domenica 4 maggio 2008

SACRA NUPTIALIA: RITI NUZIALI NELL'ANTICA ROMA

a cura DI D. PICCHIOTTI

Le componenti simboliche
Gli antropologi interpretano l'episodio del ratto quale trasposizione in chiave storico-narrativa di un rito di fertilità che doveva svolgersi, probabilmente, al tempo della mietitura e che prevedeva la reciproca cessione delle donne da parte degli uomini. Una trasmissione del rito sarebbe peraltro attestata anche in età moderna dalle celebrazioni coincidenti con il solstizio d'estate che, in Sardegna e in Sicilia ad esempio, combinano insieme i festeggiamenti per la raccolta delle messi e quelli nuziali; e ancora dalla festa toscana dei Tralli, durante la quale i contadini si scambiano delle bambole. La cessione di un oggetto simbolico, a garanzia del patto matrimoniale, è del resto attestata, secondo Georges Dumézil dal cosiddetto vaso di Duenus, un kérnos di foggia greca a tre scomparti, destinati alle diverse offerte votive. Il vaso reca incisa una iscrizione, databile alla fine del VI sec. a.C., e decifrabile, ad opinione dello studioso, in chiave di vero e proprio contratto: "Colui che mi invia giura, in nome degli dei, che, se la ragazza non avrà con te facili rapporti e non si dimostrerà docile, farà in modo che tra voi si ristabilisca l'accordo". Cerimonie matrimoniali: la condizione della donna nell'ambito familiare
"Olim itaque tribus modis in manum conveniebant: usu, farreo, coemptione" (Gaio, Institutiones Iuris Civilis, I, 110). Confarreatio è una vera e propria cerimonia ufficiale, celebrata alla presenza del flamine di Giove; coemptio e usus sono invece ufficiati medianti rituali privati e posti sotto la protezione di Giunone Lucina. Nel corso dei secoli, il momento delle nozze si svolge secondo un rituale drammatizzato, cui vanno riconosciuti alcuni elementi spettacolari: vestita di bianco, con il flammeum, un velo arancione posto sulla acconciatura ripartita in sei ampie ciocche, al calar della sera, la futura mater familias finge di aggrapparsi alle braccia della propria madre, dalle quali è strappata a forza, mentre musici, suonatori e portatori di torce formano un corteo, per accompagnarla alla casa dello sposo. Lungo il tragitto sarà scortata da Domiduca e Iterduca, divinità preposte a condurla verso la nuova dimora; appena giunta, Domitius la tratterrà e Manturna e altri numi la renderanno docile nei confronti del marito. Lo stesso flammeum ha una valenza simbolica, perché rappresenta la rinuncia alla libertà e la reclusione fra le pareti domestiche. Il dato testuale, che colpisce l'attenzione degli allievi, è la ricorrenza della tematica riguardante il possesso maschile in riferimento alla femmina, sempre stigmatizzata, soprattutto nelle massime, dalla paura di insidiosi rivali. "Maximo periculo custoditur quod multis placet" (Publilio Siro, Sententiae, 18). Si tratta di una suggestione latente anche nell'immaginazione delle giovanissime alunne che suscita fantasie riposte e accende emozioni improvvise, curiosità legate alla rievocazione della civiltà antica, recepita secondo una possibile chiave di lettura consonante. Le ragioni del divorzio Un altro aspetto delle consuetudini romane che colpisce l'attenzione delle studentesse è relativo alle motivazioni che riguardano il ripudio della donna, un comportamento diffusosi tardivamente in età repubblicana e assai spesso biasimato, anche quando la motivazione addotta dall'uomo concerne la sterilità della donna e dunque un pur legittimo desiderio di prole: "Repudium inter uxorem et virum a condita Urbe usque ad vicesimo et quingentesimum annum nullum intercessit.Primus autem Sp. Carvilius uxorem sterilitatis causa dimisit. Qui, quamquam tolerabili ratione motus videbatur, reprehensione tamen non caruit, quia ne cupiditate quidem liberorum coniugali fidei praeponi debuisse arbitrabantur" (Valerio Massimo, Factorum ac dictorum memorabilium, II). Spesso la donna viene ripudiata prima ancora che abbia commesso un vero e proprio adulterio: è sufficiente che compaia in pubblico a capo scoperto, evidentemente, secondo il rigoroso punto di vista del marito, per attrarre gli sguardi maschili: "Horridum C. Sulpicii Galli maritale supercilium. Nam uxorem dimisit quod eam capite aperto foris versatam cognoverat". Oppure basta che la consorte sia colta in flagrante, mentre parla con una liberta di dubbia morale: "ut potius caveret iniuriam quam vindicaret"... meglio prevenire l'offesa che vendicarla, commenta Valerio Massimo! Sottrazione delle chiavi di cantina: anche questa manchevolezza, valevole affinché un uomo pretenda e ottenga un immediato divorzio, implica alcune osservazioni e ampliamenti, alla scoperta delle motivazioni che riguardano norme di comportamento e principi morali. Infatti, nel mondo antico, l'ebbrezza femminile è demonizzata non solo in quanto indice di corruttela dei costumi, ma altresì perché l'assunzione del temetum, vino puro, è collegabile alle pratiche sacrificali in onore degli dei. In tal senso il divieto si sposta dal piano antropologico quotidiano all'ambito della emarginazione religiosa. "Ecastor lege dura vivont mulieres / multoque iniquiore miserae quam viri" (Plauto, Mercator, 817-818). La battuta pronunciata da Sira, nella commedia Plautina, sottolinea la disparità della legge a tutto vantaggio dell'uomo che, peraltro, può tradire impunemente la moglie. L'eventualità che la normativa giuridica stabilisca regole uguali per tutti è ritenuta una speranza irrealizzabile, come evidenzia il ricorso al congiuntivo imperfetto proferito da Sira in un'altra battuta: "Utinam lex esset eadem quae uxori est viro" (Plauto, Mercator, 823). D'altra parte, lo stereotipo della moglie invadente e assillante, delineato secondo il punto di vista maschile, ricorre in molte scene teatrali e nelle satire, pertanto nei generi testuali che accolgono le istanze dell'iperrealismo quotidiano. Ad esempio, Giovenale dissuade gli amici dal contrarre matrimonio, fornisce una casistica dettagliata relativa ai fastidi procurati dalle consorti e mette in risalto le molestie derivanti specialmente da una moglie intellettuale, saccente e verbosa al punto da zittire persino i professionisti della parola: "Cedunt grammatici vincuntur rhetores omnis / turba tacet..."(Satirae,VI, 438-439). E l'opinione non sembra essere isolata, se anche Marziale si augura di incontrare come compagna di vita una "...non doctissima coniux" (Epigrammata, II, 90). Una donna chiamata moglie Dalla parola aulica coniux, alla più usuale uxor, l'asse paradigmatico, riferito all' Io femminile in rapporto al Tu maschile, si presta alla varietà dei registri comunicativi e delle sfumature semantiche: coniuga, nupta, nuptula, sponsa... Esaminando i testi latini, gli allievi prendono nota dei termini, ne studiano l'evoluzione in senso diacronico, grazie alla consultazione di alcuni repertori etimologici, e stabiliscono campi lessicali fra i vocaboli stessi. Analizzando, ad esempio, il significato delle due parole comprese nel nome Viriplaca, la dea che ricomponeva le liti fra coniugi, inferiscono la supremazia dell'uomo sulla donna, indubitabilmente sanzionato anche durante una cerimonia di riappacificazione come quella descritta da Valerio Massimo: "Quotiens vero inter virum et uxorem aliquid iurgi intercesserat, in sacellum deae Viriplacae, quod est in Palatio, veniebant, et ibi invicem locuti quae voluerant contentione animorum deposita concordes revertebantur. Dea nomen hoc a placandis viris fertur adsecuta, veneranda quidem et nescio an praecipuis et exquisitis sacrificiis colenda utpote cotidianae et domesticae pacis custos, in pari iugo caritatis ipsa sui appellatione virorum maiestati debitum a feminis reddens honorem" (Factorum et dictorum memorabilium, II, 1, 6). Il vagheggiamento di una donna dotata di obbedienza, obsequio raro, fedele ad un solo uomo, univira, e al contempo operosa, poiché "domum servavit lanam fecit", si coglie nelle rievocazioni muliebri descritte dalle epigrafi sepolcrali. La ricorrenza delle parole, selezionate secondo un intendimento celebrativo, descrive l'immagine femminile in base a un canone ideale, perciò consono alle aspettative maschili. Peraltro l'esistenza terrena di queste mogli esemplari si esaurisce nel giro di pochi lustri: giudicate idonee all'unione a partire dai dodici anni, raggiungono infatti eccezionalmente i quarant'anni di vita. Il Corpus Inscriptionum latinarum (C.I.L.) ci riporta, tra le altre, la memoria di Claudia, una signora vissuta nel I sec. a.C. e appartenente alla classe aristocratica:
Hospes quod dico paulum est adsta ac perlege.
Hic est sepulcrum haud pulchrum pulchrae feminae.
Nomen parentes nominarunt Claudiam.
Suum maritum corde dilexit suo.
Natos duos creavit. Horum alterum
in terra liquit alium sub terra locat.
Sermone lepido tam autem incessu commodo.
Domum servavit lanam fecit. Dixi. Abi.
Nel caso di Claudia, si possono riscontrare due indizi di segno antropologico che forniscono alla sua caratterizzazione una evidenza meno convenzionale rispetto ai molti altri ritratti stereotipati dell'epigrafia usuale: la conversazione brillante e l'incedere dignitoso. L'epitaffio di Rusticeia ricostruisce invece l'arco di una esistenza brevissima, conclusasi a 25 anni nel momento del parto:
Causa meae mortis partus fatumque malignum.
Sed tu desine flere mihi carissime coniux
et fili nostri serva communis amorem.
Nam meus ad caeli transivit spiritus astra.
In modo struggente si rivela una premurosa tensione affettiva, quale proiezione del dolore del marito che ha dedicato alla giovane defunta l'epigrafe e che immagina un estremo colloquio con la propria amata. Le altre donne: paelices e scorta L'avveduta morigeratezza delle coniugate lascia comunque spazio ad un'altra figura femminile: la paelex, ossia la donna che convive abitualmente con un uomo il quale, a sua volta, ha giuridicamente dominio sulla propria sposa in virtù del vincolo matrimoniale. La parola paelex, come ci informa Aulo Gellio, possiede una connotazione infamante. Dato il suo ruolo di concubina, le sono preclusi i luoghi sacri, infatti, in base ad una legge tradizionalmente attribuita al re Numa, ella non può toccare il tempio di Giunone e, nel caso l'abbia fatto, deve sacrificare un'agnella alla dea: "Paelex aedem Iunonis ne tangito si tangit Iunoni crinibus demissis agnum feminam caedito" (Aulo Gellio, Noctes Atticae, IV,3,3). Tra le fonti che stigmatizzano il comportamento femminile, si ricontra anche una testimonianza che fornisce una riflessione adatta agli uomini che dissipano il loro tempo nei piaceri carnali in compagnia di scorta, ossia di prostitute. "Omnis illis speratae rei longa dilatio est" per tali uomini il tempo che intercorre tra un piacere e l'altro è una lunga dilazione, commenta Seneca, e invece il tempo dell'amore è brevissimo, perché non sanno gioire di nulla "at illud tempus quod amant breve est et praeceps breviusque multo suo vitio; aliunde enim alio transfugiunt et consistere in una cupiditate non possunt. Non sunt illis longi dies sed invisi; at contra quam exiguae noctes videntur, quas in complexu scortorum aut vino exigunt!"(De brevitate vitae, XVI, 4) Di Fabia Zanas

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