venerdì 21 marzo 2008

Roberto Crippa
Milano 1921 - Bresso (MI) 1972

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

Raffaele De Grada nella recensione alla mostra di Bologna del 1975, esordisce così: "[Le Spirali] Erano l'espansione di una vitalità pregnante, simile al godimento del vortice di un'acrobazia spaziale, che non si esauriva nel momento estetico, ma che arricchiva l'esperienza della vitalità e la comunicava anche a noi". La passione di Crippa per il volo acrobatico è sicuramente fonte di ispirazione per le Spirali, quali vortici o grovigli che si addensano attorno ad atomi o soli, in un continuo dialogo fra spazio ed energia vitalistica. Negli anni 50 Crippa ha aderito ai Manifesti dello spazialismo redatti ed ideati da Fontana, e la sua interpretazione del segno-gesto si visualizza nella concreta amplificazione dell'energia sottesa alla pragmaticità della nuova pittura.
Crippa giunge alla realizzazione delle Spirali sulla scia delle suggestioni fontaniane. Nell'opera di Crippa l'origine del vitalismo è da ricercare nella matrice surrealista, per quella manifestazione pittorica di un mondo profondamente legato all'intensità di una forza connotata psichicamente dalla violenza dell'inconscio.
Crippa converte gli stimoli desunti da Max Ernst, Magritte, Brauner Matta (con i quali espone nel 1952 a New York) in una figurazione apparentemente astratta, e rielabora l'automatismo surrealista in chiave gestuale. L'elaborazione linguistica di Crippa trasfigura gli elementi surrealisti e li ingloba nel dripping pollockiano. Spirale appartiene al momento topico dell'evoluzione pittorica crippiana, ed è di notevole interesse per la commistione di linee geometrizzanti che delineano delle zone di un caos ancestrale, contrapposte allo sfondo apparentemente razionale.
L'artista milanese ha interpretato appieno la sintassi dello spazialismo, e senza arenarsi ad esso, lo oltrepassa e aderisce precocemente alla pragmaticità dell'action painting. La nuova spazialità delle Spirali, "discorsi nello spazio" (come amava denominarle Crippa) è l'emblema di un vuoto esistenziale e le Spirali "questi grandi grovigli fanno venire in mente l'immensità del tragico, il nichilismo e il timore attonito dell'assoluto degli spazi teatrali di Beckett".
Crippa nel 1950 e nel 1952 espone alle Biennali veneziane, l'anno successivo partecipa con varie opere alla mostra spaziale della città lagunare. L'adesione dell'artista milanese allo spazialismo dell'amico Fontana è inequivocabile, e lo attestano le diverse opere pittoriche che espone in diverse occasioni; tuttavia nel medesimo periodo Crippa si dedica anche alla scultura ed alla ceramica, cimentandosi nell'applicazione delle tecniche apprese presso i forni di Albisola.
Per comprendere un'opera come Ceramica più che a Schwitters è indispensabile risalire al ready-mode di Duchamp. La provocazione e la contestazione contenuta nell'oggetto in esame, assume un'accezione diversa dall'operazione duchampiana, poiché Crippa tende a sottolineare la funzionalità dell'opera senza giungere al parossismo dell'artista francese.
L'opera realizzata da Crippa si è volontariamente impossessata del carattere rivoluzionario delle avanguardie storiche novecentesche, ma l'azione stessa dell'artista è contestualizzata in un ambito di maggior libertà d'espressione, quindi l'effetto del ready-mode è ridimensionato ed elaborato in un linguaggio stilistico plurimo, tipico dell'elaborazione artistica crippiana.
Con quest'opera l'artista milanese sembra voler anticipare la poetica degli anni seguenti, incentrata sulla brutalità dell'azione gestuale, nella quale la verità legata alla violenza dell'atto scultoreo è esplicita e non celata, come invece avviene in Ceramica.
Scultura, quella di Crippa, che disorienta per mostrare e dimostrare che l'inquietudine inconscia dell'uomo è esprimibile nell'inconsueto utilizzo degli oggetti, ma con una cadenza innovativa nell'inarrestabile e violenta provocazione, dettata dal dissidio sia personale che sociale degli artisti italiani del dopoguerra. Difatti "tutti i quadri, tutte le sculture di Crippa fanno diga; fanno pressione sullo spettatore, gli intimano di reagire; lo provocano senza mai concedergli niente di piacevole. Con Crippa si può essere sicuri che l'arte non può diventare un derivato o un calmante."
Crippa realizza Incontro nell'ambito della ricerca polimaterica riguardante i Totem, presentati per la prima volta nel 1955 alla mostra al Naviglio di Milano.
In quest'opera Crippa oppone alla spazialità vertiginosa delle Spirali una visione statica e strutturalmente ben definita; Incontro nella sua inespugnabile raffigurazione e nell'antropomorfismo celato e difeso da aculei appuntiti, rievoca la passione dell'artista milanese per l'arte tribale. In effetti "il nostro era anche appassionato collezionista di statue africane in legno, raccolte durante i numerosi viaggi in giro per il mondo." Una passione, quella di Crippa, condivisa da Lam, in linea con il primordialismo imperante nel panorama artistico del primo Novecento, ora divenuto interesse primario per ambedue gli artisti. Il passaggio stilistico crippiano dalle Spirali ai Totem è un'evoluzione naturale e necessaria e "il meccanismo è quello di una quasi inevitabile metamorfosi: prima dall'inorganico (o mentale) all'organico, e poi procedendo da un segno di circolarità già elevato a simbolo."
Lo spazio della tela è parzialmente invaso dalla struttura antropomorfa, cioè un personaggio sintetizzato e custodito all'interno di un'armatura, che s'identifica con essa; gli aculei appaiono a difesa di un mistero pittorico non svelato. La massa acuminata preserva quel vitalismo prorompente che sfiora l'aggressività, tipico delle opere dell'artista milanese.
Le forme e i colori nascondono una carica energetica non manifesta, ma paradossalmente tangibile: il contrasto cromatico della struttura violacea con gli aculei rossastri aumenta l'espressività e la violenza del soggetto. E' una figura archetipica, mossa ed al tempo stesso protetta da una forza in espansione, da un'energia violenta negativa per il proprio furore, che affonda le radici nell'inconscio umano. L'opera in analisi s'inserisce nella nuova visione crippiana, in perfetta sintonia con i famosi Totem, in una progressione data dall'artista che è entrato ormai in una nuova dimensione, dalla quale attinge e visualizza soggetti arcani imprigionandoli in strutture che irradiano pulsioni vitali energetiche, espressioni di una conflittualità irrisolta.
Crippa ricorre agli elementi acuminati per evidenziare e dominare il soggetto raffigurato, in un pullulare di pulsioni con accesa connotazione coloristica in un continuo dissidio: i colori squillanti immersi nell'oscurità dello sfondo inneggiano alla drammaticità della tensione emotiva.
Crippa si è impegnato in questi giochi di materia per costruire una sua "opera": collages che rappresentano la penetrazione stupefatta, la cui forza espansiva esplode nei quadri di grande materia "dipinti" o "incollati" in questi anni'. Quest'opera, successiva alla fase delle Spirali degli anni Cinquanta, simboleggia il superamento avvenuto nell'iter artistico dell'artista milanese, che abbandona l'action painting per privilegiare la sperimentazione polimaterica.
Crippa stesso afferma e testimonia questo cambiamento, individuando in un episodio del tutto accidentale l'impulso primario della sua nuova ricerca: "Verso la metà del 1957, venendo in macchina da Genova, ho dovuto fermarmi perché da un autocarro era caduta una balla di sugheri che ostruivano la strada. Ne caricai alcuni e da quel giorno ho cominciato a fare i collages".
Nell'opera in esame permane la traccia di un naturalismo che viene celebrato dalla composizione stessa, dal rigore geometrico e dal paesaggio montuoso; il sole, un frammento di sughero incastonato ed incollato sulla tela, simboleggia sia il recupero delle reminiscenze delle avanguardie dei primi del Novecento, sia un ricordo personale, quello dei suoi voli acrobatici. Crippa Scrive: "Vedo i colori di questo sole, specialmente alla sera, al tramonto, che è l'ora in cui mi piace di più volare. Forse si può ritrovare questo, nei miei quadri".
Crippa parte da una prospettiva diversa rispetto a quella di Burri, perché ai giochi sulla concezione ogget-tuale della "combustione" del dato materico, l'artista milanese contrappone la rielaborazione della tecnica surrealista di Max Ernst (si può percepire un eco di frattages) e del dadaismo di Duchamp. In effetti, Crippa durante il soggiorno newyorkese al tempo della personale presso la Galleria Iolas, ha modo di conoscere personalmente sia Ernst che Duchamp.
Le componenti principali della pittura crippiana, sono ravvisabili nella commistione originale delle rimeditazioni sul passato (cioè la pittura surrealista e dadaista), in chiave personalizzata e nella gestazione di un linguaggio che ha perso la violenza del sogno-gesto, per privilegiare immagini di una disarmante eleganza. La qualità di Origine è emanata dalla duplice operazione di Crippa nel dare uniformità all'immagine creando una superficie lineare e piatta, in contrapposizione alle fasce definite da tonalità e luminosità diversificate gradualmente da zone più chiare o più scure. Grippa è ormai lontano dalla caoticità delle Spirali e nella perfezione circolare del sole-sughero, inaugura una ricerca formale meno dirompente. Crippa non rifiuta il passato delle avanguardie storiche, ma lo ingloba in unica ricerca pittorica originale; l'artista milanese non si estrania dal panorama a lui contemporaneo, non si isola, ma decide di creare soluzioni pittoriche personali allineandosi ugualmente alle scelte innovative dei protagonisti dell'Informale.
 

 

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