lunedì 29 ottobre 2007

Realtà e rappresentazione" DELL'ARTE"

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

Realtà e rappresentazione
La produzione figurativa ha per scopo la "rappresentazione". Intendiamo con tale termine, il rendere visibile e concreto, attraverso un oggetto o un'immagine, qualcosa che possa essere comunicabile o trasmesso ad altri. Nel campo delle arti figurative rientrano fondamentalmente la pittura e la scultura, ma nella loro accezione più ampia, è da intendere con il primo termine tutte le arti che producono immagini, e con il secondo tutte le arti che producono oggetti.
La rappresentazione è quindi quell'atto, cosciente e volontario, del dar forma. Che cosa sia una forma è argomento che può essere visto da numerosi punti di vista. In questo caso, intendiamo essenzialmente per forma l'insieme delle cose esistenti. Dar forma, significa far entrare nel mondo qualcosa che, da quel momento, inizia ad esistere. Dar forma, in questo caso, diviene il risultato di un processo creativo.
Ma da cosa nascono le forme? Sicuramente da una necessità funzionale. La natura ha creato l'insieme delle cose che ci circondano con una logica di ottimizzazione delle funzioni che dovevano svolgere. Ne è derivato un insieme in cui ci sono elementi esteticamente gradevoli, altri meno. L'uomo, nelle sue manifestazioni artistiche, è ovviamente partito dalle forme già esistenti. In sostanza, la sua è divenuta rappresentazione della realtà che lo circondava.
Cosa sia la realtà, lo acquisiamo come dato empirico. La realtà è tutto ciò che ci circonda, e che possiamo percepire con i nostri sensi. Nel caso che la produzione artistica abbia ad obiettivo la rappresentazione della realtà, il rapporto che intercorre tra realtà e rappresentazione è il seguente:
REALTÀ
percezione
ARTISTA
interpretazione
RAPPRESENTAZIONE
Tra la realtà e la rappresentazione, vi è di mezzo l'artista che, per giungere all'opera d'arte, ossia alla rappresentazione, compie almeno due processi: uno di percezione e uno di interpretazione. Il primo, possiamo considerarlo un atto oggettivo, mentre il secondo è maggiormente un atto soggettivo. Questo tipo di processo descritto, non è solo finalizzato alla rappresentazione, ma anche alla conoscenza, ossia, solo attraverso i processi di percezione ed interpretazione (e quindi di rappresentazione verbale o di autorappresentazione mentale, non necessariamente figurativa) si può giungere alla conoscenza della realtà.
Si comprende, ovviamente, come la rappresentazione non solo consenta la conoscenza della realtà, ma amplia la realtà stessa di nuove forme, siano esse oggetti o immagini. La realtà, quindi, per noi, oggi non è solo natura ma anche storia e cultura. Ossia, la realtà è l'insieme di tutte le cose esistenti, siano esse create dalla natura, siano esse create dall'uomo.

I.2. Naturalismo ed antinaturalismo
Nelle arti figurative, possiamo distinguere due atteggiamenti fondamentali: il naturalismo e l'antinaturalismo.
Diciamo che un'arte figurativa è di tipo naturalistica, quando la rappresentazione tende ad essere uguale alla realtà o alla percezione di essa. È invece antinaturalistica quando la rappresentazione è dissimile dalla realtà o dalla sua percezione.
Naturalismo e antinaturalismo non sono due categorie assolute, ma hanno infiniti gradi intermedi. Ad un estremo, avremo manifestazioni naturalistiche di tipo mimetico o imitativo (ad es. il ritratto); dall'altro, manifestazioni quali la pittura astratta, che sono antinaturalistiche in quanto rappresentano realtà che non sono altrimenti percepibili se non attraverso quella rappresentazione.
Il concetto di naturalismo ed antinaturalismo non è da intendersi come meccanica corrispondenza tra un modello (la realtà) e una copia (la rappresentazione), bensì definisce un atteggiamento più complessivo che potremmo definire come segue. La produzione umana è sempre artificio. Essa, tuttavia, può simulare la natura, utilizzando le immagini che essa offre, anche per rappresentare cose prodotte dalla propria immaginazione. Il naturalismo, quindi, si basa più sul concetto di simulazione, che non di imitazione della realtà. Quando manca non solo l'imitazione, ma anche la categoria più generica di simulazione del reale, si ha, in assoluto, l'antinaturalismo.

Rivedendo la storia dell'arte, sulla scorta di questi due parametri, si possono classificare tutti i periodi storici come naturalistici o antinaturalistici. L'arte, nelle sue prime manifestazioni del periodo paleolitico, nacque come naturalistica. Il pensiero umano, non possedendo ancora la razionalità che solo un linguaggio articolato consente, operava per categorie analogiche: l'immagine percepita differenziava e qualificava la sostanza delle cose. E così l'immagine era il referente unico per la rappresentazione del reale.
Quando nel neolitico si abbandona la rappresentazione dell'immagine, per ricercare la sinteticità del graffito, si opera, forse, la più grande rivoluzione culturale mai realizzata. Passando dal disegno al segno, l'arte ci testimonia che l'uomo preistorico non lavora più sulle immagini, ma sui concetti. È iniziato quel processo di razionalizzazione logica, che porta alla nascita del linguaggio.
Il linguaggio, con la sua rappresentazione verbale del mondo, consente, prima ancora che la comunicazione, il pensiero. È con la formulazione del linguaggio articolato che, l'uomo, inventa il software per far funzionare il suo cervello. E la nascita del linguaggio, si accompagna ad una sperimentazione per tradurre il linguaggio in scrittura. È una fase di elaborazione lenta, che si andò perfezionando per alcuni millenni, anche se è implicito ritenere che linguaggio e scrittura abbiano seguito fin dall'inizio un percorso comune e parallelo.
E tra i graffiti neolitici e i geroglifici egizi non correre alcuna differenza concettuale. Infatti le prime scritture, per essere ideogrammatiche e non fonetiche, ci danno la prima prova di come linguaggio e scrittura nascono con il passaggio dal disegno al segno, operata tra la fine del paleolitico ed l'inizio del neolitico.
L'arte neolitica, quindi, è sicuramente antinaturalistica. Ma, seppure in misura minore, lo sono anche le arti delle prime grandi civiltà che troviamo nei periodi storici: quella egiziana e quella sumerica.
Il primo grande balzo, per ritornare al naturalismo, lo operò solo la cultura greca classica, nel VI secolo a.C. Solo in questo momento l'arte recupera un legame forte con l'oggettività della realtà che rappresenta, senza il filtro di schematizzazioni o semplificazioni interpretative più o meno logiche. E l'aderenza all'oggettività è il dato che caratterizza ed omogeneizza tutto il periodo classico, esteso non solo all'arte greca, ma anche a quella ellenistica e romana.
Il medioevo è invece profondamente antinaturalistico. Abbandonando la preoccupazione per la resa formale, per privilegiare l'aspetto contenutistico del messaggio artistico, fece divenire l'arte visiva un surrogato della comunicazione verbale. In ciò, giocò un ruolo notevole l'egemonia della cultura religiosa cristiana sulle manifestazioni artistiche.
Il ritorno al naturalismo coincise con la fine del medioevo. In scultura, il naturalismo fu riconquistato già dalla cultura tardo-gotica. In pittura, invece, il ritorno al naturalismo fu tutto di marca italiana, e soprattutto fiorentina, prima con Giotto e poi con la scoperta della prospettiva e l'avvio della grande stagione dell'arte rinascimentale. E l'arte moderna è rimasta naturalistica fino alla metà dell'Ottocento. Da Manet in poi, attraverso l'Impressionismo e le Avanguardie storiche, l'arte ritorna ad essere profondamente antinaturalistica. E, come detto, non è un caso che questa trasformazione avvenga in coincidenza con l'avvento della fotografia e del cinema, che consentono una diversa rappresentazione della realtà del tutto naturalistica, perché ottenuta con mezzi meccanici.

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