Le arti figurative.
L’Italia è la terra natale di grandi esponenti delle avanguardie novecentesche; tra queste una delle più importanti è stata sicuramente quella Futurista. In parziale contrapposizione al dinamismo portato all’estremo espresso dal futurismo nasce, per opera di Giorgio De Chirico, la pittura Metafisica; in essa la velocità, espressa come rapporto fra spazio e tempo, viene a congelarsi in istanti senza tempo, dove è palpabile quella dimensione atemporale che va oltre l’aspetto fisico delle cose. Lo stile è per scelta tradizionale, molto semplice, pulito delle forme, con grande uso della tecnica della prospettiva. Quello che di ogni opera colpisce è la capacità di trasmettere esperienze nuove; lo spazio, pur senza eccessi, è innaturale, inanimato; l’atmosfera è enigmatica e getta nello sconforto, in quanto chi guarda l’opera non riesce a percepirne la fisicità immediata, ma è gettato alla ricerca spasmodica di quel qualcosa che deve trascendere la pura fisicità della rappresentazione. A manifesto di questa nuova esperienza figurativa possiamo prendere in esame il quadro di De Chirico intitolato “Le muse inquietanti”. In questa tela sono presenti gli elementi fondamentali che contraddistinguono le opere del pittore: lo spazio prospettico deformato, l’ambientazione cittadina, ricorrente nella sua serie pittorica “le piazze d’Italia”, i manichini; proprio questi ultimi stanno a rappresentare la vita dopo che essa è passata ed ha lasciato solo forme vuote; con questo non vuole intendere la morte, ma quell’eternità immobile e misteriosa sottesa al mondo delle esperienze; l’intento è quello di cogliere il mistero insondabile che si nasconde dietro le leggi fisiche. La dimensione temporale congelata è data anche dalla compresenza di elementi architettonici antichi, il castello Estense di Ferrara, con elementi di architettura industriale, le ciminiere; entrambe le figure che campeggiano sullo sfondo sono però inanimate, sono colte in un istante mai esistito ma pure eterno. I due manichini, che ci introducono in questa immobile piazza, sono le muse, figure mitologiche che venivano invocate dagli artisti per ricevere ispirazione al loro fare artistico. In questo caso le muse sono “inquietanti” perché devono indicare quella strada che va al di là delle apparenze, devono farci dialogare con il mistero.
Se in Italia l’avanguardia futurista la faceva da padrone, nel nord Europa, grazie alle nuove scoperte di Freud, le correnti pre-impressionistiche e impressionistiche rivestivano un ruolo di prim’ordine; esse facevano largo uso del concetto di inconscio per fare emergere le caratteristiche più profonde dell’animo umano. Queste tecniche pittoriche evocavano figure astratte, negando assolutamente la realtà. Contrariamente ad esse il Surrealismo pratica un’arte figurativa, finemente intrecciata col naturalismo che si propone di evocare la dimensione onirica nell’intento di liberare il pensiero da ogni controllo attuato dalla ragione. Grazie a queste notazioni tecniche, redatte dallo scrittore André Breton, nascerà un’arte che grazie agli spostamenti di senso riuscirà a fare un po’ di luce sull’oscuro inconscio dell’artista. Questo necessario spostamento di senso sarà ottenuto con due tecniche differenti e talvolta complementari: la libera associazione, attraverso la quale si accostano elementi totalmente slegati fra loro nel dominio del senso, e le deformazioni irreali, in cui si attua una trasformazione di un oggetto in un altro, come per esempio foglie che prendono la forma di uccelli. Entrambe le tecniche hanno come unico obiettivo lo spostamento di senso teso a gettare nell’assurdo sconforto il fruitore dell’opera, in quanto tali immagini contraddicono le nostre certezze immediate. De Chirico, con la sua pittura metafisica, presenta molte affinità con il surrealismo, ma egli non vi aderirà mai apertamente, pur non nascondendo simpatia per il nuovo movimento; contrariamente al pittore italo-ellenico, il belga René Magritte sarà uno dei più famosi ed importanti artisti surrealisti. I suoi quadri sono realizzati con uno stile da illustratore, di evidenza quasi infantile; volutamente le immagini conservano un aspetto “pittorico”, in quanto egli non vuole fare emergere direttamente l’inconscio, ma i lati misteriosi dell’universo, facendo un pesante uso dello spostamento di senso. Nelle sue opere è tremendamente avvertibile la distanza che intercorre tra la realtà e la rappresentazione, avremo così la rappresentazione di una pipa con sotto, in caratteri ben chiari, la scritta “Questa non è una pipa”. Come opera esemplare per capire l’artista è utile prendere in esame il quadro “Le passeggiate di Euclide”; questa tela fa parte della numerosa serie che Magritte ha realizzato sul tema del quadro nel quadro. In esso è raffigurato l’interno di una stanza in cui si apre una finestra, davanti alla quale è collocato un cavalletto a sorreggere un quadro che riproduce fedelmente una porzione dell’immagine esterna incorniciata dalla finestra. Questa coincidenza tra immagine reale e riproduzione pittorica induce ad un attimo di perplessità. La nostra esperienza sa che è impossibile confondere un’immagine bidimensionale con una tridimensionale, ma se qui appare possibile è perché di fatto anche l’immagine “reale” è in realtà un’immagine pittorica: una cosa del genere, in sostanza, può avvenire solo in un quadro. In questo gioco tra l’essere e apparire sta tutta la pittura di Magritte, che vuol contribuire ad alimentare la distanza tra la realtà e la rappresentazione; il mondo dell’arte è altro rispetto al mondo reale, e solo in esso possiamo trovare delle possibilità che reali non sono, ma che meglio ci aiutano a comprendere e penetrare i misteri della realtà.
Se le opere di Magritte lasciano stupiti per la loro irreale tranquillità lo stile di Salvador Dalì sarà incentrato su atmosfere estremamente drammatiche. Questo artista nasce in Spagna e viene a contatto con i surrealisti a Parigi, ove si era recato dopo essere stato espulso dall’Accademia di Belle Arti di Madrid; in tale movimento, il pittore, trova la possibilità di esprimere la sua dirompente immaginazione; la sua Arte è intesa come rottura dei freni inibitori della coscienza razionale, per portare in superficie tutte le pulsioni e i desideri inconsci, dando loro l’immagine di allucinazioni iperrealistiche. Dalì fu senza ombra di dubbio il più intenso ed eccessivo dei surrealisti al punto che nel 1934 fu espulso dal gruppo dallo stesso Breton. Il metodo per fare emergere il suo inconscio era quello di servirsi di principio dell’automatismo psichico teorizzato da Breton; a questo automatismo psichico Dalì diede anche un nome preciso: “metodo paranoico-critico”. La paranoia, secondo la descrizione che ne dà l’artista stesso è: “una malattia mentale cronica, la cui sintomatologia più caratteristica consiste nelle delusioni sistematiche, con o senza allucinazioni dei sensi. Le delusioni possono prendere la forma di mania di persecuzione o di grandezza o di ambizione”; dunque le immagini che l’artista cerca di fissare sulla tela nascono dal torbido agitarsi del suo inconscio, la paranoia, e riescono a prendere forma solo grazie alla razionalizzazione del delirio, momento critico. L’opera più celebre di Dalì è sicuramente “La persistenza della memoria”; in questa tela sono rappresentati orologi deformi, sciolti sopra i rami di un albero; anche per questo artista è necessaria una ridefinizione del tempo. Particolarmente importante è il quadro “Donna con la testa di rose”; in esso vediamo una scena che ha molti intrecci con l’opera di De Chirico “Le muse inquietanti”; anzitutto la fuga prospettica molto accentuata, e un piano sopra il quale si stendono ombre nette e lunghe, inoltre una delle due donne è in parte un manichino; i cubi colorati dove De Chirico fa sedere le muse, in quest’opera diventano strano oggetti antropomorfici deformi. Il confronto tra questi due quadri rende in modo molto esplicito la differenza che passa tra la poetica metafisica e quella surrealista; mentre la prima ci mostra il mondo di sempre, ma con l’inquietante novità che assume nel momento metafisico, la seconda ci mostra un altro mondo, dove la realtà si contamina con le nostre pulsioni inconsce ed oniriche per dare a questo mondo surreale la maggiore e più intensa vitalità possibile.
La prima guerra mondiale.
Il detonatore che fece deflagrare quella enorme tragedia nota come “Prima Guerra Mondiale” è stato l’omicidio dell’arciduca asburgico Francesco Ferdinando avvenuto il 28 Giugno 1914 a Sarajevo. Come sappiamo una scintilla di per sé è nulla se non vi è presente già una lunga miccia ma soprattutto un grosso carico di esplosivo; il “breeding feed” di questo conflitto è drammaticamente ricco ed eterogeneo. Molto interessante è analizzare come l’inconscio collettivo abbia dato avvisaglia della terribile situazione che si veniva delineando: Jung, filosofo e psicoanalista già trattato nella prima sezione, scrisse in un suo libro di aver avuto, prima del conflitto, nel novembre del 1913, una strana visione, che in un certo qual modo era di monito. In questa allucinazione, avuta probabilmente in uno stato di dormiveglia, egli vide mostruose onde provenienti dall’Atlantico e dal Mare del Nord sommergere l’intera Europa settentrionale; quando esse raggiunsero la Svizzera le Alpi s’ingigantirono per proteggerla, mentre le terrificanti onde continuavano a travolgere intere popolazione, trascinando con loro migliaia di corpi esanimi; infine il mare si trasformò in sangue a testimonianza della drammaticità degli eventi. La visione durò circa un’ora; Jung, nauseato e perplesso dalla visione, pensò di essere sulla via di una psicosi e addirittura interruppe una serie di convegni ai quali doveva partecipare. Jung pur non interessandosi in nessun modo del futuro politico dell’Europa, continuò ad essere perseguitato da quelle immagini; nella primavera del 1914 sognò per tre volte un’Europa coperta dai ghiacci artici. Invitato ad un convegno sull’importanza dell’inconscio nella patologie della psiche nel suo discorso raccontò delle visioni e disse di essere preparato a dei tragici avvenimenti che di lì a poco sarebbero accaduti; era il Luglio 1914, meno di un mese più tardi, il I Agosto 1914 scoppio il conflitto. Jung allarmato da questa premonizione, ma convinto che essa non poteva essere un evento estemporaneo, passò mesi ad autoanalizzare i sogni precedenti e quelli che continuava ad avere; una delle figure di maggior rilievo che si delineò col passare del tempo fu quella di un nano con la pelle color cuoio che stava a guardia della porta dell’inconscio e che era probabilmente un compagno primordiale dell’Io di Jung; sognò che lui stesso aveva assassinato, assieme al nano, una bellissima ragazza bionda. Dalla sua analisi questo assassinio rappresentava un avvertimento della pericolosità del dilagare della gloria attribuita agli atti eroici che presto avrebbe causato un così grande dramma in Europa.
Come si è visto in questo viaggio nelle remote lande dell’inconscio, la situazione storica che si era venuta a creare era ricca di tensioni; lo storiografo Hobsbawn asserì che il XX secolo iniziò con lo scoppio di questa guerra mentre quello avvenuto nel decennio precedente fu solo una continuazione di processi di cambiamento puramente ottocenteschi. Per semplicità d’analisi possiamo dividere questi processi in tre elementi fortemente in relazione fra loro: un processo politico, un processo sociale ed un processo filosofico-ideologico.
Dal punto di vista politico, ma anche ideologico, un grosso contributo lo diede il cambiamento del significato di nazione; se essa all’inizio dell’Ottocento veniva considerata come un’entità meramente culturale, come una comunità di genti accomunate dalla stessa cultura, dalla stessa religione e dalla stessa lingua, nella seconda metà del secolo essa si connotò vieppiù di nuovi significati allora quasi sconosciuti. La nazione divenne così strumento di dominio di popoli su altri, di potenza economica e militare. Figura chiave per questa trasmutazione di valori è quella di Bismark: antidemocratico dichiarato, egli portò l’esercito e l’imperialismo alle stelle e, con la Conferenza di Berlino, diede il via, legittimandolo, a quell’imperialismo selvaggio in cui si avventurarono gli europei; questo decreto nel quale si dichiaravano conquistabili gli stati europei non fece altro che dilazionare le tensioni intestine del vecchio continente; se esse venivano momentaneamente sfogate all’esterno, quando non vi fossero più state terre di conquista, il conflitto che ne sarebbe scaturito avrebbe assunto carattere mondiale. Bismark dopo aver edificato la grande Germania, con questo provvedimento cercò di mettere in uno stato di quiete il movimento “revanscista” francese; questa corrente di pensiero auspicava una violenta vendetta sulla Prussia che aveva inflitto loro una pesante sconfitta nella guerra franco-prussiana. Le tensioni si accentuarono quando in seguito ad uno scontro militare sui terreni africani risoltosi con atto diplomatico ci fu un’alleanza tra Francia, Inghilterra e Russia.
Sotto il profilo sociale grande successo stavano riscuotendo i Partiti Socialisti nati sull’onda dell’ideologia marxista; sempre in quest’ottica l’unica soluzione percorribile per fare fronte ad un movimento operaio che rivendicava, basandosi anche su un positivismo di grande attualità presso le masse, l’uguaglianza e propugnava la democrazia, fu vista nella guerra, ovvero nella possibilità di inviare al fronte i rivoluzionari e, soprattutto, nella possibilità di militarizzare la società stessa smantellando le istituzioni parlamentari e revocando ogni forma di democrazia.
Grande importanza è da attribuire al lato filosofico e ideologico; in questa prospettiva è importante ricordare un asserto del filosofo torinese Norberto Bobbio; egli ha osservato come, con la prima guerra mondiale, si sia assistito ad uno stravolgimento del motto di Marx presente nelle Tesi su Feuerbach: se Marx diceva che i filosofi si erano fino ad allora limitati ad interpretare il mondo, senza cambiarlo, e che era giunto il momento che le classi operaie lo mutassero nella sua essenza, con il nuovo clima culturale si affermò sempre più l’idea che non era giunto il momento di mutare il mondo ma di impadronirsene. Come abbiamo prima visto il positivismo, con l’incondizionata fiducia nella Scienza e nella Ragione aveva trovato terreno fertile nelle masse, presso il “popolo degli intellettuali”, o pseudo tali, invece esso era stato surclassato per antitesi dall’irrazionalismo e dal decadentismo di matrice vagamente superomistica. Da questa commistione semplicistica nascerà il concetto di razza; con questa si cercava di spiegare razionalmente un qualcosa che sfugge ad ogni razionalità e che anzi è agli antipodi da essa. Sempre di stessa matrice sono le avanguardie artistiche predominanti al tempo, come il futurismo italiano; esse esaltavano il ruolo della violenza considerando la guerra come “sola igiene del mondo” e rifiutando ogni forma di tranquillità e di armoniosa convivenza. Profeta italiano di queste nuove ideologie fu D’Annunzio, che riprese le tesi nietzscheane attuandone una bislacca commistione con il darwinismo, da questa discutibile sintesi si ottenne un Superuomo ibrido che al contrario di quanto affermato dal suo originale creatore, Nietzsche, finì per essere un militare razzista asservito al potere di un superstato. A tale proposito Benedetto Croce dileggerà sarcasticamente D’Annunzio in suo scritto introducendo il discorso sullo stesso con “Letto che ebbe qualcosa di Nietzsche…”.
Studiare l’Inconscio e la Coscienza oggi.
Fin dall’anno della sua creazione, il 1956, il termine intelligenza artificiale sottolineò l’aspetto costruttivista della relativa disciplina. A volte i cultori dell’intelligenza artificiale si sono posti l’obiettivo conoscitivo di capire il funzionamento di menti e cervelli biologici, ma solo al fine di avere suggestioni e suggerimenti. Quando non l’hanno fatto sono rientrati nell’alveo di altre discipline quali la psicologia, la filosofia, la biologia, le scienze cognitive. La parola artificiale non è un semplice aggettivo, bensì implica un programma di lavoro di tipo ingegneristico nel settore della progettazione e costruzione di esseri artificiali dotati di intelligenza.
Nel 1982, in Giappone, si diede inizio al programma di ricerca FGCS (fifth-generation computer systems) che aveva come obiettivo quello di sviluppare le applicazioni di intelligenza artificiale. Tuttavia, già nel Convegno IJCAI’87 tenutosi a Milano, ci si interrogava, a trent’anni della nascita della disciplina, sul futuro dell’intelligenza artificiale. Nello stesso anno il ritorno prepotente delle reti neurali apriva nuove prospettive alternative al classico approccio dell’intelligenza artificiale.
La rivista Sistemi intelligenti, che nasce nell’aprile 1989, coglieva i fermenti di quel particolare momento storico e si proponeva come una rivista di scienza cognitiva e intelligenza artificiale, che aveva come obiettivo “lo studio dell’intelligenza, delle attività mentali e del loro supporto fisico, il cervello”. Ma l’intelligenza ha bisogno di una volontà che la guidi. La razionalità deve essere mossa da fini e motivazioni che non possono essere il prodotto delle elaborazioni interne di un sistema chiuso. Le attività mentali non possono essere esclusivamente attività cognitive nel senso di elaborazione razionale e meccanica dei simboli. L’esperienza empirica ci mostra che, anzi, questo tipo di intelligenza è semmai un prodotto ontogeneticamente e filogeneticamente piuttosto tardo. E così sono diventati ineludibili gli aspetti legati alla capacità del cervello di determinare un soggetto unitario, capace di fare esperienza di se stesso e del mondo circostanze, capace di genuine e primarie capacità semantiche intenzionali nei confronti di eventi esterni, passati e futuri; in grado di produrre motivazioni e fini, valori soggettivi e sensazioni. In poche parole, la coscienza.
Per costruire artefatti coscienti, è necessario rivisitare l’immane lavoro preparatorio che migliaia di anni di storia hanno depositato nella cultura filosofica e psicologica. Un prerequisito per lo studio della mente, al fine della sua costruzione in strutture artificiali, è l’identificazione fra la mente e la mente cosciente. La precisazione può sembrare superflua, ma ciò dipende dal fatto che negli ultimi cinquant’anni, ossia dopo Wittgenstein, Skinner e Ryle (ognuno per la sua parte), si è cercato di spiegare la mente senza far uso della coscienza: un esito estremo delle contraddizioni interne del
dualismo seicentesco. Nell’ambito delle tematiche della coscienza artificiale ci si deve interrogare su cosa s’intende per coscienza? Non la coscienza morale o etica, bensì quella che gli anglosassoni definiscono “consciousness” e che corrisponde alla capacità di un soggetto umano di fare esperienza dei propri pensieri, di se stesso e del mondo.
Una possibile soluzione del problema, soluzione che potrebbe trovare conferma nella costruzione di un soggetto artificiale, nasce da un’analisi e revisione delle categorie ontologiche fondamentali. D’altronde l’idea che la realtà sia composta da oggetti e dalle loro proprietà è stata messa in discussione in ambiti tra loro molto diversi (Davidson, 1980; Smith, 1998; Stapp, 1998; Whitehead, 1925, 1927). Sono così state proposte ontologie alternative più aderenti agli ultimi esiti della fisica che vedono, quali componenti elementari della realtà, gli eventi. In quest’ottica un soggetto cosciente corrisponde a un complesso articolato e dinamico di eventi; i cervelli umani sono gli oggetti fisici in grado di permettere a questi eventi di verificarsi. Per esempio un embrione, prima della comparsa del sistema nervoso, non può essere considerato un soggetto cosciente (come d’altra parte una persona anencefalica); dopo un sufficiente lasso di tempo, l’essere umano risultante sarà cosciente. La mente non è più una scatola vuota che riceve suoni e immagini dal mondo esterno, ma è una porzione del mondo esterno che trova in se stessa la propria unità.
In realtà non si può fare a meno di rivisitare, attualizzandole, quelle teorie filosofiche che dovrebbero suggerire agli ingegneri i processi metodologici e tecnici per realizzare uno dei più affascinanti obiettivi proposti dalla scienza nel secolo XXI: capire chi siamo attraverso la costruzione di una macchina che potrà comunicarci quello che avviene dentro di lei allorché, analogamente a quello che avviene in un essere umano, proverà una sensazione. Sulla base della teoria presentata per costruire una macchina di questo tipo non occorre nessuna ulteriore innovazione tecnologica, né che si deve attendere la scoperta di qualche misterioso fenomeno fisico o biologico finora completamente sconosciuto, né che si deve fare ricorso a elementi organici, quali proteine o biochip.
E’ necessario sottolineare che l’essere coscienti è completamente separato dall’essere vivi. Essere vivi significa essere costituiti da molecole basate sulla replicazione del DNA, essere coscienti significa essere in grado di fare esperienza del mondo. Il fatto che, per ora gli unici esseri sicuramente coscienti siano anche esseri vivi non deve precludere il tentativo di costruire esseri coscienti senza fare ricorso a strutture biologiche viventi. In base alle conoscenze odierne, niente lega la struttura del DNA o dell’atomo di Carbonio al nostro essere coscienti. E se questo fosse vero significa che è possibile supporre e immaginare il modo in cui una struttura artificiale possa produrre un soggetto dotato di esperienze coscienti. Non perché tale macchina o sistema sia in grado di compiere quel miracolo che un’insufficiente ontologia ci costringe a supporre, ma perché la sfida che ci pone la comprensione della coscienza ci costringerà a mettere in crisi luoghi comuni consolidati ma insufficienti; a rigettare ontologie autorevoli ma eccessivamente semplici; a creare nuovi metodi per descrivere eventi e fatti oggi al di fuori del dominio scientifico. In sintesi, è possibile che il secolare empasse in qui si è imbattuta la scienza, nello spiegare la natura della mente cosciente, sia causato non tanto dalla natura della problema in sé quanto dalle ipotesi che acriticamente si sono accettate sulla natura della realtà. Cambiando queste, e sottoponendole al vaglio dell’evidenza è possibile che si guadagni una migliore comprensione tanto della coscienza quanto della realtà.
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