martedì 30 ottobre 2007

L’AFRICA DENTRO DI NOI

Tonino Sicoli


L’Africa è dentro di noi e quello dell’arte africana è un topos interiore, un luogo archetipo della mente e dell’anima, che raccoglie quel sepolto pensiero selvaggio che accomuna gli uomini di ogni latitudine e le radici antropologiche di tutte le civiltà.

In ognuno di noi è presente, in maniera più o meno sopita, l’eterno bisogno di dare rappresentazione immaginifica ai grandi misteri della vita, alle forze vitali della natura, ai valori dell’esistenza e della socialità; al di là delle grandi religioni che istituzionalizzano questa necessità interiore, rimane al fondo anche dell’uomo laico, soprattutto moderno, una sorta di impronta genetica primitiva che gli fa sentire il fascino di una koinè originaria.

Il racconto sulle origini del mondo ha sempre avuto una grande attrattiva sugli uomini e le varie culture si sono date le loro cosmogonie che in molti casi rivelano tratti comuni, racconti similari, a riprova di probabili modelli archetipi del racconto mitologico. La struttura del mito nelle diverse culture rivela una struttura del pensiero che non sa fare a meno di storie riconducibili all’esperienza degli uomini, con personaggi che vivono le stesse situazioni e le stesse passioni dei comuni mortali, anche se si muovono in un universo primigenio da cui tutti gli uomini e il tempo stesso traggono origine. Così ogni evento e ciclo naturale si spiegano come ripetizione o rievocazione di eventi remoti, accaduti al principio del mondo; e le forme del racconto o dell’evocazione immaginifica si riconducono ad una familiarità e riconoscibilità fatta di uomini, di animali o di chimere, comunque appartenenti ad un’iconologia condivisa. Un fitto sistema simbolico costruito con immagini più concettuali che realistiche, trascrive il complesso sistema di valori e di relazioni che organizza i diversi momenti dell’esistenza.

L’animismo primitivo ha punti di contatto con il pensiero moderno. Più delle grandi religioni monoteiste, che riconducono la causa prima delle cose ad un essere supremo onnipotente, sia il pensiero laico che quello più genericamente spiritualista con le sue propaggini new age, non mancano di dare importanza alle manifestazioni minute di un ordine naturale delle cose, a quella capacità interiore di cogliere nel particolare l’essenza universale, in una sorta d’immanentismo a tratti non religioso e a tratti neofrancescano (Il Cantico delle Creature). Ogni fenomeno naturale e ogni forma di vita hanno un’essenza che è parte del grande mistero del cosmo e che è evocata dalla poesia e dall’arte, come i culti e i riti fanno nelle religioni.

L’arte africana ha occupato un posto importante nella storia dell’arte per millenni durante il periodo egizio. Ha raggiunto vette altissime e costruito un sistema di credenze complesso e capace di stabilire legami forti fra il mondo dei vivi e quello dei morti. Ed ha lasciato opere e tipologie che hanno influenzato a lungo l’arte in tutto il Mediterraneo, dalla Grecia antica all’Impero Romano fino all’Europa e all’intera cultura occidentale. Ma il declino politico dell’Egitto, ha progressivamente fatto decadere la produzione artistica dall’aulicità tipica dell’epoca dei faraoni ad un carattere più popolare e geograficamente più spostato verso il bacino del fiume Niger, a sud del Sahara, lungo la fascia dell’Africa equatoriale. C’è voluto il periodo delle esplorazioni geografiche del Continente Nero e della conquista coloniale per portare in luce presso le capitali europee, le culture tribali con il loro patrimonio d’arte cerimoniale (maschere, feticci, sculture varie) e di oggetti d’uso (porte di granai, sgabelli, bastoni, utensili). Questo vasto repertorio di oggetti giunti poco alla volta in Europa ha alimentato il colto collezionismo privato e la nascita di raccolte pubbliche via via organizzate in veri e propri musei etnoantropologici.

Il gusto per l’esotico fra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento fa il paio con il clima di rinnovamento delle arti che si respira in tutta Europa, soprattutto a Parigi. Arrivano maschere, feticci, statuette e oggetti di art nègre, che affascinano i raffinati collezionisti ma soprattutto gli artisti come Picasso, Modigliani e Giacometti che ne traggono spunto per le loro opere. Les Demoiselles d’Avignon di Picasso, con cui nasce il cubismo, sanciscono la rivoluzione delle avanguardie artistiche europee in direzione di un primitivismo reinventato. L’antropomorfismo e lo zoomorfismo sono di tipo sincretico e rappresentano in maniera schematica tipologie e non personaggi specifici. Il livello di astrazione consente di tracciare modelli tramandati nel tempo, legati ad abitudini tribali e a cerimonie arcaiche, giunti fino a noi nell’iconografia anche se svuotati dei significati originari dalla cosiddetta civilizzazione. Ma l’Occidente civilizzatore, che ha spazzato via culture millenarie in nome di un primato autoreferenziale, non ha saputo resistere alla tentazione di annettere un patrimonio di forme e di modi figurativi, che se nel mondo tribale erano considerati espressioni selvagge, nel mondo progredito segnano un trend culturale di modernità.

Il concetto di diversità culturale, che la moderna antropologia culturale ha introdotto nello studio delle scienze sociali e delle manifestazioni dell’ingegno popolare, può ben applicarsi nell’approccio all’arte africana, intesa come forma non di cultura “inferiore” ma diversamente strutturata. Anche l’apparente semplicità non è vista come povertà creativa, ma come una cifra stilistica di qualità che la concezione moderna dell’arte ha individuato come valore.

Nelle culture popolari in genere cambia il modo di percepire la realtà e quindi di rapportarsi ad essa. L’arte, ad esempio, è evocativa più che rappresentativa, proprio come avviene in molta dell’arte moderna più avanzata. Ha quindi valore rituale, ovvero fa rivivere i miti originari, li rievoca con un procedimento che somiglia ad un atto di magia. L’artista è lo stregone, l’artista è lo sciamano. Nelle società tribali come nell’arte contemporanea.

Lo spazio per l’artista-stregone è uno spazio multiplo, dove tutto accade simultaneamente. L’atto evocativo rende tutto attuale, il tempo degli antenati è qui ed ora. Una porta di granaio Dogon o Yoruba è scolpita con scene organizzate secondo una spazialità composita, distribuita su piani ribaltati, antiprospettici. L’orientamento è pluridirezionato, il sopra è interscambiabile col sotto, la lettura può variabilmente esser fatta sia da destra che da sinistra. Altre volte sono le figure ad essere scolpite con più facce, con immagini sul recto e sul verso, con assemblaggi improbabili di uomini e animali. Anche il tempo è cadenzato con i ritmi naturali, attraverso fasi che ritornano ciclicamente, in un eterno presente, dove tutto è in atto. Il mito - nell’Africa Nera, nella Grecia Antica come nell’Età contemporanea – è un cortocircuito del tempo, un paradosso dell’accadimento.

Lo spazio frantumato si avvicina per concezione a quello del Cubismo e il tempo rovesciato somiglia molto a quello della Pittura Metafisica: Pablo Picasso sogna una maschera Bambara e Carlo Carrà pensa ad una statuetta Teke.

L’elenco dei debiti dell’arte moderna e contemporanea nei confronti dell’Arte Africana potrebbe continuare con riferimenti più o meno palesi: Matisse, Ensor, Brancusi, Zadkine, Moore, Paladino... Compresa la ritualità energica di performer e body artisti. La modernità dell’Arte africana, d’altro canto, è un elemento di corrispondenza che avvicina certamente le forti idealizzazioni e concettualizzazioni di entrambi i momenti culturali. Come dire: dall’arte tribale alle moderne tribù dell’arte.

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