domenica 16 marzo 2008

L'anima del mondo e il pensiero del cuore

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

Come scrive Corbin, Bellezza è quella grande categoria che si riferisce
specificatamente al Deus revelatus "teofania suprema, autorivelazione dvina". Come gli Dei
sono dati con la creazione, così è per la loro bellezza nel creato, e questa è la condizione
essenziale della creazione come manifestazione. Bellezza è anima mundi manifesta: essa
non trascende il manifesto né è nascosta nella sua immanenza, ma riguarda le apparenze
come tali, così come sono create, nelle forme in cui appaiono, dati dei sensi, semplici fatti,
Venus nudata. La bellezza di Afrodite riguarda la luminosità di ogni particolare evento; la
sua trasparenza, il suo particolare splendore; il fatto che le singole cose appaiono, e che
appaiono proprio in quella forma.
La bellezza, come Platone la descrive nel Fedro, è la manifestazione, l'apparire degli
Dei noumenici nascosti e delle virtù, quali la temperanza e la giustizia. Tutte queste non
sono che idee, archetipi, forme, discorsi didattici senza immagini, se non si accompagnano
alla bellezza. "A Bellezza solo questa sorte fu concessa, del tutto chiaramente visibile...".
Bellezza è allora proprio la sensibilità del cosmo, il fatto che esso abbia una tessitura, delle
tonalità, dei sapori; che sia attraente. L'alchimia chiamerebbe sulfur questo splendore
cosmico.
Dobbiamo ricordarci, a questo punto, che in Grecia kosmos era originariamente
un'idea estetica e politeistica: indicava la giusta collocazione delle cose molteplici nel
mondo, la loro sistemazione ordinata. Kosmos non significava un insieme collettivo,
generale e astratto. Non significava universo, in quanto ruotante intorno a un punto (unus-
verto), o trasformato in uno. Questa traduzione di cosmo con universo è tipica
dell'imperialismo romano, che unifica e annulla il peculiare senso greco del mondo.
Kosmos include anche qualità estetiche come il conveniente, il decoroso, l'adeguato,
l'onorevole, l'encomiabile. "Cosmesi" è più vicina al significato originale di quanto lo sia la
nostra parola "cosmico" (nel senso di "vasto", "a-specifico", "vuoto"). Kosmos era usato
specialmente per le donne, riferito ai loro abbellimenti; e gli stoici usavano questa parola per
l'anima mundi. Che oggi "cosmico" sia arrivato a significare lo spazio esterno, vago e
inimmaginabile, non è che un'ulteriore conferma di quel che è accaduto ad Afrodite Urania,
una volta separata dalla sua controparte sensibile, Pandemia.
Se la bellezza è intrinseca ed essenziale all'anima, allora la bellezza appare ovunque
appaia l'anima. La rivelazione dell'essenza dell'anima, il vero manifestarsi di Afrodite nella
psiche, il suo sorriso, nella lingua dei mortali è chiamato "bellezza". Tutte le cose, in quanto
mostrano la propria natura innata, presentano l'aureità di Afrodite; esse risplendono, e sono
estetiche per questo. Qui sto soltanto ribadendo quello che per quarant'anni Adolf Portmann
ha sviluppato a Eranos: l'idea della Selbstdarstellung, l'interiorità essenziale. La forma
visibile è un'esibizione di anima. L'essere di una cosa è rivelato nella manifestazione del suo
Bild, l'immagine.
Allora la bellezza non è un attributo, qualcosa si bello, come un bel velo
drappeggiato attorno a una virtù: l'aspetto estetico dell'apparenza. Se con il buono, il vero e
l'uno non ci fosse bellezza, non potremmo mai sentirli, né conoscerli. La Bellezza è una
necessità epistemologica; è il modo in cui gli Dei toccano i nostri sensi, raggiungono il cuore
e ci attirano nella vita.
La Bellezza è anche una necessità ontologica, che fonda le particolarità sensibili del
mondo. Senza Afrodite il mondo dei particolari diventa un'atomizzazione di particelle; la
varietà di dettagli della vita viene chiamata caos, molteplicità, materia amorfa, dati statistici.
Tale è il mondo dei sensi senza Afrodite; un mondo in cui il senso dev'essere dedotto
dall'apparenza, attraverso significati filosofici astratti - il che distorce la filosofia stessa
separandola dalla sua base vera.
Se la filosofia nasce nel philos - come si è detto nella prima parte - è legata ad
Afrodite anche se in un altro modo; perché il significato originale di sophia è l'abilità
dell'artigiano, del carpentiere, del navigante, dello scultore. Sophia si origina e si connette
alle mani estetiche di Dedalo e di Efesto, legato innegabilmente ad Afrodite e intrinseco alla
sua natura. Con Afrodite a ispirare la nostra filosofia, ogni evento ha il proprio sorriso sul
volto e appare in una sua maniera, una sua foggia, un suo stile particolari. Afrodite dà uno
sfondo archetipico alla filosofia della "singolarità", e consente al cuore di trovare l' "intimità"
con ogni evento particolare in un cosmo pluralistico.
Ora, l'organo che percepisce questi volti è il cuore. Il pensiero del cuore è
fisiognomico. Per percepire deve immaginare, vedere le fattezze, le forme, i volti - angeli,
dèmoni, creature di ogni sorta in cose di ogni genere. Per questo il pensiero del cuore
personifica, amima, vivifica il mondo. Così Petrarca, vedendo Laura:
....per avia silve,
dium solus reor esse magis, virgulta tremendam
ipse representant faciem truncusque reposte
ilicis et liquido visa est emergere fonte
obviaque efflusit sub nubibus aut per inane
aeris aut duro spirans erumpere saxo...
Questi versi non sono per Laura - una lirica d'amore - sono invece una descrizione di
Laura, l'anima personizzata, quella raffigurazione del cuore mediante cui procede la
percezione estetica, quella per cui le cose prendono vita come forme che parlano.
Come abbiamo visto, è stata la psicologia di Aristotele a porre le basi per la
connessione fra aisthesis e cuore. Può sembrare strano sentirmi parlare in sua lode, ma ci
sono diversi Aristotele, e il mio apprezzamento è per l'Aristotele biologo, che "prese a
cuore" il mondo dei sensi e delle forme. Nella psicologia di Aristotele l'organo dell'
aisthesis è il cuore, i percorsi delgi organi di senso arrivano lì: è lì che l'anima "prende
fuoco". Il pensiero di quel cuore è intrinsecamente estetico e sensorialmente legato al
mondo.
Questo legame tra il cuore e gli organi di senso non è semplice sensazionismo
meccanico: è un legame estetico. E infatti, in greco, l'attività di percepire o di sentire è
aisthesis, la cui radice significa "assumere" e "inspirare" - un rimaner senza fiato, la risposta
estetica primaria.
I traduttori hanno reso aisthesis con "percezione dei sensi", una nozione
dell'empirismo britannico, la sensazione di John Locke. Ma la "percezione dei sensi" greca
non può essere intesa senza tener conto della Dea greca dei sensi, o dell' "organo della
sensazione" greco, il cuore, e della radice che la parola racchiude - quel fiutare, quel restare
senza fiato, quell'inspirare il mondo.
Cos'è questo "assumere" o "inspirare" il mondo? In primo luogo significa aspirare,
inspirare, trattenendo il respiro, il presentarsi letterale delle cose. Attraverso la meraviglia
avviene la trasfigurazione della materia. Questa reazione estetica, che precede lo stupore
intellettuale, inspira il dato al di là di se stesso, consentendo a ogni cosa di rivelare la sua
particolare aspirazione all'interno di un ordinamento cosmico.
In secondo luogo, "assumere" significa prendere a cuore, interiorizzare, divenire
intimi, nel senso agostiniano. Ma non è solo la mia confessione della mia anima; è invece
l'ascolto della confessione dell'anima mundi nel parlare delle cose.
In terzo luogo, "assumere" significa riportare l'oggetto nella sua interiorità, nella sua
immagine, in modo che sia attivata la sua immaginazione (e non la nostra), così da mostrare
il suo cuore e rivelare la sua anima, diventando personizzato e quindi amabile; amabile non
solo per noi e grazie a noi, ma perché la sua amabilità si accresce con il dispiegarsi del suo
senso e della sua immaginazione.
Comincia qui la fenomenologia: in un mondo di fenomeni animati. Non c'è bisogno
di salvare i fenomeni con la grazia, con la fede, o con le teorie onnicomprensive, oppure con
l'oggettività scientifica o con la soggettività trascendentale. Essi sono salvati dall'anima
mundi, dalla loro stessa anima e dal nostro semplice restare senza fiato di fronte a questa
amabilità immaginale. L'oh! di meraviglia, di riconoscimento, o lo shee-e fra i denti dei
giapponesi. La risposta estetica salva il fenomeno, il fenomeno che è il volto del mondo.
"Ogni cosa perirà, eccetto il suo viso" dice il Corano, e Corbin può intenderlo come: "Ogni
cosa (...) eccetto il viso di quella cosa". Dio, il mondo, tutto può finire in nulla, vittima di
costruzioni nihilistiche, di dubbi metafisici, di disperazioni d'ogni sorta; quel che resta,
quando tutto rovina, è il viso delle cose quali esse sono. Quando non c'è altro luogo cui
rivolgerti, volgiti al volto che ti è di fronte. Qui c'è la Dea che dà al mondo un senso che non
è mito né significato, ma quella immediata cosa che è immagine: il suo sorriso è una gioia,
una gioia che è "per sempre". James Hillman, L'anima del mondo e il pensiero del cuore [1979],
Adelphi, Milano 2002, pp. 70-73

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