L’Optical Art
DI D. PICCHIOTTI
Si sviluppa prevalentemente negli stati uniti, con epicentro a New York, estendendosi poi in tutta Europa, il Moma Museum ospiterà la prima mostra sull’Optical Art nel 1965
Storia:
L’Optical Art nasce alla fine degli anni Cinquanta, e si evolve per tutti i Sessanta e oltre; si presenta come un vasto e articolato movimento artistico internazionale ispirato alla nuova scienza della percezione. Questo nome deriva dal termine “optical; ottico? appunto. L’Op Art riutilizza le esperienze di estensione tecnologica dello sguardo già affrontate nel primo Novecento da Duchamp (i Rotorilievi) e, in ambito Bauhaus poi esportato in USA, da Moholy Nagy e Albers. Il fenomeno viene identificato con il nome di Optical Art, abbreviato in Op Art per evidente controcanto alla contemporanea Pop Art. e trova un momento significativo nella manifestazione “The Responsive Eye? al Moma di New York nel 1965. Si possono distinguere due aree. Una, più vicina all’ arte di astrazione geometrica, punta sugli effetti di inganno, anamorfismi ed illusioni ottiche con combinazioni di segni e colori, per punti, cerchi, strisce, spirali, vortici ecc, utilizzando anche superfici metalliche rifrattrici di luce. Un’altra area privilegia dinamismi reali, ottenuti con congegni elettrici o magnetici, con giochi di luci artificiali o animazioni di strutture, che sollecitano spesso l’intervento interattivo del pubblico. Gli artisti Op tendono a costituirsi in gruppi. Emergono comunque protagonisti come Vasarely, Soto, Le Parc, Bury, Riley; in Italia, Munari, Mari, Alviani, Grignani.
“Parliamo di Optical Art, quindi, riferendoci non tanto ad una tecnica pittorica, quanto piuttosto ad un movimento di pensiero. “
L’Op Art come abbiamo detto, e' un movimento che si sviluppa negli Stati Uniti e in Europa intorno alla metà degli anni Sessanta; in un periodo quindi caratterizzato da un costante mutamento dell’ arte, influenzata da politica, religione e cultura. Il termine compare la prima volta nell'ottobre del 1964 su "Time Magazine" e si consolida nel mondo artistico a partire dal 1965 per indicare il lavoro di un gruppo di pittori astratti che si riuniscono intorno alle figure di Victor Vasarely e Bridget Riley (sopraccitati). I principali appartenenti al movimento sono Richard Anusziewicz, Rene Parola, Francois Morellet, Ad Reinhardt, Kenneth Noland, Larry Poons e Jesus-Rafael Soto. l'Op Art che deriva evidentemente dall'Espressionismo astratto, ha come base della sua ricerca gli studi sulla percezione e sulle possibilità di ingannare l'occhio attraverso l'illusione ottica, realizzando una pittura che interpreta la superficie del quadro come un elemento dinamico in cui i colori e le forme sono utilizzati per creare diversi tipi di effetti ottici. Le forme geometriche divengono così le del parti più importanti del quadro e sono, utilizzate all'interno di composizioni simmetriche, illusorie e basate sulla discordanza ottica, che fanno diventare soggetto stesso dell'opera d'arte le regole che l'occhio utilizza per interpretare un'immagine visiva. I lavori degli artisti Op sono quasi sempre astratti e caratterizzati da un uso quasi esclusivo del bianco e nero in motivi geometrici dai contorni fortemente delineati che utilizzano la ripetizione di forme e colori molto semplici per creare effetti fortemente vibranti, esagerato senso di profondità, confusione tra sfondo e primo piano, impressione di movimento. L’Anamorfismo, viene indicato come la base di partenza nella ricerca compiuta dagli artisti Op Art; per definizione, l’anamorfosi, viene considerata un artificio prospettico, atto a rendere un’immagine pittorica leggibile, solo da un punto di vista anomalo, per lo più obliquo. (es. il famoso teschio nel Ritratto degli Ambasciatori di H. Holbein).
Lo studio sull’anamorfismo, viene approfondito da numerosi artisti; tra questi, Escher sembra essere uno dei più attivi. Da sempre è affascinato dal fenomeno ottico che a un oggetto fa corrispondere un’immagine dilatata, oppure contratta, in una direzione. E’ interessato soprattutto all’anamorfismo che si ottiene in presenza di lenti, specchi ed obiettivi cilindrici.
In cinematografia, viene utilizzato questo artificio, per ridurre alle dimensioni della pellicola una ripresa che in senso orizzontale abbia dimensioni molto maggiori rispetto a quelle verticali; in fase di proiezione, ci si riporta alle dimensioni naturali, sfruttando lo stesso fenomeno in senso inverso. Uno dei primi a studiare l’anamorfismo, fu il tedesco Abbe, che tentò di perfezionare l’obiettivo denominato anamorpho ideato da un suo allievo; ma il primo obiettivo realmente utilizzabile venne brevettato nel 1929 dal francosvizzero Chretièn col nome di hypergonar . Tale obiettivo consiste in un sistema di lenti cilindriche e, pur richiedendo operazioni quanto mai complesse di messa a fuoco, può essere anteposto agli obiettivi normali per anamorfizzare l’immagine. Quest’evoluzione continua di messa a fuoco, ed ovviamente tecnologica, permisero nel 1953 di dare vita al Cinemascope.
Poetica:
L’Optical art è arte in movimento; infatti l’essenza dell’arte astratta percettiva è la creazione di esperienze cinetiche mentali non reali, generata attraverso artifici sapientemente costruiti attingendo agli studi della Gestaltpsychologie. Il fruitore dell’ Op Art riceve sollecitazioni visive che colpiscono la selva di coni e bastoncelli da cui è formata la retina, discrepanze, conflitti percettivi, ambivalenze (“principio di ambiguità gestaltica‿) catturano l’occhio dello spettatore che viene provocato affinché, corrispondendo alle intenzioni dell’autore, divenga partner nel processo di costruzione dell’opera, quasi completandola dinamicamente. E’ indicativo infatti il nome della mostra con cui nel 1965 questi artisti si presentarono al Museum of Modern Art di New York: "The Responsive Eye". E così forme statiche con effetti ottici illusori, acquistano vita e mobilità, complice il nostro stesso sguardo. Ciò che vediamo viene scomposto, scansionato in moduli. Una “poesia visiva‿ di Gianni Latronico intitolata OP ART, tradotta in prosa, potrebbe essere letta come il ‘manifesto’ di questa corrente artistica: “La rigida geometria euclidea in arte, è superata da morbide linee sinuose di immagini asimmetriche di sfere coni rettangoli triangoli e cilindri Con lieve brezza una estrosa bizzarria un improvviso capriccio una ispirazione poetica serpeggian tra le maglie del tessuto connettivo e sconvolgon il sistema della tela di Aracne. Con maglie folli di fantasia lirica si capovolge la clessidra cambiando il tempo in eternità.‿ Sembra quasi che gli artisti vogliano disgregare la realtà, fondendola e caratterizzandola in forme cromatiche pure della Geometria. Di fronte alla perdita di significato della realtà prende il sopravvento un’ansia metafisica. L’uomo “poetico‿, affrontato in seguito da De Chirico affonda nella propria interiorità, nel proprio Io, con un’operazione si ricerca, tentando di portare alla luce ciò che abbiamo dimenticato: la nostra innata creatività, i nostri sentimenti; dando colore alle proprie passioni prova a sconfiggere il pallore che come un’atmosfera nebbiosa pare avvolgerci.
L’Optical Art è arte astratta, che si esprime in una pittura piatta, obbediente ad accurati schemi precostituiti, che suscitano problemi ottici nell’osservatore. L’Op Art si propone di esercitare effetti ottici, eccitanti e si è posta in luce, come genere a sé stante, a partire dall’anno 1964. Secondo le teorie di Chevreul, colori, collocati sulla tela, in modo tale da fondersi negli occhi del riguardante, vengono a suscitare particolari effetti ottici. In obbedienza alle teorie di questi ultimi, si ottiene un colore più puro e luminoso, collocando una commistione di materia inanimata, sulla tela, avvicinando il giallo ed il blu, per ottenere il verde; notate bene, solo avvicinandoli. A questa teoria, risalente a Seurat ed ai postimpressionisti, si aggiunge il rinnovamento della spiritualità del soggetto, con la ricerca di una nuova forma. Colori in movimento sottendono il dinamismo interiore.L’opera di Piet Mondrian sembra un’operazione matematica (linee, piani, colori fondamentali), frutto del calcolo dei diversi elementi, che strutturano la visione. Dietro il rigoroso formalismo dell’Optical Art, c’è una visione etica dell’arte, seguendo la chiarezza ed il rigore della razionalità. In seguito, tale rigore si attenua, al contatto di Mondrian con il ritmo frenetico americano “Boogie Woogie‿. Egli colora le linee, che dividono la superficie del quadro in piccoli rettangoli e quadratini rossi, gialli e blu. Alla ricerca della pura espressione senza rappresentazione sono anche: Wassily Kandinsky, Kasimir Malevic, Robert Delaunay, Stuart Davis, Paul Klee, ecc. fino ad arrivare ai moderni, di cui un fulgido esempio è fornito dal pittore calabrese Damiano Gulluni.
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Nel vasto ambito dell'Arte cinetica e dell Op Art, l'ungherese naturalizzato francese Victor Vasarely (1906-1997) occupa un ruolo dominante: studente alla Bauhaus di Budapest, fortemente segnato dallo spirito di quella scuola, Vasarely sviluppa un linguaggio del più tipico astrattismo, scevro da ogni lirismo fantastico e saldamente collegato alla scienza, intesa come geometria pura, in composizioni dalla precisa impaginazione costruttiva di impostazione quasi architettonica nella loro apirazione alla tridimensionalità, nelle quali la terza dimensione è rappresentato dal movimento.
Convinto, nella scia del radicalismo costruttivista russo, della possibilità di un'arte ad accesso globale (".... la fine di un'arte personale per una elite sofisticata e' vicina..... L'arte del domani sara' un tesoro comune collettivo o non sara' affatto arte"), in una società meccanizzata in cui la conoscenza allargata dell'opera è resa possibile dalla sua moltiplicazione, Vasarely sostituisce il concetto di unicità dell'opera, ormai superato ed obsoleto, con quello della dinamicità, in grado di rendere ogni quadro diverso dagli altri e costituire il tocco personale dell'artista, che l'uso della macchina riproduttrice inevitabilmente cancella.
Come si nota nel quadro presentato, eccellente esempio di opera op, Vasarely utilizza con grande maestria il linguaggio tridimensionale, contrapponendo nella stessa immagine diversi sistemi prospettici, secondo una sua personale ricerca sulle proprietà scientifiche del colore e della linea, volta alla creazione di immagini virtuali ambigue, in grado di alterare il comune senso ottico-percettivo dell'osservatore, pur entro gli schemi di una costruzione geometrica rigorosa ed esatta: le premesse da cui parte Vasarely sono infatti di ordine scientifico e dogmatico, finalizzate all'affermazione della possibilità che, inducendo nell'osservatore opportuni stimoli ottici con risultati percettivi del tutto personali e soggettivi, il risultato ultimo inganni in qualche modo la scienza.
Questa via è stata percorsa, seppure in termini di assai maggior rigore scientifico e profondità matematica, da Maurits Cornelis Escher, straordinario creatore di realtà impossibili.
Definiti da un reticolo di linee opportunamente deformate, i riquadri centrali, di dimensioni maggiori, sono contornati di colori caldi, sui toni del giallo-arancio, che accentuano un movimento di avvicinamento all'osservatore, mentre i riquadri al contorno si fanno via via più piccoli e di forma regolare, con un colore di riempimento omogeneo, producendo l'effetto di uno spazio che retrocede e si appiattisce verso il fondo: giocata sul contrasto tra la rigorosità della forma e la mutevolezza del colore, sulla ripetitività del segno che realizza attraverso una "struttura di ripetizione" un meta-segno percepito nella sua globalità gestaltica, generata da un'illusione ottica che ha bisogno della partecipazione attiva dell'osservatore percipiente, una precisa figura sferica emerge dalla superfice piana, divenuta elemento dinamico, ed avanza nello spazio, espandendosi.
Come afferma Vasarely, la sua è un' "arte per tutti", non c'è alcuna recondita intenzione psicologica, non serve alcun commento, non c'è alcun simbolismo da decifrare, non c'è bisogno di alcun background culturale per capire, ognuno può trovare un suo significato, tutti possono comprendere, secondo il concetto di arte sociale e democratica, "cinetica, multi-dimensionale e comunitaria", per citare le sue stesse parole, basta abbandonarsi all'inganno visivo e lasciarsi guidare dall'illusione entro uno spazio magico, puramente ottico, in cui la ricezione dell'immagine si trasforma in atto mentale attivo e creativo.
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