mercoledì 5 settembre 2007

Arte e spiritualità

A CURA DI DANILO PICCHIOTTI

Gran parte degli artisti creano solo in presenza di grosse tensioni e sofferenze spirituali: l’arte si nutre del dolore degli uomini, ed esige dolori sempre nuovi.
L’arte, nelle sue molteplici espressioni, è forse il prodotto più elevato e prezioso che l’uomo possa concepire e la facoltà creatrice rende l’artista quasi una divinità. Questo lo pensavano anche i neoplatonici ed i romantici, non è certo storia nuova. Più volte mi sono interrogato sul ruolo dei saggi e degli artisti, nell'evoluzione del genere umano, propendendo ora per gli uni ora per gli altri. Se vogliamo tradurre il discorso in termini buddhisti, potremmo dire, infatti, che gli artisti hanno affinato la sensibilità per ogni aspetto dell'esistenza, il che comporta spesso una maggiore permeabilità al dolore, e la tensione che ne deriva permette loro di creare grandi opere, nelle quali riescono ad esternare quello che gli altri sentono solo confusamente ed intuitivamente. Gli artisti, cioè, hanno compreso e sono immersi nella Prima Nobile Verità: "la vita è sofferenza". I saggi, invece, si stanno avviando a realizzare la quarta ed ultima Nobile Verità: "eliminare la sofferenza". I primi parlano agli altri uomini da pari a pari, ne condividono sofferenze e slanci, ai quali danno voce, suoni, colori, sembianze, rappresentazione. I secondi parlano agli altri uomini da maestri a discepoli nel tentativo di trasmettere una verità che di fatto non è trasmissibile ma può essere solo conquistata, se quelle parole e quegli sguardi non vogliono fermarsi al solo piano intellettuale. Ma se la vita è sofferenza ed il superamento della sofferenza è possibile e raggiungibile solo nel Nirvana - che è l'estinzione delle cause delle rinascite e quindi della vita stessa - allora vuol dire che gran parte dell'esistenza umana sarà vissuta nel dolore. Le parole dei saggi avranno valore finché i dolori fondanti (vecchiaia, malattia, morte), non ci toccheranno da vicino oppure quando delle parole si accetta il livello più esteriore o si trasformi il tenativo di comprensione in ricerca di conforto. Ma nella maggior parte dei casi nulla e nessuno potrà lenire il nostro dolore; le parole dei saggi allevieranno la nostra inquietudine intellettuale, ma nulla potranno per la sfera emotiva, quella indomita parte dell'ego che resterà in vita finché il nostro corpo avrà vita. Gli artisti che hanno fatto del dolore la materia delle loro creazioni, invece, parlano direttamenete alle emozioni, le accarezzano, le cullano, le esasperano, le trasformano in esperienza estetica, dandoci un motivo per credere ancora che la vita è bella nonostante tutto, e lo fanno dalla nostra stessa condizione, mostrandoci generosamente tutte le loro ferite. Così non ci sentiamo soli nel dolore, anzi, ne scorgiamo un senso. al contrario guardiamo il saggio come una persona realizzata da venerare e da imitare ma che orami non sa più condividere le nostre sofferenze. Non è così, il vero saggio non smette di provare compassione, ma per noi è già fuori dal tempo e dalle tempeste umane.
Ma perché considerare necessariamente l'artista e il saggio come due entità separate? Cercherò di rispondere: l'arte è un modo per sublimare il dolore, per ricavarne tutta la sua forza conoscitiva, ed in questo è una preziosa strada verso la "salvezza". Non tutti gli artisti hanno creato e creano stimolati dalle inquietudini esistenziali, ma invece creano grazie ad una visione solare e positiva. Tuttavia se parliamo dell'arte con la A maiuscola, quella in cui la geniale espressione formale e stilistica coincide con il messaggio e non si esaurisce in se stessa, molto spesso le opere nascono proprio da una grande tensione spirituale irrisolta: mi riferisco a poeti come Rimbaud, Jim Morrison, Leopardi e Montale, a pittori come Van Gogh, Michelangelo e Caravaggio. E' vero, il fatto che tale tensione non trovi soluzione non toglie il valore salvifico e conoscitivo dell'arte. Quanto dico è frutto di una mia sofferta evoluzione, poiché ho sempre avuto una spiccata predilezione per gli artisti "maudits", per tutti coloro che vivevano l'esistenza e l'arte come una ricerca incessante e inquieta del senso delle cose, per chi cercava, non per chi trovava (per questo ho sempre trovato insopportabile la presunzione di Picasso). Non conosco artisti che abbiano trovato questo senso ed è questa "mancanza" la loro forza, ossia l'eroica ricerca incessante e sublimante è la loro forza. Ora, però, ho scoperto anche la grandezza di chi trova, così come ho scoperto il fascino dell'equilibrio, che un tempo trovavo monotona piattezza, staticità e che oggi vedo come provvisoria armonia di forze in conflitto, con tutta l'energia e la tensione che questo comporta. Per "saggio" io non intendo un qualunque ricercatore spirituale, ma gli esseri sulla strada dell'illuminazione: Gesù, Buddha, il Dalai Lama e pochi altri. Solo costoro - e subito dopo vengono gli artisti - ritengo più vicini al vero e alla massima potenzialità umana. Di fatto cercano entrambi la stessa cosa, anche se con mezzi diversi, quindi non ritengo il saggio e l'artista due entità qualitativamente diverse, bensì la stessa entità in momenti diversi della sua evoluzione. Ma a questo punto sorge un'ulteriore domanda: se l'illuminato e l'artista sono la stessa entità in due punti diversi del sentiero conoscitivo al quale è destinato l'uomo, allora l'illuminazione, la saggezza, non lasciano spazio all'arte. Temo che sia proprio così: se l'arte è il frutto più bello delle illusioni umane, la saggezza è la distruzione delle illusioni. L'imperturbabile non ha più niente da dire. Non a caso un saggio come Krishnamurti sosteneva che è bene concentrarsi sul presente, senza protendere la mente al passato e al futuro, il che farebbe insorgere il ricordo o l'aspettativa e con esso il desiderio e la paura (di rivivere o di evitare una determinata esperienza), ma come potrebbe ciò conciliarsi con l'arte, dal momento che questa nasce da sensazioni, nostalgie, speranze, pensieri? Un bel ritratto dipinto a olio ci travolgerà sempre con il suo fascino di silenzioso racconto di un'intimità appena sfiorata, e magari già vissuta, già passata: la sua immobilità è la tragedia del tempo che scorre. Una poesia scaturita da una speranza sarà il frutto prezioso di un animo inquieto e immerso nella contemplazione di un tempo diverso da quello presente. Forse l'autore di quel ritratto o di quella poesia non sarà un saggio, ma benedetta sia la sua mano e il suo cuore! Saluto con gioia ogni coraggioso ribelle, artista o gaudente che abbia negli occhi la luce dell’inquieta ricerca. L'arte accende l'anima di domande che esigono risposte e avvolge ciò che ci sfugge nel velo del simbolo, e i simboli ci insegnano a pensare...
Aetos - Mandala

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