mercoledì 21 maggio 2008

Creatività e diversità

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

Un binomio difficile quello che lega la creatività alla disabiltà, che altro non è se non l’espressione di una differenza, di una diversità che si coniuga con l’unicità di ciascuna persona. San Tommaso ricordava che la singolarità di ogni essere umano è ciò che vi è di più nobile in tutto l’universo e l’espressione creativa rappresenta una delle numerose sfaccettature di tale singolarità, che è anche irripetibilità, unicità, originalità.
Per il disabile, la cui diversità si lega ad una complessa interazione tra le condizioni della sua salute, i fattori personali ed ambientali [1], è un diritto, esprimere questo modo di essere unico al mondo attraverso le forme a lui più congeniali, mettendo in moto canali comunicativi a lui stesso spesso misconosciuti.
L’espressione pittorica, scultorea, teatrale, musicale, poetica, sono soltanto alcuni dei possibili campi su cui giocare la sfida della creatività come forza profonda che bussa alla porta di ognuno di noi, aspettando soltanto che qualcuno possa farla entrare.
Quando parliamo di creatività, il pensiero rimanda subito ai numerosi studi condotti da M.Mencarelli negli ultimi decenni del secolo trascorso, i quali trovano un filo conduttore nella creatività come prerogativa di tutti gli esseri umani, non soltanto dei pochi “geni”, artisti e scienziati che raggiungono il livello massimo di espressione creativa. Potenzialmente tutti gli uomini sono creativi, lo sono anche le persone disabili,  unica ma essenziale condizione affinché questa possa essere estrinsecata, è quella di educarla, sin dai primi anni di vita, a cominciare dalla famiglia e la scuola [2].
La creatività come prospettiva, come traguardo formativo possibile ed auspicabile da tutti, purchè messi nelle condizioni di poterlo fare. Come? Attraverso una educazione che lascia aperte le porte dello slancio attivo e propositivo, presente  soprattutto nei  bambini che avvertono il bisogno di esprimersi attraverso un gesto grafico, un movimento del corpo, una parola, anche se spesso considerati scomodi ed inopportuni.
Per alcuni bambini disabili tali canali comunicativi possono essere compromessi dal deficit, per questo è necessario agire dove ancora è possibile farlo, su quelle aree non ancora compromesse. Questo è ciò che la pedagogia speciale ha fino ad ora accreditato come educazione compensativa, una educazione che mira al rafforzamento e allo sviluppo di funzioni, abilità e potenzialità ancora intatte e pienamente funzionanti. Capire dove si annidano le potenzialità della persona disabile è il grande compito che spetta all’educatore che, di fronte all’allievo, deve saper trarre da questo “il meglio” di sé in quanto persona.
L.S.Vigotskij ha indicato che ciò è possibile riuscendo a lavorare all’interno di una zona di sviluppo prossimale, dove, all’esecuzione di un compito supportato da una figura  adulta (problem solving guidato), deve progressivamente sostituirsi lo svolgimento del medesimo, avvenuto autonomamente (problem solving autonomo).  Lo sviluppo deve essre, dunque, anticipato e ciò permetterà di capire fin dove è possibile agire per realizzare adeguati obiettivi formativi.
La scuola, di ogni ordine e grado, garante di un insegnamento personalizzato, deve strutturare quello che H.Gardner chiama the bridge, cioè un ponte che permetta di indirizzare gli interventi formativi degli insegnanti verso le direzioni più consone a ciascun allievo. Così facendo, ogni persona sarà messa nelle condizioni di attivare al meglio il proprio tipo di intelligenza, sia essa di tipo linguistico, musicale, corporeo-cinesica, spaziale, matematica,  intrapersonale, interpersonale, naturalistica o esistenziale[3].
Per Gardner si può essere creativi soltanto in un’area specifica delle sue multiple intelligenze, non esiste un talento globale che rende creativi in tutto, ma creatività espresse, per ciascuno, nel proprio settore. Da questa idea nasce, infatti, il suo celebre saggio sulle intelligenze creative in cui presenta la biografia di grandi personaggi come Gandhi, Picasso, Einstein, Freud, Virginia Wolf e molti altri, creativi per eccellenza [4].
L’essere creativi non nasce, dunque, da un improvviso insight cognitivo, da una inaspettata scintilla che fa prospettare le cose in modo originale, ma è il risultato di un lento e rigoroso lavoro che richiede lunga preparazione, frustrazioni, incubazione di idee, immaginazione, fantasia[5], sino ad arrivare all’ “idea buona e nuova” di cui parlava K.Popper. Solamente in pochi riusciranno a raggiungere il livello creativo che Taylor chiamava  emergente, quello che contraddistingue i grandi personaggi menzionati da Gardner, i grandi geni creativi che sin dall’origine dei tempi sono sempre esistiti.
E’ singolare vedere come per alcuni di essi, ciò che ha decretato il loro successo e ha alimentato la loro anima creativa è stato un deficit, una patologia, un danno transitorio o stabile.
Molti sono gli esempi di personaggi illustri appartenenti al mondo della musica, della scienza, della letteratura, della pittura, della danza, dell’architettura.
Recentissima è una lista di artisti, compilata di Peter Wolf, direttore del Dipartimento di patologia e di medicina di laboratorio dell’Università della California di San Diego e appena pubblicata sulla prestigiosa rivista Archives of Pathology, la quale mette in relazione il loro stato di salute con le loro opere più famose.
Malattie, farmaci o droghe hanno da sempre condizionato la creatività degli artisti, il loro essere unici e capaci di esprimersi secondo canoni non razionalizzabili, sfuggenti, incomprensibili.
La ricerca passa in rassegna nomi importanti come quelli di Vincent Van Gogh, epilettico affetto da xantopsia, una malattia che determina una visione gialla degli oggetti bianchi e violetta di quelli scuri, come traspare in molti suoi quadri. Al pittore seguono altrettanti nomi illustri, come quelli del grande pittore, scultore, Michelangelo Buonarroti, affetto da sindrome maniaco-depressiva che proiettava nelle sue numerose opere (il volto di Jeremiah, una delle oltre quattrocento figure che affrescano la volta della Cappella Sistina, sembra che sia il “ritratto della malinconia”). Edvard Munch, pittore norvegese autore del celeberrimo quadro “L’urlo”, esprime, attraverso quel volto la sofferenza del proprio disturbo psicotico. Benvenuto Cellini, uno dei più grandi scultori di tutti i tempi, rappresentò la malattia da cui era affetto, la sifilide, in una delle suo opere maggiori. Il compositore Louis Hector Berlioz fumava oppio per stimolare la creatività e molte delle sue sinfonie furono composte proprio sotto l’effetto di questa droga.
Questi, soltanto alcuni dei grandi  geni creativi che affollano una lunga lista a cui potremmo aggiungerne sicuramente altri come quelli del letterato Ernest Hamingway, del compositore L.V.Beethoven, del musicista Ray Charles e molti altri ancora. Per ognuno di questi, la diversità ha originato creatività, forme magnifiche di espressione che hanno regalato e regalano ancora oggi, a tutti la possibilità di godere di un grande dono, quello di poter godere del bello e della bellezza, che l’arte sa esprimere.diAnnalisa Morganti

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