giovedì 25 ottobre 2007

L'Iperrealismo

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

Poetica nata negli anni Sessanta in America con scelte iconografiche legate alla tematica pop, realizzate con procedimenti di pratica pittorica apparentemente realistica e accademica, tendenti ad un risultato simile alla fotografia.

I rappresentanti maggiori dell'iperrealismo sono Chuck Close, con i macroscopici ritratti come fotografie più o meno messe a fuoco; John De Andrea con gli impassibili nudi realizzati da calchi dal vivo con tanto di capelli e peli veri; Duane Hanson, con le sue figure tipiche della società americana ostentante i più vistosi feticci del consumismo.


La poetica iperrealista non ripesca nel passato le gratificanti vanità del trompe-l'oeil, in quanto è positivamente inquinata da un senso di totale spersonalizzazione dell'immagine, di assoluta astrazione e asetticità nonostante la resa di scene "più vere del vero", inutilmente brillanti e coloratissime, tanto da dare un senso di vuoto e di squallore e un senso di fastidio per tanta fredda perfezione illusionistica.

La vena allucinata dell'immagine iperrealista è incrementata dalla distanza emotiva che viene imposta dall'autore con il procedimento pittorico della resa fedele al vero sino all'esasperazione, una distanza che si avverte incongruente con l'immagine pittorica. Questo lato di tragica ironia, cui non è estranea una sotterranea tematica di critica sociale, rende il lavoro iperrealista interessante e giustificato.

L'Iperrealismo si confronta con la fotografia in una gara di abilità illusionistica usando i tradizionali mezzi pittorici e privilegiando le immagini del reale ordinario tipico delle fotografie turistiche o di costume. Per fare questo ricorre ad un accentuato accademismo che contribuisce a raffreddare e spersonalizzare l'immagine, sospendendola in una irrealtà raggelata verosimile e somigliante al reale cui si riferisce ma che in effetti sostituisce con una sorta di parodia più o meno tragica. Quanto più è densa di particolari non approssimativi, non mediati dal calore dell'imperfezione pittorica, quanto più risulta copia esatta dell'originale, tanto più l'immagine iperrealista rivela il suo lato inutile e grottesco che funge da veicolo di conoscenza dell'assurdo del suo modello reale. Il movimento ha alcuni significativi protagonisti, ma vita breve in quanto tale, rimanendo in auge più o meno dalla metà degli anni Sessanta a quella degli anni Settanta, dopo di che, non potendosi evolvere data la sua intrinseca rigidità, si ritrova solo come tecnica accessoria o accenno in altre espressioni neoggettuali.

Nel senso della copia inutile e provocatoria opera Malcom Morley (1931), inglese trasferitosi in USA, che dipinge in larga scala immagini simili a quelle dei depliants pubblicitari di agenzie di navigazione ("Il transatlantico Amsterdam", 1966).

Chuck Close (1940) si dedica ai ritratti eseguiti con la classica griglia e ricavati da fotografie di cui mantiene i difetti di ripresa come lo sfuocato e la distorsione prospettica, con risultati di impietosa deformazione delle sembianze, attuando una sorta di critica della perfezione tecnica attribuita alla macchina.

John De Andrea (1941) privilegia i corpi nudi resi con impressionante e distaccata perfezione (nonostante il soggetto tradizionalmente "caldo") e dovizia di particolari, ricavati con la tecnica del calco dal vero che rende anche i pori e le rughe della pelle, cui si aggiungono capelli e peli veri e a volte i vestiti, tanto da farli apparire come il pallido simulacro di un perduto erotismo, feticcio di una semplice presenza dell'uomo nel mondo.

Feticci mercificati, sgargianti nei colori più accesi della pubblicità da supermercato, sono le forme umane di Duane Hanson (1945), rappresentazioni plastiche in scala reale della piccola e media borghesia americana con tutti gli orpelli di cui si circonda e con tutti i prodotti che è indotta a consumare dai mass-media.

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