sabato 23 giugno 2007

Eschilo di Eleusi


Eschilo di Eleusi
E' il più grande dei tragici greci, nacque a Eleusi nel 525 a.C. circa; affianco al fratello Cinegiro, che vi morì, combattè a Maratona ed a Salamina nel 490 e 480. Viene inserito in questo lavoro per completare quanto possibile il quadro culturale che si era venuto a creare nell'isola, in parte colonizzata ed acculturata dai greci, e lanciando una sua esemplare attrattiva, originale, sugli uomini migliori del suo tempo e no.
Eschilo vinse per 28 volte nel concorso per tragedi, che si teneva ad Atene, dal 484 in poi, non vincendo nelle precedenti edizioni cui aveva pur concorso. Egli è l'esempio personificato della attrattiva culturale che la Sicilia, con le corti di Siracusa e Agrigento, ha esercitato per circa mezzo millennio sugli uomini di cultura del tempo: fu infatti più volte nell'isola, nel 476, e più volte tra il 472 ed il 458 a. C. Morì infatti a Gela tra il 456 ed il 455, al termine di una vita dedicata alle composizioni tragiche che tutt'oggi sono argomento di studio e di rappresentazioni fra le più suggestive e significative nell'offrire validi esempi degli aspetti più ascosi dell'animo umano, soggetto alle forze del fato, del senso della giustizia. Tutto ciò espresso con stile potente e raffinato, quindi efficace negli scopi che la tragedia per antonomasia si propone (vedi Aristotele, Poetica).
Nel 474 a.C. il tiranno di Siracusa Gerone I volle predisporre uno stanziamento militare nel pressi della cittadina di Inessa, vicino Etna (Catania) e chiese al suo ospite di comporre una tragedia da rappresentare per celebrare l'avvenimento. Nel 468 a.C. venne così rappresentato il dramma Le Etnee, andato quasi del tutto perduto. E' ben poca cosa nel corpus letterario prodotto dal nostro, che scrisse 90 tragedie, ispirati dai cicli troiano, tebano, argonautico, argivo, dionisiaco, e da temi celebrativi.Da LE ETNEELa trama. Una fanciulla siciliana di nome Thaleia (o Etna), essendo stata posseduta da Zeus, temette di incorrere nelle ire di Era; giunse così a pregare che la terra potesse aprirsi ed inghiottirla. La preghiera venne accolta, ma poco dopo la terra si riaprì consegnando al mondo due ragazzi gemelli, che furono detti Palici, cioè ritornati (dal suolo). La figura dei Palici si ricollegò ad un antico culto della zona etnea (Palica, poco distante da Ramacca e Palagonia), e dove si organizzavano i Siculi radunati da Ducezio in una lega mirante a contrastare il potere delle città fondate dai Corinziani. In zona esistevano sino al secolo scorso due piccoli laghi alimentati da vene d'acqua calda d'origine vulcanica. Oggi rimane sul luogo la necropoli della capitale dei Siculi, costituita da una serie di loculi scavati nella parete d'una collinetta rocciosa (una piccola nota merita la condizione 'nature' del luogo, un abbandono emblematico perché totale; la Regione Siciliana non può vantarsi di tante cose: questa è tra le altre). sconfitta data ai Cartaginesi, popolo che ancora usava riti propiziatori con sacrifici umani, a discapito dei figli primogeniti, nella zona di Palikè, volle che tale usanza non avesse a ripetersi.
Nel catalogo Mediceo il dramma è riportato come La donna dell'Etna. E il Macrobio la segnala semplicemente come Etna nella sua Saturnalia (v.19.17), preziosa fonte dei seguenti frammenti:
que i mortali daranno loro?
b. Zeus ordina che essi siano appellati sacri Palici.
a. E sarà il nome Palici imperituro, come se dato con giustezza?
b. Certamente poiché essi vogliono 'tornare indietro' dalle tenebre la presente luce. (v.19.24)

Oggi rimangono intere le opere: le Supplici, i Persiani, i Sette a Tebe, Prometeo incatenato. Inoltre in una trilogia, le Orestiadi, sono riunite Coefore, Agamennone, Eumenidi. Regolarmente si tengono a Siracusa queste ed altre rappresentazioni che sono tra le più belle e suggestive al mondo. La tradizione dice che Eschilo subì un processo per aver rivelato, senza che fosse nella sua volontà, dei segreti legati allo svolgimento dei riti di Eleusi dei suoi concittadini.
La leggenda invece vuole che esso morisse per azione di un'aquila che, non riuscendo più a tenere serrata tra gli artigli una tartaruga sua grave preda, la lasciasse cadere colpendo così il tragedo mentre era in cammino. E' da rimarcare che in Sicilia non si aveva nessuna produzione indigena teatrale che non fosse mero ornamento di altre celebrazioni, come le feste religiose.Ateneo riferisce che i temi amorosi, diffusissimi tra i poeti e gli autori di commedie definibili di costume, vennero parimenti inseriti nei plot dai due grandi della tragedia: Eschilo e Sofocle:"Il primo quello tra Achille e Patroclo, il secondo con i ragazzi di Niobe; da qui s'ebbe che la tragedia venne da qualcuno chiamata 'paederastia', mentre il pubblico accettava ben volentieri tali storie" (601; a).Pare che tra gli Spartani, a detta di Agnone, filosofo accademico, che "era usanza per le ragazze prima di venire sposate essere trattate come i giovinetti preferiti". (602; d). E Timeo indica nei Cretesi i primi a praticare la pederastia; mentre altre fonti, sempre secondo Ateneo, fanno scaturire l'innaturale legame a Laio, ospite di Pelope, che si innamorò del di lui figlio Crisippo, fuggendo col giovane a Tebe. La tendenza a mitizzare degli avvenimenti portò Prassilla di Sicione a dire che Crisippo venne rapito dal dio Zeus. E la pratica si diffuse poi tra i Celti e i Persiani.

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