giovedì 14 giugno 2007

PLATONE (PENSIERO)

A CURA DI D. PICCHIOTTI
Platone nasce ad Atene nel 427 a.C. In quel periodo la città era dilaniata dalla guerra contro Sparta e dalle incessanti lotte interne tra forze democratiche, aristocratiche e oligarchiche. Di famiglia aristocratica, Platone si interessa inizialmente soprattutto alla politica. L'incontro con Socrate, nel 408, segna una svolta nella sua vita. Platone diviene suo allievo e lo frequenta assiduamente fino al 399, anno del processo e della condanna a morte di Socrate.
Deluso sia dal governo oligarchico dei Trenta Tiranni, sia da quello democratico che aveva accusato il suo maestro, Platone compie numerosi viaggi, frequenta la scuola megarica di Euclide, visita la scuola pitagorica di Archita a Taranto e diventa amico di Dione, consigliere del tiranno di Siracusa Dionigi I.
Nel 387 torna ad Atene e apre una scuola nei pressi del parco Academo. Nasce così l'Accademia, istituto scientifico, scuola di formazione etico-politica e anche associazione religiosa per il culto delle muse. Nel 367 torna a Siracusa per istruire il nuovo tiranno Dionigi II, ma fallisce così come nel suo ultimo viaggio del 361. Platone muore nel 347, mentre Atene era in guerra contro Filippo e si avviava verso la decadenza.

PENSIERO
Fortemente influenzato dal suo maestro, Platone continua l'indagine socratica della verità attraverso una critica serrata delle opinioni. A differenza di Socrate, però, Platone cerca una conoscenza universale e necessaria. Questa ricerca lo spinge a riscoprire il pensiero di Parmenide, che per primo aveva delineato una scienza dell'essere assolutamente certa.
In quel periodo, la concezione parmenidea era stata fortemente mediata dai pluralisti perché secondo loro penalizzava la conoscenza dei fenomeni. Platone invece respinge questa mediazione e afferma l'esistenza di due ordini di realtà e di conoscenza. Da una parte egli pone la realtà e la conoscenza del mondo sensibile, fatta di cose, dall'altra la realtà e la conoscenza di una dimensione situata oltre questo mondo, costituita da idee di natura puramente intelligibile. Perché la nostra conoscenza delle idee sia valida occorre che le idee siano realtà universali e permanenti e non solo criteri regolativi interni all'intelletto. Per Platone le idee sono valori verso i quali la realtà deve tendere finalisticamente. L'universo delle idee è infatti gerarchicamente ordinato dall'idea del bene.
È nell'Eutifrone che è possibile trovare un primo abbozzo della teoria delle idee. In questo dialogo Platone cerca di distinguere ciò che è santo da ciò che è empio e giunge alla conclusione che ciò che è santo deve esserlo sempre, in ogni circostanza. Ciò che rimane identico è tale perché ha una sua forma, una sua conoscibilità, ha cioè una sua idea. Se si vuole conoscere ciò che è santo bisogna conoscere quel principio eidetico che fa si che tutte le cose che sono sante siano tali. Le idee sono forme universali su cui sono modellate le cose particolari, e quindi avere scienza vuol dire servirsi dell'idea come di un modello intellettuale.
Questa concezione del sapere è nettamente opposta all'arte della persuasione e della retorica promossa dai sofisti. Molti dialoghi platonici sono infatti dedicati a smantellare alcuni precetti dei sofisti. Nel Gorgia Platone definisce la retorica come pratica della persuasione mediante discorsi fondati dalla credenza invece che dalla conoscenza. Nel Menone invece, Platone dimostra che l'uomo ha in sé delle idee fin dalla nascita: conoscere vuol dire ritrovare queste idee. Anche l'eristica, arte della controversia finalizzata all'obiettivo di far prevalere la propria tesi giusta o sbagliata che sia, diventa un suo bersaglio critico. Platone dedica all'eristica l'Eutidemo, dialogo in cui si oppone nettamente al principio che afferma l'impossibilità di cercare nell'uomo ciò che si sa o che non si sa.
Il suo rifiuto della concezione gnoseologica dei sofisti lo spinge a formulare la teoria della reminiscenza in cui sono presenti numerosi riferimenti all'orfismo. Secondo la religione orfica l'anima è immortale e rinasce più volte, conosce già sia il nostro mondo che il mondo degli inferi. Per Platone la rinascita continua dell'anima dimostra che imparare non è altro che ricordare. Inoltre, la ricerca della verità è una condizione intermedia fra il pieno possesso di essa e la sua completa assenza.
Platone condanna anche la teoria di Protagora secondo cui le cose hanno un nome per convenzione. Nel Cratilo, dialogo rivolto al linguaggio, Platone sostiene che fra le cose e i nomi c'è una corrispondenza di natura. Le cose hanno una loro natura che non può essere manipolata da noi. Mettere nomi spetta solo a colui che sa, perché costruirà i vari nomi tenendo presente la natura delle cose attraverso l'osservazione delle idee di ogni cosa.
La dottrina platonica delle idee si sviluppa anche attraverso alcuni dialoghi dedicati all'amore e a alla bellezza. Le idee sono il fine dell'anima e l'anima è immortale proprio per il suo legame con le idee. L'amore e la vita sono aspirazione al mondo soprasensibile e all'immortalità.
L'amore descrive la condizione generale dell'uomo che tende a conseguire il bene e la felicità di cui manca. Nel Simposio l'amore è desiderio di bellezza e di bene, e quindi avvertimento della loro mancanza. L'amore si presenta come qualcosa di natura intermedia, un demone, figlio di Ingegno (abbondanza) e di Privazione (povertà).
Se la vita umana si muove tra un mondo sensibile e un mondo intelligibile, l'amore spiega il passaggio e la tensione dall'uno all'altro. L'amore è desiderio di possedere il bello e il bene. È intuizione dell'esistenza del bello e del buono da parte di chi non li ha ma li desidera.
Attraverso questo desiderio l'uomo oltrepassa i propri limiti, ascende gradualmente la scala delle cose belle e arriva a contemplare il bello in sé. L'ascesa amorosa ha come fine l'idea di bellezza. Il passaggio dall'ignoranza alla scienza è delineato come l'evolversi del sentimento d'amore per la bellezza sensibile di un corpo verso la comprensione che la bellezza, presente in tutte le forme visibili, è unica e identica. L'amore per la bellezza di un corpo non è che un passaggio per cogliere la bellezza nelle anime e per amare la bellezza nelle scienze.
Nel Fedro l'anima, principio di vita e di movimento, indipendente dal corpo e immortale, è descritta come un carro guidato da due cavalli alati. Quando prevale il cavallo bianco, che guida gli impulsi buoni e razionali, l'anima vola nel mondo delle idee. Quando prevale il cavallo nero, che guida le passioni sensibili e carnali, l'anima cade sulla terra ed è costretta a reincarnarsi in altri corpi.
Secondo Platone l'anima conserva i ricordi del mondo divino anche dopo la caduta nel corporeo e nel sensibile. La visione delle cose belle nel mondo sensibile risveglia i ricordi delle essenze contemplate nel mondo intelligibile e accende l'anima di un delirio divino, la forma più alta d'amore.
Platone continua l'elaborazione della concezione di anima nel Fedone, commovente racconto delle ultime ore di Socrate. In questo dialogo il filosofo è descritto come colui che già in vita è sottoposto ad una sorta di morte. La realtà sensibile è avvertita come una prigione. Il corpo è impedimento dell'anima alla scienza. Al filosofo non resta quindi che morire per liberare l'anima e la scienza dai vincoli corporei. Il vero filosofo desidera morire per liberarsi dal carcere del corpo e per tornare nel puro mondo delle idee, altrimenti raggiungibile solo con la ricerca rigorosa e disinteressata della verità e l'esercizio della virtù.
Nella Repubblica Platone delinea una nuova concezione dello stato per realizzare l'ideale della conoscenza universale e necessaria. Secondo Platone lo stato si forma per soddisfare i propri bisogni con l'aiuto degli altri, ma l'eccessiva brama di potere e il desiderio di espansione territoriale provocano lotte continue e guerre. Occorre quindi creare un esercito di soldati di professione per difendersi, i custodi dello stato, la cui vita dovrà fondarsi sulla totale condivisione. È per questo motivo che Platone ritiene indispensabile l'abrogazione di ogni possesso individuale, abolizione che deve essere estesa anche alla famiglia. Inoltre, lo stato non solo si occuperà dell'educazione dei figli, ma controllerà anche le unioni sentimentali, e le donne dovranno essere educate per poter collaborare con gli uomini in tutti gli uffici pubblici, compresa la guerra. Solo la classe dei lavoratori è esentata dalla rinuncia alla famiglia e dall'obbligo della formazione.
Se per Socrate era importante occuparsi soprattutto dell'anima, Platone ritiene indispensabile non trascurare lo stato. Il superamento dell'orientamento socratico è evidente proprio nella corrispondenza che Platone realizza distinguendo le tre classi sociali che formano lo stato sulla base di una teoria dell'anima composta da tre parti. La parte concupiscibile, l'istinto, equivale alla classe dei lavoratori, uomini di bronzo. La parte animosa, la forza emotiva, corrisponde invece ai custodi, uomini d'argento, mentre la parte razionale, la ragione, spetta ai governanti, uomini d'oro.
Lo stato deve essere governato da persone che racchiudono in sé filosofia e potenza politica. Dominio politico e vera conoscenza, ispirata dall'amore dell'idea, devono incontrarsi, e ciò accade solo con un governo aristocratico, tutte le altre forme (timocrazia, oligarchia, democrazia, tirannia) non sono che la degenerazione di questo modello perfetto.
Le idee garantiscono non solo la possibilità di una conoscenza vera e universale ma anche l'unità essenziale e permanente del molteplice e del divenire. Attraverso il mito della caverna Platone mostra le tappe della conoscenza umana. Secondo questo mito, gli uomini sono imprigionati dentro una caverna, con le spalle rivolte verso la luce. Gli oggetti reali si trovano fuori dalla caverna, ma gli uomini non si possono voltare per guardarli direttamente. Possono solo osservare le ombre che gli oggetti proiettano contro le pareti della caverna.
Per Platone gli esseri umani sono quindi condannati a poter cogliere attraverso la sensazione solo le ombre delle idee. Solo pochi riescono a uscire dalla caverna e ad accorgersi della bellezza del reale. Spetta ai filosofi guidare gli esseri umani verso la conoscenza delle idee, mediante lo studio della matematica e l'esercizio della dialettica che insegnano la contemplazione del bello e del vero.
Nel Parmenide vengono affrontati i problemi relativi alla dottrina delle idee. Le difficoltà sorgono quando si devono considerare insieme i processi di unificazione e di divisione, perché le idee sono distinte dalle cose (p.e. l'idea di bellezza non coincide con le cose, altrimenti diverrebbe una e molteplice) ma allo stesso tempo somigliano ad esse (sono infatti unificate da questa somiglianza). Per risolvere questi problemi, Platone afferma la teoria della partecipazione: le cose partecipano semplicemente delle idee. Il mondo dell'essere e il mondo sensibile stanno nello stesso rapporto in cui si trovano l'uno e il molteplice. Il molteplice non si può pensare senza riferimento all'unità, in quanto è anch'esso costituito di unità, a sua volta l'uno è essere in quanto unifica il molteplice sensibile e quindi è in connessione con il non essere sensibile. Per Platone, la separazione parmenidea fra essere e non essere è insostenibile, perché comporterebbe l'impossibilità di stabilire relazioni conoscitive fondate. Ogni relazione conoscitiva implica diversità, cioè non essere, indica dunque che un ente è qualcosa e insieme che non è qualcos'altro.
Platone condanna anche la dottrina eracliteo-protagorea della conoscenza come sensazione. Nel Teeteto sostiene infatti che la sensazione non consente una conoscenza valida e vera basata sul mondo delle idee. È nei dialoghi della vecchiaia che si compie il parricidio di Parmenide. Nel Sofista Platone delinea il metodo dicotomico della dialettica e ripropone il problema dell'esistenza del non essere. Per trovare una mediazione fra mondo ideale dell'essere e conoscenza umana è necessario «uccidere Parmenide». Il non essere è definito in quanto negazione relativa e non come negazione assoluta, perché la diversità è una forma fondamentale dell'essere stesso. Solo in questo modo si può rendere ragione del falso e dell'errore. Escludere qualsiasi relazione fra l'essere e il non essere significa rendere impossibile sia la conoscenza che il linguaggio.
La dialettica studia le forme dell'essere per stabilire fra di esse il rapporto di identità e di diversità. Chiarendo quali forme della realtà si collegano e quali si escludono, la dialettica è in grado di determinare la struttura del reale, mostrando tutte le sue determinazioni e articolazioni. Il procedimento della diaresi-divisione permette di determinare un genere (nome che Platone preferisce ora a quello di idea), indicando le relazioni di esclusione e inclusione in cui si trova con gli altri generi. Si parte tagliando in due ogni genere (muovendo da generi diversi) fino a raggiungere il genere da determinare, in modo tale che questo possa essere colto in un numero sempre maggiore di relazioni.
Nel Filebo Platone ripete che i generi non devono essere intesi come unità rigide ma in rapporto di partecipazione gli uni con gli altri. La ricerca dei generi si muove sia nell'ambito dell'unità che nell'ambito della molteplicità. I due generi massimi sono il finito e l'infinito.
Sempre nei dialoghi della vecchiaia troviamo il problema dell'origine dell'universo e della formazione del mondo. Platone rifiuta la concezione meccanicistica del mondo formulata da Democrito e delinea un discorso sulla genesi e l'organizzazione del cosmo, correggendo il carattere qualitativo della vecchia fisica con schemi e proporzioni matematiche che gli conferiscono una precisa struttura qualitativa (di cui si serve per dimostrare il fine razionale dell'universo).
L'universo è concepito come una cosa generata da un demiurgo, un artefice divino, che opera imitando i modelli del mondo delle idee e le proporzioni matematiche, ma non si tratta di un vero creatore perché le cose gli preesistono.
L'intero universo (così come la citta-stato) è considerato un organismo fornito di un'anima intelligente e di un corpo, come un grandioso essere vivente e animato. L'anima del mondo è principio generale di vita, mediazione fra il piano sensibile e il piano razionale-ideale della realtà, realizzazione della compresenza di essere e divenire che caratterizza i fenomeni.
Il finalismo del mondo è dimostrato dal suo rispondere al criterio del meglio, di cui si fa realizzatore il demiurgo, mentre l'imperfezione del mondo è causata dalla chora, materia sensibile sottoposta al mutamento e alla corruzione. Il termine chora è usato per definire ciò in cui le cose si generano, ma indica anche qualcosa di negativo, simile al non essere.
Nei dialoghi della vecchiaia è presente anche a una rielaborazione delle affermazioni sullo stato e sulla politica. Mentre nella Repubblica Platone analizzava lo stato come un modello ideale, fermo al di sopra dell'esperienza umana, nel Politico lo stato si configura come una mescolanza di cui bisogna trovare la giusta misura. L'arte della politica è l'arte della misura, la ricerca del giusto mezzo di equilibrio fra eccesso e difetto, ed è per questo che non bisogna dare troppa importanza a un corpo di leggi scritte. La legge è paragonata ad un uomo autoritario e ignorante. Eppure, nell'ultimo dialogo, rimasto incompiuto, Platone affida proprio alle leggi il governo dello stato, rinunciando sia alla classe dei governanti che a quella dei custodi e rivalutando la famiglia, in quanto condizione abituale degli individui. Cambia anche il modello politico, non più aristocratico, bensì combinazione di elementi monarchici e principi democratici.

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