domenica 6 gennaio 2008

Rosshalde: viaggio nell’anima di Hermann Hesse

DI   Antonello D'Attoma RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI
 
    "Dieci anni prima, quando Johann Veraguth l’aveva comperata, Rosshalde era una vecchia residenza in abbandono con i vialetti del giardino ricoperti di erbacce …"
    Doveva diventare il rifugio dell’artista; il luogo dove vivere serenamente con la famiglia…
    "Al posto del padiglione aveva costruito il suo studio, dove per sette anni aveva dipinto e passato la maggior parte del tempo, pur abitando nella casa padronale, finchè i dissidi all’interno della famiglia crebbero al punto da costringerlo ad allontanare il figlio maggiore in collegio ... "
    Ed era diventato invece il luogo della sua angoscia, dove le sue ansie depressive lo portavano a sentirsi, sempre di più, lontano ed isolato dal resto del mondo.
    Unica gioia, il piccolo Pierre, ultimo collante, in quella famiglia spaccata…
    "Il piccolo Pierre non solo era il beniamino dei genitori, il solo legame tra padre e madre, l’unica ragione per cui venivano mantenuti i rapporti tra la casa padronale e lo studio; Pierre era il vero e unico padrone di Rosshalde …"
    In "Rosshalde" il trentasettenne Herman Hesse , in modo autobiografico, raggiunge la massima espressione di quelle che lui stesso definisce come "biografie dell’anima".
    È sua, l’anima in pena di cui in "Rosshalde", Hesse descrive i forti turbamenti, i travagli e i dubbi atroci di quegli anni di inizio secolo, quando l’unica via d’uscita è rappresentata dai continui viaggi all’estero.
    Rosshalde come Gaienhofen, la località svizzera dove Herman si reca alla ricerca di se stesso, appena rientrato dal viaggio in Indonesia in compagnia dell’amico pittore Hans.
    Siamo nel 1911.
    "Rosshalde" nasce tra il 1912 e il 1913.
    Il protagonista del romanzo è Johann Veraguth, pittore di gran talento e fama, sposo di Adele Veraguth e padre di Albert e Pierre.
    Nell’opera, Hesse descrive il tortuoso cammino che porterà Johann a scavare profondamemente dentro di sé, alla ricerca di quelle risposte di vita che l’artista pittore ha completamente smarrito.
    La stessa angoscia depressiva di Herman, dovuta alla irreparabile crisi matrimoniale con Maria Bernoulli, la si ritrova nel protagonista di Rosshalde: Johann come Herman vive soffocato nel rapporto matrimoniale, a dispetto di una incolmabile sete di libertà sentimentale ed emozionale.
    Adele nella finzione letteraria, Maria Bernoulli nella vita reale: entrambe simbolo dell’impossibilità per un artista di avere una vita sentimentale e matrimoniale normale; entrambe simbolo della irrinunciabile esigenza di un artista o intellettuale che sia, di essere libero da vincoli sentimentali e da pregiudizi sociali, per vivere la propria emotività nella maniera più totale e completa.
La visita a Rosshalde dell’amico Otto Burkhardt
    " … in quegli anni le rare lettere dall’estero dell’amico erano state per lui le uniche vere gioie oltre al lavoro e alle ore trascorse col piccolo Pierre …in quel momento di lieta attesa lo colse un sentimento oscuro e penoso, come di vergogna, nell'intravedere l’impoverimento e la mancanza d’amore della sua vita …"
La indispensabile libertà dell’artista
    L’artista o l’intellettuale non può che essere libero e senza vincoli: deve poter esprimere emotivamente le proprie passioni senza legacci o impedimenti anzi è proprio questa libertà che rende possibile l’espressione artistica, altrimenti soffocata.
    Il timore di perdere la propria identità di artista, raggiunta con tanta fatica, terrorizza e deprime Johann-Herman: il viaggio in terre lontane e poco conosciute è ciò può restituire all’artista-scrittore quell’anima di "vagabondo" che nella cultura europea di quegli anni connota la figura dell’artista.
                    "A chi mi domanda ragione dei miei viaggi, solitamente rispondo
                    che so bene quel che fuggo, ma non quello che cerco."
                                                                    Montaigne
    Rosshalde, al di là delle ore trascorse con Pierre e dello studio, è diventato per Johann il luogo della perdita della propria libertà; quello che per Herman era Gaienhofen: i viaggi, l’unica possibile soluzione alla ricerca dell’equilibrio perduto …
    "… la lontananza e la tranquillità di un mondo in cui la sofferenze, le preoccupazioni e le rinunce potessero impallidire e divenire estranee…"
    Anche il lavoro segue nel corso degli anni gli sviluppi e le angosce esistenziali.
    Per Johann negli anni di crisi la pittura rappresenta il mezzo per sottrarsi alle limitazioni della vita quotidiana: solo una ferrea disciplina di lavoro, può servire a reprimere e a sublimare pulsioni ed emozioni profonde.
    Alla base della creatività è lo slancio irruento e passionale dato dalle proprie emozioni; di fronte alle continue inibizioni che ne caratterizzano la vita emotiva, non resta che il più ferreo autocontrollo.
    " Ho lavorato molto, i primi tempi ero solo un delettante; più tardi ho imparato veramente a lavorare, ora sono padrone della mia arte. Meglio di così non farò …"
    Di fronte ad una creatività inibita, non resta che l’arte come ricerca esasperata della realtà, come visione maniacalmente oggettiva del presente, nonché, il raggiungimento della perfezione stilistica, ottenibile solo con enorme fatica; il tutto prescindendo dalle passioni.
    "Sai Otto, un quadro che vorrei ancora dipingere è un mazzo di fiori di campo… deve essere assolutamente spontaneo, come lo vedrebbe un bambino dotato, non stilizzato ma pieno di semplicità…"
    Per Johann il culmine dell’espressione pittorica è proprio la rappresentazione della realtà vista dagli occhi di un bambino, frutto insomma di una lettura assolutamente priva di riflessione, ma immediata e sponatnea.
    "…la denuncia della distruzione della sua vita, della delusione delle sue aspettative giovanili, della condanna ad una esistenza senza gioia, costantemente in contrasto con la sua natura …"
    La sua natura lo avrebbe portato ad una continua sperimentazione delle sue passioni e ad un continuo vagabondaggio…
    "Già allora, di tanto in tanto, pensavo al divorzio. Ma non era semplice. Ero abituato a starmene seduto in pace a lavorare e mi spaventava l’idea del tribunale e degli avvocati e il dover cambiare tutte le mie piccole abitudini quotidiane. Se avessi incontrato un nuovo amore, la decisione mi sarebbe parsa più facile…Mi innamorai di alcune ragazze giovani e carine, ma non ci fu mai nulla di abbastanza profondo e a poco a poco mi accorsi che non mi sarei mai dato a nessun amore come alla mia pittura. Il bisogno di sfogarmi e di dimenticare me stesso, i miei desideri e le mie esigenze andavano in quella direzione; in questi anni non ho più accolto nessuna persona nuova nella mia vita … per la vergogna di confessare la mia infelicità…"
    "Johann, il tuo lavoro ti tiene in piedi, ma è più una droga che un piacere."
    "Sono un poveretto, ma ho questo bambino, ho pur sempre questo caro piccolino per cui vivo…"
    "Fa questo passo Johann: butta via tutto, devi ripulirti di tutto il passato, altrimenti non potrai guardare alla realtà con occhio chiaro e libero…Siamo a Luglio; in autunno io torno in India. Prima di partire tornerò da te e spero che tu avrai le valigie pronte per venire con me."
    Già, è il viaggio la cura migliore per Johann secondo l’amico Otto: il mondo per lasciarsi tutto dietro e guadare dentro nel caos della sua vita interiore.
    Johann è fortemente turbato e vive con grande depressione la partenza da Rosshalde di Otto Burkhard: una solitudine nuova lo impadronisce, soffocandolo:
    "Si sentì ancor più distante dalla sua famiglia e persino da Pierre. Non lo sapeva, ma ciò era dovuto al fatto che per la prima volta aveva parlato apertamente della situazione."
    "La visita dell’amico aveva aperto delle falle in quella clausura; adesso gli arrivava lo scintillio, il suono della vita …e il richiamo del mondo esterno era tanto forte da essere doloroso.
    Furiosamente si buttò nel lavoro…"
    Quella speranza segreta di un cambiamento è comunque accesa nel petto di Johann, pur continuamente repressa …
    " …a volte la sera sedeva ore e ore nella stanza piccola e austera sprofondato a guardare le fotografie dell’India, finchè le allontanava da sé e chiudeva gli occhi stanchi "
    La malattia e la morte del figlio prediletto sono l’occasione per leggere con chiarezza dentro di sé.
    " L’incisione era stata dolorosa, ma rinunciando ai desideri più cari, scomparivano anche l’inquietudine e la contraddizione, il conflitto e la paralisi dell’anima. Intorno a lui si era fatto giorno …"
    "Passeggiando per i vialetti bagnati, cercava di ricostruire con fermezza le fila della sua vita … senza amarezza concluse che aveva percorso quel cammino come un cieco…era passato accanto al giardino della sua vita senza entrarvi…Ciò che gli rimaneva era l’arte, di cui non si era mai sentito tanto sicuro come ora. Gli rimaneva la consolazione dell’outsider a cui non è dato afferrare la vita e assaporarla fino in fondo…nella sua analisi e nella sua presa di coscienza non c’era rassegnazione; risoluto e pieno di voglia di agire, guardava verso la nuova vita, che non sarebbe più stata un vagare a tentoni nell’oscurità, ma un cammino in salita ripido e audace. Più tardi e con più amarezza, forse di quanto facciano comunemente gli uomini, prese commiato dal dolce crepuscolo della giovinezza. Povero e in ritardo, stava ora nella luce del giorno e non voleva più perdere nemmeno un attimo prezioso."

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