'amore per un Dio come nelle religioni), dà, a queste domande, una risposta intenzionalmente orientata verso l’unicità e la finitezza: la risposta di Aristofane. (Naturalmente Platone non la condivide). Aristofane dichiara che un tempo gli uomini erano fatti di due esseri umani messi insieme: avevano quattro mani, quattro gambe, due visi. Questi esseri avevano una grande forza e un immenso orgoglio. Vollero attaccare gli dei. Zeus, per evitare la loro rivolta e per indebolirli, li tagliò in due. Dunque l’uomo attuale non è che una metà di essere. Questa è la fonte originaria dell’amore. Ciascuno cerca ciò da cui è separato, la metà che ha perduto e, negli slanci d’amore, cerca di ritrovare l’unità che fu sua. La logica delle immagini doveva condurre Breton, che tende così a valorizzare l’umano e quindi la finitezza, a ritrovare questo mito. La sua aspirazione a possedere la verità in un’anima e in un corpo.
(Tutte le citazione sono tratte da L’Amor fou di Breton).
Claudio Di Scalzo
L'AMORE VERO DÀ SCANDALO
L’essere amato a cosa rinvia? Di che cosa l’amore è attesa? Quale speranza bisogna riporre nell’amore?
L’amore dà origine all’affettività coraggiosa che fa il bene a dispetto di tutte le ragioni al non-fare che propone la ragione. Le luci della ragione creano spesso delle zone d’ombra in cui si ritira, a volte fino a spegnersi, il voler fare originato dall’amore.
L’amore è la morale stessa, come la morale è la filosofia stessa, poiché, come per l’Eros di cui parla Diotima nel Convito di Platone, amare e filosofare sono una cosa sola. Naturalmente morale è il rifiuto delle false morali, degli pseudo atteggiamenti compiacenti verso «le buone azioni». La speranza da riporre nell’amore è che trasformi lo stato della coscienza sottraendola al peso dell’egoismo, e della compiacenza dell’Io per l’Io. Perché appaia l’amore bisogna che scompaia l’ego, l’amore infatti non può essere limitato: ama tutto l’altro. È interamente volto verso un altro da me e non un altro me. E fino alla fine dei tempi. Infatti cosa sarebbe un amore che decidesse di amare fino a… un certo punto, o che non amasse sempre di più. Fino a far stare il massimo d’amore nel minimo d’essere.
Alessandra Borsetti Venier

Aristofane e l'amore

All'origine del mondo, esistevano tre generi della stirpe umana: quello maschile, quello femminile e l'androgino, che partecipa del maschio e della femmina. La forma di ogni essere umano era circolare: quattro mani, quattro gambe, due volti su una testa sola, quattro orecchie, due organi genitali e tutto il resto come ci si può immaginare da ciò. Zeus è indotto a tagliare a metà questi esseri per la loro tracotanza, al fine di renderli più deboli."da tempo è dunque connaturato che negli uomini l'amore degli uni per gli altri che si fa conciliatore dell'antica natura e che tenta di fare un essere solo da due e di curare la natura umana. Ciascuno di noi dunque è come un contrassegno d'uomo, giacché è tagliato in due come sogliole, da uno diventa due."Ma da questa divisione in parti nasce negli umani il desiderio della primitiva congiunzione, tanto che le parti, una volta strette di nuovo nell'amplesso, muoiono di fame e di torpore per non volersi più separare."Questo è il motivo per il quale la nostra natura antica era così e noi eravamo tutti interi: e il nome d'amore dunque è dato per il desiderio e l'aspirazione all'interno."

PLATONE

L' AMORELa principale differenza tra l'amore di oggi e quello dei tempi di Platone è che al giorno d'oggi abbiamo in mente un amore "bilanciato",biunivoco,dove i due amanti si amano reciprocamente;ai tempi di Platone era univoco,uno amava e l'altro si faceva amare:nel mondo greco o l'uomo amava la donna o l'uomo amava l'uomo:l'omosessualità era diffusissima.Talvolta ci poteva essere un amore biunivoco,che Platone spiegava ricorrendo sempre alla teoria del flusso che intercorre tra gli occhi:secondo lui poteva venirsi a creare una situazione di "specchio":in realtà l'amato vede negli occhi di chi lo ama se stesso perchè vede riflessa la propria bellezza;è una concezione mitica che rievoca i celeberrimi versi di Dante:"amor,ch'a nullo amato amar perdona...":è come se chi è amato si innamorasse del sentimento stesso.Platone ci parla dell'amore(in Greco "eros",che designa l'amore passionale ed irrazionale,diverso da "agapè",l'amore puro)nel "FEDRO":in realtà gli argomenti trattati sono due: 1)l'eros 2)la retorica .Quella di Platone,oltre ad essere un'epoca di passaggio tra oralità e scrittura,è anche un'epoca in cui emerge un importante quesito:come si fanno ad educare i cittadini?Vi era chi rispondeva che l'unica via era la filosofia(tra questi Platone stesso),e chi,come Isocrate,sosteneva che per tale funzione ci fosse la retorica.Platone,dunque,vuole argomentare in difesa della filosofia:le vicende si svolgono nella campagna circostante Atene,in una calda giornata estiva.Protagonista è Socrate ,che si potrebbe dire sempre presente nei dialoghi di Platone sebbene man mano che l'autore matura tenda a sfumare;Socrate in campagna si imbatte in Fedro,un suo discepolo che ama i bei discorsi a tal punto da trascriverli tutti.I due si siedono al riparo dal sole sotto un platano e Fedro mostra a Socrate un'orazione di Lisia,uno dei più grandi oratori greci,che si è appena trascritto:è un'orazione riguardante l'amore a carattere "sofistico",si cercano cioè di dimostrare cose paradossali ed assurde:Lisia (va senz'altro notato come Platone ben riproduca lo stile lisiano)cerca di dimostrare come sia meglio concedersi a chi non ama:Lisia parte dal presupposto che l'amore sia una "follia" e che concedersi a chi ama è una stoltezza:si avrebbe un amore troppo "appiccicaticcio" che se mai si rompesse farebbe soffrire terribilmente l'innamorato-amante;poi dopo che è passato l'ardore iniziale si torna in sè e ci si rimprovera di esseresi comportati così da "rimbambiti" e si finisce per soffrire di continuo.Con una persona non amata è chiaro che ci si comporterebbe in tutt'altro modo:più che altro si penserebbe ad essere felici noi rispetto all'amato non amato . Socrate a sua volta imposta due discorsi:nel primo conferma la tesi lisiana,mentre nel secondo sostiene che il suo "demone"(una specie di coscienza personale-angelo custode che si fa sentire solo quando Socrate sta commettendo un errore) lo sta ammonendo,facendogli capire che sta clamorosamente sbagliando.Anche per Socrate l'amore è una follia,però,a differenza di Lisia,per lui è positiva:vi sono infatti follie dannose e negative,ma anche positive e benigne.Poi Socrate formula un nuovo discorso per farsi perdonare per quel che ha detto dal dio dell'amore ("Eros").E' difficile comprendere quale sia il tema centrale(l'amore?La retorica?);fatto sta che sono due argomenti strettamente connessi tra loro in quanto l'amore(l'eros)è una metafora per indicare la filosofia:questa stretta parentela Platone la esamina meglio nel "SIMPOSIO"(dal Greco sun+pino=bere insieme),il suo capolavoro : Socrate si sta dirigendo verso la casa del tragediografo Agatone quando incontra un amico;allora invita anche l'amico e quando sono ormai arrivati , Socrate comincia a riflettere intensamente.Durante i simposi (all'epoca non c'era la TV e le serate si trascorrevano cosi')veniva nominato un simposiarca il cui compito era quello di dare un ordine alla discussione facendo passare la parola da un invitato all'altro e selezionare l'argomento da trattare.Si sceglie di parlare dell'amore:c'è chi dice che Eros è la divinità più giovane e più bella,chi dice che è la più vecchia in quanto forza generatrice di tutto,chi sostiene che sia una forza cosmica che domina la natura,chi suggerisce che sia un tentativo da parte di tutti gli enti finiti di eternarsi procreando,c'è chi è del parere che sia la divinità più valorosa in quanto riesce a dominare perfino la guerra,facendo riferimento all'episodio mitico secondo il quale Ares,il dio della guerra,sarebbe innamorato di Afrodite.Aristofane,celeberrimo commediografo,narra una storia semiseria:si tratta di un mito secondo il quale gli uomini un tempo erano tondi, sferici e doppi:questi esseri si sentivano forti e perfetti e peccarono di tracotanza;gli dei per punirli li tagliarono a metà e per ricucirli fecero loro un nodo(l'ombelico)sulla schiena;poi lo posizionarono sulla pancia perchè si ricordassero di quanto era successo ogni volta che guardavano in basso:questi esseri sentivano il bisogno di ritrovare l'altra metà e la cercavano disperatamente.Quando la trovavano si attaccavano e non si staccavano più neanche per mangiare e cosi' morivano di fame;cosi' gli dei crearono l'atto sessuale che consentiva di trovare un appagamento da questa unione.Questo mito originale ci spiega due cose: a ) in ogni epoca i rapporti sessuali sono sempre stati etero e omo. b )il tentativo di ritornare ad una situazione primordiale.Notare che nel mondo greco la forma sferica è sempre vista come unità originaria perfetta( cosi' era già in altri grandi filosofi quali Empedocle,Parmenide...).Se si leggono accuratamente tutti i discorsi ci si accorge che ognuno di essi contiene una parte di verità:il discorso finale di Socrate non sarà nient'altro che una sintesi in cui li unisce praticamente tutti.Egli racconta di essersi una volta incontrato con una sacerdotessa(Diotima)che gli ha rivelato tutti i misteri dell'eros:viene a proposito citato un mito riguardante i festeggiamenti divini per la nascita di Afrodite:tra le varie divinità ci sono anche Poros(astuzia,furbizia)e Penia(povertà).Essi,ormai ubriachi per l'eccessivo bere,si uniscono e viene cosi'concepito Eros,che ha quindi le caratteristiche dei suoi genitori:è ignorante,povero e brutto a causa di Penia,ma sa cavarsela sempre grazie a Poros.Non è bello,ma sa andare a caccia della bellezza;egli sente l'amore ed è soggetto della ricerca della bellezza e dell'amore,svolge le mansioni dell'amante e non dell'amato.Chiaramente se ricerca la bellezza significa che non la possiede:così il filosofo è privo e bisognoso del sapere (penia=povertà),ma ha anche le capacità di cercarsi e di procurarsi ciò di cui è privo (poros=astuzia,espediente);dato che Eros è privo di bellezza e le cose buone sono belle,manca anche di bontà;ciò che non è bello o buono,non è necessariamente brutto e cattivo;per Platone vi è un livello intermedio;tra il sapere e l'essere ignoranti la via di mezzo consiste nell'avere buone opinioni,senza però darne ragione;la posizione intermedia comunque non è un male perchè è uno stimolo per arrivare al top:chi si trova nella posizione più bassa sa di non potersi elevare e neanche ci prova,chi si trova in quella più alta non si deve impegnare perchè è già nella posizione ottimale:chi si impegna e lavora è chi si trova in una zona intermedia (i filosofi,che non sanno ma si sforzano di avvicinarsi al sapere).Tutti gli dei,gli aveva detto Diotima,sono belli e buoni e di conseguenza Eros non rientra nella categoria.Anche da questo punto di vista Eros riveste una posizione intermedia:non è un dio,ma neanche un mortale:è un qualcosa che nasce e muore di continuo;è una metafora con cui si vuole dimostrare che non si può mai possedere totalmente l'amore; l' amore è metafora della filosofia perchè l'uomo non possiede il sapere,ma si sforza per ottenerlo;può riuscire ad avvicinarvisi,ma non si tratta comunque di una conquista definitiva:il pieno sapere è irraggiungibile.Dunque Eros è una semi-divinità intermedia.Nella struttura sociale dell'epoca l'omosessualità era tipica dei filospartani e di coloro che avevano un'impostazione culturale arcaica:è questo il caso di Socrate e Platone.Il rapporto veniva vissuto "pedagogicamente",vale a dire che era un rapporto di tipo maestro-allievo.A differenza dell'amore eterosessuale,di livello più basso in quanto volto al piacere fisico e alla procreazione materiale,quello omosessuale era di più alto livello in quanto volto alla procreazione spirituale:vengono fecondate le anime per procreare nuove idee.Propriamente in Socrate non si parlava di amore,ma vanno tenute in considerazione le affermazioni a riguardo della maieutica(Socrate diceva di fare lo stesso lavoro della madre che era un'ostetrica:lei faceva partorire le donne,lui le idee): Socrate aveva quindi già in mente anime gravide da far partorire;Platone invece sostiene che ci sia una vera e propria fecondazione delle anime,che chiaramente non devono essere sterili.Ben si intuisce che la ricerca dell'amore combacia con quella della filosofia.Alla fine del Simposio irrompe improvvisamente il famoso Alcibiade,totalmente ubriaco,che racconta pubblicamente di aver fatto delle "avances" a Socrate ,che però non ha accettato:lui,bello,giovane,aitante con un vecchio decrepito che non ci sta:il che sta a significare che la bellezza esteriore conta meno di quella interiore,ed è anche un modo per ribadire il concetto della scala gerarchica dell'amore. Socrate non ci viene presentato come un asceta:egli è totalmente immerso nella sua realtà,ma non si lascia catturare:ai festini lui partecipa tranquillamente,pur non identificandovisi;dagli altri si distingue perchè mantiene sempre la sua capacità di giudizio(nel Simposio è l'unico a non addormentarsi).

SCIENZA E FILOSOFIA VERSO IL FUTURO

Una delle particolarità essenziali dello sviluppo della scienza consiste nel fatto ch'essa si orienta verso lo studio di oggetti che già sono di uso comune o che potranno diventarlo. Ma perché questa seconda caratteristica abbia qualche garanzia di successo, occorre che il progresso scientifico disponga di un sistema categoriale adeguato.Per molto tempo, ad es., i fisici hanno cercato di presentare i solidi, i liquidi e i gas come un sistema puramente meccanico di molecole. E' stato lo sviluppo della termodinamica a rivelare l'insufficienza di questa concezione. Ma in seguito, con la nuova teoria, si cominciò a sostenere che i processi fortuiti nei sistemi termodinamici non erano qualcosa di esterno al sistema, ma ne costituivano l'essenza interna, determinante lo stato e il comportamento del sistema stesso. Con lo sviluppo della fisica quantistica si è poi scoperto che le categorie di necessità e di contingenza vanno viste in una unità dialettica, e che occorre rinunciare all'identificazione deterministica che Laplace poneva fra causalità e necessità, utilizzando invece attivamente la categoria del 'potenzialmente possibile' per la descrizione dei processi dell''infinitamente piccolo'. In una parola, una struttura categoriale adeguata -che risponda anzitutto al principio della irriducibilità del tutto alla somma delle parti- appare, allo stesso tempo, come premessa e condizione della conoscenza e della comprensione di nuovi oggetti e fenomeni.Senza dubbio, il compito di elaborare strutture categoriali che permettono di uscire dal quadro dei modi tradizionali di percezione e d'interpretazione degli oggetti, viene realizzato per gran parte dalla filosofia. La filosofia anzi è stata capace di offrire le direttive categoriali necessarie alla ricerca scientifica prima che la scienza cominciasse a padroneggiare gli oggetti che corrispondevano a quelle categorie. Le quali, ovviamente, in virtù della ricerca scientifica, si svilupparono ulteriormente, trovando quelle conferme empiriche che la filosofia non poteva dare.Resta vero però che senza una continua riflessione filosofica sulla scienza, nessuna direttiva categoriale può arricchirsi di veri nuovi contenuti. Ciò non significa che la filosofia sia di per sè sufficiente a risolvere i problemi delle scienze naturali. La scienza è un aspetto particolare della cognizione filosofica della realtà e la ricerca filosofica rappresenta uno dei presupposti necessari dello sviluppo delle scienze naturali, benché questo sviluppo si realizzi solo a condizione che le scienze siano autonome.
Un semplice confronto fra la storia della filosofia e quella delle scienze naturali indica assai chiaramente le performances anticipatrici della filosofia in rapporto alle scienze concrete. E' sufficiente ricordare che l'idea dell'atomismo, essenziale per le scienze della natura, apparve nei sistemi filosofici del mondo antico e in seguito si sviluppò all'interno di diverse scuole filosofiche, finché le scienze naturali e il progresso tecnico raggiunsero un livello idoneo a trasformare una intuizione o speculazione di tipo filosofico in un fatto scientifico.Si può anche evidenziare, ad es., che numerosi aspetti dell'apparato categoriale sviluppato dalla filosofia di Leibniz vanno visti in relazione ai cosiddetti 'grandi sistemi' e non certo in relazione alle scienze naturali del XVII sec., dominate da una concezione puramente meccanicista del mondo. Nella sua monadologia Leibniz sviluppò idee che per gran parte risultavano alternative al meccanicismo (ad es. quelle riguardanti il rapporto fra la parte e il tutto o fra la causalità, la virtualità e la realtà, che ricordano da vicino certi modelli della cosmologia moderna e della fisica delle particelle elementari).La filosofia insomma scopre per intuito o anche per un ragionamento logico ciò che la scienza arriva a dimostrare concretamente solo dopo un periodo di tempo più o meno lungo. Ovviamente la filosofia è capace di questo solo nella misura in cui si rapporta a tutta la realtà sociale e culturale (inclusa la scienza stessa). Ed è altresì ovvio che non necessariamente la scienza giunge a fare determinate scoperte sulla scia delle cose intuite o pensate dalla filosofia. Sarebbe assurdo sostenere che i modelli cosmologici di Fridman o di Planck, che pur si accostano al quadro d'interazione delle monadi, si rifanno direttamente alla filosofia di Leibniz. Al massimo si potrà parlare di influenza mediata (dalla storia della filosofia, come di tutta la cultura) delle idee di Leibniz sull'epoca contemporanea.Infine si può ricordare che è stata la filosofia a scoprire per prima la capacità di autosviluppo degli oggetti, oggi ritenuta di fondamentale importanza dalla scienza. Nell'ambito della filosofia sono stati elaborati i principi dello storicismo, i quali esigono che si esamini un oggetto tenendo conto del suo sviluppo precedente e della sua facoltà evolutiva (si pensi al contributo che l'idealismo hegeliano ha dato alla comprensione del fatto che la contraddizione è una forza motrice di ogni sistema vitale e di pensieroDetto questo, è necessario ora ridimensionare le pretese 'profetiche' della filosofia e rassicurare i sostenitori dell'autonomia della scienza, dimostrando che l'una e l'altra disciplina trovano la loro ragion d'essere all'interno del contesto storico e culturale in cui si sviluppano. Cerchiamo di spiegarci con un esempio. Quando si usa il concetto di 'spazio', il suo significato non è sempre quello offerto dalle opere scientifiche e filosofiche. Lo spazio come categoria della cultura è integrato nel tessuto della lingua quotidiana: quando usiamo le parole 'qui', 'là', 'alto', 'basso' ecc., noi ci serviamo inconsciamente della nozione di spazio, la quale organizza il senso di questo parole. In quanto categoria culturale lo spazio funziona nelle opere artistiche, nelle rappresentazioni che l'uomo generalmente si fa dell'ambiente in cui vive, nel senso comune, ecc. La spiegazione filosofica o scientifica di questa categoria non forma che uno degli aspetti del suo senso socio-culturale, per cui quando si esaminano i principali significati della parola 'spazio' occorre tener conto della struttura categoriale del pensiero di questo o quel contesto storico-sociale.Quando si realizza un approccio del genere, la categoria dello spazio appare sempre sotto il suo aspetto storico concreto, il quale predetermina non solo la comprensione e l'interpretazione, ma anche l'esperienza del mondo da parte dell'uomo. Prendiamo ad es. la rappresentazione dello spazio nella scienza medievale. Questa scienza aveva per concezione cosmologica principale il sistema geocentrico di Tolomeo, leggermente modificato secondo lo spirito delle idee religiose dominanti (la sfera dell'empireo, soggiorno delle anime e degli angeli, è stata aggiunta a quella dei pianeti, del sole e degli astri immobili). La fisica di quell'epoca considerava il movimento dei corpi in accordo con la concezione aristotelica: ogni corpo tende ad occupare il suo posto. L'interpretazione in termini di 'concezione del mondo' sanzionò questa visione delle cose come unico schema possibile, aggiungendovi solo degli elementi assiologici: ad es. i corpi pesanti cadono sulla terra perché la materia 'peccaminosa' li attira verso il basso, mentre i corpi leggeri tendono verso l'empireo; i movimenti terrestri sono destinati al disordine mentre, al contrario, i corpi celesti descrivono cerchi perfetti, ecc.Furono proprio queste concezioni dello spazio, fuse nella fabbrica della scienza medievale, che costituirono uno dei principali ostacoli all'apparizione delle scienze naturali, cioè all'elaborazione di una sintesi fra la descrizione matematica della natura e il suo studio sperimentale. E perché si potesse formare una nuova concezione dello spazio, è stato necessario superare radicalmente tutte le categorie della cultura medievale: il che è cominciato ad accadere durante il Rinascimento, ovvero con i primi germogli della produzione capitalistica e dell'ideologia borghese. Le grandi scoperte geografiche, l'estensione delle migrazioni (durante l'epoca della primitiva accumulazione, allorché i contadini rovinati erano costretti ad abbandonare le terre), la distruzione dei legami corporativi tradizionali e altre cose ancora, contribuirono a riformulare completamente il concetto fisico di spazio, e non solo nell'ambito della scienza ma anche in tutte le sfere della cultura.Ed è significativo, in questo senso, che la nuova concezione di uno spazio omogeneo e isotropico (in cui tutti i punti e tutte le direzioni sono fisicamente identici) abbia trovato un riflesso nelle arti plastiche rinascimentali: la pittura, ad es., comincerà a organizzarsi in funzione della prospettiva lineare dello spazio euclideo, che viene percepito come un dato reale e sensibile della natura. E non è forse vero che esiste -come molti oggi hanno costatato- un certo parallelismo fra le idee della relatività in fisica e l'impressionismo in pittura?La ricostruzione di un modello categoriale del mondo è legata alle svolte che si compiono nella storia umana, poiché essa implica la trasformazione non solo dell'immagine del mondo umano, ma anche dei tipi di personalità ch'essa produce, ovvero del loro atteggiamento verso la realtà e dei loro orientamenti normativi. Gli schemi generalizzati della concezione del mondo, rappresentati dalle categorie della cultura, molto spesso concordano con gli interessi di determinate classi e gruppi sociali.Questa è la ragione per cui in una società divisa in classi una stessa mappa di categorie culturali può essere interpretata assai diversamente. Organizzandosi in modo conforme alla struttura categoriale del pensiero dominante di un'epoca, la coscienza di classe vi introduce abitualmente dei significati o delle concretizzazioni specifiche, che esprimono appunto gli orientamenti della classe corrispondente. Questo riguarda soprattutto le categorie della cultura, che caratterizzano l'uomo, con i suoi valori e la sua attività.Qualunque modello categoriale, storicamente determinato, del mondo, sia esso scientifico o filosofico, sussiste finché è in grado di assicurare la riproduzione o comunque la coesione di quelle attività di cui la società ha bisogno per sopravvivere. Tuttavia, nella misura in cui si sviluppa la produzione economica e appaiono nuove forme di attività socio-culturale e professionale, si fa strada anche il bisogno di nuovi orientamenti (relativi alla concezione del mondo), che assicurino la transizione a forme più progressiste della vita sociale. Conditio sine qua non di questo passaggio è la trasformazione delle strutture categoriali del pensiero. Essa si verifica sulla base del confronto degli interessi di classe, allorché una nuova classe progressista si fa portavoce di idee ch'essa propone a fondamento della vita di tutta la società, presente e futura.La filosofia, come qualunque altra scienza della cultura, ha il compito di esplicitare i mutamenti che avvengono in forma embrionale, spesso allo stato latente, nella coscienza degli uomini. In particolare, la conoscenza filosofica deve individuare, nell'infinita diversità dei fenomeni culturali, i significati categoriali comuni che li attraversano. E nel far questo non deve limitarsi a usare le nozioni astratte e logiche, ma anche le metafore, le analogie, le immagini figurate. Nei sistemi filosofici relativamente avanzati dell'antichità numerose categorie fondamentali portavano l'impronta d'un riflesso simbolico e metaforico del mondo (il 'fuoco' di Eraclito, il 'nous' di Anassagora, ecc.). Ciò è ancora più vero nelle filosofie antiche dell'India e della Cina. La costruzione concettuale, qui, non è quasi mai separata da una base immaginifica. L'idea anzi veniva espressa più sotto una forma artistica che non astratta e l'immagine appariva come il modo principale di percepire la realtà dell'essere.Questa esigenza simbolica e metaforica è presente anche nella sfera scientifica, che pur è sottoposta a standard logici assai rigorosi. Ed è presente anche nella letteratura, nelle arti, nella critica estetica, nel pensiero politico e giuridico, nel senso comune: Manzoni e Leopardi, Tolstoi e Dostoievski hanno saputo esprimere in un linguaggio letterario un coerente sistema filosofico, paragonabile a quello di Schopenhauer o di Hegel.Resta comunque significativo che l'apparizione della filosofia, come modo particolare di conoscenza del mondo, emerga nel corso di un periodo segnato da una delle svolte più radicali dell'evoluzione sociale, quella del passaggio dalla società clanica e tribale a quella divisa in classi. Questo forse implica -è solo una domanda- che la futura ricomposizione dell'umanità in un sistema sociale senza classi sarà caratterizzata, fra le altre cose, anche dal definitivo superamento della conoscenza filosofica? E' improbabile. E' possibile invece pensare che l'uso della conoscenza filosofica non sarà più così facilmente manipolabile da determinati interessi di parte. E comunque se tale abuso avverrà, occorreranno grandi capacità di falsificazione, cui però inevitabilmente si contrapporranno non meno forti capacità di smascheramento.
I compiti della ricerca filosofica non si sono mai limitati all'analisi della scienza, benché nella tradizione culturale europea, dall'epoca della formazione delle scienze naturali, la generalizzazione delle acquisizioni di tali scienze sia stata una via essenziale delle categorie filosofiche. La filosofia deve anche risolvere problemi inerenti alla concezione del mondo: il significato della vita, il valore intrinseco delle cose, ecc. Essa cioè deve elaborare e sviluppare categorie e principi che le scienze naturali, in seguito, selezioneranno, per farne propri fondamenti filosofici. In particolare, le scienze naturali assumono quei principi che servono loro a comprendere i rapporti dialettici e assai mutevoli di soggetto e oggetto, di uomo e natura, di ambiente e civiltà... La forte presenza del cosiddetto 'fattore umano' (si pensi alla biosfera, ai sistemi uomo-computer, alla genetica umana, ecc.) costringe tutte le scienze ad affrontare in maniera sempre più sistematica e approfondita gli aspetti ontologici e normativi della concezione del mondo.Enrico Galavotti

mercoledì 25 luglio 2007

CONCETTUALITA’ DEGLI SCACCHI IN MONGOLIA

   Nel 1945 l'orientalista americano Schuyler Camman, durante i suoi viaggi in Asia, ha avuto l’opportunità di giocare a scacchi con i lama dei monasteri della Mongolia Interna cinese, sottostando a regole leggermente differenti dalle internazionali e meravigliandosi dei loro singolari pezzi, diversi da quelli del resto del mondo. Così conclude il racconto della sua visita: "Quando io partii la terza mattina il lama ospite mi fece omaggio di una scatola di scacchi avvolta in una stola cerimoniale di seta. Era un regalo dell'abate, spiegò, in cambio del dono che io gli portai quando venni la prima volta al tempio. Ero felicissimo: non c'era nient’altro che avrei voluto avere"     Il fatto si è dimostrato rilevante per la storia degli scacchi poichè nel 1968, a più di vent’anni di distanza, la fotografia del set è apparsa in uno dei primi libri interamente dedicati alle figure del nostro gioco, il Chessmen di Mackett-Beeson. Si leggeva nella didascalia "Rarissimi pezzi mongoli scolpiti nel legno all’inizio del 20° secolo", e nel testo "Nessun altro gioco di scacchi mongolo completo è conosciuto o documentato, e mai prima d'ora esemplari simili sono stati illustrati" : la mia curiosità diveniva incontenibile.     Non avevo mai visto sulla scacchiera leoni e tigri come Donne, cammelli a due gobbe come Alfieri, carrozze in luogo delle Torri, pavoni e galline al posto dei Pedoni, e con tutta probabilità ciò costituiva una novità anche per la maggior parte dei collezionisti. Questo "incontro" ha stimolato inconsciamente la mia ricerca sugli scacchi della Mongolia. Per trent’anni però tali piccole sculture sono rimaste per me un sogno, fino a quando l'antiquario Garrick Coleman mi ha procurato un set , pressoché sconosciuto anche a lui e "quasi" identico a quello del Chessmen (i giochi di scacchi lavorati a mano non sono mai uguali uno all'altro).     In precedenza ero già stato attratto dalla cultura dei nomadi dell’Asia centrale, partecipando attivamente a spedizioni archeologiche in Cina e nei deserti della Mongolia Interna, affascinato dai millenari graffiti. Per studiare questi scacchi ho in seguito consultato libri e frequentato musei e biblioteche di Parigi e New York, ed i collezionisti mi hanno gentilmente segnalato i pochi set mongoli di loro conoscenza e le scarse pubblicazioni che esistevano sull’argomento. La svolta decisiva si è verificata però quando l’amico antropologo David Bellatalla, che trascorre diversi mesi l’anno in Mongolia per studi, girando di yurta in yurta ha reperito per me, non senza difficoltà, eccezionale materiale scacchistico corredato da importanti indicazioni. Nel corso degli anni ho potuto in tal modo elaborare numerosi concetti osservando e comparando quasi duecento set della Mongolia, della Mongolia Interna e del Tuva (raccolti, o visionati direttamente o in fotografia o disegno, o di cui ho letto una descrizione) e ne è scaturito uno studio originale, per il momento unico    Ripercorrendo le esperienze vissute sessant’anni fa da Camman , integrate e confermate dalle mie considerazioni, analizziamo allora il set della figura 1, che ci aiuterà a capire la profondità della concezione di questi scacchi.     Il pensiero asiatico della divisione di tutte le cose in due elementi originali (da una parte il Bene, la forza e lo spirituale; dall'altra il Male, la debolezza e le cose materiali) si concretizza negli scacchi della Mongolia ed è particolarmente evidente nel presente set: con il "Rosso", cioè il partito che ha le basi colorate di rosso, stanno i Mongoli, che rappresentano la rettitudine; con le basi verdi i Cinesi, da sempre considerati i loro nemici ed oppressori.     Il Re (Noyion o Capo Villaggio negli Shatar, gli scacchi della Mongolia) è, nel lato rosso, un giovane principe mongolo (Khan) seduto alla turca in trono con le mani sulle ginocchia ); il suo antagonista è un viceré cinese anziano e baffuto, con le maniche larghe e le mani congiunte ) ed i Cavalli (Mori, fig. 3 a, d) sono caratteristici, ma simili a quelli di tutti gli altri set della zona. Le Torri (Terghe = carro, il tradizionale mezzo di trasporto dei nomadi, fig. 4) sono raffigurate da carrozze variamente colorate a due ruote, trainate da un cavallo con un palafreniere a fianco. I Pedoni (Huu = bambini) "mongoli" sono pavoni celestiali buddisti, ognuno intagliato in una diversa posa (fig. 5), mentre quelli "cinesi" sono comuni galline, che non esistono in Mongolia (fig. 6).     Negli scacchi di queste regioni la figura corrispondente alla nostra Donna è il Bers, una belva, qui rappresentata da una tigre con le fauci spalancate (fig. 7 a) e da un leone sacro del folklore buddista tibetano (fig. 7 b), anch'esso accosciato: in verde scuro ha gli occhi, la criniera, il pelo della schiena e un'insolita coda che scende a destra e a sinistra in sei parti, piegata  ad  angolo retto  una volta che  tocca il  terreno (fig. 8).     A priori, nessun giocatore occidentale immaginerebbe il perché della metamorfosi, ma in realtà questa figura non deriva dalla Donna europea, bensì dal Consigliere o Generale indiano, o dal Visir persiano. Orbeli e Trever nel 1936 (citati in Montell 1939, p. 98) hanno affermato che i Mongoli, non pronunciando la lettera "effe", hanno trasformato le parole persiane firz, frazin, farzin, fers o vizir in Bers, cioè tigre, e di conseguenza, nel lato opposto, per il ruolo corrispondente è stato scelto il leone (nella fig. 9, tra i loro Re, si vedono le Donne, leone e tigre, di un gioco di legno del 1950). La stessa teoria è stata accettata da Montell     A mio parere però non può essere solo un cambio di consonante a far diventare il visir (fers) una belva (bers): il visir, o il generale, nelle battaglie costituisce il braccio operativo del Re e ne rappresenta la forza e le virtù, e nella tradizione mongola la forza e la tenacia sono espresse dal leone o dalla tigre.    Per capire meglio il motivo per cui il Noyion è affiancato da una fiera, ho preso in considerazione il comportamento di Dersù Uzalà, lo straordinario frequentatore della taiga siberiana e mancese dei primi anni del ‘900. Il capitano Vladimir Arsen’ev dell’esercito dello Zar ha fatto alcuni viaggi con lui e lo ha descritto in un romanzo ("Dersu Uzala", originale in russo, nell’edizione italiana intitolato "Dersu Uzala, il piccolo uomo delle grandi pianure") da cui, nel 1976, il regista giapponese Akira Kurosawa ha tratto il famoso film. Da questo libro e dall’appendice di Ezio Savino si apprende che per Dersu tutti gli animali sono "uomini": egli li rispetta e pretende rispetto, e soprattutto con la tigre ha un rapporto particolare (nella fig. 10 vediamo una tigre come Donna-Bers, con i suoi tigrotti come Pedoni, appartenenti ad un set mongolo degli anni ’30 del 20° secolo).     Nella taiga una tigre si para dinnanzi a Dersu e gli sbarra il cammino, e allora egli si rivolge a lei come ad un’amica chiamandola "Uomo-Tigre" (Arsen’ev 1984, nell’appendice di Savino, p. 232). Miti e credenze siberiane dimostrano quanto è antica e radicata la solidarietà tra l’uomo e il mondo della natura: anche gli animali hanno un linguaggio, che Dersu capisce, anch’essi cacciano e si organizzano in famiglie e in tribù (Arsen’ev-Savino 1984, pp. 226). Già Montagu (1958, p. 72) dice che il Bers "non è mai rappresentato come uomo, ma sempre come potere maschile animale", ed a maggior conferma di quanto detto a proposito del Generale che personifica la forza del Re, in un altro passo della stessa fonte si legge che "ogni tribù identifica in diversi animali determinate forze"    Per noi occidentali non è facile accettare questa concettualità, ma è proprio essa che ci può far capire l’inconsueto accostamento Noyion-Bers. Leone sacro e tigre feroce, pavoni e galline rispecchiano perfettamente il conflitto tra lo Spirituale e il Materiale, il Celestiale e il Terrestre, contrasto che è sempre esistito negli scacchi: Luce-Tenebre, Virtù-Vizio, Comunisti-Capitalisti, ecc.    L'idea dell'eterna lotta tra il Bene ed il Male rappresenta uno dei più importanti motivi simbolici che ricorrono nella mitologia delle popolazioni dell'Asia centrale e settentrionale. L’immagine più diffusa della creazione è costituita dalla lotta titanica avvenuta tra i due spiriti supremi. Per rendere possibile la vita sulla terra essi si materializzano in enormi tori: lo Spirito del Bene in un toro bianco, quello del Male in uno nero (nella fig. 11 vediamo un toro d’avorio, che sta al posto della Donna di un set pastorale mongolo dei primi ‘900, e uno scuro, "Torre" di un gioco in pietra della metà del 20° secolo).    Nelle epopee degli antichi eroi, negli affascinanti racconti delle avventurose scorrerie di esseri soprannaturali e di spiriti degli antenati, la figura dell'imperituro scontro tra gli "opposti" si carica di significati per meglio riprodurre l'identità culturale dei diversi popoli asiatici.    Due religioni sorte nell'antica Persia hanno inoltre lasciato evidenti segni tra queste popolazioni, come ci testimoniano le innovazioni e le trasformazioni avvenute nella loro arte. Una è lo Zoroastrismo, fondato nel 7°-6° secolo a. C. da Zoroastro (Zaratustra), essenzialmente monoteista e ottimista, che riconosce Mazda come essere supremo in continua antitesi col principio del Male, su cui finirà per trionfare. L'altra è il Manicheismo, codificato nel 3° sec. d. C. da Mani (in Europa noto anche col nome di Manicheo), che di questo dualismo ha una visione pessimista.    Molti set di scacchi della Mongolia, soprattutto quelli utilizzati per partite fra giocatori di etnie diverse, contrappongono un lato aggressivo ad uno pacifico: un Noyion di un gioco metallico dell'inizio dl 20° secolo ( è seduto con un ginocchio sollevato, il che evidenzia un atteggiamento di attacco; l’altro ) ha le gambe incrociate alla turca, cioè attende senza timore. Più in dettaglio si vedono i due Noyion di un altro set di bronzo dello stesso periodo, un guerriero gengiskhanide aggressivo (fig. 13 a) e un khan nomade pacifico     Tali set riflettono esattamente la contesa fra predatore e preda che si è sempre svolta e sempre si svolgerà. La preda è necessaria al predatore, ma è vero anche il contrario: essi sono complementari, e il male per l'uno costituisce il bene per l'altro . Senza la preda non può esistere il ciclo della vita, così come in mancanza dell'avversario la partita non è ipotizzabile. E' come se il genere umano e la Terra fossero un grande gioco di un Essere Supremo, mentre il compito dei giocatori è quello di capire l'etica della partita, cioè che il senso ultimo di questa è l'unità tra gli apparenti opposti.    La partita a scacchi nella tradizione mongola è divenuta quindi la rappresentazione simbolica di un così importante messaggio (da un colloquio tra il dott. Enkhebatar, scacchista di Ulan Bator, la capitale della Repubblica Popolare di Mongolia, e David Bellatalla). Di fronte a questo scontro l'individuo deve comprendere e trascendere l'immagine degli opposti (yin-yang) e ricondurre il proprio pensiero all'unità. Le opposizioni chiaro-scuro, giorno-notte, maschio-femmina sono indispensabili per rendere possibile la vita attraverso la contesa e il gioco. E gli scacchi in Mongolia non lasciano alcun dubbio sulla loro potenziale valenza di significati, che ci riportano ad un percorso ideologico culturale legato ai miti dell'origine e all'eterna battaglia tra gli opposti.