venerdì 21 marzo 2008

"arte generazionale", tra pittura, foto e new media

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

"arte generazionale", tra pittura, foto e new media, in cui soprattutto l'opera dipinta ha recitato quel ruolo di riscatto
Per buona parte degli anni '90 la pittura si è indirizzata verso un rapporto sempre più stretto con la fotografia e i nuovi media tecnologici, non tanto per necessità di una mimesi linguistica, quanto piuttosto nell'esatta corrispondenza dei temi prescelti. In entrambi i casi si è assistito all'espansione di un universo dominato dalle microstorie del quotidiano cui servivano, nella stessa misura, sia le immagini dipinte in maniera magra, persino scialba e deliberatamente non finita, sia gli scatti fotografici delle istantanee, altrettanto casuali e anonimi. E' dunque più un'assimilazione per contenuti che per forme il vero collante estetico nella prima parte del decennio scorso, così chiaro nelle proprie scelte da sviluppare una sorta di "arte generazionale", tra pittura, foto e new media, in cui soprattutto l'opera dipinta ha recitato quel ruolo di riscatto per un gusto più giovane, interessato al recupero delle pratiche basse e delle zone cultuali (valga ad esempio l'intuizione di Alison Gingeras in "Cher peintre…" che identifica nel tardo Picabia, che utilizzava tra le fonti i giornali scandalistici ed erotici, il padre di molta figurazione contemporanea), fino a diventare, la pittura, il territorio privilegiato di ricerche sperimentali su nuovi temi e soggetti, primo paesaggio globale di immagini immediatamente databili alla loro epoca.
Oggi invece, ma già dal finire degli anni '90, subentra un diverso atteggiamento che ha appiattito e forse soppiantato l'humus generazionale della pittura. Per chiarire meglio questo concetto si può fare un parallelo con ciò che è accaduto nella musica; dopo un lungo periodo dominato infatti dall'artificialità dell'elettronica in ogni sua possibile espressione (con la conseguente sparizione del musicista dietro le macchine e la sua rinuncia a essere una rockstar), la ricerca sonora è tornata a scavare nelle radici della canzone tradizionale riproponendo l'acustica, il folk, il blues rurale e metropolitano, un insieme di suoni sporchi, a bassa definizione (Lo-Fi) in grado di restituire un intatto charme a molto di ciò che poteva essere considerato sorpassato se non da un ristretto pubblico di adepti. In modo analogo in pittura, dopo il trip del digitale e della confusione con lo snapshot, riemerge uno stile fatto a mano, talora ai limiti del dilettantesco, privo dell'appeal tecnologico, che non vuole celare in alcun modo il suo universo di appartenenza, e cioè la pittura in quanto tale. Molti di quei linguaggi ritenuti tabù dall'arte di avanguardia, talmente obsoleti da non essere utilizzati neppure come citazione, tutto ciò che è stato rimosso perché ritenuto inadeguato a rappresentare la tensione contemporanea verso il futuro, tornano in circolo nel nostro presente in maniera assai disinvolta e complessa.
Perciò il panorama della pittura odierna è di gran lunga il più magmatico, contraddittorio ed evolutivo da diversi anni a questa parte, soprattutto perché la pittura si è liberata di quel complesso di inferiorità che la poteva giustificare soltanto se si fosse nascosta o confusa dietro qualcos'altro, e perché ha imparato a dichiarare la propria natura irrequieta e costantemente mutevole. Prima conseguenza, il riaffermarsi, in luogo dell'ibrido installativo o new mediatico, della semplice "dimensione quadro", la sempiterna opera da parete visto che, come suggeriva Marlene Dumas, "ogni quadro ha il suo chiodo cui appendersi". Seconda conseguenza, il riosservare con giusta attenzione codici linguistici del dipingere, momenti e movimenti di un'avanguardia già consumata e digerita (astrazione, informale, surrealismo, iperrealismo) utilizzati non con il tipico metodo citazionista dell'era postmoderna, ma rimessi in circolo con la stessa propensione analitico-saggista presente anche nelle nuove forme romanzesche (e infatti il romanzo condivide con la pittura i più insistiti tentativi di morte certificata) dove alla linearità della microstoria si sostituisce lo spaziare per territori desueti, imprevisti, forse superflui al puro racconto (la storia, la trattazione filosofica, il mix prosa-poesia).
Per molto tempo si è ritenuta la pittura aniconica del tutto inadeguata a rappresentare la realtà contingente attraversata dalle immagini e dal loro potere seduttivo: nel 2000 questo linguaggio ha ritrovato vigore sia recuperando le versioni più sintetiche, legate all'astrattismo segnico di matrice razional-suprematista, sia all'happening gestuale del vecchio informale, identificato come pittura retrò per antonomasia, accademica e sorpassata. Eppure né il remake dell'astrazione classica né la "new action painting" si possono interpretare con lo sguardo cui eravamo abituati nei decenni passati; c'è invece una differente consapevolezza critica, un nuovo scarto che ne rende indispensabile il filtraggio proprio attraverso le immagini (talvolta implicite, talvolta dichiarate) oppure relazionate a strutture architettoniche e progettuali che costituiscono di fatto il punto di incontro più evidente con il reale. A ciò si aggiunge, ed è questo uno degli aspetti maggiormente innovativi, l'attenzione per il surrealismo, l'avanguardia più bistrattata da quando lo stile minimal ha preso il sopravvento planetario: echi da Dalì, Ernst, Chagall, anche di Philip Guston, ma soprattutto un clima favolistico sospeso nel tempo e nello spazio che si traduce nella piena introduzione dell'elemento localista, una specie di genius loci trasversale che riesce a condurre al centro quelle zone ritenute in precedenza periferie (artisti del Nord Europa, iberici o latino americani, dell'Est e dell'area mediterranea oggi contendono il primato del dipingere più innovativo ai territori di lingua anglosassone, all'Ovest tedesco e all'Italia).
E va considerato infine l'importante recupero dell'iperrealismo (o fotorealismo o Superreal come lo chiama Lauri Firstenberg), la più breve delle avanguardie, bollato negli anni '70 come ultima resistenza della pittura prima della sua temporanea eclissi. Allora i punti di riferimento per rappresentare la realtà erano altri (la fotografia, il cinema) e quindi l'unico modo per giustificare l'inutilità di un gesto così desueto consisteva nel "rifare" la realtà più vera del vero, quindi evidentemente falsa. Oggi, dopo essere passati dal remake alla cover, è saltato il passaggio tra ciò che è e ciò che viene rappresentato: dunque tornare a dipingere in maniera capziosa, certosina e maniacale, quando qualsiasi strumento artificiale è in grado di restituire un risultato migliore, significa evidenziare il potere di inutile fascinazione implicito soltanto alla pittura.


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