domenica 16 marzo 2008

"Arnold Schoenberg" La dodecafonia passo decisivo verso la nuova musica o rigurgito conservatore?

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

C’è chi lo odia per le sue posizioni politiche, mai veramente progressiste come la sua musica (era un monarchico piuttosto convinto), chi lo definisce un incontestabile genio, simbolo delle trasformazioni del Novecento e qualcuno che, invece, prova a sminuire la portata della sua opera, giudicandolo un rivoluzionario fallito, trasformatosi presto in reazionario inconsapevole. Nel bene e nel male il compositore viennese Arnold Schoenberg è stato il padre dell’avanguardia europea del Novecento.
  L’uomo che mandò in crisi due secoli di storia
“Che sia definito conservatore o rivoluzionario, che componga in maniera progressista o convenzionale, che provi ad imitare vecchi stili o sia destinato ad esprimere nuove idee, ognuno deve essere convinto dell’infallibilità della sua propria fantasia e deve credere alla propria ispirazione” (Arnold Schoenberg)
Comunque si vedano le cose, che piaccia o no, quando si parla di avanguardie storiche, di musica del secolo “breve”, di nascita della contemporaneità, il nome di Arnold Schoenberg si impone ovunque. E’ stato lui a traghettare la musica dal Romanticismo, ancora carico di ideologia, alla dissoluzione di tutte le certezze, preludio all’epoca di distruzione della vita rappresentato dalle due guerre mondiali. Una di queste certezze, musicalmente parlando, era rappresentata dal sistema tonale, un punto fermo nel linguaggio musicale da ormai 150 anni, quel sistema di regole consolidate che accomunava, ancora al principio del nuovo secolo, Antonio Vivaldi e, con le dovute trasformazioni temporali, Gustav Mahler.
Ebbene, è proprio Schoenberg, autodidatta e figlio di un modesto commerciante ebreo, a prendersi la responsabilità di un crollo, probabilmente inevitabile, delle sicurezze di un passato ormai vuoto di contenuti. Il musicista austriaco incarna una sorta di Messia sceso sulla terra per liberare gli uomini da un modo di concepire la musica che, già con Wagner, aveva manifestato tutta la sua inappropriatezza ad esprimere le ansie di un mondo che stava radicalmente cambiando. Ma sarà anche colui che tornerà sui suoi passi, provando a rimettere in piedi tutto ciò che aveva distrutto, quasi come se si fosse pentito (non certo consapevolmente) di aver esagerato nel suo radicalismo. Ma il corso degli eventi è inarrestabile e il processo di avanzamento della nuova musica, a partire proprio dai più diretti discepoli del Maestro, Alban Berg e Anton Webern, non potrà più arrestarsi.
Schoenberg, nato a Vienna nel 1874, in piena epoca tardo-romantica, non amò mai Wagner, ma è proprio da lui che prese le mosse, da quella “melodia infinita” che evitava le cadenze, facendo in modo che i motivi melodici potessero incastrarsi gli uni negli altri, senza interruzioni. Le prime opere del compositore viennese sono, infatti, pregne di quello spirito tardo-romantico già divenuto classico all’inizio del secolo. Paradossalmente, l’esordio (con la prima esecuzione del Quartetto in Re Maggiore e dei due Lieder op.1) riscosse un consenso di pubblico al quale molto presto il compositore dovrà disabituarsi. I primi fischi non tardano ad arrivare: la sua Verklaerte Nacht, poema sinfonico ispirato ad una poesia di Richard Dehmel e i Gurrelieder di Jens Peter Jacobsen (che tanto piacquero a Mahler), Pelleas Und Melisande e i Tre Pezzi Per Pianoforte op.11, tutte opere scritte tra il 1900 e il 1909, rappresentano quattro tappe fondamentali di quel processo di “dissoluzione” della tonalità che, per il suo carattere irriverentemente innovativo, attirarono non pochi dissensi, sia tra il pubblico che tra i critici.
Espressionismo e atonalità: in una parola, Pierrot Lunaire
La sua musica comincia ad acquisire quelle caratteristiche che saranno alla radice dell’espressionismo: attenzione alle sensazioni ispirate da un testo a discapito del rigore formale, la riduzione ai minimi termini dei mezzi espressivi, il cromatismo portato alle estreme conseguenze con il progressivo appiattimento del rapporto di contrasto tra consonanza e dissonanza e l’ambientazione sonora oscura e oppressiva, caratteristiche che rappresentano la chiave di volta che aprì le porte della musica all’avanguardia artistica. L’amicizia con il pittore Vassilij Kandinskij ha avuto un ruolo fondamentale, non solo per lo Schoenberg pittore, ma anche per il musicista che, a partire dagli anni ’10 cominciò a comporre con quel sistema sonoro di riferimento che verrà definito atonalità (e che, al contrario, lui preferiva chiamare “pantonalità”) perché totalmente privo di riferimenti tonali e nel quale sparisce ogni gerarchia tra le note, sia in senso orizzontale (melodico) che verticale (armonico). Nei capolavori di questo periodo, l’opera teatrale Die Gluckliche Hand, il “monodramma” per soprano e orchestra Erwartung (1909) e, soprattutto, il Pierrot Lunaire (“melodramma” per voce e otto strumenti del 1912), vero e proprio manifesto dell’espressionismo musicale, la musica si rapporta solo al testo, come una sorta di commento, di descrizione delle parole non più a partire dal loro senso, bensì dalle emozioni che scaturiscono da questo. La composizione schoenberghiana più conosciuta in assoluto, è costruita su 21 poesie del simbolista A. Giraud nella traduzione dalle atmosfere decisamente più crepuscolari di O.E. Hartleben. Alla sospensione atonale derivata dalle parti strumentali, si aggiunge qui un ulteriore effetto di spaesamento dovuto alla tecnica dello “sprechgesang” (letteralmente “canto parlato”) che utilizza il soprano. Si tratta di una nuova tecnica vocale mediante la quale il cantante non si ferma mai su una nota, utilizzando ampi e continui glissando che imitano il parlato. Il risultato è un misto di recitazione e canto lirico spiazzante e onirico.
La dodecafonia: passo decisivo verso a nuova musica o rigurgito conservatore?
Il problema che si pone, a questo punto, è di ordine organizzativo. Organizzare la materia sonora anche al di là di un testo, diventa impossibile quando ci si trova senza quelle fondamenta strutturali rappresentate dal rapporto di attrazione tra tonica e dominante che si era fatto esso stesso struttura. Schoenberg sente il bisogno di un “metodo” per mettere in relazione e ordinare i 12 suoni della scala cromatica, ormai liberati dalle relazioni che li tenevano legati gli uni agli altri. La soluzione del compositore austriaco è quella di eliminare completamente le ripetizioni, organizzando i suoni per serie di 12 note che, esaurendo il totale cromatico nel tempo più breve possibile, diventano l’elemento germinale attorno al quale sviluppare la composizione. Questo metodo, chiamato dodecafonia, applicato per la prima volta alla Suite Op. 25 (1921-23) e che ha raggiunto la sua perfezione con opere che ne sono divenute il simbolo ( la Suite per 7 Strumenti del ’25; il Terzo Quartetto op.30 e, soprattutto le Variazioni per orchestra del ’28), è stato visto da qualcuno (in particolare Berg e Webern) come il passo decisivo verso una musica totalmente nuova. Ma non è mancato chi, con il senno di poi ha ravvisato, non a torto, in questa sistematizzazione, un rigurgito conservatore, la volontà “repressiva”di creare un nuovo ordine a discapito della totale libertà alla quale si era giunti con la pantonalità/atonalità.
Dal 1925 in poi, con il trasferimento a Berlino, cominciò, per il musicista, un periodo di peregrinazioni che, con l’avvento del regime hitleriano lo videro prima emigrare a Parigi e poi, definitivamente, nel 1933, negli Stati Uniti, dove morì nel 1951. Gli anni passati lontano dalla Germania, sono per lui anni di riflessione, di studio e approfondimento. Il frutto più maturo di questo periodo è senz’altro l’opera monumentale Moses Und Aron, summa del pensiero musicale schoenberghiano: tutta la partitura è costruita su un’unica serie, elaborata attraverso tutte le soluzioni possibili, ricavandone i vari temi dell’opera. Si affaccia qui quella che sarà una costante nelle ultime opere del Nostro: la problematica etico-religiosa della lotta tra il bene e il male, tra l’individuo e la società. In Ode To Napoleon, A Survivor From Warsaw (che prende spunto dalla tragedia dei campi di sterminio), ma anche nelle opere più esplicitamente religiose come il De Profundiis, queste tematiche rappresentano una sorta di leitmotiv. Profonda spiritualità, saggezza, riflessività, si traducono in musica con una minore irruenza, uno stile più sobrio e addirittura echi di ritorni sporadici alla tonalità. Come se l’uomo e con lui il musicista, perduti nel dilemma della vita, cercassero appiglio nelle sicurezze. Ricostruire dopo aver fatto tabula rasa.
Ma mentre si sedeva sulle fatiche del suo lavoro, lui vecchio saggio, pioniere della nuova musica, una schiera di giovani, figli della seconda guerra mondiale e seguaci delle idee radicali del suo pupillo Anton Webern, cominciavano già a scardinare le costruzioni erette con tanta convinzione dal Maestro. Per gente come Karlheinz Stockhausen, Pierre Boulez, Luigi Nono, Luciano Berio, John Cage, un’altra rivoluzione era già cominciata. Di Daniele Follero

4 commenti:

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