giovedì 27 settembre 2007

L'ottimismo dell'incertezza

Documento originale   The Optimism of Uncertainty
Traduzione di Sergio De Simone
  
 In un mondo orribile in cui gli sforzi solidali delle persone spesso impallidiscono a confronto di ciò che è fatto da coloro che hanno il potere, come posso, io, riuscire ad accettare il mio ruolo al suo interno e allo stesso tempo essere apparentemente felice?
Ho completa fiducia nel fatto che non solo il mondo migliorerà, ma che non dobbiamo ritenere la partita chiusa prima di aver giocato tutte le
carte. La metafora è deliberata: la vita è una scommessa. Non giocare significa precludersi ogni speranza di vittoria. Giocare, agire, significa creare almeno la possibilità di cambiare il mondo.
Vi è una tendenza a pensare che ciò che vediamo nel presente continuerà ad esistere. Dimentichiamo quanto spesso ci ha sorpreso il crollo improvviso delle istituzioni, o i cambiamenti straordinari del modo di pensare delle persone, le eruzioni inaspettate di ribellione contro le tirannie, il crollo veloce di sistemi di potere che sembravano invincibili.
Ciò che risalta nella storia degli ultimi cento anni è la sua totale imprevedibilità. Una rivoluzione fatta per rovesciare lo zar di Russia, in un impero pressoché feudale, non sorprese solo la più avanzata potenza imperiale, ma colse di sorpresa lo stesso Lenin e lo fece correre in treno a Pietrogrado. Chi avrebbe mai potuto prevedere i bizzarri capovolgimenti della seconda guerra mondiale - il patto nazi-sovietico (quelle foto imbarazzanti di Molotov e Ribbentrop che si stringevano la mano) e la disfatta dell'armata tedesca, apparentemente invincibile, che aveva causato perdite colossali, alle porte di Leningrado, a Mosca, nelle strade di Stalingrado, seguita poi dalla sconfitta tedesca, con Hitler asserragliato nel suo bunker a Berlino, in attesa di morire?
E poi il mondo postguerra, che prendeva una strada che nessuno avrebbe potuto indicare in anticipo: la rivoluzione comunista cinese, la tumultuosa e violenta rivoluzione culturale e poi ancora un altro capovolgimento con la Cina post-maoista che abbandonava le sue idee e istituzioni più care, aprendosi all'occidente, accarezzando le imprese occidentali, e lasciando tutti perplessi.
Nessuno prevedeva la disintegrazione così rapida degli imperi occidentali dopo la guerra, o lo strano assortimento di società che sarebbero stati creati nelle nazioni che si erano rese indipendenti, dal socialismo benigno della Tanzania di Nyecere alla pazzia dell'Uganda di Idi Amin. La Spagna produsse un'altra sorpresa. Ricordo un ex della Brigata Abramo Lincoln che mi diceva di non poter immaginare che il fascismo in Spagna potesse essere rovesciato senza un'altra guerra sanguinosa. Ma dopo che Franco fu andato, si realizzò una democrazia parlamentare, aperta a socialisti, comunisti, anarchici, a chiunque.
La fine della seconda guerra mondiale lasciò due superpotenze con le loro rispettive sfere di controllo e influenza, in competizione per la supremazia militare e politica. Però erano incapaci di controllare gli eventi anche in quelle parti del mondo considerate interno alla loro sfera di influenza. Il fallimento del piano sovietico in Afganistan, dopo un intervento militare durato oltre dieci anni, fu la dimostrazione più evidente che anche il possesso di armi nucleari non garantiva il dominio di una determinata popolazione. Gli Stati Uniti si sono trovati di fronte alla stessa realtà quando attaccarono l'Indocina, conducendo il bombardamento più brutale della storia di una penisola minuscola, eppure furono costretti al ritiro. Ogni giorni troviamo nei titoli dei giornali altri esempi del fallimento dei presunti potenti contro i deboli, per esempio in Brasile, dove un movimento dal basso di lavoratori e poveri ha eletto un nuovo presidente impegnato alla lotta contro il potere distruttivo delle multinazionali.
Considerando questo elenco di sorprese, è chiaro che la lotta per la giustizia non dovrebbe essere mai abbandonata a causa del predominio apparentemente schiacciante di coloro che hanno cannoni e denaro e sembrano invincibili nella loro determinazione di conservarlo. Quel potere apparente si è dimostrato, ogni volta, vulnerabile da parte delle qualità umane meno facilmente misurabili delle bombe e dei dollari: il fervore morale, la determinazione, l'unità, l'organizzazione, il sacrificio, l'intelligenza, l'ingenuità, il coraggio e la pazienza - che si trattasse dei neri dell'Alabama e del Sud Africa, dei contadini in El Salvador, Nicaragua e Vietnam, o dei lavoratori e degli intellettuali in Polonia, Ungheria e nella stessa Unione Sovietica. Nessun freddo calcolo di potere può avere un effetto deterrente sulle persone che sono persuase della giustizia della loro causa.
Ho cercato davvero di capire i miei amici nel loro pessimismo sulla situazione mondiale (sono solo i miei amici?), ma continuo ad incontrare persone che, nonostante l'evidenza di cose terribili che accadono ovunque, mi danno speranza. Soprattutto giovani, su cui poggia la speranza del futuro. Ovunque vada trovo persone di questo genere. E al di là della manciata di attivisti sembrano esservi centinaia, migliaia e più ancora che sono aperti verso le idee non ortodosse. Ma tendono a non sapere l'uno dell'esistenza dell'altro e così, resistono, ma lo fanno con la pazienza disperante di Sisifo. Cerco di spiegare a ciascun gruppo che non è solo, a che proprio le persone che si sentono prive di speranza a causa della mancanza di un movimento nazionale sono esse stesse prova della possibilità di tale movimento.
Il cambio rivoluzionario non arriva in un unico momento di cataclisma (dobbiamo temerli, invece) ma come una successione senza fine di sorprese, di un muoversi a zigzag verso una società più decente. Non dobbiamo impegnarci in azioni grandi ed eroiche per partecipare al processo del cambiamento. Piccole azioni, quando moltiplicate per milioni di persone, possono trasformare il mondo. Anche quando non "vinciamo", c'è divertimento e soddisfazione dal coinvolgimento, con altre persone, in qualcosa di utile. Abbiamo bisogno di speranza.
Un ottimista non è necessariamente uno spensierato irrealista che passa il proprio tempo a fischiettare nell'oscurità del nostro tempo. Nutrire speranza in tempi bui non è semplicemente una cosa stupidamente romantica. È basata sul fatto che la storia umana è una storia non solo di crudeltà ma anche di compassione, sacrificio, coraggio, gentilezza. Ciò che scegliamo di mettere in risalto, in questa storia complessa, determinerà la nostra vita. Se vediamo solo il peggio, distruggeremo la nostra capacità di fare qualcosa. Se ricordiamo quei tempi e quei luoghi - e ce ne sono molti - in cui le persone avevano un comportamento magnifico, avremo l'energia per agire, e almeno la possibilità di indirizzare il mondo impazzito in una direzione diversa. E se agiamo, per quanto limitatamente, non dobbiamo affidarci ad un qualche futuro utopistico. Il futuro è una successione infinita di presenti, e vivere ora come crediamo che gli esseri umani debbano vivere, contro tutto ciò che è negativo attorno a noi, è già di per sé una vittoria meravigliosa.

FREDERICK KIESLER "art of this century", 1942

A CURA DI VALENTINA SONZOGNI

La galleria Art of this Century, voluta da Peggy Guggenheim per esporre le opere della sua collezione, aprì ufficialmente i battenti il 20 ottobre 1942 con l'esposizione delle opere surrealiste.
Su consiglio del suo assistente Howard Putzel, la collezionista prese contatto con Kiesler per trasformare due negozi di abbigliamento in galleria d'arte. La decisione di scegliere proprio lui fra tanti architetti attivi a New York, fu motivata dal fatto che: "Frederick Kiesler era l'architetto più progressista del tempo e pensai che si trattasse di un buon suggerimento: non avrei mai immaginato che quelle poche idee avrebbero pian piano esaurito tutti i settemila dollari che avevo programmato di spendere nella costruzione della galleria" . Fu forse per la spesa eccessiva che Peggy Guggenheim, tre anni dopo, decise di vendere tutti gli oggetti della galleria senza che Kiesler riuscisse ad averne neanche uno. Secondo Kiesler invece, la galleria era stata progettata secondo tre criteri fondamentali: spesa minima, facilità di allestimento e conseguente riduzione della manodopera. La galleria era composta da quattro ambienti: la Sala surrealista, la Sala degli astrattisti, una stanza di consultazione e una galleria che ospitava mostre temporanee. La Sala dei surrealisti presentava grandi novità dal punto di vista della collocazione delle opere d'arte nello spazio. Peggy Guggenheim e Kiesler furono subito d'accordo sul fatto che le pitture dovevano essere esposte senza cornici; per il resto Kiesler lavorò da solo e in gran segreto. La committente ricorda così l'ambiente della galleria: "Le pareti della Galleria Surrealista erano ricurve in legno di caucciù, e i quadri senza cornici, distanti circa trenta centimetri dalle pareti, erano montati su mazze da baseball che potevano essere inclinate come si voleva. Ciascuno aveva la sua lampada e le luci si accendevano e si spegnevano ogni tre secondi, sgomentando i visitatori: prima illuminavano una metà della galleria e poi l'altra. La gente si lamentava dicendo che quando si guardava un quadro da un lato della sala, non si poteva improvvisamente interrompersi per correre all'altra estremità. Alla fine Putzel mi consigliò di lasciar perdere questo sistema di illuminazione e le luci vennero tenute accese contemporaneamente" . Per combattere l'effetto della scatola cubica Kiesler sdoppiò le pareti, sovrapponendo a quelle in muratura dei pannelli mobili in legno curvato e sospendendo le opere a sostegni simili a mazze da baseball, in modo che sembrassero fluttuare liberamente nello spazio. E' di nuovo attraverso la penna che egli spiega i suoi intenti: "Questa posizione avanzata delle tele ha due effetti: le tele si trovano separate dal fondo e ravvicinate allo spettatore. Il quadro sembra fluttuare liberamente. E' un isolotto solido nello spazio e non più una decorazione parietale. E' un mondo a parte che il pittore ha concepito e l'architetto ha ancorato" . Per ottenere il risultato desiderato, egli disegnò, usando metodi biotecnici, degli oggetti multifunzionali che potevano essere usati come sostegno per oggetti in mostra, come sedia, come panca per ospitare più persone, come cavalletto o tavolo: in tutto potevano avere diciotto usi diversi.
La Forma-Riposo, definita così dal suo creatore nel Manifesto del Correalismo, nasce dal principio della tensione continua ed è contemporaneamente un oggetto endless sia per le linee morbide che lo definiscono, sia per la flessibilità nell'uso. Quest'oggetto inoltre assume un significato particolare nel contesto della mostra surrealista poiché Kiesler dichiara di aver previsto soltanto sei usi e che: " (...) gli altri si manifestarono automaticamente tramite la loro correlazione con le condizioni ambientali" . L'oggetto diventa feticcio, si trasforma in un essere dotato di esistenza propria, come nella migliore "tradizione" surrealista. La collezione di Peggy Guggenheim comprendeva anche opere di Picasso, Klee e altri artisti per i quali fu organizzata un'altra sala: "Nella Galleria Astratta e Cubista, dove avevo il mio banco vicino alla porta di ingresso, ero perpetuamente inondata da una forte luce fluorescente. Due pareti consistevano in una tenda blu marino, che faceva una curva attorno alla stanza con uno splendido movimento circolare e assomigliava ad un tendone da circo, con il quale i quadri, appesi alle corde, formavano un angolo retto. Nel centro della stanza, invece, i quadri erano raggruppati in triangoli e sembravano fluttuare nello spazio. C'erano piccole piattaforme triangolari di legno che servivano a sostenere le sculture e anch'esse sospese allo stesso modo" . La galleria degli astrattisti proseguiva idealmente il progetto della Sala dei Surrealisti proponendo anch'essa un ambiente fluido e coinvolgente per lo spettatore. Le tele erano collocate in una sala che simulava il fondo del mare, nella quale i muri sparivano dietro teli di stoffa blu scuro. Il soffitto era verniciato di turchese in contrasto con il blu delle pareti, proprio come la superficie del mare che, colpita dalla luce del sole, risulta più chiara del fondo. L'effetto finale ricercato da Kiesler era creare l'illusione che le opere galleggiassero in uno spazio senza gravità: per questo motivo egli le fissò su dei sostegni di sua invenzione, che permettevano di ruotarle secondo l'angolo di osservazione desiderato. I sostegni erano applicati a loro volta a dei fasci di corde tesi dal soffitto al pavimento, che lasciavano libera la visuale sulla totalità dell'ambiente. Anche in questa sala Kiesler aveva collocato alcune Forme-Riposo a sostegno di sculture e ne aveva dislocate altre per le soste dei visitatori lungo il percorso. Nella galleria Art of this Century era installato anche un dispositivo inventato da Kiesler, attraverso il quale si potevano far scorrere e guardare alcune opere di Klee. Un altro congegno simile permetteva di ammirare quattordici riproduzioni di alcune opere di Duchamp contenute nella Boite-en-valise. Il dispositivo consisteva in una ruota a spirale che, mossa dall'osservatore, mostrava quattordici riproduzioni in miniatura contenute nella valigia di Duchamp.
Le riproduzioni potevano essere guardate attraverso una lente fissata su una scatola di legno. Lo scopo del meccanismo era, nell'intenzione dell'autore, di portare l'attenzione dello spettatore ad un grado di intensità maggiore di quello raggiungibile nell'osservazione diretta e spesso distratta delle opere disposte in maniera tradizionale. Lo spettatore doveva decidere se guardare nel foro oppure non farlo: questo gesto aumentava l'attesa e l'attenzione nei confronti del quadro nascosto. E' difficile non pensare ad una collaborazione strettissima fra Marcel Duchamp e Kiesler se si prende in esame l'ultima opera di Duchamp Etant-donnés:
1.La chute d'eau 2.Le Gaz d'Eclairage, che assume il suo significato più rivoluzionario proprio grazie al meccanismo di visione, unico modo in cui l'opera può essere guardata . In questo modo poteva essere soddisfatto, all'interno di un luogo espositivo, l'impulso naturale degli uomini al voyeurismo che, allo stesso tempo, veniva sublimato nel contatto con l'opera d'arte. Duchamp amava affermare che: "Sono gli spettatori che fanno il quadro" e certamente Kiesler conveniva con lui su questa affermazione.

mercoledì 26 settembre 2007

IL SILENZIO Da "Il Purificazione della Mente" di Hazrat Inayat Khan

Vi è un detto: " Le parole sono preziose, ma più prezioso è il silenzio ". Questo detto risulta sempre profondamente vero. Più ne capiamo il significato, più realizziamo questa verità. Quante volte durante il giorno ci capita di dire qualcosa che sarebbe stato meglio tacere! Quante volte disturbiamo la pace del nostro ambiente con una involontaria mancanza di silenzio. Quante volte riveliamo le nostre limitazioni, la nostre meschinità, la nostra grettezza, che avremmo potuto nascondere, se solo avessimo taciuto! Quante volte, benchè desiderosi di rispettare gli altri, non riusciamo a farlo, perchè non sappiamo tacere. Per un uomo che vive in questo mondo un grande pericolo sta in agguato, il pericolo di confidarsi con una persona, con la quale non volevo confidarsi.
Corriamo questo pericolo non sapendo tacere. Un grande interprete della vita, il poeta persiano Sa'di dice:
"Che valore ha il buon senso, se non viene in mio soccorso prima che io pronunzi una parola! "
Questo ci dimostra che malgrado la nostra saggezza, possiamo fare uno sbaglio, se non abbiamo un buon controllo nelle parole che usiamo. Di questa verità troviamo facilmente degli esempi: coloro che parlano molto, hanno minor potere di coloro che parlano poco. Una persona loquace può non essere in grado di esprimere un'idea in mille parole, mentre chi è padrone del silenzio, sa esprimersi con una sola parola. Tutti possono parlare, ma non tutte le parole hanno la stessa potenza. Inoltre, una parola dice meno di quanto sappia esprimere il silenzio. La nota fondamentale di una vita armoniosa è il silenzio.
Nella vita di ogni giorno esistono preoccupazioni a cui non sempre possiamo far fronte e allora solo il silenzio può aiutarci. Poiché, se vi è una religione, se vi è un modo per mettere in pratica la religione, è quello di compiacere Dio, compiacendo l'uomo. L'essenza della religione è di capire il prossimo. E non possiamo vivere questa religione se non dominiamo la parola - e se non ci rendiamo conto del potere del silenzio. Spesso ci sentiamo di aver ferito un amico; avremmo potuto evitarlo, con un maggior controllo sulle parole. Il silenzio è lo scudo degli ignoranti e la protezione dei saggi. Perché l'ignorante cela la sua ignoranza col tacere, e il saggio non getta le perle ai porci, se conosce il valore del silenzio. Che cosa ci dà potere sulle parole? Che cosa ci dà questa forza, che può essere ottenuta col silenzio? La risposta è: la forza di volontà; e ancora: è il silenzio che ci dà il potere del silenzio. Quando una persona parla troppo, dà segno di irrequietezza. Più parole vengono usate per esprimere un'idea, meno forza hanno. È un vero peccato che si pensi cosi spesso a risparmiare i centesimi e mai a risparmiare le parole. E come conservare ciottoli e gettare vie perle. Un poeta indiano dice:
"Conchiglia, da dove viene il tuo prezioso contenuto? Dal silenzio; per anni e anni le mie labbra son rimaste chiuse ".
Per un po' di tempo, si lotta con se stessi; si cerca di controllare gli impulsi; poi però, la stessa cosa si trasforma in forza. Veniamo ora alla spiegazione più scientifica e metafisica del silenzio. Le parole consumano un certo quantitativo di energia e il respiro, che dovrebbe portare nuova vitalità al corpo, viene ostacolato nel suo ritmo normale, se si parla costantemente. Non è che una persona nervosa parli troppo; è il parlare tanto che la innervosisce. Da dove viene il grande potere dimostrato da fachiri e da yogin? Dall'aver imparato a praticare l'arte del silenzio. Questa è la ragione per cui nell'est, nelle case e nelle corti in cui i fachiri meditavano,vi era silenzio. Certe volte diverse civiltà del mondo, veniva insegnato alla gente, quando si riuniva per festeggiare, di tacere, per un po' di tempo. È molto triste che questo problema attualmente sia cosi trascurato e che pochi ci pensino. È un problema che riguarda la salute, che tocca l'anima, lo spirito, la vita. Più pensiamo a questo argomento e più ci accorgiamo di essere continuamente coinvolti in qualche attività. Dove ci porta ciò, quale ne sarà l'esito? Per quanto possiamo vedere, ci porti i battaglie, rivalità e situazioni sempre più aspre. Visti i risultati, constatiamo che tutto ciò non fa che procurarci maggiori preoccupazioni, fastidi e lotte. Vi è un detto indù: "Più si cerca la felicità, più infelicità si trova ". La ragione è che quando la felicità viene cercata in direzione errata, ci si procura infelicità. La nostra esperienza è sufficiente a farcelo capire; ma la vita ci stordisce, le azioni ci assorbono e non ci fermiamo mai a pensarci.
Pare che il mondo si stia svegliando agli ideali spirituali; tuttavia vi è più attività - non solo attività esterna - ma anche attività mentale. Veramente l'umanità ha i nervi a pezzi per la mancanza di silenzio e per la superattività, del corpo e della mente. Quando il corpo riposa, l'uomo dice che dorme. La sua mente però continua ad agire, come di giorno. In questo mondo competitivo, l'uomo è cento volte più indaffarato di quanto lo sia mai stato prima. Naturalmente egli necessita di più riposo, quiete e pace, che non una persona che vive nella foresta e che ha tempo a disposizione. Quando l'attività cresce a tal punto e si perde l'arte del silenzio, che cosa ci si può aspettare?
Dove imparare il raccoglimento? Nel silenzio. Dove praticare la pazienza? Nel silenzio, Il silenzio praticato durante la meditazione è ancora un'altra cosa. Silenzio significa che dovremmo badare a ogni parola e a ogni azione che facciamo: questa è la prima lezione. Ogni persona veramente meditativa, ha imparato a servirsi del silenzio, naturalmente, nella vita di ogni giorno. Chi ha imparato il silenzio nella vita di ogni giorno, ha già imparato a meditare. Una persona può riservare mezz'ora al giorno per la meditazione, ma quando, di fronte a mezz'ora al giorno per la meditazione, ve ne sono dodici o quindici di attività, l'attività priva di forza la meditazione. Quindi le due cose devono camminare insieme.
Una persona che desidera imparare l'arte del silenzio deve decidere, per quanto lavoro abbia da fare, di conservare nella mente il pensiero del silenzio. Se non si tiene conto di questo, non si raggiungerà mai il pieno beneficio della meditazione. È come una persona che va in chiesa una volta alla settimana e negli altri sei giorni tiene i propri pensieri il più lontano possibile dalla chiesa.
A un re persiano, molto pio, il primo ministro chiese: " Voi meditate gran parte della notte e lavorate tutto il giorno. Come è possibile? ". E lo Shah disse: " Durante la notte sono io che inseguo Dio, durante il giorno è Dio che mi segue ". La stessa cosa avviene col silenzio: chi cerca il silenzio, sarà cercato dal silenzio. Ed è cosi con tutte le cose che desideriamo: se le cerchiamo abbastanza, esse, col tempo, ci seguono da sole.
Ci sono molte persone che poco si curano di fare del male a qualcuno, se sono convinte di dire la verità. Si sentono giustificate e non badano se l'altro piange o ride. Vi è comunque una differenza tra la verità e il fatto puro e semplice.
Il fatto è ciò di cui si può parlare - la verità ciò che non può essere tradotto in parole. La pretesa di " dire la verità " cade da sola, quando ci si rende conto della differenza che ce tra fatto e verità. La gente discute di dogmi, di credenze, di principi morali, in base alle proprie nozioni. Ma arriva un momento, nella vita di un uomo, in cui tocca la verità, ma non sa trovare le parole adatte a esprimerla e tutte le discussioni, le dispute e le argomentazioni crollano. In quel momento egli dice: " Non importa chi ha sbagliato, tu o io. Ora desidero soltanto correggere il torto ". Giunge anche il tempo, in cui le continue domande che uno fa a se stesso, su questo e su quello, si esauriscono, poiché la risposta sorge dall'anima ed è ricevuta in silenzio.
La tendenza generale dell'uomo è quella di ascoltare tutto ciò che giunge da fuori - e non è solo l'orecchio ad essere aperto al mondo esterno, all'orecchio è attaccato il cuore. Il cuore che ascolta le voci provenienti dal mondo esterno dovrebbe voltargli le spalle e attendere pazientemente fino a quando non riuscirà a udire le voci che giungono dall'interno.
Vi è una voce udibile e una voce non udibile, di coloro che vivono e di coloro che non vivono, di tutta la vita. Ciò che l'uomo riesce a esprimere in parole, dice poco. Si può forse parlare di gratitudine, di evoluzione, di ammirazione? Giammai, perché le parole saranno sempre inadeguate. Ogni sentimento profondo ha una voce propria: non può venir espresso con parole esterne. Questa voce arriva da ogni anima - ogni anima può essere udita solo dal cuore. E come si prepara il cuore? Col silenzio.
Non deve sorprenderci che alcune persone hanno cercato la foresta e la montagna, che hanno preferito le regioni impervie agli agi della vita mondana. Esse hanno cercato qualcosa di prezioso. Inoltre, esse hanno trasmesso in parte l'esperienza raggiunta col loro sacrificio. Ma non è necessario seguirli nella foresta o nelle grotte di montagna. L'arte del silenzio si può imparare ovunque: in tutta la vita, per quanto impegnati, si può mantenere il silenzio.
Il silenzio è qualcosa che - consciamente o inconsciamente cerchiamo in ogni momento della vita. Cerchiamo il silenzio e lo fuggiamo, nello stesso tempo. Dove si ascolta la parola di Dio? Nel silenzio. I veggenti, i santi, i saggi, i profeti, i maestri hanno udito la voce che viene dall'interno, avendo reso se stessi silenziosi. Con ciò non voglio dire che si potrà udire la voce; perché si è silenziosi. Intendo dire che, una volta che si è raggiunto il silenzio, ci sarà la possibilità di udire la parola che giunge costantemente dall'interno. Quando la mente è stata acquietata, si può comunicare con chiunque si incontri. Non c'è bisogno di molte parole; quando gli sguardi s'incontrano, ci si capisce. Due persone possono parlare e discutere per tutta la vita e non capirsi; altre due, se hanno acquietata la mente, si guardano e in un momento tra loro il contatto è stabilito.

Da dove provengono le differenze che ci sono tra le persone? Dall'interno. Dalla loro attività. E da dove l'armonia? Dalla quiete della mente. È il rumore, che ostacola la voce, che udiamo distante - è l'acqua agitata della sorgente, che ci impedisce di vedere la nostra immagine riflessa nell'acqua.
Quando l'acqua è quieta, il riflesso è chiaro; quando la nostra atmosfera è quieta, udiamo la voce che giunge costantemente al cuore di ogni persona. Cerchiamo consiglio, cerchiamo la verità, cerchiamo il mistero. Il mistero è dentro di noi, i consigli, la guida è nella nostra anima.
Spesso s'incontra una persona, il cui contatto rende inquieti, nervosi. La ragione è che questa persona non è riposante, non è tranquilla - e non è facile rimanere calmi e conservare la propria tranquillità in presenza di chi è agitato o inquieto. L'insegnamento di Cristo: " Non resistere al male ", significa: " Non reagire alle condizioni turbate di una persona agitata ". Sarebbe come afferrare un fuoco, che ci brucerà.
La via per sviluppare - in noi stessi - il potere di resistere a tutte le influenze perturbatrici che incontriamo nella vita di ogni giorno, è di acquietarsi, per mezzo della concentrazione.
La nostra mente è come una barca mossa dalle onde e influenzata dal vento. Le onde sono le nostre stesse emozioni e le nostre passioni, i pensieri e le immagini; il vento è l'influenza esterna, a cui dobbiamo far fronte. Per poter arrestare la barca, bisognerebbe avere un'ancora. Fermiamoci un momento a considerare quest'ancora: se è troppo pesante, fermerà la barca; se è leggera, la barca continuerà a muoversi, non si arrestera, perché in parte è nell'acqua e in parte nell'aria.
In questo modo, tuttavia ci limitiamo a controllare la barca: utilizzarla è ben altra cosa. La barca non è fatta per rimanere immobile; è fatta per uno scopo. Sembra che non tutti se ne rendano conto, ma la barca è fatta per andare da un porto all'altro. Perché la barca possa navigare ci vogliono varie condizioni: per esempio, che non sia sovraccarica. Cosi il nostro cuore non va caricato troppo pesantemente, con le cose I cui ci atracchiamo; altrimenti la barca non galleggerà. La barca non deve restare sempre nello stesso porto, deve arrivare al porto a cui era destinata.
Inoltre, la barca deve reagire al vento, che la porterà nel porto cui era diretta: questa è la sensazione che l'anima riceve dal lato spirituale della vita. Questa sensazione, questo vento, ci aiuta a proseguire verso il porto, al quale tutti siamo destinati. Una volta concentrata, la mente dovrebbe agire come la bussola - che indica sempre la stessa direzione. Un uomo i cui interessi vanno in mille direzioni diverse, non è maturo per viaggiare in questa barca. E' l'uomo che ha una cosa sola in mente e che considera tutte le altre cose secondarie, che può andare da questo porto verso l'altro. Questo è il cammino chiamato misticismo.

Sigmund Freud sull'arte contemporanea

Cesare Badini " Freud e l'arte contemporanea"
A CURA DI D. PICCHIOTTI

Presentiamo qui il parere di Sigmund Freud sull'arte contemporanea, che sebbene curioso nel suo essere tradizionalmente orientato e radicato nella cultura tedesca, appare emblematico di quali reazioni hanno spesso provocato gli artisti delle avanguardie ai primi del Novecento.  Questi artisti tra i loro contemporanei spesso non hanno avuto quei riconoscimenti che oggi invece ricevono, ma la critica si è sempre svolta civilmente sul piano della forza della ragione. Freud non ha certo affrontato l'arte contemporanea con la violenza invasiva delle censure naziste, preludio di quella maratona verso la catastrofe distruttiva che trovò nella Entartete Kunst un drammatico palcoscenico.
Quando Schiele e Kokoschka irrompono nel 1908 sulla scena artistica viennese, Sigmund Freud, che nel 1900 aveva già pubblicato la sua Interpretazione dei sogni, è ancora isolato e la rivoluzione psicoanalitica, con la messa in luce dei misteriosi labirinti dell’inconscio umano, non ha ancora prodotto concreti effetti sulla società.
E’ pertanto difficile istituire dei precisi rapporti tra gli espressionisti austriaci e Freud, se si esclude un generico riscontro di medesimi luoghi e analoghi tempi in cui sono vissuti. Parlavano la stessa lingua, vivevano nella stessa città, frequentavano comuni luoghi pubblici, dove circolavano discussioni incentrate soprattutto sulla sessualità e sul sogno.
In proposito basta ricordare il grande influsso che ebbero su Oskar Kokoschka le teorie sul matriarcato di Jakob Bachofen; il notevolissimo successo editoriale di "Sesso e Carattere" di Otto Weininger (1903), un vero e proprio "best seller" con le sue trenta edizioni e le numerose traduzioni in diverse lingue; per non parlare infine delle eterodosse pratiche terapeutiche che un certo Otto Gross andava proclamando come "vere" soluzioni ai disturbi psichici legati alla sessualità.
In questo ambiente è quasi automatico contestualizzare "la psicografia" che Alfred Kubin illustra nel suo romanzo "L’altra parte", pubblicato a Vienna proprio nel 1908. In questo lungo romanzo ancora simbolista, nel quale si racconta di Perla, capitale di un Regno del Sogno fondato dal misterioso Claus Patera, l’anonimo protagonista, un artista vero e proprio alter ego dell’autore, definisce la propria arte connotata da "uno stile frammentario, più scritto che disegnato, che esprimeva come un sensibile strumento meteorologico le minime oscillazioni del mio stato d’animo"(Alfred Kubin, L’altra parte, Milano Adelphi 1993, p. 147). 
E’ una interessante definizione che ben si addice a quello stile espressionista che appare proprio nel 1908 a Vienna e di cui Kubin si rivela attento osservatore anche quando accenna al genere artistico "erotico" alquanto apprezzato forse come diretta conseguenza o riflesso del dibattito in atto. Nel suo romanzo Kubin crea inoltre un artista antagonista, quel Castringius le "cui opere pornografiche erano molto richieste" perché "alla moda. Disegni come: L’orchidea voluttuosa feconda l’embrione riscotevano moltissima ammirazione" (Alfred Kubin, L’altra parte, Milano Adelphi 1993, p. 195).
Sappiamo quanto Freud si sia interessato all’arte in generale, come dimostrano il saggio su Leonardo, dove interpreta psicoanaliticamente il sogno dell’avvoltoio, e quello sulla statua del Mosè di Michelangelo per il mausoleo di Giulio II.
Ecco perché è quasi ovvio constatare come, alla luce delle teorie freudiane, alcuni critici abbiano spiegato l’espressionismo (da ex-pressio) quale risultato di un "pensiero inconscio" che turba "l’artista nel suo intimo e sia quindi espulso verso l’esterno per mezzo dell’arte, onde turbare anche la mente del pubblico. La forma …" così "… è poco più che un involucro per i contenuti inconsci che il consumatore a sua volta libera dall’involucro e scarta." Se si accettasse tale opinione l’opera d’arte risulterebbe il comune luogo di proiezione delle pulsioni profonde e inconsce dello spettatore e dell’artista: di Eros, l’istinto di vita, e di Thanatos, l’istinto di morte. 
Ma per Freud l’arte non è un fatto meccanico e compito dell’artista dovrebbe essere quello di sublimare, ovvero portare nel livello preconscio, i meccanismi inconsci, rendendoli comunicabili e comprensibili allo spettatore. L’inconscio di per sé non ha alcun valore artistico e Freud cataloga espressionisti e surrealisti "come matti, perché sospetta che questi movimenti confondano" gli istinti primari con l’arte (da Ernst Gombrich, Freud e la psicologia dell’arte, Torino Einaudi 1973, pp. 27 e 29).Salvador Dalì Ritratto di Freud 1937

La posizione di Freud sull’arte moderna appare così di evidente disinteresse, se non addirittura di repulsione per il contemporaneo. Malgrado la loro brevità, alcune sue lettere ci aiutano a comprendere perché considerava l'espressionismo e il surrealismo come non-arte.
Il 21 giugno 1921, recensendo un opuscolo che il medico Oscar Psister gli aveva inviato, Freud scrive: Ho preso in mano il suo opuscolo sull’espressionismo con curiosità fervida e con altrettanta avversione, … questi … individui non possono pretendere al titolo di artisti. 
Il 26 dicembre 1922, commentando un disegno di un artista espressionista che gli aveva inviato Karl Abraham, Freud è ancora più diretto: Caro amico, ho ricevuto il disegno che presumibilmente dovrebbe rappresentare la sua testa. È spaventoso. …Ho sentito dire …che l’artista sostiene di averla vista cosi. A persone come lui non si dovrebbe permettere di accedere ai circoli analitici perché essi illustrano in modo quanto mai sgradevole la teoria di Adler secondo cui sono precisamente gli individui con innati gravi difetti della vista che diventano pittori e disegnatori.
Nel 1938 Freud incontra a Londra il surrealista Salvator Dalì: Fino a ora ero incline a considerare i surrealisti, che sembra mi abbiano prescelto come loro santo patrono, dei puri folli, o diciamo puri al 95 per cento, come l'alcool... Sarebbe davvero assai interessante esplorare analiticamente le origini di una pittura del genere. Eppure come critico uno potrebbe… dire che il concetto di arte resiste al fatto di essere esteso oltre il punto in cui il rapporto quantitativo tra il materiale inconscio e l'elaborazione preconscia non è mantenuto entro certi limiti. 
Freud sembra concludere che l’arte con il suo linguaggio "non verbale" e irrazionale, non consente l’emergere terapeutico di tutte le pulsioni nascoste. Solo alcune idee inconsce sono comunicabili: quelle che possono essere adeguate alla realtà delle strutture formali condivise nella concezione del mondo del tempo e che per questo offrono la possibilità di dare un preciso significato espressivo allo stile, alla forma, alla struttura (da Ernst Gombrich, Freud e la psicologia dell’arte, Torino, Einaudi 1973, pp. 24–25).

Le esplorazioni delle fusa

ACURA DI D. PICCHIOTTI

OMAGGIO A GAIA
.E se le fusa avessero delle virtù terapeutiche?
1 - I misteri delle fusa
La maggior parte dei felini, dal gatto domestico fino al leone e il leopardo, possono emettere una vibrazione profonda e caratteristica: sono le fusa! Queste fusa cominciano nella più tenera età del felino per proseguire in pratica tutta la vita. E, singolarmente, non se ne conosce il meccanismo.
Per molto tempo si credette ad una vibrazione delle pieghe della laringe, ma si osservò (Hardie-1981) che dei felini sottoposti ad una laringectomia continuavano a fare le fusa. Il diagramma ¶ stato ricostruito (Stogdale-1985), ma oggi si conviene nel considerare le fusa come il risultato dei movimenti sanguigni nella vena cava: questa vena si restringe per passare tra fegato e diaframma, e in certi stati neurovegetativi, il sangue formerebbe dei mulinelli in questo collo di bottiglia, e ciò provocherebbe delle vibrazioni in tutto il corpo, fino alle cavità craniche attraverso l'arteria tracheale.
In effetti," tutto vibra ", e il gatto presenta l'attitudine caratteristica di " lasciarsi andare ". Atteggiamento che per lungo tempo ¶ stato confuso con un " gran benessere ". Ma dei felini in stato di grande sofferenza, o molto inquieti sono ugualmente capaci di fare le fusa.
2 - L'enigma delle frequenze 25/50 Hertz
Se si analizza lo spettro sonoro di un gatto che fa le fusa, si vedono apparire soprattutto toni molto gravi, situati su frequenze da 25 a 50 Hertz. Si tratta di " bassi ", ben conosciuti dai compositori di musica, poich¶ permettono di suscitare emozioni. Dunque un'azione diretta del suono su un organismo. Un'azione che può essere misurata?
L'organizzazione protezionistica " Animal Voice ", che studia numerose modalità della comunicazione animale, ha fatto delle ricerche sul tema. Dei medici specialisti in ortopedia hanno utilizzato l'azione di queste frequenze per consolidare delle fratture, curare delle artrosi molto gravi, accelerando i processi di cicatrizzazione e la creazione di nuovi tessuti, secondo studi resi noti in pubblicazioni scientifiche. In una parola, queste basse frequenze hanno una funzione anabolizzante. Parallelamente, i ricercatori di " Animal Voice " hanno trovato delle statistiche delle Università veterinarie, indicanti che ad uguale lesione, e ad intervento chirurgico equivalente, i gatti hanno cinque volte meno conseguenze post-operatorie dei cani, e si rimettono in sesto tre volte piÿ rapidamente... Da qui l'ipotesi di un'azione anabolizzante di recupero: le fusa avrebbero una vera azione terapeutica!
3 - Benessere o malattia... una fase di recupero
I veterinari, nel corso delle cure rivolte ai gatti molto debilitati, sanno che questi animali feriti, in stato di sofferenza, trovano la forza di fare le fusa: si ¶ lontani quindi dallo schema classico del micio che si abbandona al benessere tra le braccia del suo padrone... Pertanto, in entrambi i casi, le fusa vanno di pari passo con un fenomeno di recupero. Nel gatto " felice ", questo ¶ il sonno in stato di felicità, ben conosciuto come una fase di anabolismo (¶ durante il sonno che si cresce, che si costruiscono i tessuti, che si struttura la memoria dei fatti della giornata...) . Nei gatti malati, si può interpretare invece come una disperata reazione di recupero, di consolidamento, sotto la spinta del cervello attraverso il sistema neurovegetativo.
4 - Il sistema neurovegetativo
A nostra insaputa, il sistema neurovegetativo sorveglia il corpo e aziona i nostri organi. Il ritmo del cuore, la tensione delle pupille o la ritenzione della vescica, tutte le nostre grandi funzioni sono sotto l'autorità di un complesso di fibre nervose: il sistema neurovegetativo. Queste fibre, dette autonome, poiché esse non dipendono dalla nostra volontà, agiscono sulle fibre lisce di tutti gli organi: controllano i passaggi degli alimenti, l'entrata e l'uscita dell'aria, la circolazione del sangue, etc... Ma queste fibre sanno ugualmente attivare le ghiandole e controllano anche l'insieme della produzione ormonale.
Questo sistema autonomo, al quale si deve la funzione essenziale di mantenere nell'organismo l''equilibrio vitale, comprende due protagonisti, due reti opposte e complementari: il sistema simpatico, e il suo antagonista, il sistema parasimpatico.
Il sistema simpatico, le cui fibre si attivano producendo la noradrenalina, mette in gioco tutte le nostre capacità difensive, mobilitando le nostre difese organiche: aumento della pressione, del ritmo cardiaco, della glicemia...
E' lui che ci mantiene svegli, in stato di vigilanza, e che dosa la nostra aggressività con la produzione di dopamina.
Quando il sistema simpatico ¶ in attività, l'organismo " carbura ", e consuma rapidamente le sue riserve, l'insieme delle membrane cellulari si depolarizza.
Al contrario, il sistema parasimpatico (che funziona producendo l'acetilcolina) ha un ruolo riequilibrate: ¶ lui che frena l'azione del precedente, ed ¶ ancora lui che " ripara i guasti ": organizza la digestione, spinge alla ricostruzione dei tessuti (fibroblasti, globuli rossi, tessuti cicatriziali...), e' dunque un fattore anabolizzante,
Ed ¶ ancora lui che spinge alla secrezione dell'ormone del sonno, la serotonina. Questa serotonina ¶ prodotta durante la giornata, e si accumula in certe parti del cervello (le aree preottiche), dove prende il sopravvento sui fattori di risveglio: il sonno può cosã cominciare. ' Ed e' durante il sonno che l'organismo ricostituisce le sue forze: ¶ per questo che il mattino al risveglio spesso ' ci si
5 - Dei ricordi e delle emozioni
Tutti gli stimoli che attivano il cervello, quale che sia l'origine esogena (rumori, luci...) o endogeni (pensieri, sensazioni organiche...), passano al filtro di due zone del cervello la cui importanza ¶ considerevole: l'ippocampo, che riconosce e classifica gli avvenimenti e gli oggetti, e l'amigdala, che collega le associazioni emozionali cosã come i colori.
Un esempio: in strada vedete transitare velocemente uno scooter blu, identico a quello che avevate all'età di quindici anni. Prima di tutto, questa visione si imprime nell'ippocampo (richiamo alla memoria di fatto), e riprende vigore a livello dell'amigdala richiama mille dettagli sul vostro motore, mille impressioni e ricordi sul suo colore, l'odore della sella... le emozioni sono della partita, poiché si tratta di un ricordo forte.
E' il senso dell'odorato che costituisce l' " input " piÿ potente, prima della visione e dell'ascolto.
E' così che certi agenti immobiliari mettono in atto un trucco: fanno tostare del pane e preparano del caff¶ nell'appartamento che vi faranno visitare. Gli acquirenti potenziali saranno così condizionati dall'emozione di questi odori, che evocano " famiglia ", " benessere "e " benvenuto "...
Il giornale Effervesciences a prodotto un CD audio che propone numerose fasi di fusa, con o senza melodia musicale aggiunta. Piÿ di 250 lettori o internauti hanno ordinato questo CD per studiare su se stessi gli effetti di fusa registrate.
Per molti, " questo non vale un vero gatto ", e questo ¶ normale.
Una trentina di " ronronautes ", come dicono in Francia, traduciamolo allora in " fusonauti ", hanno deciso di scrivere le proprie impressioni: eccone alcune tra le piÿ simpatiche e efficaci.
- " Effetti molto evidenti sull'indurre al sonno ".
- " Oltre al rumore bianco delle fusa familiari, c'e' la significativa energia vitale di un essere vitale, complesso, come il gatto ".
- " Un rilassamento profondo con la percezione di una luce violetta ".
- " Diminuzione immediata ed evidente dello stress ".
- " Ho costatato l'attivarsi di una circolazione d'energia con prurito caratteristico nelle palme delle mani e dei piedi. Dopo un quarto d'ora, ho avvertito una respirazione ampia e profonda con una sensazione di sollievo ".
L'ascolto del CD deve avvenire nella tranquillità, a volume basso, se possibile con le cuffie. Non sgranocchiare, e trovare una posizione confortevole.
L'ascolto in macchina ¶ assolutamente sconsigliato.

FALLACY:Ricorso all'emozione

Descrizione di Ricorso all'emozione
Un Ricorso all'emozione è un errore che ha la seguente struttura:
Emozioni positive sono associate con X.
Quindi, X è vero.
Questo errore viene commesson quando qualcuno manipola le emozioni della gente in modo da fargli accettare un'affermazione come vera. Più formalmente, questo tipo di "ragionamento" consiste nella sostituzione di vari mezzi per produrre forti emozioni al posto di una prova a favore di un'affermazione. Se le emozioni positive associate ad X influenzano la persona ad accettare X come vero perché "X gli piace" allora questi è caduto preda dell'errore.
Questo tipo di "ragionamento" è molto comune nella politica e serve come base per una gran parte della pubblicità moderna. La maggior parte dei discorsi politici sono mirati a generare sentimenti nelle persone in modo che questi sentimenti li portino a votare o comportarsi in una certa maniera. Nel caso della pubblicità gli spot sono mirati ad evocare emozioni che influenzeranno la gente a comprare certi prodotti. Nella maggior parte dei casi, questi discorsi e pubblicità notoriamente non hanno alcuna prova reale.
Questo tipo di "ragionamento" è fallace in modo piuttosto evidente. È errato perchè usare varie tattiche per incitare emozioni nelle persone non serve come prova per un'affermazione. Per esempio, se qualcuno fosse stato capace di ispirare in una persona un incredibile odio dell'affermazione che 1+1=2 e poi avesse ispirato la persona ad amare l'affermazione che 1+1=3, non ne discenderebbe che l'affermazione 1+1=3 sia stata supportata in maniera adeguata.
Dovrebbe venire notato che in molti casi non è particolarmente ovvio che la persona che commette l'errore stia tentando di supportare un'affermazione. In molti casi, sembrerà che chi usa il Ricorso all'emozione stia provando a fare fare un'azione alle persone, come comprare un prodotto o combattere in una guerra. Comunque, è possibile determinare che tipo di affermazione la persona stia davvero tentando di supportare. In questi casi bisogna chiedersi "Questa persona che tipo di affermazione sta cercando di fare accettare alla gente in modo da farli agire secondo essa?" Per determinare la tesi (o le tesi) ci potrebbe volere un po' di lavoro. Comunque, in molti casi sarà piuttosto evidente. Per esempio, se un leader politico stesse tentando di convincere i suoi seguaci a partecipare a certi atti di violenza usando un discorso atto a suscitare odio, allora l'affermazione sarebbe "dovreste partecipare a questi atti di violenza." In questo caso, la "prova" sarebbe l'odio suscitato nei seguaci. Questo odio servirebbe a renderli favorevolmente inclini verso l'affermazione che dovrebbero prendere parte agli atti di violenza. Come altro esempio, la pubblicità di una birra potrebbe mostrare uomini e donne felici e poco vestiti che si divertono in una spiaggia, tracannando birra. In questo caso l'affermazione sarebbe "dovresti comprare questa birra." La "prova" sarebbe l'emozione suscitata dal vedere queste belle persone che bevono birra.
Questo errore è un mezzo di persuasione estremamente efficiente. Come molti hanno affermato, le emozioni delle persone spesso hanno molta più forza della loro ragione. L'argomentazione logica è spesso lunga e difficile e ha raramente il potere di esortare la gente all'azione. È il potere di questo errore che spiega la sua grande popolarità ed il suo uso diffuso. Comunque, è sempre un errore.
In tutta franchezza deve venire notato che l'uso di tattiche per ispirare emozioni è un'abilità importante. Senza un ricorso alle emozioni delle persone, è spesso difficile spronarli a fare azioni o a fare il loro meglio. Per esempio, nessun buon allenatore prepara la squadra con sillogismi prima della grande partita. Invece li ispira con termini emozionanti e cerca di spronarli. Non c'è niente di inerentemente sbagliato in questo. Comunque, non è una forma accettabile di argomentazione. Finchè si è capaci di distinguere chiaramente tra ciò che ispira emozioni e ciò che giustifica un'affermazione, è difficile cadere preda di questo errore.
Come punto finale, in molti casi sarà difficile distinguere un Ricorso all'emozione da qualche altro errore e in molti casi errori multipli possono venire commessi. Tra gli altri, molti Ad Hominem saranno molto simili ai Ricorsi all'emozione e, in qualche caso, entrambi gli errori verranno commessi. Per esempio, un leader potrebbe tentare di evocare odio contro una persona per ispirare i suoi seguaci ad accettare che dovrebbero rifiutare le affermazioni dell'avversario. Lo stesso attacco potrebbe funzionare come sia un Ricorso all'emozione che un Attacco personale. Nel primo caso, l'attacco sarebbe mirato a far sentire i seguaci inclini al rifiutare le sue affermazioni. Nel secondo caso, l'attacco sarebbe mirato a fare rifiutare le affermazioni di questa persona a causa di qualche difetto percepito (o immaginato) del suo carattere.
Questo errore è collegato al Ricorso alla popolarità. A dispetto delle differenze tra questi due errori, sono entrambi uniti dal fatto che coinvolgono ricorsi alle emozioni. In entrambi i casi gli errori mirano a far accettare alla gente affermazioni basate su quello che loro o altri sentono sulle affermazioni e non basate sulle prove addotte.
Un altro modo per guardare questi due errori è come segue
Ricorso alla popolarità
La maggior parte delle persone approvano X.
Così, anche io dovrei approvare X.
Poiché io approvo X, X deve essere vero.
Ricorso all'emozione
Io approvo X.
Quindi, X è vero.
Secondo questa visione, in un Ricorso alla popolarità l'affermazione viene accettata perché la maggior parte delle persone approvano l'affermazione. Nel caso di un Ricorso all'emozione l'affermazione viene accettata perché l'individuo approva l'affermazione a causa del sentimento di approvazione che percepisce riguardo all'affermazione.
Esempi di Ricorso all'emozione
Il nuovo computer PowerTangerine ti dà la forza di cui hai bisogno. Se ne compri uno, la gente invidierà la tua forza. Guarderanno verso di te e vorranno essere proprio come te. Conoscerai la vera gioia del potere. TangerinePower.
La nuova dieta UltraOssuto ti farà sentire alla grande. Non sarai più preoccupato dal tuo peso. Goditi gli sguardi ammirati del sesso opposto. Bèati della tua nuova libertà dal grasso. Conoscerai la vera felicità se proverai la nostra dieta!
Bill va a sentire un discorso politico. Il politico dice alla folla dei mali del governo e del bisogno di mandar via la gente che adesso è al potere. Dopo aver sentito il discorso, Bill è pieno di odio per i politici di adesso. A causa di questo, gli piacerebbe mandare via i vecchi politici e accetta che è la cosa giusta da fare a causa di come si sente.

martedì 25 settembre 2007

- Schiavitù e solitudine nell'arte -

ACURA DI D. PICCHIOTTI

Molte delle tematiche prese in considerazione nella pellicola Fight Club possono essere riconosciute nei quadri di artisti quali Hopper e il metafisico de Chirico.
"I nottambuli", quadro che ad un osservatore disattento potrebbe apparire insignificante, rivela nella dislocazione degli spazi, delle persone, delle luci e dei volumi un senso di "anestetizzazione" (termine usato da Edward Norton) della vita e dell'intelletto. Ad un primo impatto l'immagine sembrerebbe una delle tante illustrazioni del periodo anni cinquanta e invece, dietro a questo realismo sfrenato che cede al particolare e alla precisione, si nasconde qualcosa di più...
"Può Hopper essere considerato un realista in senso stretto? Il suo occhio cancella i dettagli, la sua pittura procede per sottrazione" 6
A delineare la scena ci sono ombre taglienti e luci accecanti. Gli edifici e i vestiti dei soggetti umani diventano "confezioni" in cui l'uomo-consumatore è "imballato" (non siamo noi a consumare gli oggetti ma sono loro a consumare noi)...
Le luci estremamente fredde e artificiali suggeriscono invece il concetto di alienazione: sembra quasi che non vi sia più speranza per i soggetti raffigurati nella composizione. L'angoscia e l'attesa di un qualcosa che non arriva domina l'infinto istante dipinto da Hopper...
Noi (i "nottambuli" della società di massa) siamo rinchiusi in un mondo apparentemente perfetto ma che in realtà ci sta divorando pezzo per pezzo da dentro. La sensazione che l'opera trasmette è quella di un coltello affilatissimo che lentamente sale lungo la schiena provocando un brivido intenso...
Tra i colori di questo dipinto si scorge difatti l'ineluttabilità del vivere e del pensare borghese, un qualcosa che ricorda il "Si" impersonale di Heidegger... Nei falsi atteggiamenti, nei sorrisi tirati, nell'incapacità di dire "io penso" sta la banalità del vivere quotidiano nel quale siamo fatalmente immersi. Ad attendere il presente dei clienti del Phillies c'è solo un futuro di malinconia e solitudine...
Edward Hopper (1892-1964) è l'artista delle periferie urbane, dell'altra America, quella disillusa dalla vita di tutti i giorni... la sua produzione è una denuncia dell'inconsistenza del vivere del nostro tempo: un disagio profondo si nasconde sotto una falsa parvenza di tranquillità, di pace...

DE CHIRICO: IL "GRANDE METAFISICO" E LA "STAZIONE DI MONTPARNASSE">Questi quadri, "Il grande metafisico" e "La stazione di Montparnasse" contrariamente a "I nottambuli" regalano toni caldi e appassionanti la cui conturbante armonia riporta l'osservatore assorto in quello stato di malinconia e solitudine propria dell'artista: è questo il concetto di "tragedia della serenità"...
De Chirico, in maniera assai diversa da Hopper, giunge con la sua produzione pittorica a traguardi espressivi di incalcolabile valore traslando la vita contemporanea dal piano reale a quello della metafisica.
In "Il grande metafisico" il pittore esprime infatti la figura dell'uomo come manichino privo di identità: il suo volto (bianco e vuoto) è una costruzione abbandonata, un progetto interrotto... de Chirico contrappone insomma ad un viso privo di espressività (indice forse di inconsistenza spirituale) un corpo complesso e a tratti "baroccheggiante"... l'uomo vuoto si copre di "costrutti", identificabili come oggetti con il quale crede di esprimere se stesso, e nel fare ciò perde la sua consistenza schiacciato dalla materia che si accalca intorno a lui per opprimerlo e spolparlo:
"le cose che possiedi alla fine ti possiedono..."
I personaggi che caratterizzano lo stile dell'artista sembrano capitati quasi per caso in luoghi ad essi estranei, sono immobili, silenziosi, si trovano in mezzo ad architetture coercitive della realtà il cui senso ultimo traspare nelle ombre inquietanti di un'esistenza sfuggente e chiusa in se stessa... Forse l'uomo non è nemmeno più un manichino forse ne è solo l'ombra
"Tutto è lontano, tutto è una copia, di una copia di una copia..." 10
In questi ambienti minacciosi i soggetti non più uomini e nemmeno manichini, diventati l'ombra di se stessi, sono lontani e al tempo stesso vicini... Occupano spazi in ambienti la cui prospettiva sfugge alla comprensione... cercano una via di scampo...
In "La stazione di Montparnasse" il punto di fuga (ideale) esiste ma è lontano (in alto a destra), in cima ad una ripida salita, chiara allusione alla metafora della vita... L'uomo è "a due passi dalla salvezza" ma le ombre lo trattengono (rivolte verso il basso)... cosa possono due puntini (i protagonisti della scena) contro tutto ciò...?
In questi complessi irreali tutto è sospeso tra incubo e realtà, tra evasione e costrizione, tra veglia e sogno... L'oblio e la solitudine caratterizzano lo spazio occupando volumi prospettici unitari e allo stesso tempo frammentari:
Se ti svegliassi ad un'ora diversa in un posto diverso, ti sveglieresti come una persona diversa?" 11
Quando osservo "La stazione di Montparnasse" vengo catturato dall'essenza dell'opera e avverto come un fischio simile a quello di un treno in lontananza... non è altro che una sensazione ma, in quell'istante, io sono una delle due figure in alto a destra, avverto un tepore e un senso di amarezza che null'altro potrebbe darmi. Soffro e provo piacere...
 

lunedì 24 settembre 2007

I fondamenti del Buddhismo

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI«
 Il bramino Dona vide il Buddha seduto sotto un albero e fu tanto colpito dall'aura consapevole e serena che emanava, nonché dallo splendore del suo aspetto, che gli chiese:
– Sei per caso un dio?
– No, brâhmana, non sono un dio.
– Allora sei un angelo?
– No davvero, brâhmana.
– Allora sei uno spirito?
– No, non sono uno spirito.
– E allora, che cosa sei?
– Io sono sveglio. »
(Anguttara Nikaya)
I fondamenti del BuddhismoAlla base della dottrina buddhista troviamo le Quattro Nobili Verità. Si narra che il Buddha, meditando sotto l'albero della bodhi, le comprese nel momento del proprio risveglio spirituale.Le quattro nobili veritàIl "Dhammacakkappavattana Sutta" (od anche "Dharmaçakrapravartana Sutra" in sanscrito)il "Discorso della messa in moto della ruota del Dhamma" (od anche Dharma in sanscrito)È il primo discorso pubblico del Buddha, tenuto al parco dei cervi nei pressi di Sarnath vicino Varanasi (attuale Benares) nel 528 a.C. all'età di 35 anni, dopo che nei pressi del villaggio di Bodhgaya dello stato del Bihar (stato fra i più poveri dell'India) aveva raggiunto il "risveglio spirituale", detto "satori" nel Buddhismo Zen.Questo discorso è quindi anche detto "Discorso di Benares", fondamentale per il Buddhismo, che da questo primo discorso pubblico prese le mosse e può considerarsi avviato anche come prima comunità iniziale buddhista (sangha) formata proprio da quei cinque asceti che lo avevano abbandonato anni prima sfiduciati, dopo essere stati a lungo i discepoli più vicini a lui.In questo discorso si identifica il Buddhismo come "La Via di Mezzo" in cui si riconosce che la retta condotta risiede nella linea mediana di condotta di vita (majjhama patipada) evitando eccessi ed assolutismi.Nell'occasione di questo sermone il Buddha rivela le "Quattro Nobili Verità", frutto del proprio "risveglio spirituale" testè raggiunto.Eccone di seguito l'elenco: 1. Duhkha: "esiste la sofferenza esistenziale".Nella vita dell'Uomo è insita una sofferenza di tipo esistenziale: essa affligge l'Uomo a motivo dell'impermanenza della situazione esistenziale che lo accompagna dalla nascita e per effetto della sua nascita immersa nel "samsara".Questa sofferenza esistenziale si rivela ed è percepita non solo quando si constata l'ineluttabilità di malattia, vecchiaia e morte, ma anche quando si è costretti al contatto con ciò che non si ama come, ad esempio, contatti, connessioni, relazioni, interazioni con persone, cose od eventi che ci dispiacciono.Ma non solo in questi casi: la sofferenza esistenziale si rivela ed è percepita anche quando si è costretti alla separazione da ciò che si ama, come quando uno è privato di visioni, suoni, odori, sapori o sensazioni tattili desiderabili, gradevoli, attraenti, oppure come quando uno non riesce ad ottenere contatti, connessioni, relazioni, interazioni con persone, cose od eventi che producono il suo bene, il suo benessere, il suo agio, la sua libertà dalla schiavitù, od infine quando uno debba subire la forzata separazione da madre, padre, fratelli, sorelle o da amici, compagni, parenti amati. La frustrazione dei desideri è una delle più usuali percezioni del "duhkha", della cosiddetta "sofferenza esistenziale".Più in generale, la constatazione che viene fatta nella "Prima Nobile Verità" è che esiste nella vita dell'Uomo una sofferenza esistenziale associata all'impermanenza di tutte le cose, al fatto che ogni cosa è destinata a finire. 2. Samudaya: "esiste un'origine della sofferenza esistenziale"La sofferenza esistenziale non è colpa del mondo, né del fato o di una divinità; né avviene per caso. Ha origine dentro di noi, dalla ricerca della felicità in ciò che è transitorio, spinti dal desiderio (trsna, in pali: «tanha» o «brama») per ciò che non è soddisfacente. Si manifesta nelle tre forme di kamatrsna o «desiderio di oggetti sensuali»; bhavatrsna o «desiderio di essere»; vibhavatrsna o «desiderio di non essere». 3. Nirodha: "esiste l'emancipazione dalla sofferenza esistenziale"Per sperimentare l'emancipazione dalla sofferenza esistenziale, occorre lasciare andare trsna, l'attaccamento alle cose e alle persone, alla scala di valori ingannevoli per cui ciò che è provvisorio è maggiormente desiderabile. 4. Marga: "esiste un percorso di pratica da seguire per emanciparsi dalla sofferenza esistenziale".È la strada da intraprendere per avvicinarsi al NIRVANAEsso è detto il «Nobile Ottuplice Sentiero» •Il Nobile Ottuplice SentieroLa "Quarta Nobile Verità" consiste nel "Nobile Ottuplice Sentiero" (ariyo atthangiko maggo) che conduce alla piena ed esaustiva realizzazione spirituale buddhista attraverso il superamento di quel condizionamento costituito dalla sofferenza esistenziale che si accompagna alla vita dell'Uomo sia dalla sua nascita e sia a motivo della sua nascita • Gli elementi del "Nobile Ottuplice Sentiero"Possono essere considerati secondo tre tipologie. Questo ordinamento, però, non significa affatto che esista un albero gerarchico fra gli otto elementi, né tanto meno che esista un ordine di successione e di importanza fra di essi. Tutti quanti gli otto elementi sono coltivati comtemporaneamente nella pratica buddhista e ciascuno interagisce in una realizzazione sinergica con gli altri. • la "prima tipologia" riguarda la «saggezza»
1.Retto intendimento (samma ditthi) cioè il riconoscimento delle "Quattro Nobili Verità" attraverso la loro corretta conoscenza e la conseguente loro corretta visione.2.Retta risoluzione (samma sankappa) cioè il corretto impegno sostenuto dalla corretta intenzione nel padroneggiare il trsna (l'attaccamento al desiderio di vivere, alla brama ed all'avidità di esistere, di divenire o di liberarsi, al desiderio di affermare il proprio «sé esistente») in modo da manterene la corretta aspirazione che consegue alla corretta motivazione, al fine di non lasciarsi condizionare dalla «sete di esistere», causa del Samsāra.la "seconda tipologia" riguarda la «moralità» (sila).1.Retta Parola (samma vaca) cioè l'assunzione della personale responsabilità delle nostre parole, ponendo attenzione nella loro scelta e ponderandole in modo che esse non producano effetti nocivi agli altri e di conseguenza a noi stessi; ciò significa anche che il nostro agire deve essere improntato al nostro parlare e corrispondere ad esso.
2.Retta Azione (samma kammanta) cioè l'azione non motivata dalla ricerca di egoistici vantaggi, svolta senza attaccamento verso i suoi frutti. È anche "l'azione che si conforma correttamente alla situazione", nel senso in cui non c'è più distinzione fra l'azione individuale e personale e l'azione del karma cosmico in relazione all'evento in cui l'agire individuale e personale si determina. In questo caso il corretto agire individuale armonizza in modo talmente perfetto il karma specifico prodotto dall'azione individuale al karma cosmico, da non consentire più che il karma individuale si distingua da quello universale e di esso viene quindi a costituire una sua intima ed indistinguibile componente. Per questo motivo la "retta azione" è anche considerata un "agire senza agire".3.Retta Condotta di vita (samma ajiva) cioè vivere in modo equilibrato evitando gli eccessi, procurandosi un sostentamento adeguato con mezzi che non possano arrecare danno o sofferenza agli altri. Questo comporta anche la corretta padronanza delle proprie intenzioni, in modo che esse siano sempre orientate e dirette lungo la linea mediana di condotta di vita (majjhama patipada) attraverso una corretta azione • la "terza tipologia" riguarda la specificità della «meditazione buddhista» 1. Retto Sforzo (samma vayama) cioè lasciare andare gli stati non salutari e coltivare quelli salutari. Significa anche confidare nella bontà della propria pratica buddhista perseverando con un corretto ed equilibrato impegno nello sforzo, motivato dalla fede (saddhâ) che al buddhista praticante proviene dai risultati ottenuti nell'avanzamento lungo il persorso della propria personale realizzazione spirituale e nell'avanzamento verso una sempre maggiore capacità di esercitare una corretta azione (samma kammanta) nella propria pratica buddhista. 2. Retta Consapevolezza (samma sati) cioè la capacità di mantenere la mente priva di confusione, non influenzata dalla brama e dall'attaccamento (trsna) 3. Retta pratica della meditazione (samma samadhi) cioè la capacità di mantenere il corretto atteggiamento interiore che porta alla corretta padronanza di sé stessi durante la pratica della meditazione (dhyāna).Nel Buddhismo Zen si usa il termine giapponese "zanmai" anziché il termine sanscrito "samadhi", con lo stesso significato di raggiungimento del livello più elevato di "unione", riunificazione, identificazione del sé individuale con la realtà esistente. L'uso del termine "zanmai" è particolarmente indicato nel caso dell'ottavo elemento dell'ottuplice sentiero, poiché esso implica uno stato interiore nel quale la mente è assolutamente libera da distrazione ed è assorbita in intensa e decisa concentrazione, la quale, correttamente applicata, è una specifica caratteristica richiesta nella "retta pratica della meditazione"Vi sono quattro dhyāna (sanscrito) o jhana (pali). 1. Il primo dhyāna è una condizione di soddisfazione dovuta alla riflessione e all'investigazione. 2. Il secondo stadio è la tranquillità senza riflessione nell'investigazione.
3. Il terzo porta all'assenza di ogni condizionamento proveniente dal trsna che sta alla base della sofferenza, premessa questa indispensabile al conseguimento del successivo stadio. 4. Il quarto consiste nel nirvana, cioè nel superamento della sofferenza esistenziale attraverso il "pensiero-senza-pensiero" e l' «agire-senza-agire» conseguenti alla realizzazione del perfetto «risveglio spirituale buddhista», la cosiddetta "buddhità", vale a dire la «qualità di Buddha» presente in ogni essere umano, talvolta anche definita con il termine «vacuità».La parola dhyāna è all'origine della parola sinogiapponese zen: quando il Buddhismo arrivò in Cina, fu adattata alla lingua cinese (chan). In seguito il Buddhismo fu introdotto in Giappone e un'importante scuola porta questo nome.
Diversi approcci nella definizione di BuddhismoRiguardo alla definizione del Buddhismo ci sono diverse opinioni. Il Dalai Lama ha definito il Buddhismo "a science of mind" una scienza della mente. Secondo alcuni per certi aspetti sarebbe possibile definirlo una religione, o presenterebbe comunque aspetti di tipo religioso; secondo altri, invece, sarebbe possibile definirlo una filosofia di vita, o presenterebbe comunque aspetti di tipo filosofico; secondo altri ancora nel Buddhismo sarebbero compresenti aspetti sia religiosi sia filosofici; infine altri negano che il Buddhismo rientri in una di queste predefinite specifiche categorie, dal momento che il Buddha stesso, quando era in vita, a chi esplicitamente gli domandava se i suoi insegnamenti fossero «teisti», «atei», o costituissero una «filosofia di vita», invariabilmente tacque sempre su questi punti specifici, senza mai soddisfare a queste domande.Ma proprio questa assenza di indicazioni fece anche sì che nel corso del suo millenario sviluppo in ogni parte del mondo, il Buddhismo legittimamente tollerasse una grande varietà di pratiche al suo interno, fino ad assumere quella complessità di manifestazioni e di aspetti oggi presenti e che sono anche motivo di queste diversità di orientamenti di opinione sulla sua definizione.Buddhismo e religione Alla sua origine il Buddhismo era effettivamente estraneo da qualunque preoccupazione religiosa. Buddha, nella sua ricerca e nella sua predicazione, si rifiuta di affrontare questioni di tipo religioso riguardanti l'esistenza di un principio divino assoluto, o l'eventuale natura di un'anima separata dal corpo: questioni di questo genere non vengono né negate né affermate, ma semplicemente lasciate nel silenzio. Da questo punto di vista il Buddhismo, nelle sue prime fasi, si distacca nettamente dall'induismo del tempo, il quale aveva invece al suo centro l'identità tra l'io individuale e l'Assoluto divino. Anche riguardo al Nirvana, che pure è l'obiettivo ultimo della pratica Buddhista, il Buddha e la letteratura Buddhista successiva preferiscono definirlo in negativo, senza affermarne nulla al riguardo. Ciò non significa che il Nirvana consista nel nulla: significa semplicemente che è al di là della possibilità del linguaggio e del pensiero, che è inesprimibile attraverso delle categorie concettuali avendo la sostanza della vacuità.Tuttavia, già entro un breve tempo successivo alla scomparsa del Buddha, si verificò un processo di «divinizzazione» del maestro, concepito sempre meno come semplice uomo e sempre più come creatura dotata di facoltà prodigiose e sovrumane. A questo processo di divinizzazione si affiancò un vero e proprio culto popolare relativo al Buddha e alle sue reliquie (vedi la voce stupa).
Nei secoli posteriori, quindi, venne sviluppandosi all'interno del Buddhismo tutta una fenomenologia devozionale, composta di templi, preghiere e mitologia che si configura entro certi limiti come una vera e propria religione. Da questo punto di vista c'è chi afferma che, specie per quanto riguarda il Buddhismo Mahayana, e soprattutto per quanto riguarda l'Amidismo, il Buddhismo o alcune sue tradizioni, siano a tutti gli effetti una religione.Da parte sua, inoltre, se le diverse scuole del Buddhismo sono concordi nel rifiutarsi di definire in senso positivo un eventuale principio divino Assoluto, non viene comunque negata l'esistenza di entità superiori all'uomo, cioè le varie divinità del politeismo. Il Buddhismo, in tal senso, non negò l'esistenza dei deva nell'induismo così come non negò quella dei kami giapponesi e anzi ne aggiunse d'altri propri: soltanto, dal punto di vista Buddhista anche queste divinità (non concepite come eterne o incorruttibili) fanno parte, assieme all'uomo e a tutte le altre creature viventi, del ciclo del divenire e della sofferenza. Il buddhismo inventò perciò molti episodi in cui uno di essi, o una folla di divinità, discende dal cielo per ascoltare rispettosamente la parola del Buddha o per rendergli qualche servizio, «annoverandoli fra i laici», facendone devoti modello e protettori del buddhismo.Da notare infine che, attualmente, nei paesi a maggioranza Buddhista o dove il Buddhismo ha avuto una larga influenza culturale (ad esempio il Giappone o l'Indocina), nella percezione popolare il Buddhismo viene visto e vissuto come una religione.Buddhismo ed ateismo Alcuni pensano che poiché il Buddha ha sempre accuratamente e volutamente evitato di fare affermazioni sull'Assoluto, il suo insegnamento sia certamente «ateo»Altri sostengono che il Buddhismo sia sostanzialmente ateo per il fatto che, nonostante il Buddha non abbia mai negato le tradizionali divinità specifiche del brahmanesimo (che successivamente diventerà induismo), queste divinità non possono evitare all'Uomo le sofferenze della vita, per cui credere o non credere in loro non cambia le cose e l'Uomo, secondo il Buddha, deve invece trovare il cammino che conduce al proprio «risveglio interiore» ed alla personale completa realizzazione spirituale, attraverso la propria pratica individuale ed il vaglio della propria personale esperienza (il dhamma-vicaya) seguendo il metodo introspettivo indicato dal Buddha stesso (il Bodhipakkhika Dhamma).Anche papa Giovanni Paolo II, ha attribuito al Buddhismo un sostanziale ateismo, alimentando la tesi e le argomentazioni di chi cerca di ravvisare nel Buddhismo un sistema sostanzialmente ateo, infatti afferma nel libro-intervista Varcare la soglia della speranza[2], che «il Buddismo è in misura rilevante un sistema ateo» dal momento che è privo di avvicinamento a Dio: «La pienezza del distacco buddhista non è l'unione con Dio, ma il cosiddetto nirvana, ovvero uno stato di perfetta indifferenza nei riguardi del mondo» e ancora «il Buddhismo è, al pari del Cristianesimo, una religione di salvezza, ma le dottrine di salvezza dell'uno e dell'altro sono tra loro "contrarie"». Si sottolinea quindi l'esclusione di riferimenti ai termini «Dio» e/o «Divinità», riferendosi genericamente ad un «aiuto superiore» ma non sarebbe un aiuto «divino».Queste opinioni sul Buddhismo espresse dal più autorevole rappresentante dalla Chiesa cattolica, sono sostanzialmente allineate con un precedente documento del Concilio Vaticano II (Nostra Aetate - 28 ottobre 1965) nonostante qui si usino termini più concilianti in ottica di una precedente politica interreligiosa più moderata: «Nel Buddhismo, secondo le sue varie scuole, viene riconosciuta la radicale insufficienza di questo mondo mutevole e si insegna una via per la quale gli uomini, con cuore devoto e confidente, siano capaci di acquistare lo stato di liberazione perfetta o di pervenire allo stato di illuminazione suprema sia per mezzo dei propri sforzi sia con l'aiuto venuto dall'alto»,Queste sono le principali ragioni di chi vorrebbe identificare il Buddhismo come una sorta di ateismo.Questa interpretazione atea del Buddhismo è però confutata da chi sostiene che, essendo l'ateismo la negazione assoluta di Dio, l'ateismo costituisce esso stesso un assolutismo, il quale assolutismo deve ritenersi totalmente estraneo al Buddhismo che si fonda invece sull'equilibrata "Via di mezzo" (il Nobile Ottuplice Sentiero) che, prescindendo per sua stessa natura da qualsiasi forma di assolutismo, rifugge quindi da entrambi, sia quello del teismo sia a maggior ragione quello dell'ateismo. In questo senso deve quindi intendersi lo scrupolo che il Buddha sempre si diede nell'evitare accuratamente di esprimersi sulla questione dell'Assoluto e quindi senza cadere mai nell'assolutismo delle posizioni che da esso deriva.Rifuggendo quindi da ogni tipo e forma di assolutismo, il Buddhismo in quanto espressione della «Via di mezzo» indicata dal Buddha nel suo famoso e fondamentale «discorso di Benares», non può che prescindere da queste questioni esistenziali proposte invece, peraltro entrambe in modo irrisolto ed irrisolvibile, sia dall'ideologia del teismo sia da quella dell'ateismo.Queste sono le principali ragioni di chi esclude decisamente che esista la possibilità di identificare il Buddhismo come una sorta di ateismo e quindi conseguentemente come negazione assoluta di Divinità (deismo) e/o di uno specifico Dio (teismo).Ma se si vuol considerare l'ateismo come l'attitudine ad affrontare «in modo critico» le vicissitudini senza trascendere la realtà («senza appigli»), allora si deve riconoscere che senza questa attitudine è impossibile «abbracciare» il buddhismo, cioè svegliarsi[4]. Il «buddhismo non nega nulla», nonostante ciò «è una religione senza dio», senz'anima (e senza sé), senza culto e senza mistero, basata sulla comprensione delle concezioni su cui poggia e non sulla fede. C'è stata «una sola setta», la mahàsàmghika dei lokottaravàdin che consideravano buddha un essere trascendente (lokottara, cioè un dio) e il buddha storico solo un fantasma (nirmànakàya) emanato da questo. Furono loro a scolpire gli enormi monumenti del buddha nelle rocce del Bamiyan, proprio quelli bombardati dai talebani che da musulmani iconoclasti sono incappati nell'errore di considerare idolatre quelle sculture. Anche se nell'intenzione della setta «c'era idolatria», le statue rappresentavano un uomo e non un dio, e i talebani hanno distrutto una raffigurazione umana e non divina perché buddha è comunque solamente un uomo.Anche l'assolutismo, nell'accezione non trascendente, cioè nel decidere di considerare «definitivo» un solo elemento tra molti presi in esame, non è estraneo al buddhismo, anzi il buddhismo argomenta come l'insegnamento della Legge da parte degli Svegliati si svolge in base a due verità: la verità relativa del mondo e la «verità assoluta». Quest'ultima è «l'illusione dell'esistenza di quelle quattro sante verità che il buddista «abbraccia» quando mette in moto la Ruota della Legge, fino ad allora il buddista conosce le quattro sante verità, ma non le abbraccia e si illude che esistano, e «questa è la verità relativa» del mondo.Buddhismo e filosofia Riguardo ai rapporti tra Buddhismo e filosofia, la questione è resa più complessa dalla già difficile definizione dello stesso concetto di filosofia.Nella concezione moderna, successiva al XVI secolo e alla rivoluzione scientifica, per filosofia si intende comunemente lo «studio del significato e della giustificazione della conoscenza del più generale, od universale, aspetto delle cose». La filosofia sarebbe dunque una forma di indagine del sapere, volta a descrivere la natura più profonda della realtà. In questo senso è possibile ravvisare aspetti filosofici all'interno del Buddhismo. La presenza di questioni viste come incongruenti nella dottrina del Buddhismo più antico (ad esempio la negazione dell'esistenza di un io individuale) generò difatti, nei secoli posteriori, ampie speculazioni teoriche nel tentativo di risolverli. Speculazioni teoriche spesso estremamente complesse, basate su sofisticati sistemi di logica, che discutono questioni come quelle dell'esistenza dell'io, o di un principio di causalità, che possono trovare dei paralleli all'interno della filosofia di origine europea. Tali speculazioni si trovano ad esempio nella scuola del Madhyamaka o del Vijnanavada.C'è chi fa notare che, tuttavia, nel Buddhismo queste speculazioni teoriche non sarebbero volte a definire una descrizione definitiva della realtà (ambizione, questa, tipica della filosofia europea moderna), ma piuttosto sarebbero degli strumenti momentanei e transitorî per permettere al praticante Buddhista di dissolvere i proprî preconcetti razionali rispetto alla realtà in vista dell'ascesa al Nirvana.Tuttavia, vi è chi risponde che anche nella filosofia europea più antica, cioè in quella greca, il sapere razionale non era fine a sé stesso ma aveva una funzione strumentale in vista di un'ascesi spirituale. Così la dialettica platonica serviva per poter ascendere al puro mondo delle idee, e allo stesso modo le scuole ellenistiche adoperavano la ricerca speculativa per ottenere uno stato mentale al riparo dai turbamenti emotivi (come nello Stoicismo o nell'Epicureismo) o, di nuovo, per ascendere a una realtà ulteriore non definibile verbalmente (come nel Neoplatonismo). Da notare che, nell'ambito della filosofia greca, l'ascesi filosofica non era sempre puramente mentale, ma si combinava anche con esercizi fisici, come ad esempio il controllo del respiro, similari a quelli buddhisti (tale ad esempio è la teoria di Pierre Hadot, studioso del pensiero greco antico).Infine, per chi afferma la possibilità di tracciare paralleli tra la filosofia europea e il Buddhismo, non sono da tralasciare le somiglianze con la cosiddetta teologia negativa, che affonda le sue radici nel Neoplatonismo e, tramite lo Pseudo-Dionigi e Meister Heckart arriva con Nicola Cusano sino alle soglie della modernità.Secondo il punto di vista del buddhismo, lo spazio è senza tempo e presente ovunque come tutte le qualità inerenti alla mente stessa. Lo spazio contiene conoscenza, sperimenta felicità e si esprime in modo gioioso e pieno di significato. Riconoscere questo spazio in sé ed in ogni cosa è raggiungere la piena illuminazione. Spesso erroneamente interpretato come un niente, una mancanza o un buco nero, esso invece connette ogni cosa. Dal Buddha lo spazio viene definito vacuità che comprende e riconosce tutti i tempi e tutte le direzioni.Né teismo e religione, né ateismo, né filosofia di vitaLe posizioni di coloro che sono favorevoli a definire il Buddhismo una «disciplina spirituale di anagogia individuale» che prescinde dai concetti di teismo, ateismo e filosofia di vita e quindi non lo annoverano fra le religioni, né fra le ideologie e le filosofie, poggiano su diversi ordini di motivi. • C'è chi fa notare che i concetti di religione e filosofia sono nati e si sono sviluppati nel cosiddetto Occidente, cioè all'interno della tradizione europea, e soprattutto nella lunga storia del Cristianesimo e della sua influenza sulla cultura europea, storia che avrebbe molto poco a che vedere con quelle che sono le visioni del mondo proprio dell'Asia Orientale. In tal senso sarebbe un'assurdità di principio applicare concetti come quelli di religione e filosofia a qualcosa come il Buddhismo, nato e formatosi in culture che, sino a qualche secolo fa, ignoravano del tutto tali concetti. Ad esempio lo studioso italiano Mario Piantelli afferma che assimilare i diversi tipi di Buddhismo «sic et simpliciter agli altri "oggetti-religione" costruiti in modo più o meno arbitrario ritagliandoli all'interno del contesto prodigiosamente complesso del mondo indiano può risultare, per il primo periodo della loro storia, alquanto fuorviante». Sempre Piantelli, inoltre, fa notare come il Buddhismo, alla sua origine, comporti «un'opzione soteriologica sotto diversi aspetti «anti-religiosa», almeno secondo un modo tradizionale di definire la religione». • C'è chi fa notare come il Buddha stesso, quando era in vita, a chi esplicitamente gli domandava se i suoi insegnamenti fossero teisti, atei, o costituissero una filosofia di vita, invariabilmente tacque sempre su questi punti specifici, senza mai soddisfare a queste domande • C'è chi fa notare come il Buddha paragonasse sé stesso al medico che, trovandosi di fronte ad un uomo colpito da una freccia, si prodiga innanzi tutto nel curare la ferita mosso dalla priorità di salvargli la vita, anziché preoccuparsi prioritariamente di scovare l'arciere che ha scagliato la freccia lasciando nel frattempo morire il ferito. Per il Buddha, quindi, prendere posizione su questioni quali teismo, ateismo, filosofia di vita, equivale ad affannarsi nella ricerca dell'arciere, come fanno le religioni, gli atei e le filosofie, ma queste prese di posizione sono invece totalmente estranee agli insegnamenti del Buddha che prescindono da esse e conseguentemente anche il Buddhismo, in nuce, trae la propria ragion d'essere in modo completamente indipendente da queste questioni esistenziali, prefiggendosi esclusivamente di curare la sofferenza posta al centro delle Quattro Nobili Verità oggetto dell'illuminazione del Buddha e del suo messaggio, anziché preoccuparsi di disquisire di come o per opera di chi si origini la sofferenza stessa e perché l'Uomo ne sia colpito. • C'è chi fa notare che questo modo di esprimersi del Buddha di fronte all'esplicita richiesta di prendere posizione fra teismo, ateismo, filosofia di vita, sia determinante nel dirimere la questione di come debbano essere considerate queste rispettive posizioni esistenziali nel Buddhismo così come esso si è successivamente sviluppato dopo la morte del Buddha, nel senso che ne deducono che il Buddha stesso intendesse volontariamente prescindere da esse nei suoi insegnamenti, non potendosi neppure interpretare come ritrosia questo comportamento, dal momento che ancora poco prima di morire il Buddha stesso fu assai esplicito nel dichiarare chiaramente «che lui aveva ormai risposto ad ogni possibile domanda di insegnamento che gli era provenuta dalla comunità dei suoi monaci» e questa sua dichiarazione, resa proprio poco prima della sua morte, convince alcuni a propendere per una volontà da parte del Buddha nel non voler aggiungere nulla di più e nel non voler modificare neppure in punto di morte il suo atteggiamento di «prescindere totalmente dalle suddette posizioni esistenziali di teismo, ateismo e di filosofia di vita».Si legge infatti nel Mahâparinibbânasuttanta («il grande discorso del nibbâna definitivo»), seconda sezione, versoTesti I testi sacri del Buddhismo sono attualmente raccolti in tre canoni: il Canone Pali (Tipitaka), il Canone cinese (Dazangjing), e il Canone tibetano (Bka'-gyur) a seconda delle lingue degli scritti. Il Canone Pali è proprio del Buddhismo Theravada, e si compone di tre pitaka, o canestri: il Vinaya Pitaka, o canestro della disciplina, con le regole di vita dei monaci; il Sutta Pitaka o canestro della dottrina, con i sermoni del Buddha; infine l'Abhidhamma Pitaka o canestro della fenomenologia in ambito cosmologico, psicologico e metafisico, che raccoglie gli approfondimenti alla dottrina esposta nel Sutta Pitaka. I Canoni cinese e tibetano si rifanno ad un precedente Canone tradotto in lingua sanscrita sotto l'impero Kushano e poi andato perduto. Questi due Canoni furono adottati dalla tradizione Mahayana che prevalse sia in Cina che in Tibet. Il Canone tibetano si suddivide in due raccolte, il Kangiur (che riporta discorsi pronunciati dal Buddha Shakyamuni) e il Tanjur (Raccolta di commenti e insegnamenti), mentre il Canone cinese si compone di circa 3.500 sutra e oltre 2.000 testi di commento ed è suddiviso in 24 sezioni principali.Il canone sanscrito riportava tutti i testi delle differenti antiche scuole e dei differenti insegnamenti presenti nell'impero Kushano. La traduzione di tutte queste opere dalle originali lingue pracritiche a quella sanscrita (una sorta di lingua dotta 'internazionale' come lo fu il latino nel nostro Medioevo) fu voluta dagli stessi imperatori. Buona parte di questi testi furono successivamente trasferiti in Tibet e in Cina sia da missionari kushani (ma anche persiani e sogdiani), sia riportati in patria da pellegrini. Da segnalare che le regole monastiche (Vinaya) delle scuole presenti oggi in Tibet e in Cina derivano da due antichissime scuole indiane, rispettivamente dalla Sarvastivada (Mulasarvastivada) e dalla Dharmaguptaka.Correnti del buddhismo [In IndiaIl Buddhismo si estinse in India, paese d'origine, approssimativamente attorno al XIV secolo. Tuttavia durante più di 1500 anni di storia il Buddhismo Indiano ha sviluppato indirizzi e interpretazioni diverse, anche estremamente complesse. Lo sviluppo di tale complessità si rese necessaria con il continuo confronto dottrinale sia all'esterno delle Comunità monastiche con le scuole Brahmaniche e Jaina, sia all'interno delle stesse per svelare progressivamente gli insegnamenti (soprattutto i c.d. "insesprimibili") contenuti negli antichi Agama/Nikaya (Suttapitaka nel Canone pali, sezione degli Ahanjiing nel Canone cinese). Attualmente le scuole buddhiste possono essere suddivise in tre ambiti: • Il Buddhismo Theravada anche noto come il «Buddhismo degli Anziani» o degli Sthavira (titolo onorifico per i monaci anziani). Rappresenta la più longeva scuola originatasi da quelle antiche comunità che, a loro detta, scelsero sempre un approccio più ortodosso e letterale all'insegnamento del Buddha storico, in special modo in contrapposizione ad alcuni insegnamenti ritenuti innovativi proposti dai Prajnaparamita Sutra. La tradizione Theravada è stata recentemente reintrodotta in India, sebbene rappresenti una sparuta minoranza, ma fiorì soprattutto in Sri Lanka e da lì, per le vie commerciali meridionali si diffuse in alcuni paesi dell'Indocina. Il Buddhismo Theravada ha sviluppato un approccio per lo più indipendente dagli altri sviluppi del Buddhismo in Asia. La tradizione letteraria è trasmessa in Pāli, una lingua scritta basata su un dialetto pracrito presumibilmente dell'India centro-settentrionale e il cui utilizzo è attestato alcuni secoli dopo le predicazioni del Buddha storico. • Buddhismo Mahayana o del «Grande Veicolo», sviluppatosi anch'esso, come la scuola Theravada, a partire da alcune comunità buddhiste antiche ma con l'accolgimento degli insegnamenti riportati nei Prajnaparamita Sutra. Buona parte del Buddhismo Indiano a partire dal II secolo fino alla sua scomparsa è rappresentato o influenzato da questa corrente, in seno alla quale meritano particolare menzione gli indirizzi Madhyamika, Cittamatrin e il Buddhismo Vajrayana. La quasi totalità delle differenti scuole oggi presenti in Estremo Oriente appartengono a questo Veicolo. • Il Buddhismo Tantrico anch'esso Mahayana, rappresenta la controparte buddhista di un fenomeno più ampio nelle religioni dell'India, il Tantrismo, che ha influenzato anche l'Induismo. Si sviluppò in seno al Buddhismo Mahayana e ne influenzò profondamente la pratica, almeno dal VI secolo in poi. Anche noto come Mantrayana, la sua forma più organizzata è più conosciuta come Buddhismo Vajrayana o Veicolo del Diamante. Storie del buddhismo molto importanti come quella del tibetano Taranatha attestano che, almeno dal X secolo, i centri universitari buddhisti in India dispensavano soprattutto insegnamenti tantrici. Pressocché tutte le scuole tibetane, ma anche diverse scuole estremo-orientali, appartengono oggi a questo Veicolo.

Arte. Antonello da Messina, la Tac svela ritratti e segreti dell'Annunciata


RICERCA A CURA DI D.PICCHIOTTI

Per la prima volta su due tra le opere più famose di Antonello da Messina, "L'Annunziata" e "Il Ritratto d'uomo", è stata effettutata una Tac. Ciò  ha pemesso di svelare alcuni segreti nascosti dietro alla lavorazione dei due ritratti. 
 
Sotto "L'Annunziata", conservata a Palazzo Abatellis a Palermo, appare un secondo viso di donna  che non ha nulla della gentilezza e fascino della Vergine conosciuta e ufficiale. Su questo primo volto dai tratti somatici differenti  il famoso pittore avrebbe lavorato con un continuo fare insoddisfatto fino ad arrivare alla Vergine definitiva. 

"L'Annunziata" mostra inoltre differenze dello strato pittorico soprattutto nella parte sinistra del viso, in corrispondenza del manto; ritocchi nelle mani, in particolare nel famoso pollice e nel leggio. La tavola e' stata restaurata nel 1907 su mani e volto, mentre il leggio e il manto sarebbero stati ridipinti sopra lo sporco.

Anche il "Ritratto d'uomo" cela dei segreti. La leggenda vuole infatti che la tavola  fosse stata sfregiata da una donna convinta che dietro il sorriso enigmatico dell'uomo rappresentato si nascondesse addirittura il diavolo. 
Il "Ritratto d'uomo" e' aderente in tutto e per tutto all'opera definitiva, ma la Tac rivela lo sfregio, "immaginato" dai critici d'arte e ora per la prima volta visibile, che rovino' la parte superiore del viso.
L'opera, utilizzata come anta di un mobile da farmacia a Lipari, venne poi acquistata dal barone Piraino di Mandralisca per la sua collezione privata e donata al Comune di Cefalu', dove oggi si trova. 
   
"Sono indagini di carattere innovativo e sperimentale per le quali sono stati adoperati macchinari ad alto contenuto tecnologico: e' infatti la prima volta che una Tac viene effettuata su un dipinto su tavola", spiega il direttore del Centro di Restauro, Guido Meli.  

Le indagini sui due dipinti di Antonello da Messina sono state effettuate dalle riprese RGB, nell'ultravioletto e nel vicino infrarosso, con sistema multispettrale CPS 100 Artist. 
 Questo tipo di analisi sui dipinti è possibile grazie alla fluorescenza ultravioletta, che permette di individuare i ritocchi eseguiti da precedenti restauri, documentati e non, e di valutare lo stato di conservazione delle vernici. 
L'infrarosso a falsi colori valuta la distinzione dei vari materiali pittorici e la riflettografia infrarossa permette di individuare i disegni preparatori, ridipinture o intergrazioni pittoriche. 
Alla fine si prosegue con la Tac, l'indagine di certo piu' accurata.

Le due tavole, dopo le radiografie, le riflettografie multispettrali, gli infrarossi e la Tac hanno presentato molti "fori da sfarfallamento" nel legno e gallerie di tarli, anche se complessivamente sono giudicate "in buona salute". 

 Il Centro di Restauro ne ha redatto "cartelle cliniche" con l'ausilio dei radiologi Giuseppe Salerno e Daniela Lo Sasso (Tomografia assiale computerizzata), e di Riccardo Carmicio, ingegnere informatico, Giovanni Bruno e
Fernanda Prestileo per le indagini multispettrali, e Cosimo Di Stefano per la 
fluorescenza RX. 

Dei ritratti e dei segreti di Antonello da Messina si parlera' domani mattina al focus tecnico organizzato dal Centro per il restauro della Regione Siciliana.  Dopo aver eseguito radiografie, riflettografie multispettrali e infrarossi, per la prima volta sui dipinti a tavola è stata effettuata una Tac.  
Sarà come  avere una vera e propria "cartella clinica" delle opere, che svelerà  risultati sorprendenti per gli stessi storici.      
Al focus tecnico saranno presenti, oltre all'assessore regionale ai Beni Culturali Lino Leanza, il direttore del Centro di restauro, Guido Meli, e il critico d'arte Vittorio Sgarbi.


 

LA CRITICA D'ARTE

di Vilma Torselli

La crisi di identità della critica d'arte e la ridefinizione della sua funzione nella società moderna.
La funzione della critica è sempre stata controversa, definita in modi diversi dalla modernità e revisionata a più riprese in passato parallelamente al mutare del concetto di arte: accusata di volta in volta di voler imporre una sua visione dell'opera, di fare della semplice storiografia, di svolgere un'attività di parte a favore di alcuni artisti, di involversi in intellettualismi indecifrabili per i destinatari, la critica moderna, nella generale confusione dei valori e nell'attuale carenza di parametri di riferimento, si è spesso assunta, a torto o a ragione, il compito di discriminare ciò che è arte da ciò che non lo è.
Oggi il concetto di arte si è talmente dilatato, caricandosi di tutte le connotazioni di indefinitezza che ciò comporta, che pare che la critica ad esso rivolta possa coinvolgere nella sua elaborazione la totalità della realtà, non solo visibile e quindi oggetto delle Arti Visive, ma anche invisibile, data l'esistenza di forme d'arte concettuali e simboliche che l'arte visiva ha inglobato, specialmente durante il '900.
Questa tendenza allo sconfinamento e la possibilità che la critica d'arte si esprima in ambiti in passato inaccessibili, ha posto la necessità di valutare se la critica debba o possa avere una funzione morale, possa elaborare un giudizio etico dell'arte, parallelamente al fatto che l'attività artistica ha in realtà sempre una sua valenza filosofica implicante valori morali in senso lato: si tratta di una posizione che critici illustri, filosofi e pensatori di un recente passato hanno dibattuto con stimolante pluralità di vedute, non è questa la sede per proporre una storia della critica, argomento peraltro interessante ed avvincente quanto la stessa storia dell'arte ("E' vero che la poesia è autonoma rispetto alla morale , in quanto non predica verità né suggerisce valori etici, ma rispecchiando essa la personalità dell'artista, che è essenzialmente un ente morale , non può non essere rivolta anche alla moralità". Benedetto Croce).
Pur ritenendo la modernità che la critica non debba dare valutazioni di tipo morale, è però il caso di sottolineare che la possibilità di coinvolgere la critica in una sorta di patto etico non è estranea all'odierna cultura, ne è convinto il critico americano Michael Fried che in un suo famoso testo, "Three American Painters" (1962), pone le basi per una moderna distinzione della funzione del critico, che per essere tale è necessariamente moralmente coinvolto nel lavoro dell'artista, e dello storico dell'arte, affermando una sua posizione, opinabile e soggettiva, che conferma tuttavia ancora una volta la varietà delle opinioni all'interno della critica stessa.
Che oggi, sempre più spesso, fa autocritica, rivedendo il suo ruolo alla luce delle "incertezze" di giudizio che sembrano la regola in una società dove le certezze sono sempre meno ed alla quale essa si adegua: infatti "possiamo dire che la funzione critica oggi fa molta paralogia e poca ontologia, ci offre ragionamenti e spesso sofismi intorno a qualcosa chiamata arte, ma non ci dice perché quel qualcosa è effettivamente arte", afferma Alessandro Tempi , che aggiunge poi, riallacciandosi all'evoluzione dell'arte nel '900, "L’arte insomma si trasforma in una qualità immateriale, un effetto di pensiero, uno spostamento insieme fisico e concettuale di qualcosa da un piano all’altro dell’esperienza. E’ a questo punto che il lavoro dei critici diventa indispensabile".
I critici, insomma, servono, se non altro per decodificare ad uso del fruitore linguaggi altrimenti incomprensibili "in una società come la nostra, dove regna l’esperienza vicaria, mediata, impersonale", dovendo però aver presente la provvisorietà della loro funzione che, cito ancora Tempi, "dovrebbe consistere nel portare il pubblico a non avere più bisogno di noi, ma questo, a dire la verità, nessuno lo vuole, né il pubblico, che delega volentieri ai critici la funzione interpretativa, né i critici stessi, per un’ovvia questione corporativa, si direbbe".