domenica 27 gennaio 2008

La dissoluzione dell’opera d’arte da Pollock al Concettuale

Prof. ssa Francesca Morelli
RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

Le premesse
Fin dagli inizi del ‘900, il mondo del sapere scientifico apre all’idea del ‘caos’, che configura un universo
deterministico e ordinato con forti propensioni al disordine e all’imprevedibilità. Nel secondo
dopoguerra, dopo l’Olocausto e la bomba di Horishima, molti intellettuali coltivano un umanesimo, in
cui i valori dell’essere sono come azzerati, quindi escludendo in qualche modo i concetti assoluti di
‘bene’, ‘vero’, ‘bello’. Esperienze filosofiche diverse hanno condotto nella stessa direzione, soltanto a
titolo d’esempio, la nozione heideggeriana di Dasein, elaborata alla fine degli anni ’20, ha già posto
l’accento sul fatto che l’“essere al mondo” dell’uomo, non significa essere parte di un tutto, ma mettersi
in gioco con una costante apertura a esso. In particolare la cultura estetica americana è segnata dal
pensiero di John Dewey (Experience and Nature, 1925), Art as Esperience (1934) che insiste sull’idea di
un’interazione dinamica tra gli organismi e l’ambiente, tra l’uomo e il mondo: la stessa esperienza
artistica è intesa come un attivo coinvolgimento negli aspetti qualitativi e formali del vivere sociale.
Queste correnti di pensiero concorrono a determinare lo sviluppo dell’arte americana in una direzione
in cui il rapporto tra “arte” e “vita” trova nuove vie d’espressione. Oltretutto, dopo il secondo conflitto
mondiale, il ruolo egemone svolto dagli Stati Uniti come maggiore potenza politica, economica e
culturale del mondo occidentale, porta l’arte americana a occupare un ruolo di primo piano nelle
ricerche d’avanguardia internazionali. E’ dagli anni ‘40 che l’arte americana inizia a mettere a frutto le
sue potenzialità, combinazione di una miscela esplosiva tra elementi eterogenei: il contatto diretto con
le avanguardie artistiche europee, la psicanalisi junghiana, l’interesse per il Buddismo Zen e altre
discipline orientali (taoismo), la volontà di dare una voce e un volto alla realtà americana. Nasce così
l’Espressionismo astratto, che trova il suo centro a New York, la più cosmopolita delle città americane.
Questa metropoli ha accolto numerose personalità della cultura artistica europea, in fuga dall’Europa
travolta dalle dittature e poi dalla Guerra. In particolare approdano artisti della Bauhaus, come Joseph
Albers, un grande astrattista come Piet Mondrian, e soprattutto i maggiori esponenti del movimento
surrealista: da André Breton a Max Ernst, da Salvador Dalì ad Andre Masson. Punto di contatto tra
questi e i giovani pittori americani, è la galleria Art of this century, aperta dalla intraprendente Peggy
Guggenheim, collezionista e mecenate dotata di notevoli mezzi finanziari. Molto efficace la sua opera
di sostegno e di stimolo alla ricerca, offerta al gruppo emergente dell’Espressionismo astratto, tra i
quali Jackson Pollock, Marc Rotko, Clifford Still, Roberth Motherwell, Arshile Gorky.
Per quanto concerne il tema del corso, ci interessa soprattutto il pittore Jackson Pollock (1912-1956),
che se da una parte conosce un successo straordinario, dall’altra è caratterizzato da una natura
psicologicamente instabile che lo porta a fare abuso di alcool, per cui vive la sua pittura come un
continuo delirio creativo. Questo inarrestabile processo di autodistruzione troverà il suo acme
nell’incidente stradale che pone fine alla sua vita ad appena 44 anni. La sua ricerca artistica muove dal
metodo della “scrittura automatica” surrealista, per passare all’interesse per i miti ancestrali della cultura
greco-romana e per quelli degli indiani d’America, fino a una passione per la psicanalisi junghiana.
Questa vede nelle leggende popolari, nei riti delle religioni antiche religione, nella filosofia orientale, ma
anche nella simbologia della disciplina alchemica, un minimo comune denominatore costituito dalle
immagini archetipe (mandala) originate della psiche umana e dai suoi processi inconsci., al di là di ogni
differenza di razza. Poiché la ricerca dell’espressionismo astratto è innanzitutto una ricerca di
liberazione delle energie interiori, un’evocazione pittorica degli antichi rituali magici, diviene essa stessa
una forma espressiva capace di portare in superficie istinti, fantasie, desideri, ma anche incubi relegati
nel profondo dell’essere. Intorno al 1947 Pollock arriva a maturare la tecnica del cosiddetto dripping
(sgocciolamento), mutuata dai sandpainting (pitture di sabbia) degli indiani Navajos. Il metodo di lavoro
adottato da Pollock è abbastanza semplice: distende a terra una tela, preferibilmente di dimensioni
molto grandi, quindi, tenendo in una mano un barattolo pieno di vernice e nell’altra un grande
pennello, inizia a sgocciolare la vernice sulla tela, camminando intorno ad essa, attraversandola, fino a
essere, dirà lo stesso artista, “letteralmente ‘dentro’ il quadro”. In questo modo il groviglio di segni che
appare sulla tela è il risultato dell’azione di tutto il corpo e il dipinto diventa un “campo”, senza più
centro e periferia, dove agiscono l’inconscio e le pulsioni vitali. Per meglio capire il modus operandi
adottato da Pollock ( e in seguito da certi performer), può essere interessante leggere quanto scrive
Jung, a proposito dell’”energia circolare” che governa un mandala: “ In completa armonia con la concezione
orientale, il simbolo del mandala, infatti, non è solo una forma espressiva, ma esercita anche un’azione agendo a ritroso
sul suo stesso autore. In questo simbolo si cela un effetto magico molto antico, che deriva originariamente dal ‘cerchio’
protettivo, dal ‘cerchio magico’, la cui magia si è conservata in infinite usanze popolari. L’immagine ha lo scopo evidente
di tracciare un sulcus primigenius, una magico solco intorno al centro, templum o temenos (recinto sacro) della
personalità più intima, per evitare la ‘dispersione’, o per tenere lontane apotropaicamente le distrazioni provocate dal
mondo esterno. Le pratiche magiche, infatti, altro non sono che proiezioni di avvenimenti psichici, le quali esercitano una
controinfluenza sulla psiche, agendo come una specie di incantesimo sulla propria personalità. Si tratta, in altri termini,
di recuperare, con l’appoggio e la mediazione di un’azione esteriore, la propria attenzione, o meglio della partecipazione a
un recinto sacro interiore, che è origine e meta dell’anima, e contiene quell’unità di coscienza e vita, un tempo posseduta,
quindi perduta, e che occorre ora ritrovare. (...)Il ‘recinto’ o circumambulatio è espresso (...) dall’idea di ‘circolazione’.
Essa non è un semplice movimento circolare, ma significa da un lato la delimitazione del recinto sacro, e dall’altro la
fissazione e concentrazione; la ruota comincia a girare, cioè il sole si mette in movimento e inizia il suo corso, in altre
parole il Tao [unità di coscienza e di vita n.d.r.] inizia ad agire e ad assumere la guida. L’agire si tramuta nel non-
agire, cioè tutto ciò che è periferico deve sottostare all’ordine del centro. Perciò si dice: “Movimento è solo un altro nome per
governo’. Dal punto di vista psicologico questa circolazione consisterebbe in un ‘girare in cerchio attorno a se stessi’, così da
coinvolgere tutti i lati della propria personalità. I poli della luce e dell’oscurità si pongono in movimento circolare’, nasce
cioè l’alternanza di giorno e notte. ‘Luminosità paradisiaca si alterna a orrida notte profonda’. Il movimento circolare ha
quindi anche il significato morale di animazione di tutte le forze chiare e oscure dell’umana natura, e di conseguenza di
tutti gli opposti psicologici, di qualsiasi natura possano essere. Questo non significa altro che, autoconoscenza mediante
un’incubazione di sé stessi.” (C.G Jung, Commento europeo, in Il segreto del fiore d’oro. Un libro di vita cinese, 1929)


Nello stesso periodo, anche in Italia troviamo un artista straordinario, che sviluppa in maniera
autonoma le sue riflessioni sulla necessità di una nuova arte lontano tanto dalla finzione della
rappresentazione quanto dall’astrattismo statico e razionalista della prima avanguardia. Si tratta di Lucio
Fontana (1899- 1968), nato in Argentina da genitori italiani, che negli anni ’30 con la sua forte capacità
di sperimentazione, ha raggiunto il successo come uno dei più dotati esponenti dell’astrattismo milanese.
Rigore progettuale e improvvisazione, assolutezza intellettuale del segno e piacere per la sensualità della
materia, sono già allora le sue qualità. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale, torna in Argentina
dove nel 1946 stila il Manifesto blanco, il primo testo programmatico del Movimento Spaziale. In questo
testo programmatico Fontana riconosce il tentativo futurista di incorporare il movimento dinamico
nello spazio e nel tempo, ma indirettamente ne critica l’illusorietà, e invoca invece un’arte capace di
esprimere in modo sintetico l’unità del tempo e dello spazio contemporaneo, poiché “l’esistenza, la natura
e la materia sono una perfetta unità. Si sviluppano nel tempo e nello spazio. Il cambiamento è la condizione essenziale
dell’esistenza. Il movimento, la proprietà di evolversi e di svilupparsi è la condizione base della materia. Questa esiste in
movimento e in nessun’altra maniera. Il suo sviluppo è eterno. ” Dunque, Fontana crede fermamente che le
conquiste del progresso scientifico e i mutamenti in atto nella vita sociale, si debbano riflettere nel
lavoro degli artisti: “Siamo entrati nell’era spaziale, l’uomo ha definito le distanze dei pianeti, l’uomo tende alla loro
conquista, l’uomo in questi ultimi anni con le invenzioni ha precipitato l’umanità all’impossibile- ebbene tutto questo ha
influito e influisce nello spirito creativo dell’artista, gli ismi hanno la ragione nel nostro tempo. L’arte non è una decadenza
ma sta penetrando nuovamente nella nuova evoluzione del mezzo per l’arte. La pietra, il bronzo inesorabilmente cedono
alle nuove tecniche, così come in architettura il cemento, il vetro, i metalli hanno portato un nuovo stile architettonico. La
materia è statica, l’intelligenza dell’uomo la definisce, la domina nel calcolo nell’arte e la colloca nell’umanità..” A
partire dal 1949, Fontana realizza i suoi Concetti spaziali bucando con un punteruolo la carta o la tela,
applica la sua “energia” a una superficie che da quel momento apre alla realtà sensibile: la luce, lo spazio,
l’ambiente entrano così a fare parte dell’opera che si presenta in maniera relativamente indeterminata.
L’opera diventa teatro di un “evento”, come succede anche per Pollock e per gli altri esponenti
dell’Action Painting. L’apertura dell’opera all’ambiente, trova una nuova via in Fontana con il suo
Ambiente spaziale a luce nera di Wood nel 1949, il papà di tutti gli esperimenti di arte ambientale: “Né
pittura, né scultura, arte immediata, suggestione libera e immediata dello spettatore in un ambiente creato da un artista,
preparazione a concetti di un’arte del futuro basata sull’evoluzione del mezzo nell’arte, luci, neon, televisione, radar.”
Altro “evento” altamente spettacolare è il “taglio”, al quale Fontana lavora dal 1964 al ’68, anno della
sua morte. Un taglio netto, pulito, assoluto, come una porta magica, che mette in comunicazione lo
spazio al di qua e al di là della superficie. Un ulteriore sviluppo di questo concetto si trova in una delle
ultime creazioni della sua inesauribile creatività, la Collana Anti-Sofia (1968), realizzato per l’editore di
gioielli milanese Giancarlo Montebello. La collana, in argento lucidato, formata da un sottile girocollo
e da un lungo pendaglio è pensata per una donna non più dalle forme prosperose come le maggiorate
degli anni ‘50 ( per esempio Sofia Loren), ma per una donna “grissino”, dinamica ed emancipata.
Fontana è consapevole dei profondi cambiamenti in atto nella società italiana degli anni ‘60, in cui
l’elemento più dinamico è certamente la donna. La lunga bacchetta della collana fende come un
“taglio” di luce il corpo della donna che la indossa, disponendosi tra i due seni fino a lambire
l’ombelico. Naturalmente il monile va pensato su un corpo in movimento, magari durante una scatenata

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