lunedì 18 giugno 2007

LIBERTA’ E NECESSITA’ DAI GRECI AD OGGI



Nel corso della storia assistiamo al contrapporsi di due diversi modelli di libertà: da un lato, la libertà come libero arbitrio, ossia come possibilità di decidere arbitrariamente tra due o più alternative (si tratta di quella che gli scolastici definivano potestas ad utrumque): essa è la libertà di indifferenza, tale per cui quando ci si trova a dover compiere una scelta è indifferente che si scelga A piuttosto che B, nel senso che non vi è nessun condizionamento che implichi dall’esterno una differenza e che ci indirizzi a scegliere una cosa anziché un’altra. In quest’accezione, questo modello può essere concepito come modello della "libertà di" fare così oppure non così. Dall’altro lato, troviamo la libertà come assenza di costrizione, la libertas a coactione degli scolastici: non è più l’indifferenza della scelta, tale per cui posso decidere liberamente di scegliere o A o B, ma si tratta piuttosto di una libertà in virtù della quale sia che io scelga A sia che io scelga B non sono condizionato da una costrizione, sia essa esterna (qualcuno che mi obbliga ad agire in un determinato modo) sia essa interna (le mie passioni). Questo secondo modello implica non già una "libertà di", bensì una "libertà da". Stando a quanto abbiamo finora detto, questi due tipi di libertà possono apparire non troppo diversificate, cosicché è opportuno produrre altre distinzioni più incisive: innanzitutto, possiamo notare come la "libertà di" sia sempre considerata come libertà positiva, in quanto si tratta di determinare l’oggetto del volere e sono io stesso a deciderlo; sicchè la "libertà di" comporta la libertà di volere ciò che ancora non si vuole, per cui siamo noi stessi a determinare la nostra volontà: l’uomo non sceglie perché vuole, ma vuole perché sceglie. Sull’altro versante - quello della "libertà da" - ci troviamo dinanzi ad una libertà di tipo negativo, giacchè ciò che si vuole è sempre già presupposto, cosicché io so già che cosa voglio e non sono io a sceglierlo. Dunque, si può dire che nel caso della "libertà di" ciò che voglio non mi è imposto (e per ciò sono realmente libero), mentre nel caso della "libertà da" mi è imposto (e perciò non sono libero). Un’ulteriore distinzione può essere operata tenendo conto del rapporto che queste due forme di libertà intrattengono con la contingenza o con la necessità: entrambe le due tipologie di libertà presuppongono una razionalità dell’azione (voglio e scelgo qualcosa sulla base di un disegno razionale), ma diverso è il rapporto sussistente tra la razionalità e il contesto in cui essa si esprime. Nel caso del libero arbitrio (la "libertà di"), il contesto in cui mi trovo ad operare deve presupporre un certo livello di contingenza, giacchè, affinchè io possa scegliere A anziché B, occorre che l’ordine esterno delle cose sia tale da consentire tanto la realizzazione di A quanto quella di B: ciò significa che non deve essere già predeterminato che si verifichi A anziché B. Questa condizione di indeterminatezza non è invece richiesta dal modello della "libertà da", il che sembrerebbe a dir poco assurdo: come si può, infatti, parlare di libertà e, al contempo, ammettere che viga un determinismo in forza del quale sia già decretato che si verifichi A piuttosto che B? Tale assurdità cessa di essere tale se teniamo presente che a togliere la libertà non è la necessità in sé, ma solamente quella esterna, ovvero quel che agisce sul soggetto essendo ad esso esterno. Anche le forze interne (ad esempio le passioni o le abitudini) vengono considerate come esterne alla razionalità del soggetto agente, sicché se mi trovo ad esser determinato dalle mie passioni nell’agire sono coatto da qualcosa a fare ciò che la mia ragione mi indurrebbe a non fare: se ne evince che anche ciò che pare di primo acchito essere una forza interna (le passioni), è in realtà esterna, in quanto opponentesi alla razionalità del soggetto. Se questi agisce mosso da un principio di razionalità assoluta, allora agisce seguendo una necessità che rispecchia l’ordine necessario del mondo: non è costretto da forze esterne, ma obbedisce ad un principio necessario dell’azione, essendo in tal modo libero in quanto la forza che mi condiziona è identica alla mia stessa soggettività: in altri termini, sono io stesso quella forza. In questo senso, la libertà risulta conciliabile con la necessità: il caso paradigmatico di questa concezione è rappresentato da Spinoza, per il quale l’uomo che segue la necessità imperante nel cosmo realizza la sua libertà, intesa ovviamente non come facoltà di scegliere A anziché B, bensì come "libertà da" costrizioni. Sotto questo profilo, il livello della libertà intesa come negativa e come positiva viene un po’ corretto e sfumato, giacchè la "libertà da" porta ad identificarsi con il principio causale dell’agire, che così cessa di essere vincolante e negativo. Tuttavia, deve essere sottolineato come, se il problema della libertà è così complesso e irrisolvibile, ciò sia dovuto precipuamente alla difficoltà e alla polisemia dei termini impiegati nell’affrontarlo, tali da non afferrare mai del tutto che cosa realmente la libertà sia: se almeno si sapesse con certezza che cosa essa sia, si potrebbe per lo meno univocamente capire se l’uomo ne sia equipaggiato oppure no. Invece risulta assai arduo, ancor prima di decidere se l’uomo sia libero o no, capire che cosa effettivamente la libertà sia, e ulteriori complicazioni sono introdotte dal fatto che, accanto ai due modelli da noi proposti, se ne sono sviluppati molti altri da essi derivanti.

Nessun commento: