giovedì 27 marzo 2008

"Scipione" pseudonimo di Gino Bonichi (1904-1933)

a cura DI D. PICCHIOTTI

Gino BONICHI, nato a Macerata il 25 febbraio 1904, a quindici anni si trasferisce con la famiglia a Roma. Qui, a seguito di una polmonite, contrae la tubercolosi che condizionerà poi tutta la sua vita.
Disegna dapprima per divertimento, ma, conosciuto il pittore Mario Mafai, che diviene ben presto suo caro amico, si iscrive all'Accademia di Belle Arti, iniziando una ricerca sperimentale intensa ed innovativa.
Con un altro amico pittore, Renato Mazzacurati, e lo stesso Mafai frequenta la casa della pittrice Antonietta Raphäel in Via Cavour, costituendo un gruppo che verrà poi definito "Scuola di Via Cavour" e che fu il primo nucleo della più famosa Scuola romana. Inizia così un'intensa (ma purtroppo breve) vita artistica, in cui si esprime, oltre che come pittore, anche come illustratore satirico, collaboratore di riviste, grafico e perfino poeta. La sua malattia, però, lo costringe spesso a lunghi periodi di riposo.
Nel 1927 sceglie lo pseudonimo SCIPIONE, ispirandosi al famoso condottiero romano.
Nei primi mesi del 1929 presenta proprie opere in diverse mostre collettive nella Capitale ed a Padova.

Nell'estate dello stesso anno (dalla fine di luglio alla fine di settembre 1929) trascorre un periodo di soggiorno a Collepardo (FR), dove ritempra la salute ma lavora anche accanitamente.
In agosto risponde ad una lettera dell'amico Mazzacurati: "Caro Renato, la tua lettera mi ha raggiunto a Collepardo, che è il paese delle balie e che ha le case piccole come quelle delle bambole e dipinte a strisce a fascioni a quadratini bianchi e rossi, rosa e azzurri - proprio come i vestiti delle balie che si vedono al Pincio. (...) Qui a Collepardo si sta bene e sto in caccia di qualche bel tipo [di modella] per lavorare. La razza ciociara è meravigliosa e non ha niente a che fare con tutto quello che i pittori hanno combinato immiserendola. Io sto alla "Trattoria della Stella d'Italia" a Collepardo (Frosinone)."

Anche Mario Mafai aveva passato quell'estate in Ciociaria (a Trevi nel Lazio) e Scipione, in un'altra lettera a Mazzacurati, racconta di una visita che Mafai gli aveva fatto proprio a Collepardo: "Carissimo Renato, ho passato quasi due mesi in Ciociaria vivendo in modo meraviglioso - e riportando con me molta salute e molta forza. (...) Anche Mario è stato fuori - e ora lavora come un matto. Ci siamo ritrovati a Collepardo ove abbiamo passato 3 giorni insieme in maniera molto simpatica. Peccato che mancavi - ti abbiamo ricordato giocando a boccie e sgocciolando delle buone bottiglie o giocando a briscola."

Lo stesso Mafai, nella sua autobiografia, ricorda che, mentre si trovava a Trevi, "Un giorno ricevetti una lettera di Scipione. Mi diceva:
"Ti ho scovato; io sono in un paesello meraviglioso non molto distante dal tuo, Collepardo. E' un paese di ciociare e di balie, le case sono dipinte a striscioni rosa e bianchi, mi sono innamorato di una ciociara bellissima; ho trovato anche un capannone dove mi diverto a modellare."
Io decisi di andare a conoscere il paese delle balie, oramai era passato quasi un mese ed ero stanco di Trevi. Trovai Scipione bello florido, sorridente a gambe divaricate e non c'era uomo che sapesse essere felice e trasmetter la sua felicità come lui. Mi raccontò della bella contadina che gli aveva fatto il ritratto ma questa, pare, lusingata della corte del signorino sembrava cedere ma poi ripiegò con molto tatto ed astuzia e non volle fare cornuto il marito. (...)
L'indomani decidemmo di andare alla Certosa di Trisulti. Affittammo un asino, scendemmo giù in una vallata che si stringeva fino a diventare una gola per risalire poi su in alto a mille metri. A una svolta quasi a picco su questa vallata [il Monastero] dominava come un castello bianco con grandi archi.
Salimmo piano piano e ci cucinammo da noi delle bistecche di montone che ci eravamo portati in una capanna in mezzo a un bosco di quercie rade. Poi bussammo la campanella, entrammo chiedendo di frate ... Era pratico dei luoghi e ci diresse alla farmacia.(...) Scipione mi aveva parlato di un tipo straordinario di frate con entusiasmo ed io ero ansioso di conoscerlo."
Dopo tre giorni passati insieme, Mafai ripartì, mentre "Scipione rimase ancora qualche tempo ospite dei Certosini. Mi raccontò poi dei bei giorni passati lassù (...) Dipinse, Scipione, e fece anche il paesaggio con l'Abbazia di Trisulti e la ciociara. Ritornò a Roma che stava una meraviglia. Fresco, gli occhi vivacissimi e limpidi senza alcun affanno, salì di corsa le scale del mio sesto piano [e mi disse:] "Mi sembra di essere un altro, ho un desiderio di lavorare, dipingere." E' come se si fosse sciolto ..."

Dopo la morte di Scipione, Mario Mafai scrive un articolo commemorativo sull'amico scomparso, ricordando ancora una volta quell'estate collepardese: "Nell'estate del '29 andò a Collepardo, un paese della Ciociaria. La sua salute aveva ripreso miracolosamente. (...) Questo è stato il momento più bello per Scipione. Accadde però che a Collepardo conobbe un frate spagnolo, che gli predisse la sua fine e gli assicurò che non avrebbe superato il trentesimo anno; e di tanto in tanto gli inviava lettere rammentandogli insistentemente la sua profezia."

Per un breve periodo, quindi, Scipione fu ospite dei frati certosini di Trisulti, che gli offrirono un'abitazione che essi possedevano in paese (ora ex sede della Pro-Loco, in Via per Alatri). Un articolo della rivista "L'Italia Letteraria" descrive così un dipinto ad olio del 1929, raffigurante la Certosa di Trisulti: "Il quadro, che il pittore donò ai Fratelli del Convento, quando, sullo scorcio della sua breve esistenza, fu loro ospite per un breve periodo, rappresenta l'amena vallata nella quale è sito il convento stesso. Il paesaggio arioso, con le piccole costruzioni sospese tra le falde montane e la rudimentale vegetazione locale, ne fa un tipico esemplare della più autentica e sincera produzione scipionesca." L'articolo aggiunge anche che quel quadro successivamente "è stato venduto dai Frati di Trisulti ad un avvocato romano, per poche migliaia di lire."

E' unanimemente riconosciuto dalla critica che il periodo collepardese dona a Scipione vigore e maturità artistica: ed infatti nell'autunno del 1929 la sua ispirazione raggiunge finalmente una forma definita di straordinaria personalità.

Alla Biennale di Venezia del 1930 Scipione espone la sua opera forse più famosa, "Il cardinal decano", che suscita diverse polemiche ma che gli fa anche riscuotere molti successi.
Subito dopo egli sente il bisogno di tornare a Collepardo.
E proprio da Collepardo, il giorno 22 agosto 1930, scrive all'amico poeta Libero de Libero: "Caro Libero, ho fatto delle grandi gite sulla montagna e mi sono spinto fino ad Arce, Buille, S. Giovanni, facendo molti buoni incontri.
Dio! come è bella questa vita libera. Il mio sangue torna chiaro e mi sveglio al mattino col senso di felicità che non conoscevo."

Nel 1931 fonda, insieme a Mazzacurati, la rivista "Fronte", ma in quello stesso anno la sua malattia comincia ad aggravarsi: inizia il lungo calvario delle cure, finché viene ricoverato nel sanatorio di Arco di Trento, dove il 9 novembre 1933 muore, ad appena 29 anni.
Solo successivamente gli vengono pienamente riconosciute le sue qualità di pittore autonomo e individualista, indifferente ai dettami del regime fascista.

Oggi diverse opere di Scipione sono esposte nel Museo Palazzo Ricci di Macerata, sua città natale.

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