martedì 30 ottobre 2007

Dall' "opera aperta" all' "opera chiusa":

di Lidia Pizzo e Vittorio Pannone


L'arte non è forma di conoscenza razionale e non ha quindi valore gnoseologico, se lo avesse avrebbe bisogno della consapevolezza che solo un apparato filosofico, scientifico, ecc.... potrebbe darle. Ciò è estraneo all'essenza dell'arte, perchè se l'opera d'arte mettesse in evidenza una mancanza verrebbe meno al suo scopo che è quello di essere forma totale e totalizzante.
La forma , infatti, non va intesa come morphè, forma sensibile, ma come èidos, forma intellegibile che ingloba in sè anche il primo termine superandolo. Tuttavia, è da tenere presente che anche la morphè ha sempre contenuto una certa dose di astrazione.
Infatti, per potere dominare il reale gli artisti si sono sempre serviti di canoni estetici e di gusto che hanno caratterizzato un'epoca. Sono nati così determinati stili che hanno portato a vedere, poniamo il corpo umano, secondo una certa tipizzazione: bizantina, classica, barocca, neoclassica, ecc....Oggi il processo di astrazione si è assolutizzato per diventare espressione di un sentire puro,duri un attimo o più è ininfluente, la creatività è un bisogno insopprimibile dell'uomo e perciò essa va espressa in qualunque modo e con qualunque mezzo.
Comunque sia, una volta conformata l'opera, essa è un oggetto del tutto, così come è, in realtà, l'uomo che con l'opera d'arte, nel nostro caso, condivide il concetto di cosalità.
Ma se l'arte è cosa essa è un fatto reale e quindi si può definire come correaltà messa in forma da un soggetto che ha presentificato l'attimo, gli attimi della creatività. Essa è affidata ed esprime l'e-motività dell'artista, pertanto contiene la totalità del reale, per raggiungere la quale l'artista stesso riesce ad anticipare nuove forme che questa totalità permettono di penetrare. La presentificazione dell'attimo della creatività si manifesta attraverso mezzi contingenti (colore, massa, superficie, ma anche suono, parola, ecc...) e manifesta un sentire puro, assoluto, fuori dallo spazio e dal tempo, ma che nello spazio e nel tempo si attualizza.
Quindi, già fin dall'inizio l'opera d'arte contiene la totalità, l'assoluto che di per se stessi sono difficili da penetrare.
La morphè dell'opera custodisce ben chiuso il suo segreto, essa è come un guscio difficile da penetrare, onde spesso l'incomprensione dell'opera. La penetrazione, infatti, richiede uno sforzo sovrumano per alleggerire il quale ci si serve di moduli, decodificazioni, o altro affidati alla critica, alla storia, all'estetica, alla filosofia, all'antropologia, alla semiotica, ecc... La loro funzione "reale", quindi, è quella di creare gli strumenti per penetrare l'opera.
Ma questi strumenti sono estranei all' 'esserci' dell'opera, che ribadiamo , non ha funzione gnoseologica, ma solo la funzione di "rivelare l'attimo della totalità della creazione".
Così, fino ad oggi, l'opera d'arte è diventata tale solo ed esclusivamente dopo una valutazione post factum e ciò ha sempre implicato l'applicazione, come detto sopra, di determinati canoni di giudizio estetico e di gusto espressi da un soggetto. Ma nel momento in cui il soggetto compie una valutazione, attraverso un suo processo logico, il ragionamento è soggettivo e vale solo per lui. Il ragionamento, infatti, per essere oggettivo e quindi assoluto deve andare fuori dalla logica e perdere il suo carattere sillogizzante, deve essere a-logico, deve guardare all'attimo che ferma qualunque accadere e lo mostra.
E' questa "essenza" del mostrare che si deve cogliere, ogni parola è d'impaccio. In altri termini, nell'opera d'arte bisogna cogliere ciò che sta al di là del pensiero senza usare il pensiero e l'intelligenza classificante. Bisogna scendere nel "silenzio" e nell' "abisso" dell'opera, toccare il suo "centro" senza intermediazione alcuna. Se consideriamo l'opera d'arte come uno specchio, il soggetto che guarda si trova davanti allo specchio ad una distanza tale che gli permette la visione perché decodifica l'opera secondo una sua personale ermeneutica. E' necessario annullare la distanza, i codici, perché ogni distanza ci distoglie dall'opera. Il nostro compito è quello di penetrare, di entrare nello specchio, eliminare la "distanza", per "sentire" l'opera come totalità e, pertanto, non totalità fuori di noi ma dentro di noi, non totalità fuori da lei ma dentro di lei, in lei.
Ciò può avvenire abdicando, come dicevamo, ad ogni sillogizzazione che possa "spiegare" l'opera che invece deve essere recepita come con-templa-azione sim-patetica, come una aisthesis colta nel suo significato etimologico di sensibilità, emozionalità, affettività. Una volta che l'opera è contemplazione simpatetica avverrà che l'aisthesis dell'opera e l'aisthesis dell'astante coincideranno. Le due spiritualità sono entrate in comunione e quindi l'opera come morphè e come eidos si chiuderà attorno all'astante.
Guariti dall'asfissiante sindrome dell' "opera aperta" si troverà nell' "opera chiusa" l'intensità dell'attimo originario della creazione, l'epi-fanicità senza frapposizione di alcun logos e pertanto sarà "ri-trovato" l'attimo contemplativo da cui l'opera è scaturita.
L'astante ha eliminato qualsiasi distanza tra lui e l'opera e attraverso l'aisthesis solamente sarà diventato "a-stante" capace di cogliere l'opera nella sua essenza di totalità, di astanza totalizzante. Il soggetto è stato spinto verso il "centro" dell'opera, nel suo nucleo, verso, cioè, il centro del centro.
Adesso, se apparentiamo l'opera alle pareti di una stanza, chiusa qualunque apertura con noi dentro la stanza, troviamo buio, nulla, vuoto. Ora, al buio perdiamo i punti di riferimento. La coscienza senza luce si ripiega in se stessa. Infatti, per percepirci come soggetto abbiamo bisogno dell'alterità. Ma, combaciata con noi l'alterità, in questo caso il nulla dell'opera, il soggetto scompare in questo nulla.
Il noi, qualunque noi, si identifica col vuoto, in quanto "dentro" l'opera si annulla, come si diceva, l'io e il tu, quindi il soggetto implode insieme all'essenza dell'opera che è totalità-nulla. L'implosione coscienziale, che in ultima analisi ci ha portato al centro del centro dell'opera, ci fa percepire allora che "il fine" dell'opera è "nulla","vuoto", "buio".
Raggiungendo il nulla abbiamo eliminato il movimento che è vita, che è andare verso l'esterno, mentre stando all'interno "viviamo" la stasi, il nulla. A questo punto scatta la paura del nulla, la paura dell'origine, la paura originaria, la paura del mistero, contenendo il nulla tutti i misteri che possono essere solo colti ma non decodificati.
Così, se il nulla dell'opera è il nulla originario, esso ci fa sprofondare nel "mistero" della creazione. Per esorcizzare la paura del nulla e quindi della creazione l'uomo ha utilizzato, ad esempio, l'estetica, che ha determinato la "distanza", dominando, così, la paura del nulla, la paura della creazione. Il vero dramma dell'uomo non è raggiungere il nulla ma "viverlo", infatti "vivendolo" esso ci porta al fondamento, diventa Fondamento assoluto.
Ora, penetrati nel nulla attraverso una implosione, ci "saldiamo" ad esso, ne diventiamo parte, ma in quanto parte non possiamo coglierlo nella sua totalità. Il minore non può contenere il maggiore. La totalità del nulla non può entrare nel nostro nulla a lei saldato.
Allora, se il nulla è totalità, esso contiene tutto, anche la luce e di essa la coscienza che "vive" il nulla si serve per staccarsi, dissaldarsi dalla totalità del nulla, per percepire il mistero, qualunque mistero di una creazione, anche se esso risulta sempre indecodificabile.
Così, se attraverso la luce, che prima era stata abolita penetrati dentro l'opera, avevamo colto il nulla, ora isolando la sola luce riusciamo a ri-percepire l'alterità e rendiamo possibile la creazione che non decodificherà, come detto, il suo mistero ma lo esprimerà. Arrivati attraverso l'aisthesis al nulla, dal nulla si riparte per avere la creazione che pur sempre all'interno rimane nulla affinchè il processo possa ricominciare.
La differenza sta nella luce ed è "lei" che fa la differenza, che permette cioè la creazione che sostanzialmente risulta "nulla-illuminato", ma questa volta cosciente, in quanto il soggetto sceso al centro dell'opera nel buio, nel vuoto, nel nulla, li ha vissuti. Infatti, solo nel buio illuminante della coscienza, che si rivela dunque come volontà, è possibile la consapevolezza totalizzante.
Se c'è sbaglio in quanto detto, ne siamo ben lieti. L'errore è il "buio", fatecelo vivere, creeremo ''magari un testo con i vostri interventi e se siete artisti, ispirati dal nulla potremo tutti insieme realizzare'.. comunque sia contattateci. Accettiamo tutto dalle contumelie, ai complimenti ma con moderazione....

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