mercoledì 24 ottobre 2007

Preferisco la stecca, la spatola il coltello e la pittura fluida che faccio gocciolare,"Jackson Pollock"

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI


Presentato per la prima volta da Betty Parson a New York nel 1948, l'opera farà parte alla Biennale di Venezia del 1950 della mostra Arts of This Century della collezione Guggenheim. Peggy Guggenheim nello stesso anno la donerà alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna. (Sandra Pinto)
Rappresenta una delle primissime apparizioni del procedimento del dripping (una tecnica già usata ma in un senso diverso dal surrealista Max Ernst ) in cui il colore viene fatto gocciolare sulla tela attraverso un pennello o una stecca oppure direttamente dal barattolo. Lo racconta lo stesso artista: "Mi allontano sempre più dagli strumenti tradizionali del pittore come il cavalletto, la tavolozza, i pennelli ecc. Preferisco la stecca, la spatola il coltello e la pittura fluida che faccio gocciolare, o un impasto di sabbia, di vetro polverizzato e di altri materiali extrapittorici."
Questo modo di procedere permette all'artista di dar vita ad una sorta di tessuto fatto di reticoli, schizzi e grovigli che si sovrappongono. Gli strati dipinti danno vita ad un fitto intreccio dove si manifestano di volta in volta le qualità del colore: liquidità, viscosità, spessore, trasparenza, opacità e luminosità.
Il gesto creativo nella sua pittura d'azione (action-painting) trae il suo valore dal "negare la rappresentazione per sostituirla con la diretta partecipazione, con l'immissione dell'uomo nel quadro, che diventa così la sua storia". ( Busignani, 1970)
Certamente esiste un forte riferimento in Pollock ai processi psichici inconsci e alla pratica dell'automatismo di matrice surrealista, tuttavia ciò che accade sulla tela non deve essere inteso come un'operazione totalmente fuori controllo; non si tratta di pura casualità, nonostante il colore scenda a pioggia su un telo steso a terra producendo rivoli, schizzi e rigagnoli di materia liquida; egli affermava: "Quando dipingo ho un'idea d'insieme di quello che voglio fare. Posso controllare la colata della pittura, non c'è casualità, così come non c'è né inizio né fine".
Il dripping è infatti un modello di pittura continuativo, che si estende da un lato all'altro della tela, è detto anche overall: una massa intricata che si estende su tutta la superficie senza tuttavia dare luogo ad uno spazio omogeneo poiché ogni centimetro è diverso, "[...] ogni palmo della tela è pieno di emergenze, di eventi che nascono e si dileguano, senza però che vi siano zone privilegiate: il centro è dappertutto." (Barilli, 1984)
Dunque se il centro è ovunque è come se non esistesse un centro e per lo spettatore è facile "perdersi" osservando un quadro di Pollock: il tentativo di seguire una linea come fosse il filo di Arinanna è fallimentare, non ci condurrà mai fuori dal labirinto delle linee poiché inevitabilmente il nostro sguardo "tenderà ad interrompersi di continuo, fermarsi sempre per seguire un'altra pista. Ci sono frammenti di tracce, segmenti di fili, ciascun segmento modifica e viene modificato, diventa all'istante uno spandersi di macchie, una nuvola di gocce [...]. ( Louis Marin, 2004)
Pollock infrange le regole tradizionali della pittura e rifiuta l'illusionismo che ha visto per secoli la tela come una "finestra aperta sul mondo", cioè luogo della rappresentazione; egli intende la tela non più come supporto virtuale, come ancora viene considerato in tutta l'astrazione degli anni trenta, ma come uno spazio reale; dice: "Sul pavimento mi sento più a mio agio. Mi sento più vicino, più parte del quadro, perché in questo modo posso camminarci intorno, lavorare sui quattro lati, ed essere letteralmente nel quadro."
Rispetto a questo nuovo approccio in cui il supporto da verticale che era viene invece steso a terra, non vanno ignorate, come sottolinea Robertson, le esperienze e le conoscenze di Pollock rispetto all'arte tradizionale degli indiani Navhao del Nuovo Messico ( South West americano); le loro opere consistono in pittogrammi piatti realizzati sul terreno spargendo con le mani sabbia e terra colorata. Inoltre questa pittura di sabbia aveva un carattere effimero (eseguita al sorgere del sole doveva scomparire al tramonto) e il suo significato risiedeva più nell'azione, nel rituale attraverso cui si realizzava, piuttosto che nella rappresentazione stessa; questo ruolo importante dell'esecuzione può riferirsi al maniera di Pollock di intendere la sua opera, registrazione di gesti, frutto di un'azione in cui egli si riconosce.
La pittura di Pollock è il risultato di una fusione dello spazio, del tempo e della materia: lo spazio che tende a diventare reale, così reale che l'artista può girarci intorno; il tempo che è quello dell'azione, del gesto compiuto sopra la tela; la materia infine, che è il colore che racconta tutto questo nel suo intricarsi.

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