venerdì 4 gennaio 2008

"compagnos de route"

Di Mario Lunetta
 
Nello sterminato tabulato del Possibile Linguistico i veri compagni di strada non sono quelli che battono gli stessi tracciati. Non hanno i marker banali dell'orda: non si somigliano per le modalità espressive, ma solo per le metodologie, non per le direzioni ma per la costruzione di un orizzonte comune ad apertura illimitata. Quando si tratti di artefici del linguaggio che mettono radicalmente in gioco consuetudini e logiche accreditate dall'accettazione generalizzata rischiando con leggerezza un capitale di consenso e, starei per dire, di pubblica utilità, li connota un'audacia intelligente, almeno pari alla diversità dei profili, e la loro riconoscibilità - reciproca o globale - si afferma solo in rapporto alla zona di orizzonte utopico da essi aperto. Ecco, sì, è unicamente entro la necessità dell'utopia che la loro ricerca prende senso, dal momento che le premesse rassicuranti del verosimile vengono assunte nell'affermazione di un'altra formalizzazione, che comprende in sé l'intero peso delle apparenze del mondo, abolendone i preliminari e assumendolo come sostanza espressiva autonoma.
E' il lavoro di cui nella modernità si sono resi responsabili tutti quegli artisti che non hanno accarezzato la Bestia Aggressiva ma l'hanno liberata in linguaggio. La fragilità delle difese costituite dall'assetto delle Sacre Convenzioni ha ben presto mostrato la sua natura demagogica. La vera democraticità estetica era altrove: nell'azzardo, nella ricerca relativamente disancorata, e soprattutto, nella coscienza autocritica del proprio fare rispetto alla storia in atto, che non poteva essere rappresentata ma con la quale era sempre più impellente interloquire, rompendo i nessi narrativi che ne costituivano l'alibi alquanto sporco. Dopo le esperienze dell'Informale, questi artisti hanno maturato l'esigenza urgentissima di lavorare per una Forma che contenesse in sé la propria teoria, e magari ne mostrasse i risvolti e le ragioni alternative. In questo senso, potrebbero essere definiti - sulla traccia di certi essenziali suggerimenti del Benjamin "barocco" - artisti allegorici.
Due di loro, e di primissima fila in quella brigata di guastatori ormai classica, due "compagnons de route" come suona il titolo di questa mostra, sono Luigi Boille e Achille Perilli: personalità di spicco capitale, assai diversi quanto ad esiti espressivi, ma certamente accomunati da un'ansia febbrile di rimettersi senza tregua in gioco, di sottoporre a tagliente autoverifica i risultati raggiunti, considerando come irrinunciabile la complessità dei moti del linguaggio a petto delle perenni oscillazioni, contraddizioni, cadute e resurrezioni del reale. Che restano, ineluttabilmente, a seconda dell'ottica che si adotti (dottrinaria o problematica), ideologiche o misteriose. Bene, i due "compagnons" in esame hanno costantemente puntato sulla seconda opzione, contrapponendo a questa misteriosità il mistero irrefrenabile dell'invenzione, per servirci di un termine che Lucio Fontana, ad entrambi assai caro, amava usare per la definizione delle proprie opere. Per questo, Boille e Perilli sono due indagatori propositivi, due artefici che alterano la lingua della tribù e costruiscono un altro alfabeto e un'altra sintassi.
Boille ha conquistato il proprio territorio secondo un'incessante strategia di agglutinazione fantasmatica che procede in tutte le direzioni, a ondate cellulari, in proliferazioni metastatiche. La sua è tuttavia un'anarchia delle pulsioni, non un'anarchia della struttura spaziale. Nel suo caos, insomma, affiorano senza tregua, come dentro uno shaker in moto, le componenti base di norme che sono disciplina e sono metodo: affermazione lampante nelle splendide Centralità degli anni Ottanta, in cui il nucleo, e si direbbe la noce atomica dell'immagine autorizza la disseminazione materica del pulviscolo in dispersione. Nel suo dérèglement permane comunque foltissima una griglia di resistenza e di autogoverno stilistico. Nelle fasi più prossime del suo itinerario l'affollamento del binomio segno-colore ha ceduto a una rastremazione crudele degli elementi. Permangono, di tanto frenetico scialo, di tanto esplosiva espansività bio-visiva, niente più che una serie di tracce galleggianti sulla superficie cromatica di fondo: ombre e memorie, magari memorie di ombre. Ma Boille non è un neocrepuscolare, né semplicemente un lirico che vagheggia un vuoto in cui perdersi dolcemente. Le sue Interactions restano "antagoniste" a forza di interna fisicità e incisività.
Mordono la superficie, non vi si addormentano. Qui sta la loro forza, e - mi si passi l'azzardo - la loro minaccia salutare.
Letterato e amico fraterno della buona letteratura, il soi disant "architetto" Achille Perilli resta un perentorio, lucidissimo regista di strutture spettacolari. E' ovvio che la dimensione geometrica e la distorsione anamorfìca si accampano nelle sue scene all'interno di un carattere visionario che non concede nessuna promessa al riguardante, nessuna quiete, ma al contrario ne eccita fin quasi a una provocazione seccamente intellettuale l'orizzonte di attesa. E' in questa sorta di vuoto che la bellezza cromatico-organizzativa dei manufatti di questo straordinario artista dedito al sabotaggio delle certezze acquisite si dipana in liquide perversioni di senso o in Sregolamenti proposti come momenti di rischio, come alee di grande avventurosità vissuta sotto la luce radente della ragione. In Perilli, si direbbe, non si danno ripensamenti. La sua perenne dubbiosità, la sua insoddisfatta inquietudine si nutrono di una capacità di mira nei confronti della preda visiva semplicemente eccezionale. In lui il mondo si spezza in una continua frantumazione, ma questi frammenti, questi frantumi tornano a ricomporsi, sotto lo sguardo implacabile eppure dolcissimo dell'artista, in nuovi effetti formali, in nuove misure, in nuovi, inauditi modi di disposizione nelle anse di numerosissimi oceani mentali. E' dall'azzeramento di ogni bava lirica e di ogni tentazione elegiaca che proviene al lavoro di Perilli un'intensità di energia dinamica tanto profonda e tanto matematica, cosi rigorosa e cosi inafferrabilmente volante.

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