giovedì 25 ottobre 2007

Il Costruttivismo e le sue Radici di Ernst von Glasersfeld

Scientific Reasoning Research Institute
University of Massachusetts,
Amherst, MA 01003, USA

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

Poco dopo l'inizio della sua Scienza Nuova, Vico spiega che la mente umana giudica le cose lontane ed inaccessibili tramite ciò che le e familiare e vicino (1). La frase vichiana si riferiva alle grandi distanze nella storia, distanze di secoli e millenni. La psicologia cognitiva contemporanea, ignara di Vico, ri-inventa quell'idea, denominandola "assimilazione", e ne fa un principio universale, applicabile non solo a ricordi di tempi lontani nella storia delle civiltà, ma a tutto ciò che viene percepito. Anche a ciò che, nella storia dell'individuo, viene ripreso dopo un intervallo di tempo relativamente breve. Secondo questo principio, non si può ricostituire il passato se non attraverso i concetti ed i ragionamenti del presente. Invoco qui questo principio perché non si possa pensare che ciò che racconterò nelle pagine successive abbia qualsiasi pretesa di "obiettività".
Dal momento che ho avuto una parte più o meno attiva nella diffusione dell'orientamento costruttivista, di cui tratta questo articolo, mi sembra impossibile dare un resoconto che prescinda dalle esperienze e dal modo di vedere specificamente miei.
Fatto questa premessa, parlerò prima di tre rami del pensiero scientifico contemporaneo che condussero pensatori di formazione molto diversa a conclusioni costruttivistiche.
Poi tenterò di presentare ciò che per me costituisce il legame fra il costruttivismo radicale e la storia della filosofia occidentale.
Il Ramo Cibernetico
Sin dal momento della sua nascita, negli anni quaranta, i fondatori della cibernetica si resero conto che il complesso di idee rivoluzionarie via via formulate, nei campi dell'ingegneria del controllo e della comunicazione, avrebbero comportato profonde conseguenze per la filosofia della scienza e l'epistemologia in genere.
Tuttavia, pur rilevandosi spunti, nei lavori di Wiener, Shannon, McCulloch e Ashby, che lasciano intravedere un cambiamento di atteggiamento nei confronti della problematica della conoscenza umana, ci vollero più di vent'anni prima che negli Stati Uniti si tentasse di costituire un epistemologia adeguata ai concetti cibernetici dell'autoregolazione, della causalità circolare e dell'equilibrio interno degli organismi. Tentativi dai quali sorse poi quella teoria della conoscenza che si potrebbe chiamare costruttivismo cibernetico.
Il concetto dell'autoregolazione ebbe origine dai tentativi di costruire congegni meccanici ("servomeccanismi") in grado di sostituirsi ad attività umane che avevano lo scopo di sorvegliare un'aspetto specifico di una data situazione e di controllarlo, o governarlo, come farebbe un agente umano. Il termostato dei frigoriferi è forse l'esempio più noto. Al termostato si fa registrare una specifica temperatura limite e, se tutto funziona (incluso l'impianto di raffreddamento), il termostato poi fa sí che, nell'ambiente controllato, la temperatura non superi il valore indicato. Non è però il termostato a scegliere l'aspetto da controllare né il valore da mantenere. Questa scelta — e ciò vale per tutti i congegni cibernetici — viene fatta da un agente esterno. Questo fatto, ovvio e quasi insignificante nell'ambito dell'ingegneria, assunse un importanza centrale quando si tentò di applicare i concetti cibernetici al campo della cognizione. In effetti portò a una distinzione fra ciò che, in retrospettiva, venne definito come "prima cibernetica" e quella che fu poi definita "cibernetica del secondo ordine". Mentre alcuni psicologi e neurofisiologi, appropriatisi dei concetti della tecnica cibernetica, cominciarono a spiegare determinati comportamenti degli organismi viventi in termini di servomeccanismi e omeostasi (mantenendo sempre il distacco assoluto fra lo scienzato-osservatore e l'oggetto osservato, l'oggetto da spiegare), altri si posero come problema il proprio percepire, osservare, pensare. Cosí, dallo studio dei sistemi osservati si passava allo studio degli osservatori, vedi i lavori di Heinz von Foerster (2).
Se si è convinti che un organismo vivente si distingue dai congegni meccanici per la capacità di scegliere — almeno entro certi limiti — gli aspetti da concepire (perché anche la percezione presuppone l’esistenza di concetti) e di mantenerli più o meno in equilibrio fra loro, allora ci si rende conto, ben presto, che ciò che si chiama "sapere" è qualcosa che l'organismo non può trovare prefabbricato. Ci si rende conto che la "conoscenza" non può essere una "rappresentazione" del mondo esterno fatta di pezzettini o "informazioni" asportati a quel mondo "reale", ma deve essere una costruzione interna fatta con materiale interno. Partendo da ricerche neurofisiologiche nel campo della percezione visiva negli anfibi, Humberto Maturana giunse alla stessa conclusione. In base ad una serie di esperimenti elegantissimi dimostrò che ciò che un osservatore categorizza per esempio come "l'insetto che viene mangiato da una rana con un salto", non è per la rana che una combinazione d’impulsi elettrochimici della cui origine la rana non può sapere niente (3).
Un secondo fattore portato alla luce dalla cibernetica riguarda la comunicazione. Non è necessario qui dilungarsi sulla teoria matematica di Shannon (4) che per la prima volta fornì una definizione utile e precisa della nozione di informazione. Basta ricordare ciò che l'analisi del processo di comunicazione dimostrò in modo limpidissimo: sono i segnali fisici che, per cosí dire, "viaggiano" dal mittente al ricevente; non i loro significati. Perciò questi segnali — e ciò vale anche per le parole delle lingue naturali — non trasmettono contenuti ma istruzioni di scelta, e questa scelta riguarda il repertorio di concetti e di strutture concettuali che ciascuno dei comunicanti si è costruito durante la sua esperienza di interazioni sociali. La cibernetica dunque, con questi due fattori ha fornito due elementi importanti alla teoria della conoscenza:
(1) per quanto riguarda il sapere, l’immagine di un mondo apparentemente esterno che un organismo vivente organizza in base a eventi del suo sistema nervoso (modello neurofisiologico della percezione) può rispecchiare questi eventi, ma non rispecchia delle strutture obiettive e indipendenti dal sistema nervoso;
(2) le idee, la conoscenza, l’informazione che la tradizione ha sempre considerati trasmissibili tramite il linguaggio, si rivelano anche loro costruzioni che ogni individuo deve astrarre (o costruire) dalla propria esperienza. Benché i significati che ciascuno si costruisce vengano adattati e adeguati tramite l'uso sociale, non c’è mai la possibilità di un confronto diretto con le costruzioni di un interlocutore. Perciò, dire che si ha compreso l'enunciato di un altro, indica nel migliore dei casi che, per il momento, la propria interpretazione non sembra dare luogo a delle discrepanze.
Semplificando il nesso fra cibernetica e costruttivismo, direi - e taluni lo giudicheranno una distorsione - che la prima appoggia il secondo; soprattutto perché fornisce un modello in grado di chiarire un punto fondamentale: se un'organismo autoregolante possiede strutture concettuali, queste strutture non possono provenire che dalle distinzioni fatte dall'organismo stesso nella sua propria esperienza (cioè da materiale "interno") e dal modo specifico con cui l'organismo opera nel distinguere e nel collegare le distinzioni fatte. Questo punto e fondamentale perché rivoluziona la nozione tradizionale sia della conoscenza che della comunicazione.
Il Ramo Psicologico
Nel 1936 Piaget pubblicò "La construction du réel chez l'enfant" (5) (La costruzione della realtà nel bambino).
A prima vista, malgrado il titolo inquietante e qualche frase polemica nell'introduzione, il testo potrebbe sembrare nient'altro che una cronaca dello sviluppo concettuale dei figli di Piaget durante i primi due anni della loro vita.
Pertanto non stupisce che filosofi professionisti e altri interessati all'epistemologia degli adulti abbiano relegato quest'opera nella psicologia infantile. L'opera invece non solo è complessa ma anche profonda; tanto che ancor'oggi costituisce una pietra angolare del costruttivismo.
La complessità del testo deriva dal fatto che Piaget presenta un modello di costruzione di più di un concetto — 'oggetto', 'spazio', 'causalità' e 'tempo' — e poi suggerisce come i quattro elementi vengano integrati per formare lo sfondo dell'esperienza, cioè il mondo esterno. Dato che si tratta di un modello composito, l’autore deve per forza spiegare la costruzione delle parti l'una dopo l'altra, benché nel bambino la loro generazione sia simultanea. Cosí è il lettore a dover fare lo sforzo di considerare il giuoco delle interazioni che si realizza fino al termine del processo costruttivo verso l'età di due anni. Uno sforzo notevole e, visti i giudizi inappropriati che si ascoltano da più parti, ho l'impressione che pochi lettori l'abbiano portato a termine.
Pur avendo scritto questo libro molto prima dell’affermarsi della cibernetica, Piaget si rese conto in retrospettiva che la costruzione inerente il suo modello di sviluppo concettuale era un modello cibernetico. Se ne rese conto, però, a partire dal suo orientamento biologico. A partire dalle sue prime ricerche, vide l'intelletto come uno strumento della funzione di adattamento e i prodotti della mente, cioè la conoscenza, come costruzione adatta all'ambiente percepito dall'organismo (6) e non come rappresentazioni di un mondo esterno. Del resto è stato lui a introdurre il termine "costruttivismo" come descrittivo della sua "Epistemologia Genetica".
Il Ramo Operazionista
La terza via che, almeno a mio parere, conduce ad una teoria della conoscenza dello stesso genere, fu iniziata da Silvio Ceccato negli anni quaranta. Insodisfatto di molte ed estese letture di filosofia e linguistica, decise che bisognava liberarsi della tradizione epistemologica e seguire una strada nuova per evitare la trappola del "conoscitivismo".
Il primo passo gli fu suggerito dal programma iniziato da Percy Bridgman, fondato sull'idea di definire ogni concetto elencando, a mò di ricetta, le operazioni necessarie per la costituzione del concetto stesso (7). Questo approccio è simbolizzato nel nome che Ceccato diede al gruppo di amici collaboratori con cui per più di una ventina di anni discusse le sue idee: La Scuola Operativa Italiana.
Ebbi la fortuna e il privilegio di contatti informali, ma abbastanza regolari, con Ceccato e il suo gruppo dal 1947 al 1962. I loro lavori muovevano in due direzioni: critica dell'epistemologia convenzionale e analisi semantica in termini di operazioni mentali; analisi in un certo senso opposta alla semantica linguistica, che non fa altro che sostituire parole con altre parole (8). Lo scopo era la "consapevolezza operativa", cioè la consapevolezza delle specifiche operazioni con cui ognuno si crea il contenuto del pensiero e con ciò i significati delle parole e di qualsiasi espressione linguistica. Si parlò allora di costruzioni ma non di costruttivismo, penso, proprio perché Ceccato voleva evitare l'impressione che si stesse formulando una teoria della conoscenza.
Durante il decennio seguente, quando mi misi a studiare le opere di Piaget, ciò che avevo imparato dal lavoro con Ceccato e il suo gruppo mi diede un vantaggio enorme nell'interpretazione dell'Epistemologia Genetica. Purtroppo Ceccato non volle riconoscere l’esistenza di un qualche parallelismo fra la sua Scuola Operativa e quella di Ginevra (9).
In retrospettiva mi sembra che l'isolamento del proprio pensiero dalle idee affini, sia per scelta che per ignoranza, sia una caratteristica dei pensatori originali tanto in filosofia quanto in psicologia. Per esempio George Kelly (10), un altro pioniere del costruttivismo, menzionò Bridgman solo per scartare l'operazionismo e, per quanto mi risulta, non fece mai riferimenti a Piaget. Nella sua opera, però, si trovano brani estesi che, malgrado utilizzino un vocabolario diverso, sono in perfetta armonia con l'epistemologia genetica di Piaget.
Insomma, nella psicologia cognitiva, il costruttivismo nasce non appena ci si accorge che qualsiasi conoscenza, che non si assume come innata, non può che essere generata dalle attività fisiche e concettuali del soggetto stesso. Prescindendo dalla questione se la conoscenza sia o no una rappresentazione di una realtà indipendente, se non si vuol immaginare un neonato con in testa tutto ciò che saprà nella sua vita, bisogna spiegare il modo in cui egli conosce. Tale spiegazione, comunque la si guardi, dovrà porre in rilievo un processo di costruzione. Ed è proprio il modo in cui la costruzione concettuale viene analizzata che genera una distinzione fra le versioni del costruttivismo contemporaneo.
La cibernetica come studio tecnico dell'autoregolazione non determina il carattere delle operazioni che costituiscono le strutture mentali. Il suo contributo però è nella continua sorveglianza dei modelli proposti come spiegazione di operazioni mentali; è nell’accertare che questi modelli siano effettivamente autosufficienti e non comportino l'uso di materiale esterno all’organismo che dovrebbe eseguire le operazioni.
Il lavoro della Scuola Operativa Italiana concentrò gli sforzi, inizialmente, sull'analisi dei significati linguistici, considerandoli prodotti di specifiche operazioni mentali. Queste indagini continuano oggi con i lavori di Giuseppe Vaccarino che, con poche modificazioni del sistema ceccatiano, sta mettendo a punto un’enciclopedia completa della semantica operativa (11 ).
Fra gli psicologi costruttivisti, Piaget ritenne che tutto il sapere razionale provenisse da operazioni di astrazione; e che i risultati fossero diversi per le proprietà determinate sia dal materiale primo (azioni fisiche o mentali) che dal tipo di astrazione ("empirica" o "riflessiva")(12). Il patrimonio di George Kelly, una folta collezione di analisi concettuali in termini pragmatici, espresso in un linguaggio semplice, quasi disinvolto, è perciò ben più accessibile dell'opera piagetiana. Ambedue gli autori, però, riconoscono come elemento fondamentale che la conoscenza non produce mai delle strutture che si possano considerare la rappresentazione di un mondo ontologico esterno.
Quest'ultimo fatto è il criterio in base al quale ho definito insignificante il costruttivismo adottato da quegli psicologi che tentano di sovraporlo ad un'orientamento convenzionale "realista". A mio parere la via costruttivista, una volta imbucata, risulta radicale perché comporta la necessita di ripensare non solo l'epistemologia come teoria filosofica ma anche tutta la pratica implicitamente basata su di essa, cioè quasi tutto ciò che si è mai pensato.
La necessità di una tale rivoluzione concettuale diventerà più tangibile, spero, isolando nella storia della filosofia occidentale le idee che, almeno nella mia interpretazione, confluiscono nel costruttivismo radicale.
Riflessi filosofici
L’idea che la conoscenza umana debba proseguire una rappresentazione "vera" o "oggettiva" di un mondo già esistente "in sé" ha determinato la storia della filosofia occidentale dal suo inizio fino ad oggi. Ne derivarono tentativi ingegnosi, poetici e anche disperati di risolvere un paradosso, e cioè che per dimostrare una tale "verità" sarebbe necessario confrontare ogni conoscenza con quella parte della realtà che essa dovrebbe rappresentare; ma per fare questo confronto, si dovrebbe avere un accesso alla realtà cosí com’era prima di passare attraverso le operazioni del soggetto osservatore. In altre parole una tale prova di veridicità richiederebbe un confronto tra una cosa che si conosce ed un’altra sconosciuta.
Già i presocratici, mezzo millennio avanti Cristo, si accorsero di questo paradosso insormontabile e fornirono alla scuola di Pirrone il materiale per la formulazione degli argomenti principali che tutti gli scettici a seguire non hanno cessato di ripetere.
Per questo motivo lo scetticismo ha sempre sottolineato la necessità di trovare una teoria della conoscenza alternativa. Solitamente, però, gli scettici si sono limitati a dichiarare che le conoscenze sicure e vere sono impossibili: non hanno pensato di cambiare il concetto stesso del conoscere. Nacque invece fra i teologi bizantini del quarto secolo d.C. l’idea di spaccare il concetto di conoscenza in due: la conoscenza ottenibile per gli uomini e la conoscenza che possiede Dio. Dissero che "data l’assoluta trascendenza di Dio, era impossibile identificarlo con qualsiasi concetto umano... perché nessuna parola umana o nessun pensiero umano sarebbe capace di comprendere l’essere di Dio"(13). Non stupisce che tali teologi furono stigmatizzati come eretici.
La Via strumentalista
Al sorgere della "verità scientifica", la spaccatura della conoscenza (che non ha niente a che fare con il "raddoppio conoscitivo" di cui parla Ceccato, relativo a tutte le forme del conoscere) fu ripresa più di mille anni dopo da due religiosi che tentarono di evitare il conflitto fra le sconcertanti idee scientifiche e il dogma cristiano. Il riformatore Osiandro, nella sua prefazione alla pubblicazione postuma dell’opera di Copernico, e il cardinale Bellarmino, alla veglia del processo a Galileo, affermarono che lo scienziato che si occupa di calcoli per fare delle predizioni può scegliere le teorie che gli servono; il peccato consisterebbe invece nella pretesa di trovare, attraverso delle teorie, verità più vere di quelle contenute nel dogma della religione.
Benché fosse introdotta per salvaguardare la fede contro la scienza atea, scopo che non mi entusiasma, questa prospettiva aprì la strada allo strumentalismo che, almeno per me, è una componente essenziale del costruttivismo radicale.
Nel mondo moderno lo strumentalismo fu sviluppato intorno al inizio del nostro secolo in tre modi più o meno independenti: Dai "pragmatisti" negli Stati Uniti (14); da Ernst Mach in Austria (15); e da Aleksandr Bogdanov in Russia (16).
L’Attività Costruttrice
Un'altra componente da considerare è la premessa che i concetti e le combinazioni concettuali che adoperiamo per "maneggiare" il mondo della nostra esperienza, cioè il mondo in cui viviamo, siano il risultato della nostra attività costruttiva. Il primo cenno ad una specifica costruzione di questo genere lo trovai nell'opera di Juan Caramuel, architetto, matematico e filosofo del seicento, rimasto oscuro benché sia stato il primo a sviluppare la matematica binaria in occidente (17). Caramuel parla esplicitamente di operazioni della mente e spiega fra l'altro: "L'intelletto dunque 'fa' i numeri non li 'trova'; considera diverse cose come distinte ciascuna in sé, e come intenzionalmente unite dal pensiero."
All'inizio del settecento il trattato "De antiquissima Italorum sapientia" di Giambattista Vico fu il primo manifesto del costruttivismo (18). Invece della separazione fra la conoscenza strumentale della scienza e quella "vera" e assoluta della religione, egli oppose le costruzioni razionali alla sapienza poetica: l'una costruita più o meno consapevolmente, l'altra frutto dell'intuizione e non direttamente accessibile alla ragione. Benché l'opera di Vico sia enormemente ramificata, è la prima a tentare l'analisi specifica di alcuni concetti. Il suo approccio è rivoluzionario perché ribalta il problema tradizionale dell'epistemologia.
Invece di chiedere come la mente possa ottenere la conoscenza "vera" di oggetti gia esistenti, si chiede che cosa la mente debba fare per avere dei "fatti" (19 )
Non ci sorprenda il fatto che la reazione a questo cambiamento dell'atteggiamento epistemologico fosse assai violenta. L'anonimo critico del Giornale dei Letterati d'Italia (1711) obiettò soprattutto che l'esposizione vichiana non avrebbe fornito la prova della sua verità (20). Cioè chiese che l'autore facesse proprio ciò che egli dimostrava essere illusorio. È la stessa obiezione che ancor oggi più frequentemente si ottiene quando si tenta di spiegare l'orientamento costruttivista. E dimostra, se non altro, l'avversione emotiva che scaturisce dalla proposta di cambiare un modo di pensare ritenuto insostituibile da una tradizione millenaria.
L'analisi delle costruzioni concettuali ha avuto altri protagonisti dopo Vico, ignari del pioniere napoletano. Fra loro vorrei menzionare Jeremy Bentham perché produsse un notevole compendio di "finzioni", termine che per lui non ebbe significato sprezzante ma indicò precisamente l’attività costruttiva. Come Vico, sottolineò il ruolo del linguaggio: "Alla lingua - e solo alla lingua - le entità fittizie devono la loro esistenza"(21). Si può discutere sui metodi di analisi adoperati da Bentham, ma i risultati ottenuti, anche se possono sembrare grezzi, hanno ancora oggi parecchio valore didattico e perciò li considero un valido precedente alla semantica operativa.
Il Principio della Viabilità
Prescindendo dalla costruzione delle strutture concettuali, c’è un'altra idea indispensabile per completare il concetto di costruttivismo radicale. Un'idea che proviene della teoria dell'evoluzione darwiniana e fu utilizzata indipendentemente da vari studiosi intorno all'inizio del nostro secolo. Si tratta dell’idea della selezione negativa; vale a dire l'eliminazione di quello che non serve o non funziona, cosí che tutto ciò che rimane risulta "adatto". O, come preferisco dire, viabile dall’inglese viable, cioè adoperabile, percorribile. Sembra che William James sia stato il primo a suggerire nel 1880 l'uso di questo principio nell'epistemologia (22). Indipendentemente, Hans Vaihinger, l'autore di un prolifico commentario a Kant, lavorò nella stessa direzione già dal 1876. Nel 1911 al IV Congresso Internazionale di Filosofia, a Bologna, Vaihinger presentò il frutto di trent’anni di lavoro: "La Filosofia del Come Se" (23). In questa opera si riferì esplicitamente a Bentham, la cui idea della "finzione" (cioè della costruzione mentale di strutture opportune) egli estese, dopo alcune analisi affascinanti di tutto ciò che si chiama conoscenza. Ma mentre Bentham aveva inteso l'opportunità nel senso comune della vita quotidiana, Vaihinger introdusse come ulteriore criterio la nozione di adattamento ad un mondo reale (24).
La Rinuncia all'Ontologia
In fine Piaget, sulla base dei suoi studi di biologia, arrivò a considerare le attività intellettuali come utensili dell'adattamento. Come mi sforzò d'illustrare altrove (25), è difficile indovinare fino a che punto egli stesso abbia rinunciato al nesso conoscitivo con una realtà indipendente dall'organismo costruttore. In ogni caso ritengo che le sue analisi delle prime costruzioni concettuali del bambino siano un contributo per ora indispensabile al costruttivismo, perché mettono in luce le condizioni fenomenologiche dell’attività costruttrice.
Come gia accennato, è dificilissimo sottrarsi al modo di pensare di una tradizione millenaria instillata in tutti noi sin dalla nascita. Fa parte della tradizione l'abitudine di concludere che, qualora un concetto, un azione, una strategia ci porti al fine desiderato, questo successo debba rivelarci un aspetto di una realtà indipendente. Non è facile sopprimere questa abitudine. Nella prospettiva costruttivista, però, una tale nesso è necessariamente illusorio. Visto da questa posizione radicale, qualsiasi successo dell'agire o del pensare non è altro che un riflesso del fatto che, dato il mondo esperienziale costruito, il particolare modo di agire o pensare risulta possibile. Ciò comporta che per il costruttivista non c'è mai una sola strada che superi un ostacolo. (Inoltre si può sempre cercare un altro punto di vista dal quale l'ostacolo scompare.)
Vorrei perciò terminare questi cenni storici con un ammonimento. Nella riunione per celebrare l'ottantesimo compleanno di Piaget, Léo Apostel disse: "Bisogna sempre applicare un sistema anche al sistema stesso" (26). Applicare i risultati del costruttivismo al costruttivismo stesso, vuol dire soprattutto rendersi conto e rimanere consapevoli del fatto che si ha a che fare con costruzioni che possono dimostrarsi più o meno coerenti, sostenibili, viabili. Ma non possono mai costituire la descrizione o spiegazione di una realtà ontologica.

Costruttivismo: Movimento artistico d'origine russa, che prese il nome nel 1920 e si diffuse in Europa e negli Stati Uniti, caratterizzato dal connubio tra arte e sviluppo industriale. Accanto al progresso sociale successivo alla rivoluzione del 1917, il Programma del gruppo costruttivista (1920), scritto da Aleksandr Rodchenko, decreta la necessità, per l'arte, «di essere sottomessa a scopi utilitari nel nome dell' "oggettivismo"».
Nel 1921, con la NEP, tutti i movimenti avanguardisti sparirono dalla Russia e il costruttivismo si spaccò in due tendenze: l'arte di laboratorio e l'arte industriale. El Lissitzky fu uno dei rari artisti rimasto in Russia fino alla morte.
Il costruttivismo si sviluppò in Europa sotto altri nomi, grazie ai fratelli Pevsner e Gabo, che avevano lasciato l'URSS nel 1922.
Nel 1922, a Dusseldorf, si tenne il primo congresso della "fazione internazionale dei costruttivisti".
Il costruttivismo si sviluppò ulteriormente in Gran Bretagna, negli anni '50, e più tardi negli Stati Uniti.
Gabo, Lissitzky, Mobol-Nagy, Popova, Rodcenko, Tatlin

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