IL PIACERE DI LEGGERE CHE " STRANO VIAGGIO, LA VITA"!
RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI
“Anatomia dell’irrequietezza” di Bruce Chatwin
"Ecco una persona che mi piacerebbe conoscere", avevo pensato, quando lungo il mio itinerario di lettore errante avevo incrociato per caso Bruce Chatwin. Avevo appena terminato di leggere "Che ci faccio qui?", poco dopo avrei iniziato la lettura di "Utz". Per il capitalista di massa, l'homo habens, Chatwin potrebbe dare l'impressione di essere il cantore dell'inutilità, soprattutto se conosciuto solo attraverso i due libri citati. Cosa c'è di più inutile, infatti, per chi nella sua esistenza antepone quotidianamente i miti dell'avere a quelli dell'essere, se non vagabondare senza meta e, soprattutto, senza profitto, nei posti più sperduti del mondo? Cosa c'è di più inutile che tentare di salvare, in mezzo ai continui rivolgimenti della Storia, una rara e preziosa collezione di porcellane di Meissen?
Chatwin, grande viaggiatore e altrettanto grande esperto d'arte, ha attraversato la vita per farsi portatore di un messaggio: la strada verso la libertà dell'uomo passa attraverso le porte della conoscenza e della bellezza. Viaggiatore disincantato e capace di subire il fascino dei luoghi al tempo stesso, appartiene a quella ristretta schiera di persone che ha dedicato l'intera esistenza "a divenir del mondo esperto / e de li vizi umani e del valore", scelta tanto più difficile quando la maggior parte dei suoi pari pensava a costruirsi solidi imperi economici, da lasciare in eredità ai propri figli.
L'eredità di Chatwin è ben più grande, fa parte di quei tesori che né i ladri potranno mai rubare né la ruggine potrà mai corrompere. I suoi eredi appartengono all'intera umanità.
Le nostre vite non si sono, purtroppo, mai incrociate se non lungo il cammino ideale della conoscenza. Bruce Chatwin è partito anzi tempo per l'estremo dei suoi molti viaggi. Non ha voluto, però, lasciarci senza un ultimo saluto, uno sguardo indiscreto dentro la sua anima, della quale ha voluto rivelarci alcuni tra i più intimi segreti.
"Anatomia dell'irrequietezza" è un libro postumo, una collazione di scritti di diverse epoche e su diversi argomenti, capace di gettare più di una luce sul personaggio Chatwin. In uno stile elegante, senza essere eccessivamente ricercato, l'autore descrive il suo rapporto con il viaggio, con l'arte e con i libri, ragioni ideali della sua esistenza.
Essenziale, per chi, come me, ama Bruce Chatwin, illuminante per chi non ha ancora avuto la fortuna di incontrarlo.
“La sonata a Kreutzer” di Lev Tolstoj
“Tempora mutantur et nos mutamur in illis”, ricorda l’antico poeta latino. Il tempo che passa cambia e trasforma ogni cosa, noi compresi E’ strano osservare come, a volte, si arriva a comprendere, seguendo strade insolite e attraversando esperienze ordinarie, quanto il trascorrere del tempo ci abbia cambiato. Questa ovvia e forse un po’ scontata riflessione nasce a margine della rilettura di uno dei piccoli capolavori di Tolstoj, “La sonata a Kreutzer”, che mi aveva fortemente impressionato, quando lo avevo letto per la prima volta, ben più di trenta anni fa.
A quell’epoca, forse sotto l’influsso di atmosfere e pulsioni dell’età giovanile, mi ero fatto l’idea di un racconto impregnato di romanticismo e di passionalità carnale. Durante la lettura ho distintamente avvertito il distacco da quei tempi, come se li avesse vissuti un altro me stesso, al quale sento che mi lega un rapporto che si va facendo di giorno in giorno più labile.
Certamente, avevo conservato del libro un ricordo idealizzato, che, alla fine, si è rivelato in gran parte inesatto. Depurate dal trascorrere del tempo tutte le scorie, rappresentate dalle motivazioni ideologiche e filosofiche della cronaca di un dramma familiare, avevo interiorizzato il racconto come una storia di amore e passione, con tragedia finale, un “dramma della gelosia” di fine Ottocento, insomma.
“La sonata a Kreutzer” narra la storia di un uomo, che arriva ad uccidere in maniera efferata la moglie e il suo presunto amante, per averli sorpresi a suonare, lei pianista e lui violinista, quella musica che dà il titolo al racconto, una musica nella quale il marito (e lo stesso Tolstoj) ravvisa una fortissima componente erotica. Un gesto eccessivo, dettato però da un’idea personalissima e, aggiungerei, alquanto distorta del rapporto coniugale, visto dall’autore dell’opera come fonte di tentazione, di colpa e di peccato.
Assolto in tribunale dal duplice delitto, perché i giudici accolgono la tesi del tradimento da parte della moglie, e del conseguente delitto d’onore, sostenuta dalla difesa, non riesce a darsi pace per non essere stato capace, alla fine, di spiegare il vero significato del suo gesto.
Il racconto è emblematicamente introdotto da una citazione del Vangelo di Matteo, che ne anticipa e al contempo ne sottolinea la tematica. “Ma io vi dico che chiunque avrà guardato una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore”. Aperto da una lunga discussione sul tema del matrimonio, alla quale prendono parte i passeggeri di un treno nel corso di un lungo viaggio, il racconto del protagonista si dipana per la maggior parte delle circa centoquaranta pagine lungo le quali si sviluppa la vicenda.
A queste, Tolstoj volle aggiungere un poscritto, spinto soprattutto dalle continue richieste di chiarimenti rivolte all’autore da parte dei lettori dell’epoca. La lettura di questo breve saggio è stata ancora più sconcertante di quella del racconto stesso. Attingendo a qualche sbiadito residuo di ricordi dell’epoca, ho immaginato che, una volta terminata la lettura della prima parte, quella del racconto, appunto, devo essermi limitato a riporlo su uno scaffale, giudicando poco interessante, forse addirittura noiosa, l’aggiunta che l’autore aveva voluto fare.
Considerarlo uno schiaffo al matrimonio è dire poco. Tutta l’opera è un pamphlet contro il matrimonio in generale e il rapporto di coppia in particolare, visto come fonte prima di peccato. ”L’autentica depravazione consiste proprio nel liberarsi da qualsiasi rapporto morale con la donna con cui si ha una relazione fisica”, dice ad un certo punto il protagonista.
L’esaltazione religiosa dell’autore, che lo spinge ad estremizzare il senso del messaggio evangelico, è senza dubbio frutto della profonda crisi etico-religiosa che stava attraversando nel momento della realizzazione di quest’opera e può giustificare, anche se solo in parte, i toni apocalittici del saggio finale. Nella sua radicata convinzione dell’assoluta immoralità del matrimonio, Tolstoj arriva persino a cercare e trovare nel Vangelo elementi per affermare che non esistono i presupposti per l’istituzione del matrimonio. Difficile poter dire cosa poi abbia visto Tolstoj di tanto demoniaco nel matrimonio, altrettanto difficile poter ipotizzare sulla base di quali esperienze possa essere giunto a conclusioni così amare e, soprattutto, così radicali. Difficile, persino, immaginare un dramma personale così sconvolgente da spingere l’autore verso una visione tanto pessimistica e tanto estrema del rapporto di coppia.
Se avete intenzione di sposarvi, o se lo siete già, non leggetelo, o piuttosto, leggetelo come cura ed antidoto ad una qualche forma di insostenibile gelosia, dalla quale, come accade alla maggior parte degli esseri umani, potreste essere affetti. La lettura, come sempre del resto, non potrà farvi che bene.
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