A PROPOSITO DI CREATIVITA
RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI
La creatività esiste veramente e se esiste è qualcosa di latente e di inespresso in ognuno oppure una qualità di pochi privilegiati ? A. Einstein ad esempio riteneva che esistesse, non a caso dichiarò che “l’immaginazione è più importante della conoscenza”, nel senso che questa può dare apporto culturale e fornire nuova conoscenza. Come scrive C. Trombetta nel suo libro intitolato “La creatività” i primi studi su questo argomento riguardarono delle distinzioni tra i concetti di fantasia, immaginazione creatrice ed invenzione. L’interesse sull’argomento si intensificò in America nel 1957 dopo il lancio andato a buon fine dello Sputnik russo verso la Luna, evento che decretò la sconfitta americana della sfida spaziale tra le due superpotenze. Come scrive A. J. Cropley in “La creatività nella scuola e nella società” in quel frangente gli americani intuirono che l’individuo creativo era necessario per l’avanzamento del progresso scientifico e tecnologico. Fino ad allora era opinione diffusa ritenere che i migliori scienziati fossero delle persone con elevato tasso di istruzione e con elevate competenze specialistiche. Fino ad allora gli americani supponevano che persone con alto quoziente intellettivo fossero anche creative. In realtà è stato scoperto recentemente che tutte le persone creative sono anche intelligenti, ma non tutte le persone intelligenti sono anche creative[Beaudot, 1974]. Così come studiosi e premi Nobel(come Lewontin, Eccles, Rita Levi Montalcini) hanno criticato il concetto di quoziente intellettivo. Il quoziente d’intelligenza viene definito come il rapporto tra età mentale ed età cronologica, moltiplicato per 100. Ad esempio un bambino con un quoziente d’intelligenza di 150 di 4 anni dovrebbe teoricamente avere le stesse capacità mentali di un bambino normale di 6 anni. Probabilmente siamo ancora agli albori per quel che riguarda la misurazione dell’intelligenza umana. I più noti psicologi recentemente infatti hanno stabilito la validità del quoziente intellettivo come strumento diagnostico per rilevare disfunzioni cerebrali e ritardo mentale, ma non per stabilire con esattezza le differenze individuali riguardo alle capacità di apprendimento ed al potenziale intellettivo. Ci sono persone che hanno grandi capacità di apprendimento e risultati mediocri nei test d’intelligenza. Così come ci sono persone molto creative e molto intelligenti che non hanno risultati eccellenti nei test d’intelligenza. Non mi risulta a proposito che la donna più intelligente del mondo con un quoziente intellettivo di 215 abbia dato un contributo scientifico, artistico, filosofico o politico all’umanità. Il biologo Watson, che insieme a Crick, scoprì l’enigma della struttura del dna invece aveva un quoziente intellettivo appena appena superiore alla media. Fu una scoperta importantissima per l’umanità e non avvenne casualmente, ma grazie alla logica dei due scienziati. Ci sono elementi, come la distrazione e la stessa originalità di pensiero, che sono svantaggiosi nei test d’intelligenza e comportano una resa al quoziente intellettivo minore rispetto alle effettive capacità. Come in ogni test che si rispetti in psicologia inoltre ci sono i falsi positivi ed i falsi negativi. I falsi positivi sono coloro che risultano essere “in gamba” nonostante non lo siano, i falsi negativi l’esatto contrario. Come se non bastasse abbiamo un’ulteriore contraddizione: la riuscita di una batteria dei test d’intelligenza deriva dall’indice di predittività. Una batteria di test d’intelligenza viene ritenuta valida se i risultati ottenuti da dei bambini a queste prove d’abilità riescono a predire i loro successi/insuccessi scolastici. A sua volta verranno fatti ulteriori studi per verificare se quei test di intelligenza hanno predetto l’insuccesso o il fallimento professionale di quei bambini, quando sono diventati adulti. Assistiamo così ad una ipersemplificazione della realtà: sarà senz’altro vero che i risultati dei test di intelligenza sono correlati al successo/insuccesso scolastico o all’integrazione o meno nel mondo del lavoro, ma in questo modo vengono esclusi alcuni fattori non meno determinanti come le scelte di vita, la malattia o il caso. Non solo, ma ogni test d’intelligenza non è altro che il risultato di una definizione operativa degli psicologi, che lo hanno ideato. Questo significa che ad esempio se degli psicologi ritengono che l'intelligenza sia sinonimo di velocità e di pensiero convergente avremmo dei tests d’intelligenza completamente diversi(che danno dei risultati completamente diversi) rispetto ad altri psicologi, che hanno definito in modo completamente differente l’intelligenza umana. Questo non dipende solo dalla personalità e dalla mentalità degli psicologi, che elaborano il test, ma anche dalla società da cui provengono e in cui sono inseriti. Nonostante tutti questi limiti intrinseci i test d’intelligenza sono conosciuti e utilizzati in tutto il mondo, perché sono dei semplici reattivi mentali per cui basta solo carta e penna, quindi la loro somministrazione è la più economica per le aziende che devono assumere personale, rispetto a fornire a tutti i candidati un periodo di prova. Inoltre anche se hanno tutti i difetti elencati sono più attendibili dei colloqui, in cui contano anche fattori come l’antipatia/simpatia e la similarità o la non similarità tra l’esaminatore e il candidato.
Per quel che concerne l’istruzione attualmente sappiamo come sottolinea A. O. Osborn nella sua opera “L’arte della creatività” che la maggior parte delle persone specializzate sono sterili per quel che riguarda la produzione di idee e la risoluzione di problemi, mentre altre meno istruite possono risultare più creative. A questo proposito ricorda che Morse, l’inventore del telegrafo, era un ritrattista; che Faraday era privo di istruzione formale; che Fulton, l’inventore della nave a vapore, era un artista; che Davenport, l’inventore dell’elettromagnete, era un fabbro.
Nonostante “l’effetto Sputnik” lo psicologo J. P. Guilford a metà degli anni’70 prese in esame l’indice di tutti i Psychological Abstracts. Ebbene su 121000 titoli di saggi psicologici soltanto 186 riguardavano la creatività: solo lo 0,1%. Nonostante i facili entusiasmi nei confronti della creatività(si pensi ad esempio al Maggio francese e ad uno dei suo slogan: l’immaginazione al potere) e le cadute di interesse nei confronti dell’argomento i pochi ricercatori che vi si sono dedicati hanno dato contributi fondamentali a riguardo. Tuttavia nessuno studioso potrà mai dare una definizione esaustiva della creatività. Forse la genialità è quella cosa che nessuno potrà mai spiegare. Per quanto concerne la creatività artistica bisogna ricordare Freud, che con i suoi studi “il poeta e la fantasia” e “Saggio su Leonardo” iniziò ad esaminare il rapporto tra inconscio ed arte. Ma l’inconscio del resto sembra avere un ruolo determinante anche nell’ambito della creatività scientifica. E quale è il regno dell’inconscio se non il sogno? Infatti F. A. von Kerule scoprì la struttura dell’anello benzenico in sogno. Kerule scrive: “Voltai la sedia verso il caminetto e mi assopii. Ed ancora gli atomi saltellavano davanti ai miei occhi. Questa volta i gruppi più piccoli stavano con discrezione sullo sfondo. Il mio occhio mentale, reso più acuto da ripetute visioni di questo tipo, riusciva ora a distinguere strutture più ampie, di varia conformazione; lunghe file, a volte più vicine l’una all’altra; tutte che si combinavano e si contorcevano con movimenti di serpente. Ma ecco ! E quello che cos’è ? Uno dei serpenti aveva afferrato la propria coda , e la forma piroettava beffarda davanti ai miei occhi. Come per un improvviso lampo di luce mi svegliai….Dobbiamo imparare dai sogni, cari signori”.
Per G. Wallas esistono 4 fasi della soluzione dei problemi scientifici: preparazione, incubazione, illuminazione, verifica. La preparazione consiste nella conoscenza e nell’analisi del problema. L’incubazione invece è strettamente connessa all’inconscio. Ma vediamo in cosa consistono queste 4 fasi riportando dei brani della testimonianza del matematico Poincarè, riguardo alla scoperta della teoria dei gruppi fuchsiani e delle funzioni fuchsiane.
PREPARAZIONE: “Volli in seguito rappresentare queste funzioni con il quoziente di due serie; questa idea fu particolarmente cosciente e pensata; l’analogia con le funzioni ellittiche mi guidava. Mi domandai quali dovessero essere le proprietà di queste serie, se esistevano, e arrivai senza difficoltà a formare la serie che ho chiamato thetafuchsiane.”
INCUBAZIONE: “A questo punto partii da Caen, dove abitavo, per partecipare ad una gita geologica organizzata dall’Ecole des Mines. Le peripezie del viaggio mi fecero dimenticare i miei lavori matematici…” e sempre in vacanza “ una sera contrariamente alle mie abitudini, bevvi del caffè, e non riuscii più ad addormentarmi: le idee mi si accavallavano nella mente, le sentivo come urtarsi fino a che due di loro, per così dire, si agganciarono, per formare una combinazione stabile”. L’incubazione è quindi un periodo infruttuoso(ad esempio una vacanza o un momento di pausa), in cui l’inconscio può rielaborare e riformulare alcuni aspetti del problema, che fino ad allora analizzato dal punto di vista cosciente non sembrava avere alcuna soluzione. L’incubazione risulta quindi essere un intervallo di tempo, in cui il lavorio inconscio riesce a sbloccare la situazione mentale di stallo precedente. ILLUMINAZIONE: Sempre Poincarè scrive: “…arrivati a Coutances, montammo su un trenino per non so quale passeggiata; nel momento in cui mettevo piede sul predellino, mi venne l’idea, senza che niente nei miei precedenti pensieri sembrasse avermici preparato, che le trasformazioni che avevo usato per definire le funzioni di Fuchs fossero identiche a quelle della geometria non euclidea.”
VERIFICA: è il momento in cui viene controllata tramite la logica e la sintattica della disciplina l’intuizione precedente.
E’ ora il caso di definire in cosa consiste la ricerca scientifica. Lo scienziato P. B. Medawar ne “I limiti della scienza” scrive che “l’arte della ricerca scientifica è l’arte del risolvibile”. Il matematico J. Hadamard, nel suo libro “La psicologia dell’invenzione in campo matematico” fa una distinzione basilare tra scoperta ed invenzione: “la scoperta riguarda un fenomeno, una legge, un ente già esistenti, ma che non erano stati percepiti. Colombo ha scoperto l’America, che esisteva prima di lui; al contrario, Franklin ha inventato il parafulmine: prima di lui non c’era alcun parafulmine”. La maggior parte della ricerca scientifica quindi si può desumere, quando approda a dei risultati, giunge a delle scoperte, più raramente a delle invenzioni. Altri contributi fondamentali per quel che riguarda lo studio della creatività sono il pensiero produttivo della scuola Gestalt ed il pensiero divergente di Guilford. Il pensiero produttivo di Werthmeir “consiste nel rendersi conto delle caratteristiche strutturali della situazione-problema e delle esigenze di miglioramento che vi sono implicite[Rubini, “La creatività]. Il soggetto giunge quindi alla soluzione del problema, dopo averlo ristrutturato cognitivamente(insight), dopo averlo riorganizzato, ridotto ai termini essenziali e di conseguenza anche semplificato. Per Guilford invece esistono sostanzialmente due stili di pensiero: il pensiero convergente ed il pensiero divergente. Per risolvere problemi che hanno un’unica soluzione è necessario il pensiero convergente, che non richiede nessun tipo di originalità e di apertura mentale. Il pensiero divergente invece partendo da una traccia iniziale conduce ad una molteplicità di idee originali e diverse tra di loro. Non esiste una soluzione giusta e nei tests di pensiero divergente è premiato chi ha più idee indipendenti
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