mercoledì 21 maggio 2008

Dalla fame del medioevo nasce la cucina creativa

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

La cucina dei nostri giorni ci da gioia, coinvolge i sensi a cominciare dalla vista che gli chef moderni stimolano dipingendo con maestria piatti con perfetta sequenza cromatica; eppoi i profumi non di certo lasciati al caso e abbinati, assieme ai sapori e alle sensazioni tattili, a vini, birre, e acque di diversa provenienza. Sicuramente i nostri antenati dell'età di mezzo avevano una considerazione diversa del cibo eppure...

... Eppure c'è da chiedersi, se la creatività che oggi molti di noi mostrano ai fornelli non si formò attraverso i secoli di sofferenza per la mancanza di cibo e dalla necessità di rendere commestibili ingredienti davvero difficili da elaborare. 

Nel medioevo lo spettro della fame aleggiava su tutta Europa. Procurarsi da mangiare, conservare le derrate, trasportarle anche per lunghe distanze o garantirsi l'acquisto era davvero difficile. Siamo in un'epoca caratterizzata da carestie improvvise, siccità, eccessi di pioggia, da conflitti interni per l'acquisizione del potere, dalle invasioni barbariche come dalle incursioni degli eserciti maomettani. 

Vere e proprie disgrazie per la tavola. L'età di mezzo comincia con la caduta dell'impero romano (476dc) e termina con la scoperta dell'america nel 1492. Nell'arco di questo periodo storico vediamo forse la prima e vera evoluzione della cucina ovvero, il momento dove la necessità fa virtù e la mente dell'uomo comincia a creare.

L'alto medioevo fu terribile, la denutrizione falcidiava le popolazioni d'ogni parte d'Europa ed è solo dall'anno mille in poi (basso medioevo), che si vede un miglioramento delle condizioni generali ivi compreso il modo di sfamarsi. Tra il XI ed il XII secolo, l'alimentazione consisteva in brodaglie e passati di verdure mentre la carne è destinata ai nobili; i contadini se non catturavano selvaggina mangiavano carne solo una volta l'anno durante la macellazione del maiale. Quest'ultimo si trovava nelle tavole di tutti in maniera più o meno abbondante perché usato sia come condimento - strutto e lardo -, sia per ricavarne insaccati conservati con sale e spezie. 

Il condimento più prezioso era l'olio d'oliva alternato al latte di vacca adoperato per insaporire carni, uova e verdure oltre che per fare i formaggi che insieme a vegetali e frutta facevano da contorno nelle tavole. 

Tra le tavole dei ricchi, delle abbazie e dei contadini le differenze si moltlipicavano. Nelle prime, la cacciagione incontra un grande successo: tordi, cinghiali, lepri, caprioli, cervi, pernici, starne, oche, galletti e pavoni erano protagonisti assieme alla carne di agnello e pecora; più rara, invece, il bue e il vitello che scarseggiavano anche nelle tavole dei benestanti. Le carni erano cotte direttamente sul fuoco, dopo essere state spellate e ripulite dalle interiora, aromatizzate con aromi e spezie per essere poi tagliate da uno scalco e servite direttamente su grandi piatti o su grandi fette di pane. 

Tutto si mangiava con le mani ma esistevano regole sul buon comportamento che limitavano all'uso esclusivo delle dita, inneggiando alla compostezza e all'evitare di sporcarsi viso e vestiti oltre che far rumori con bocca e lingua. Diverse erano le singolarità che si trovavano nelle tavole dei re che si dilettavano a provare cibi di diverso genere come la carne d'orso o le cotolette ricavate dalla pianta del piede dell'elefante una raffinatezza al pari del pasticcio di lingue di pappagallo o del pasticcio di carne, farina e canditi. 

Inoltre si faceva largo uso di funghi e tartufi, di pane raffinato e vino mai annacquato, specialmente nei banchetti dove la sequenza dei cibi era scandita da sorbetti ghiacciati a base di frutta usati per predisporre lo stomaco alle portate successive. Le ultime portate erano rappresentate da pere e mele cotte al forno condite con spezie, mentre non riscuotevano successo i dolci preparati con miele, panne e creme a cui si preferivano le cialde. Le tavole dei monasteri e delle abbazie erano meno opulente ma di certo il cibo non mancava. Formaggi, uova, ortaggi e frutta fornivano una presenza continua insieme alla cacciagione al pane non raffinato e al vino allungato con l'acqua.

Anche il pesce d'acqua dolce come di mare era molto ricercato soprattutto nel periodo di quaresima ma rappresentava un prodotto costoso destinato alle tavole ecclesiastiche e ai nobili. La cucina dei poveri, paradossalmente, era quella dove la fantasia suppliva alla mancanza di materie prime. Per chi viveva nelle campagne il sostentamento quotidiano era dato da cereali e frumento, da cui si ottenevano farine che servivano per fare focacce cotte nei forni in cambio di servigi. 

Verdure, legumi, e ogni tanto uova e formaggi erano prodotti che chi viveva in campagna poteva vedere nelle proprie case anche se in misere quantità giacché i padroni delle terre lasciavano ben poco di che vivere. Il vino, raro per queste persone quanto la stessa carne, era sempre di scarsa qualità e annacquato. 

La cucina povera era la più elaborata poiché si sostituivano gli alimenti troppo costosi con altri ingredienti di scarso pregio. Zuppe e pasticci provengono proprio dalle ricette di campagna dove nulla si gettava e tutto, come recita un vecchio adagio, faceva brodo.
Fabio Magnani, Giornalista enoico

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