venerdì 9 maggio 2008

dal pensiero positivo al pensiero creativo

a cura DI D. PICCHIOTTI

Come migliorare la propria vita, 
modificando il proprio sistema di pensiero
Il Pensiero Positivo nasce come esigenza di modifica e di miglioramento della qualità della vita che può avvenire in noi attraverso l'osservazione dei nostri pensieri.
La nostra mente lavora in continuazione seguendo degli schemi appresi dall'ambiente circostante, famiglia, scuola, lavoro, amicizie. Spesso però questi schemi causano un pensiero limitante che può condurre anche a degli stati di sofferenza in quanto non offrono degli spunti positivi riguardo alla vita.
Quante volte la sera al ritorno dal lavoro, o comunque al termine di una giornata si passa in rassegna quello che è successo ma di questo si ricorda solo gli eventi negativi, di tensione?
Anche questo è uno schema, pensare alle sole cose negative, e come schema può essere sostituito da uno migliore e più "CREATIVO" per la nostra esistenza.
Questi appunti sul modo di pensare sono una considerazione e non una critica a noi stessi. Uno dei concetti essenziali consiste nell'amare noi stessi, per quello che siamo, considerando che ogni cosa che abbiamo fatto fino ad ora era la migliore che potevamo fare in quel momento in base all'esperienza maturata.
Accettare questo ci permette di non auocriticarci, e di far giungere una maggior consapevolezza di prosperità nella nostra vita.
Come potrete leggere ne "I Punti di Forza" ognuno è responsabile delle proprie esperienze, e siccome ogni nostro pensiero crea il nostro futuro, possiamo fin d'ora provare a modificare gli schemi mentali a cui abbiamo ricorso fino

Molti avranno visto il film "L'attimo fuggente" e sicuramente ricorderete la scena degli allievi che salgono sopra la cattedra per avere un altro punto di vista. Trovare altri punti di vista significa rendere creativo ogni nostro pensiero e ogni nostro istante.
Per questo motivo molte persone che conoscono il pensiero positivo sono spinte attualmente a denominarlo CREATIVO, 
primo perché così si esce da una connotazione dualistica positivo-negativo secondo perché si dà al pensiero un'impronta neutra ma non limitante: creativo...
creativo di ciò che si ritiene utile ed importante per noi stessi. 
Lasciamo aperta la porta alle nostre enormi potenzialità, e ci accorgeremo che la nostra vita può guarire!
Una volta un amico disse parlando di una sua situazione: Questa è l'unica cosa bella di questo periodo.
Perché non dire: Questa è la prima cosa bella di questo periodo!
Non è mancanza di realismo, è semplicemente lasciare aperta la porta ad altre possibilità... la nostra mente riceverà così un messaggio creativo, apportatore, di nuove opportunità, invece di quello limitante.
Provando solo a cambiare questa frase potremmo comprendere che dietro al concetto: questa è l'unica cosa bella..., si potrebbero nascondere in realtà altre situazioni, altre emozioni, quali ad esempio quella di non meritare altre cose belle!
Cercando in ogni istante di essere coscienti di ciò che si pensa. Possiamo lavorare oltre che sul nostro aspetto mentale anche su quello emozionale, liberandoci così dei vecchi pensieri limitanti e creare in ogni secondo un miracolo nella nostra vita.

emozioni
Dal momento che la nostra cultura ammira l'approccio più maschile e razionale verso la vita, e disprezza il lato femminile, più portato ai sentimenti, tutti hanno imparato, in qualche misura, a nascondere i propri sentimenti, persino a se stessi.
Abbiamo imparato a seppellire la maggior parte delle nostre sensazioni nel profondo di noi stessi, e a mostrare al mondo soltanto quello che sembra sicuro, e generalmente non è molto.
La maggior parte di noi si sente particolarmente a disagio con i sentimenti comunemente considerati "negativi", come la paura, la tristezza, il dolore, la collera e la sensazione di essere feriti. In realtà non esistono sentimenti negativi.
Noi definiamo negativi le cose perché non le capiamo e quindi ne abbiamo paura. Tutti questi sentimenti sono naturali e importanti; ognuno ha una funzione significativa nell'esperienza umana. Invece di respingerli ed evitarli, abbiamo bisogno di esplorare e scoprire il dono che ogni sentimento ci offre.
I pensieri sono molto più collegati alla mente cosciente e alla volontà, mentre i sentimenti vengono da un luogo più profondo e meno razionale. In una certa misura possiamo scegliere coscientemente i nostri pensieri, ma l'unica scelta che abbiamo riguardo ai nostri sentimenti è il modo in cui affrontarli.
Per esempio, la persona che è stata licenziata potrebbe scegliere di crogiolarsi in pensieri critici o vendicativi sul suo capoufficio, oppure concentrarsi su pensieri che riguardano la ricerca di un altro lavoro.
Ma le emozioni sottostanti di rabbia e di paura rimangono lì, immutate. La persona può scegliere se affrontare queste sensazioni rimanendo seduto in casa in preda alla depressione, oppure andando in ufficio a gridare contro il capo oppure sfogandosi con un amico o un terapista, per poi andare in cerca di un nuovo lavoro.
In altre parole, può reprimere i suoi sentimenti, sfogarli, oppure esplorarli esprimerli, accettarli, e infine trovare un modo di agire appropriato per prendersi cura di se stesso.
Permettendoci di riconoscere e di vivere i nostri sentimenti quando si presentano, sviluppiamo gli strumenti per rimanere in contatto con essi.
È importante entrare in contatto con i bisogni che si trovano sotto le nostre emozioni e imparare a comunicarli con efficacia. Al di sotto della maggior parte delle nostre emozioni si trovano le nostre esigenze basilari di amore, accettazione, sicurezza e autoconsiderazione.
Abbiamo bisogno di conoscere il bambino vulnerabile che vive ancora nel profondo di noi, e di diventare il genitore affettuoso di cui il nostro bambino interiore ha bisogno.
I nostri sentimenti sono una parte importante della forza vitale che si muove costantemente attraverso di noi. Impedendo a se stessi di vivere appieno le proprie emozioni, si interrompe il flusso naturale della forza vitale.
L'energia viene bloccata nel corpo fisico e può rimanere così per anni o addirittura per tutta la vita, finché non viene liberata. Questo stato genera dolore emozionale e fisico, e malattie.
Sentimenti repressi = energia bloccata = malattie emozionali e fisiche.
Accettare le nostre emozioni, concederci di viverle e imparare a comunicarle in modo costruttivo e equilibrato, fa sì che scorrano facilmente e naturalmente attraverso di noi. Così la forza vitale fluisce senza impedimenti attraverso il corpo fisico, e produce la guarigione emozionale e fisica.
Vivere i sentimenti = fluire libero dell'energia = salute e benessere emozionale e fisico.
Mi piace usare l'analogia che paragona le nostre emozioni alle condizioni meteorologiche, in costante trasformazione a volte buie, a volte luminose, a volte violente e intense, altre volte calme e tranquille.
Cercare di resistere o di controllare le esperienze emotive è come cercare di controllare le condizioni atmosferiche: il massimo della futilità e della frustrazione! Inoltre, se vivessimo solo giornate di sole alla temperatura esatta di 20 gradi, la vita sarebbe piuttosto noiosa.
Quando siamo in grado di apprezzare la bellezza della pioggia, del vento e della neve come quella del sole, siamo liberi di godere della vita in tutta la sua pienezza.
sensazioni
Dopo aver represso e bloccato le nostre sensazioni non possiamo metterci in contatto con l'universo insito in noi, non possiamo prestare ascolto alla nostra voce intuitiva e non possiamo certo godere di essere vivi.

Quando sorvegliamo le nostre sensazioni impediamo all'energia vitale di fluire attraverso il nostro corpo. L'energia di queste sensazioni represse e inespresse rimane bloccata nel nostro corpo e ciò causa sconforto emotivo e fisico e, a lungo andare, malattie e disturbi fisici. Diventiamo apatici, quasi fossimo morti.

Dopo aver sperimentato e liberato emozioni del passato, prima represse, un maggiore flusso di energia e di vitalità arricchirà la vostra vita. E' importante che impariate a essere in contatto con le vostre sensazioni non appena esse compaiono: in questo modo possono continuare a muoversi attraverso voi e il vostro canale rimarrà libero.
Le emozioni hanno una natura ciclica e, come il tempo meteorologico, cambiano costantemente. Nel corso di un'ora, di un giorno o di una settimana possiamo provare sensazioni diverse.
Se capiamo ciò, possiamo imparare ad apprezzare tutte le nostre sensazioni e permettere loro di continuare a cambiare.
Ma quando temiamo alcune sensazioni, quali la tristezza o la paura, inizieremo a usare i nostri freni emotivi non appena ne avremo la percezione. Non vogliamo percepirle completamente, così ci fermiamo a metà strada senza completare l'esperienza.

Tendiamo a considerare dolorose alcune sensazione e, quindi, vorremmo evitarle. Ho scoperto, tuttavia, che il dolore deriva realmente dalla resistenza a una sensazione.
A livello emotivo quel che ci provoca dolore è la nostra resistenza a una sensazione "negativa". Mentre, se permettiamo a noi stessi di percepirla e di accettarla totalmente, essa diventa una sensazione intensa, non una sensazione dolorosa.

Non vi sono molte sensazioni "negative" o "positive": noi le rendiamo tali, a seconda che le rifiutiamo o le accettiamo. Per me, tutte le sensazioni sono parte dell'indicibile e mutevole sensazione di essere viva. Se amiamo tutte le differenti sensazioni, esse ci appaiono come i colori dell'arcobaleno della vita.
Se vuoi lavorare sulle emozioni praticamente, ecco due visualizzazioni:
Una per guarire a livello emozionale e l'altra è una risorsa di consolazione per i periodi in cui ti senti stancho, freddo e vuotoi, anche per una vecchia ferita, o per un piccolo ostacolo momentaneo della tua vita.

(da Di risentimenti innumerevoli, op. cit.).
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1) Editoriale, in «La Parola Abitata», n. 3, cit., retro cop.
2) Ibidem.
3) È nato a Firenze nel 1953, ma vive e lavora a Napoli. Ha pubblicato: Né il sogno né il vero (Ed. Terra del Fuoco, Quarto-NA, 1988); Cavallo Imperatondo (Colonnese, Napoli, 1989). È presente nelle antologie Tangram (Marotta, Napoli, 1985); Poeti degli anni '80 (Edizione Levante, 1993); Le strade per l'India (Edizioni Le Pleiadi, 1993). È stato redattore della rivista "Terra del Fuoco" e vicedirettore di "Pragma". Poeta-performer, ha rappresentato in diverse città italiane, recitals di poesie Né il sogno né il vero (1991), Cavallo Imperatondo (1992), Semaforo Verde e Gelato di Lillà (1995), con musiche di Sandro Cerino, Giorgio Liguori e Alessandro Petrosino.
4) È nato a Napoli nel 1951. Ha trascorso l'infanzia e l'adolescenza in Tunisia, frequentando scuole francesi. Torna a Napoli nel 1965 dove vive e lavora. Con lo pseudonimo di "Sasade" ha pubblicato poesie satiriche sul «Quotidiano dei Lavoratori».
5) Walter Siti, Introd. ad Aa. Vv., Nuovi poeti italiani n. 3, Einaudi, Torino, 1984, p. VII.
6) È nato a Napoli nel 1965. Redattore della rivista «Risvolti», ha pubblicato le raccolte di poesia Noemata (Napoli, 1988), Organon (id., 1990) e con G. Moio L'uomo dagli occhi rosa (Edizioni Riccardi, 2000). Con lo stesso ha ideato e curato una rivista murale, in forma di manifesto di scritture anarkoff e i «Fogli di Risvolti». È presente con la silloge Ierogramma, nel volume pubblicato con P. Della Ragione, lo stesso Moio e M. Papa Ruggiero, Locus solus. La babele capovolta (Ed. Riccardi, 2001).
7) È nato a Napoli nel 1963, dove vive e lavora presso l'Università Federico II come tecnico elaborazione dati. Collabora e ha collaborato con numerosi settimanali, mensili, quotidiani, tra cui «Il Mattino» di Napoli. Ha pubblicato Luoghi visibili (Amadeus, 1993), La sete della favola (id., 1994). Ha inoltre pubblicato poesie su numerose riviste. È presente in numerose antologie, tra cui Melodie della Terra (Crocetti, 1998) e Vertenza Sud (Besa, 2001).
8) Raffaele Piazza, in Luoghi visibili, Amadeus, 1993.
9) È nato a Pratola Serra (AV) nel 1934. È stato professore e preside nei licei, quindi dirigente superiore per i servizi ispettivi del Ministero della Pubblica Istruzione. Per la scuola ha curato vari testi di impianto interdisciplinare, letterario o narrativo (p. es. Antologia di cultura contemporanea, Ed. Palumbo; Noi e gli altri, con C. Salinari, id.; Paese sommerso, id.). È stato 4 anni in Africa alle dipendenze del Ministero degli affari esteri (conoscendo anche il carcere), ha svolto un'ampia attività giornalistica (soprattutto su «Paese Sera»). Inoltre, ha tradotto vari libri, ha fatto il critico d'arte, si è impegnato in attività politiche e sindacali di base (consiglio di distretto, consiglio di quartiere, consiglio comunale) e scritto un testo teatrale, Omaggio a Gramsci. Di poesia, ha pubblicato: Catalepta (Ed. in prorpio, 1963); "e" (La Provincia Editrice,1968); Jetteratura (Lacaita, 1984); Quaderno a Ulpia. La ragazza in mantello di cane (Alfredo Guida, 2002); Haiku del loglio e d'altra selvatica verzura (id., 2003). Di narrativa: Irpinia sette universi cento campanili (ESI, Napoli, 1998); La casa di Santo Sasso (Sellino, 1993); Scuola che sballo (Alfredo Guida, 1997); Torneador e i suoi amici (2001). Di critica: La poesia di Éluard e la cultura italiana; Sistoli e distoli nella Divina Commedia; Alberto Savinio (Mursia, Milano, 1973); Novecento e tradizione (Palumbo, Palermo, 1975); Questioni e aspetti del futurismo. Con un'appendice di testi del futurismo a Napoli (Ferraro, Napoli, 1976); Libero Bigiaretti; Fortune italiane (Ferraro, 1979); Riccardo Ricciardi. Per un'editoria non seriale (Cassitto, Napoli, 1982); Vittorio Pica. La protoavanguardia in Italia (id., 1983); Futurismo a Napoli 1915-1928. Una mappa da riconoscere (id., 1984); Diego Valeri (Edizioni dell'Ateneo, Roma, 1985); Massimo Bontempelli. Per una modernità dalle pareti lisce (ESI, 2001); Capri futurista (Alfredo Guida, 2001).
10) È nato a Caivano (NA) nel 1938, dove ha vissuto prima della sua scomparsa avvenuta nel 2004. Ha studiato all'Accademia di Belle Arti di Napoli e, dal 1965, ha svolto ininterrotta attività di pittore con mostre in Italia e all'estero. Diversi sono i suoi interventi critici di pittura e scrittura: Le avventure di Telemaco e altro (1983); Eloisa e l'utopia dell'arte (1984); Un'estate di Virginie e ancora sull'utopia (1985). Di poesia ha pubblicato: Epilogo (Artepresente, Caserta, 1987); Di risentimenti innumeri (Ed. Terra del Fuoco, Quarto-NA, s.d.).
11) Stelio M. Martini, Lettera, in O. Faraone, Di risentimenti innumeri, op. cit., p. 5.
I dati relativi alle bibliografie dei poeti, in alcuni casi si riferiscono anche dopo il periodo di questa ricognizione,là dove sia stato possibile aggiornarli.
 

 
MARIA ARFÈ
A proposito di Orizzonti lontani. Intervista all'autore
 
Orizzonti lontani* è il titolo emblematico del primo libro di Vincenzo Di Bonito, orizzonti lontani nello spazio-tempo del nostro mondo, che Vincenzo ha esplorato con singolare e sapiente curiosità, e che egli ci presenta come un corpo concentrico che si dirama e si diversifica nelle sue accezioni: ambiente, clima, politica, religione, superstizione, sviluppo economico-culturale, senza mai perdere il contatto con il suo principio-scaturigine.
Con un linguaggio semplice e dettagliato il libro sotola il tempo viaggiando negli intriganti canali dell'Archeologia, e spaziando nell'Antrolologia sociologica, con singolare interpretazione.
Potremmo dire che esso si apre a forbice in questi due percorsi evolutivi: archeologico e antropologico.
D. È soprattutto in questo secndo percorso evolutivo, legato alla intelligenza umana, che il tuo libro, rispetto ad altri libri che hanno trattato gli stessi temi, si fa interessante, perché tu tratteggi, analizzi, interpreti e denunci l'operato umano, offrendo interessanti spunti di riflessione. Era, è questo il tuo scopo?
R. Fin da bambino, l'interesse per i viaggi, la curiosità circa le origini della terra e l'evoluzione delle specie viventi, hanno caratterizzato la mia esistenza. Ho studiato Etnologia, Paleontologia, Archeologia, fino a una vera e propria ricerca nell'Antropologia sociale, sustanziando quest'ultima, occupandomi di politica e, soprattutto, viaggiando; ricavando, dalla molteplicità dei miei interessi e dalla mia esperienza in politica, una mia personale analisi che ho racchiuso in questo libro per tutti coloro che vorranno leggermi.
D. Che cosa differenzia un uomo stanziale da un viaggiatore?
R. I miei studi intorno all'uomo mi inducono a pensare che si siano delle differenze genetiche tra l'uomo stanziale e il viaggiatore.
Lo stanziale è persona poco curiosa, legata alle sue abitudini, ai suoi comfort, con una visione limitata e circoscritta del mondo; al contrario, il viaggiatore è dominato da sana irrequietezza e vivace curiosità che lo spingono alla conoscenza di terre e culture diverse, per ampliare i suoi orizzonti e per meglio conoscere se stesso.
D. Ti definisci laico?
R. Se per laico s'intende definire coloro che - non importa se agnostici, atei o credenti -, rifiutano di fondare la politica, le istituzioni, la convivenza civile su basi teologiche, fedeistiche, tutti coloro che nel discorso pubblico fanno proprio un orizzonte etico-culturale non "assoluto" che contempli la pluralità delle religioni, sì, mi definisco laico.
D. Pensi che il culto religioso, o le religioni in generale, costituiscano motivi di oscurantismo e ostacolo nel campo delle ricerche umane e scientifiche?
R. Penso che la risposta si possa ricavare dalla risposta precedente.
D. Nel tuo libro usi la parola "piramide" per definire, con una immagine propria, l'ordinamento gerarchico ed economico-culturale nelle società umane. Possiamo dire, a questo proposito, che New York è la punta della piramide?
R. Penso di sì. Oggi New York rappresenta la forma più avanzata del modello di civiltà occidentale e, tenendo conto della sempre più rapida globalizzazione mondiale, mi sento di affermare che, nel bene e nel male, New York è la punta della piramide.
D. Penso che l'epoca che stiamo attraversando, confusa e con una preoccupante caduta di valori, compreso quello della vita, assomigli a un moderno Medoevo. Sei d'accordo?
R. Se per Medioevo intendiamo un'epoca di transizione, nella quale, tuttavia, sono presenti moti e sussulti di rilevanza artistico-culturali in forma confusa, possiamo allora paragonare la nostra epoca, in bilico tra caduta di valori, terrori e conflitti bellici disseminati nel mondo, a un moderno Medioevo.
D. In questo nostro mondo multiculturale e in rapida trasformazione, verso quale forma sta viaggiando la famiglia?
R. La famiglia si trasforma seguendo i cambiamenti e l'evoluzione dell'assetto sociale. Pensiamo al ruolo della donna oggi, rispetto a quello che aveva agli inizi dello scorso secolo (pilastro della famiglia), e confrontiamo la famiglia di allora con quella odierna: allargata e contaminata da modelli familiari di altre culture. Certamente - e me lo auguro -, che essa, la famiglia, rimanga un microcosmo, il cui concetto si allarghi allo Stato e alla Nazione. Ma, ahimé, in un mondo in rapida trasformazione, è inimmaginabile la forma che avrà la famiglia tra cinquanta, cento e più anni.
D. Il tuo libro abbraccia la storia della terra dal suo inizio fino ai nostri giorni ed appare esaustivo in sé. Di cosa ci parlerà il prossimo?
R. l mio libro parte dalle origini dell'umo e si ferma alla nascita dello Stato. Nei prossimi due (penso a una trilogia), esplorerò il campo delle religioni, della loro matrice, delle differenze tra esse, del variopinto gioco superstizioso ad esse connesso e, soprattutto della loro influenza sulla politica e sullo Stato.
* Edizioni Riccardi, Quarto-Napoli, 2005.
 

 
CARLO DI LIETO
Luigi Pirandello pittore: «Seduto davanti al vero, egli analizzava col pennello»
 
«Stupida la natura!
E lei perché la dipinge? gli dissi, rdendo. È già… è
proprio per questo… mi rispose, scrollando più volte il
capo».
Rosso di San Secondo, Pirandello tra i castagni, p. 96
 
Pirandello nutre un grande interesse per le arti figurative e una vera predilezione per la puttura impressionistica. Gaspare Giudice nota che «la pittura e il disegno avevano attratto un tempo Pirandello, che soleva riempire i sui appunti di figure e di paesaggi veristici, e sempre, fin quasi alla morte, godette, durante le pause estive, di tenere i pennelli. Così anche Fausto sembrava essere in qualche modo una continuazione del padre». Emilio Cecchi ci informa che «pochissimi sanno che Pirandello, insieme a tante altre cose, s'applicò anche a dipingere». La sua visione di critico d'arte è, invece, espressa in Saggi, Poesie, Scritti Varii (1973): «Ecco lì un pittore che è affetto da ambliopia isterica, Edoardo Gioja. Ecco un altro, che vede tutto tremolante e sfolgorante, il Cortese, affetto da tremolio della pupilla. E quest'altro qui sembra ammalato di acromatopsia: dipinge tutto col fango […] ritrae in finissimi pastelli le scene più semplici e pure della Natura? Ma perché egli diffonde tanta e così intensa malinconia in qei suoi pastelli viventi, da restarne e con pari intensità, compreso chi li ammiri, quantunque in essi non sia artificio alcuno di colori deprimenti? […] nessuna figura umana; e pur l'uomo c'è nella mestizia del pittore, che egli ha contemplati e ritratti; e questa mestizia par che muova dai laghi, dalla terra, che pur vi sorride innanzi nella sua bellezza. Si direbbe quasi che il pittore abbia ascoltato la voce della terra, una parola d'amore della madre dolente. […] Cerchiamo in lei ciò che ella non può darci: l'amore - ma questo né ci fa ricchi, né ci appaga […] nelle cupe smanie dell'impotenza dispregiamo noi stessi e la terra, che pure ogni anno per noi si rinnova e pare che per noi voglia celar le rughe coi fiori. L'uomo strappa quei fiori e s'incorna di spine […] Non son fatte per noi le primavere». Il giudizio del critico fa inravedere la concezione del pittore: «Il pensiero del pittore è una visione; la logica del pittore è, per così dire, il giuoco espressivo d'una luce che ora splende ora s'attenua, e i suoi sentimenti hanno un colore, una forma, o meglio, il colore e la frma sono per lui sentimenti…».
Il pittre-narratore, ne Il turno, enuclea queste immagini dai suoi paesaggi: «In quella campagna […] Ora vi crescevano gli alberi, intorno ai due templi antichi, soli superstiti; e il loro fruscio misterioso si fondeva col barbagliare continuo del mare in distanza e con un tremolio sonoro incessante, che pareva derivasse dal lume blando della luna nella quiete abbandonata». Il paesaggio riflette, in uno spazio e in un tempo metastorico, il silente stato d'animo dell'autore, colpito da no stato di grazia, la suggestione trasforma le emozioni in un bozzetto pittorico: «E poi del mare sconfinato, in fondo d'un aspro azzurro. Il bosco stormiva agitato sotto le grevi nubi lente, pregne d'acqua, e vibravano in alto, le punte dei colossali cipressi sorgenti in mezzo ai mandorli e agli olivi come un vigile drappello a guardia del tempo antico».
Tutto sfuma nell'indistinto; il vasto scorcio del paesaggio agrigentino, del mare africano, delle argille azzurre e degli olivi saraceni, dà alla natura una visione rassenerante da idillio teocriteo, quasi di una realtà pre-logica. Egli tra/scrive sulla pagina l'incanto del giardino primaverile: «Il vago fermento di sottili profumi e lo splendore del verde nuovo, che dilaga nei prati, brilla con vivacità così eccitante in tutti gli alberi intorno; strani fili di suoni luminosi avviluppano: improvvisi scoppi di luce stordiscono; lampi […], felici invasioni di vertigine» 1. Non c'è alcuna deviazione o divergenza tra la scrittura e la pittura pirandelliana, ma un'osmosi che rivela una sostanziale compenetrazione. L'armonia della natura infonde tranquillità al suo animo tormentato; il giardinetto sottostante al suo studio è così descritto nei Colloqui con i personaggi: «… il mio giardinetto, tutto ridente e squillante, in quei giorni di maggio, di rose galle, di rose bianche, di rose rosse e di garofani e di geranii […] i cipressi e i pini di Villa Torlonia dirimpetto, dorati dal sole, abbagliati sotto l'intenso azzurro del cielo […] il fitto cinguettìo degli uccelli felicemente nati con la stagione e il chiocciolìo della fontanella del mio giardinetto!». In una lettera autobiografica del 1924 Pirandello fa notare: «Insegno, purtroppo, da quindici anni Stilistica nell'Istituto Superiore di Magistero Femminile. Dico purtroppo, non solo perché l'insegnamento mi pesa enormemente, ma anche perché la mia più viva aspirazione sarebbe quella di ritirarmi in campagna a lavorare». La natura, che trasmette serenità, è una costante della sua pittura e traspare da molte novelle: Padron Dio, Il vitalizio, Vittoria delle formiche, Cinci, Chiodo, Fortuna d'essere cavallo; il narratore-pittore rinasce "attimo per attimo". Impedisce che il pensiero si metta «di nuovo a lavorare, e dentro rifaccia il vuoto delle vane costruzioni». Il pensiero dell'artista spazia «in un bel cielo azzurro pieno di sole caldo tra lo stridio delle rondini  nel vento nuvoloso» e rinasce «nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori» 2. La radicale lontananza da tutto comporta l'immedesimazione nella natura come rifugio ideale e rimedio alla crisi d'identità di tanti personaggi: Il dovere del medico, La ragione degli altri, L'altro figlio, La Sagra del Signore della neve, La Giara, Liolà, e i colori, fortemente connotati, soddisfano un bisogno profondo di serenità nell'identificazione panica della Terra-Madre. Secondo Antonio Alessio, Pirandello si accosta «alla natura non per una benefica, riposante distrazione o per ritrarne la bellezza, ma per interrogarla, coglierne l'anima, il segreto». Quando l'artista si impone "un silenzio di cosa", dal suo io si leva un sentimento forte di attrazione verso una natura pacificatrice e tutta l'esistenza sembra consistere nello stupore di un'estasi contemplativa. Il giovane pittore Elj Nielsen di Trovarsi si ritira, in disparte, per cogliere empaticamente la propria identità nel paesaggio: «Quando sono solo, sul mare, in campagna coi miei colori, insomma e all'aperto - anche se ho contrarietà o c'è rischio di affrontare - non mi perdo, ci vado incontro, e sono lieto. […] i sarà avvenuto qualche volta - non sai come - non sai perché - di vedere all'improvviso la vita, le cose, con occhi nuovi e con l'anima tutta spalancata in un senso di straordinario stupore». Sotto il suo pennello domina un'aura che riempie l'anima dell'osservatore di un'intensa emozione: è un modo di disegnare particolarmente vicino alla pittura degli impressionisti. La realtà non viene mai idealizzata, l'immagine diretta è colta nell'immediatezza naturale attraverso dissolvenze prospettiche; la libertà di esecuzione è quella di un sognatore, che guarda il mondo e tenta di capirlo con l'intensità dell'abbandono. Il languore si espande dagli accordi cromatici, che sono abilmente sfumati in una con/fusione di realtà/finzione; la visione rassicurante della campagna è osservata dal vano di una finestra in Questa sera si recita a soggetto: «una sola, piccola, aperta alla vista della lontana campagna e del mare lontano», oppure all'Uscita, l'Uomo Grasso ricorda: «Vedo ancora il giardinetto della mia casa al sole. Un tappetino verde, alla finestra. La vasca, con lo specchio d'acqua in ombra […] Le piante attorno guardano attonite i circoletti che s'allargano nell'acqua silenziosi. Io sono là, tra il respiro fresco delle nuove foglioline, come una vecchia foglia morta che non sappia ancora staccarsi». La cristallizzazione di un istante di Vita si dilegua in pochi attimi: il colore per Pirandello non è solamente vibrazione di luce, ma materia creatrice di spazi; la sua pittura sembra oltrepassare la tela e il paesaggio possiede una sua corposità di immediata presa psicologica. Talvolta, il pacere derisorio del disegno trascura volutamente il colore, in quanto volti che sbuffano o smorfie grottesche disvelano un attento studio dal vivo, per far risaltare nei volti disincarnati il continuum della Vita al di là della Forma.
La delicata posa dei personaggi, con i loro sguardi penetranti, è dominata da una monocromia di fondo, dove l'introspezione appare negli occhi carichi di perplessità di alcuni ritratti. La sua tecnica si perfeziona con i disegni preparatori delle scenografie teatrali o con gli abbozzi di scena; il ritratto si anima, poi, di una consistente vita interore, pronta a deflagrare con tocchi rapidi e sicuri: la vibrazione psicologica cela un segreto a lungo trattenuto dall'artista. Pirandello non progetta i suoi dipinti, perché intende la pittura come un atto naturale, rapido ed incisivo, accostando i colori alla stessa gamma cromatica della realtà, in modo da conservare la tonalità pura e naturale delle cose rappresentate. Pur riscoprendo la vita attraverso la natura, egli tenta di coglierla fino in fondo, anche se mantiene di fronte ad essa il dovuto distacco; la sua pittura come la sua scrittura colgono nelle immagini gli scenari della memoria e la coscienza divisa dell'io.
L'altrove irrompe come autoriflessione e l'immedesimazione empatica disvela l'universo intenzionale dell'artista e la sua componente proiettiva; l'interazione fantasia/tensione emotiva libera nella pittura "la logica" del fantasma. La tensione tra il reale e l'immaginario produce un forte straniamento, che, talvolta, fa riflettere sulla scarsa affidabilità del reale, ma il ricorso all'irreale esorcizza ciò che si teme e allontana le inquietudini e le insidie del quotidiano. La finzione artistica genera un'associazione di idee, che, per espansione, confluisce nell'atto creativo. Il forte realismo genera una rete di significati, che esplorano il fondo segreto del sé, trasmutando in colori e luce "la disarmonia interiore". Il travestimento nella pittura statuisce una regressione delle capacità sintetiche della coscienza e l'esperienza del ricordo rivela contenuti inconsci dell'artista e un sistema di strutture significanti in cui la vita pre-razionale trova la sua espressione. E.H. Gombrich rileva che Freud ha dato «sempre per scontato che quello che dobbiamo cercare nell'opera d'arte è il massimo contenuto psicologico delle figure stesse. Che questa convinzione non venisse mai meno lo scopriamo nel secondo saggio di Freud sull'arte, lo studio sul Mosé di Michelangelo». Una corrispondenza biunivoca lega la scrittura pirandelliana alla pittura: in essa riappaiono i motivi ricorrenti della sua poetica. Egli lavora con la stessa tecnica del découpage, del ritaglio e dell'accostamento degli opposti. La pittura è un momento di sedmentazione e unitamente alla critica d'arte ha un peso tutt'altro che secondario nella sua formazione; l'esercizio pittorico riemerge, però, trasformato, nella coscienza pirandelliana: tutto sembra diretto da un magico stato di grazia, capace di trasmutare la realtà, perché il contatto immediato che il quadro sa dare, con i suoi effetti di luce, con i suoi colori e le sue linee, trasmette una tensione drammatica che va al dià dell'arcana presenza della natura. Il dramma del pensiero si vanifica e subentra una spazio figurativo che metabolizza la conflittualità psichica.

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