venerdì 29 febbraio 2008

" Dal futurismo all'astrattismo"Sviluppi di Forma 1 anni cinquanta

A CURA DI D. PICCHIOTTI
 
Il movimento Forma 1 nasce nel 1947 e, fino alla sua conclusione avvenuta nel ’51, accoglierà diversi artisti, sia pittori che scultori, come Accardi, Attardi, Consagra, Dorazio, Mino Guerrini, Maugeri, Perilli, Sanfilippo, Turcato.
Si tratterà di un gruppo che farà dell’arte astratta, dell’avanguardia e dell’impegno politico ad ampio raggio la sua bandiera.
Famosa è la frase all’apparenza assai contraddittoria che riassume il portato ideologico del movimento: essere allo stesso tempo “formalisti e marxisti”, il che voleva dire partecipare della realtà delle cose senza preconcetti né i tradizionali contrappesi che impediscono la libera espressione artistica ed umana in senso lato.
Nel panorama storico dell’arte astratta, sarà di estrema importanza la riscoperta e l’interesse operati dagli esponenti del gruppo per artisti come Magnelli o l’esplicito rifarsi alla tematica del dinamismo futurista delle forme sintetiche di Balla o in generale della pittura di Severini e Prampolini.
Il rapporto di Forma 1 col Futurismo è quindi fondamentale per poter dare all’arte astratta una energica spinta propulsiva tra gli anni ’40 e ’50 e recuperarne le radici storiche.
L’attività del gruppo si caratterizza anche e soprattutto per l’entusiasmo e le doti di infaticabili agitatori culturali di alcuni dei suoi esponenti e per l’organizzazione di importanti esposizioni e dibattiti sull’arte astratta, oltre che per la fondazione del Club L’Age D’Or.
Le opere che compongono questa sezione non rientrano strettamente negli anni di nascita e formazione del movimento ma mostrano gli approdi personali ad esiti di sintesi formalistiche e segniche che avrebbero costituito il tratto distintivo della loro poetica per il resto della loro attività, soprattutto nel caso della pelle pittorica di Accardi, qui ancora energica, espressiva ed in assestamento, dell’intreccio nervoso e calligrafico di Sanfilippo o della ricerca della bidimensionalità nella scultura di Consagra, concetto che mai abbandonerà. Di Dorazio viene esposta un’opera progressiva, estroversa e dinamica, di irruenza costruttiva e quasi meccanica.
Per Turcato, sempre alle radici del poetico pittorico, è impossibile individuare una linea stilistica vera e propria e per Perilli, presente con un’opera conflittuale di ispirazione prampoliniana, si devono registrare nel corso della sua attività originali sviluppi con cambiamenti radicali e complessi, di matrice addirittura dadaista.  
• Astratto Concreto anni cinquanta 
Il termine astratto-concreto fu coniato da Venturi nel 1952 a proposito di una serie di artisti, il cosiddetto Gruppo degli Otto (Afro, Birolli, Corpora, Moreni, Morlotti, Santomaso, Turcato, Vedova).
Seppur non condividendo vere e proprie somiglianze stilistiche od ideologiche di alcun tipo, il loro comun denominatore fu una esplicita avversione per la pittura neorealista e figurativa ed un’ispirazione dettata da contenuti provenienti da un ambito naturalistico. Al limite si deve dichiarare una stessa sollecitazione neocubista che ha preparato il terreno per le ricerche più autonome e caratterizzanti di ogni singolo artista.
La traduzione in immagini astratte non ha impedito alle loro rappresentazioni di assumere una valenza reale, come fosse un punto di partenza concreto e non uno scopo trascendente o metafisico della loro pittura.
Se come definizione di un movimento il termine ebbe vita breve (gli Otto si scioglieranno nel 1954), come parametro interpretativo e storico-critico rafforzò una tendenza che affondava le sue radici nell’astrazione storica di Mondrian e del neoplasticismo, seppur di essa rifiutava decisamente la razionalità e la metafisica idealistica della geometria.
Per ogni artista raggruppato in questa area si dovrebbe fare perciò un discorso a parte. Lo stesso Venturi era consapevole di questa difficoltà: “Si tratta anche in Italia di accordarsi su un linguaggio comune, in cui ciascuna personalità metta il suo accento individuale. Costituire un linguaggio pittorico comune, ecco il problema essenziale del gusto odierno”.
E’ così che si passa da una pittura naturalistica, riflessiva ed architettonicamente strutturata come quella di Brunori ad una densa e corposa come quella di Corpora.
Birolli adotta un sintetismo energico che gli viene dall’osservazione di una realtà rude ma anche suggestiva come quella della vita dei pescatori, mentre Santomaso prende ispirazione dalle conformazioni asciutte e stilizzate di cantieri e di fabbriche.
Sadun trascolora l’emozione in una leggera e soffice impalcatura lirica di evocativa dinamica emozionale.
E’ Vedova ad esprimere una realtà energica ed impetuosa, di stampo futurista, che si situa su posizioni radicalmente opposte alle situazioni contemplative e legate allo stato fluido del ricordo di Afro, che dipinge ritmi lenti, galleggianti e confusi della memoria. 
• Spazialismo anni quaranta-cinquanta 
Il movimento dello Spazialismo inizia con il Manifesto blanco di Fontana nel 1946, a cui fino al 1952 succederanno altre sei dichiarazioni di intenti e di poetica. Il termine si riferisce ad un nuovo concetto di spazio immateriale collegato a presupposti cosmici, interstellari ed atomici. Il Futurismo, tra le altre cose, sarà, almeno a livello ideologico, una grande spinta propulsiva per gli Spazialisti, che guarderanno infatti con interesse alle scoperte tecnologiche e scientifiche, come televisione, viaggi nello spazio, luci al neon e laser, che questi artisti intendono assorbire nell’opera per poterla proiettare in una dimensione dinamica ed eterna in sintonia peraltro con le nuove tecnologie della comunicazione.
All’interno del movimento, in piena coerenza con il concetto di un’instabilità universale in continua mutazione e senza confini, ogni artista concepisce la sua concezione di spazio e non esiste un vero e proprio stile spazialista: piuttosto ci sono degli scatti d’energia e delle propulsioni dinamiche condivise che permettono  l’uscita dai limiti codificati dell’opera d’arte, pur se di fatto nessuno di loro (a parte qualche sperimentazione ambientale di Fontana) è riuscito nell’intento di superare i tradizionali limiti fisici delle arti.
Il segno di Crippa definisce vere e proprie traiettorie aeree ed atomiche, anche se, in certo modo, ancora descrittive ma di suggestiva ed ipnotica energia con le sue tipiche spirali mentre le leggere scalfitture ed incisioni di De Luigi danno vita a delle impalpabili rappresentazioni medianiche di presenze misteriose ed angeliche di luce; Dova entra in un mondo sotterraneo e subatomico (aderisce infatti anche al Nuclearismo) carico di oscuri rimandi psico-fisiologici e di mostruose ibridazioni; Finzi indaga “parascientificamente” i processi fotocromatici ed elettronici della luce ispirandosi ai ritmi della musica jazz.
Guidi si abbandona ad un senso “confuso” e puro del gesto pittorico, dove anche le tensioni ed i drammi diventano una possibilità per aver visione diretta di un’essenza spirituale dell’universo e dell’energia che lo anima.
E’ Fontana che getta uno sguardo diretto dentro la materia del cosmo saggiandone, attraverso la scultura, i processi interiori e magmatici ed andando al di là del piano pittorico con interventi che aprono la supeficie ad un’altra idea di spazio.
 A parte si situa il caso di Tancredi, che è spazialista non tanto per fascinazioni futuristiche o tecnologiche ma per esuberanza, vitalismo interiore e desiderio di riversare il suo impeto creativo ed irregolare nella natura circostante.  
• Informale anni cinquanta 
L’Informale italiano, a volerlo sezionare e ridurre analiticamente ai suoi elementi fondamentali, si presenta come un foresta fitta ed impenetrabile, dal momento che non ci sono intenti di poetica (soprattutto se si considerano gli artisti selezionati in questa occasione) riuniti in manifesti, gruppi o programmi, semmai di modalità espressive comuni come quelle segniche, gestuali, materiche, ecc.
A grandi linee, si potrebbe definire la poetica informale come una ricerca solitaria ed interiormente drammatica, pulsionale ed irrazionale, fatta di tempi interni, di vicoli ciechi, di stratificazioni e di sedimentazioni.
Si pensi ad esempio al caso di Burri, che utilizza esclusivamente materiali come sacchi ( e poi anche legni, plastiche, ferri, cretti) identificando il processo umano con quello inorganico.
Franchina presenta i resti di un incidente in cui, sotto quelle che erano le apparenze rifinite ed eleganti di un prodotto tecnologico, è andato a recuperare l’istinto primigenio dell’uomo.
Leoncillo in cui la creta stessa è metafora del proprio corpo e di un lento tormento naturalistico che diviene un intimo diario personale ed umano. 
Mannucci, con grande sapienza artigianale, trasforma gli sconvolgenti processi atomici, da cui è affascinato ed impaurito, in reperti di archeologia del futuro.
Mirko affronta il viaggio in luoghi fantastici ed esotici di cui raccoglie, come fossero stati trascinati a riva da terre lontane ed irraggiungibili, i manufatti tribali.
Moreni invece affronta d’impatto il momento violento della caduta e della lacerazione, come fosse uno squartamento disumano, un grido straziante.
Scanavino utilizza il segno come scandaglio dell’inconscio ma anche come punto di sutura delle sue ferite e di testimonianza di una sofferenza, di una difficoltà psichica e depressiva.
Rotella utilizza manifesti pubblicitari che raccoglie direttamente dal paesaggio metropolitano e che ricostruisce con nuovi strappi a studio, come si trattasse di enunciati sulla società e sul suo degrado consumistico.
Somaini trasforma scultura barocca e dinamismo futurista in una situazione organica e convulsa, in cui trauma e paura sono occasioni di resistenza e di scatto liberatorio.
Vacchi dipinge la corruzione ed il decadimento dell’uomo moderno, di cui presenta sontuosamente gli organi in via di decomposizione come fosse l’ultima fase della sua torbida storia.
Vedova dove la gestualità è sintomo di pittura priva di compromessi, ideologica, una forma di lotta e di rivolta contro le costrizioni e le trappole sociali.
 
 
• Segno e materia a Roma anni cinquanta 
Le definizioni di segno e materia non possono e non devono considerarsi storiche né definitive ma piuttosto intendersi in senso interpretativo e discorsivo. Neanche si può parlare di una vera e propria metodologia sulla quale i singoli artisti abbiamo costruito poetiche di contenuti similari.
A grandi linee si potrebbe affermare che segno e materia siano due sottoinsiemi della categoria definibile genericamente come “astrazione”, non propriamente informale né essenzialmente geometrica.
Il segno allora diventa una sorta di scrittura generativa e la materia un’oggettualità intrusiva e spesso invadente se non addirittura un’aspirazione cosmica che trascende il peso stesso della fisicità delle cose.
Sarebbe questo il caso di Prampolini, figura storica che attraversa tutta la prima metà del secolo con le sue audaci sperimentazioni ed un eclettico spirito avanguardista che è stato un importante riferimento per le generazioni a lui successive.
Tra Cagli e Capogrossi poi si è voluto sottolineare un particolare tipo di rapporto di influenza e di ispirazione. Il motivo cellulare e microscopico di Cagli, un altro importante stimolatore per l’apertura mentale dell’avanguardia del secondo dopoguerra italiano, è direttamente collegabile ai primi segni arcani e distintivi di Capogrossi, che, seppur variati per ritmi, frequenze, colori, dimensioni e disposizioni sulla tela, hanno caratterizzato la sua carriera per quasi trent’anni.
La pittura della Lazzari lavora sul segno come fosse un ricamo della memoria in cui lascia trasparire per emersioni e lontananze un intimo ricordo, elaborando il vissuto in una delicatissima tarsia.
Scialoja dispone di un potere evocativo ed umorale delle immagini energico e pulsionale, sottolineato con una gestualità veloce, accentuata ed apparentemente libera da qualsiasi schema.
Sul versante della materia invece Colla delinea forme aggressive e ascensionali in ferro, di cui non ripulisce la superficie per mostrarne la realtà del materiale e la sua bellezza di scarto industriale, mentre Guerrini identifica il processo della scultura con la pietra stessa, lasciando in vista i segni degli attrezzi con cui lo “scalpellino” sbozza, definisce e, appunto, scolpisce la materia, portandola alla sua nuda verità ed umanità.
 
 
• Futurismo primi anni dieci
L’anno della nascita del Futurismo in pittura è il 1910, quando fu firmato il testo La pittura futurista. Manifesto tecnico, in cui comparivano i nomi di Balla, Boccioni, Carrà, Russolo e Severini.
I concetti chiave del manifesto si incentravano sulla rapidità delle sensazioni del mondo contemporaneo, in cui lo sviluppo della tecnologia aveva potenziato la velocità dei mezzi di trasporto, delle telecomunicazioni e dei processi stessi dell’esperienza quotidiana e del pensiero. La pittura avrebbe dovuto saper cogliere questa nuova bellezza al di sotto della pelle dei fenomeni, collegando realtà in movimento e situazioni psicologiche accelerate e distanti tra di loro.
Nel 1914 Boccioni aveva pubblicato il suo saggio sulla Pittura e scultura futuriste, in cui affermava più volte la necessità di pervenire ad una visualizzazione “astratta” della realtà, che definiva come “una specie di concettualismo plastico che possa sostituire praticamente l’intuizione dell’artista”. In questo senso l’astrazione futurista si pone come un corrispettivo non formalistico ma simbolico ed efficace della realtà, in grado di riproporre sulla tela le nuove dinamiche fisiologiche e psichiche.
Boccioni indaga le trasformazioni che subiscono i corpi durante il loro movimento, ritenendo che non esista uno stato di quiete assoluta ma che anche gli oggetti subiscono modificazioni a livello interno, cioè atomico.
Balla riassume il movimento in schemi ottici e lineari, attraverso quelle che chiama le “linee forza”, associando il dinamismo ad un processo non tanto di simultaneità plastica ma di addizioni fotodinaliche di stati e di successioni nel tempo.
Depero considera l’astrazione come un modo divertito e comunicativo per ricreare artificialmente in laboratorio dei giocattoli meccanici che possano animare magicamente il gran teatro del mondo
Dudreville traduce graficamente l’essenza espressiva delle sensazioni visive e psicologiche eliminando gli arbitri della fantasia e condensando gli stati d’animo in sintesi di architetture emotive.
Prampolini intuisce inizialmente dell’astrazione le possibilità autonome di scomposizione e sostituzione della figura in costruzioni cromatiche in grado di poter essere tradotte, col tempo, in uno spazio teatrale.
Romani mostra gli aspetti più propriamente psicologici legati ai fenomeni naturali od ai sentimenti umani, ritenendo l’universo un unico grande sistema di cui il suo disegno ritrova i collegamenti cerebrali e ondulatori tra microcosmo e macrocosmo.
Severini applica il concetto di simultaneità di rumori, suoni, odori, impressioni visive, all’ambiente più mondano dei night o dei locali di grandi metropoli come Parigi o Londra, intendendo l’astrazione in rapporto analogico e di luce colorata con la realtà.
 
 
• Concretismo anni trenta 
Il termine “concreto” identifica una ricerca astratta razionale, geometrica, matematica ed anti espressiva, che mira ad evitare qualsiasi sospetto di metafisica o di accentuazione soggettiva. A tal punto è stata avvertita la necessità di chiarire il rapporto tra arte astratta e trasparenza assoluta dei suoi significati, che diversi artisti presenti in questa sezione hanno per lo più realizzato applicazioni “concrete” in ambito architettonico o di design. Come tale questo tipo di linguaggio trovò nella Galleria Il Milione di Milano, a partire dal 1934, il suo centro di aggregazione e di diffusione, sostenuto dalle teorie di Carlo Belli, ma non tutti gli artisti qui presenti ne parteciparono alla stessa maniera, basti pensare al caso atipico e romantico di Licini o a quello di Radice e di Rho, che vi esposero in una sola occasione.
Proprio gli ultimi due possono inserirsi in quella sperimentazione di superficie e di moduli geometrici che ha trovato, a livello sia di progetto che di realizzazione pratica, un inserimento in contesti architettonici, sia sacri che profani, come anche urbanistici o addirittura tessili.
Le geometrie di Licini, pur se attente a modulazioni e schemi concretisti di ambito europeo, si pongono già come sospensioni leggere, evocative, musicali e poetiche.
Fontana devia con leggerezza dall’idealismo dell’astrazione concreta disegnando forme vive e scattanti, che anziché fissare una misura o mostrare la regola della loro costruzione preparano già la via per la fuga in uno spazio inconsistente ed immateriale.
Magnelli realizza in questo periodo delle opere che mostrano un aspetto monumentale ricco di asimmetrie, come la sua ricerca cercasse un equilibrio tra una fantasia priva di regole ed una costruzione di pure forme astratte.
L’astrazione di Melotti intende la geometria della forma come un modo per purificare la realtà da ogni disperazione ed immettere la fantasia poetica nella scultura, che si presenta come un gioco di armonie musicali.
Munari mira a confondere i confini tra arte e gioco, opera ed oggetto di design, realizzando sculture mobili, effimere e di impostazione surrealista che rimettono in gioco la creatività in maniera ironica ed infantile.
Nel caso di Reggiani siamo di fronte ad un pittore pienamente dentro i meccanismi di una liberazione graduale e approfondita dalla figurazione, ricca col tempo di sviluppi formali.
E’ Soldati che avvia in piena consapevolezza un discorso sul linguaggio pittorico che é interno al passaggio dalla figurazione alla forma astratta risolta interamente sul piano del dipinto. 
• Movimento arte concreta anni quaranta-cinquanta 
Oltre al concretismo storico degli anni ’30 o a quello costituitosi col Movimento Arte Concreta nel ’48, è possibile riunire sotto questa definizione una serie di artisti che hanno continuato ad indagare il rapporto tra astrazione e realtà, autonomia ottica del supporto pittorico o funzionalità costruttiva della scultura.
Alcuni di loro (come Munari e Soldati) hanno partecipato sia al concretismo degli anni ’30 che alla fondazione del M.A.C. Di essi si presentano dei significativi sviluppi mentre di Reggiani si mostra la sua capacità di saper adattare e rinnovare continuamente l’astrazione ai cambiamenti ed alle innovazioni della contemporaneità.
Il rapporto diretto con una realtà percettiva mutevole ed ansiosa come potrebbe essere quella politica ed umana in senso lato, l’hanno affrontato Berti con le sue architetture in via di costruzione o di inesausta ricomposizione e Nigro, che ha tentato di fissare le dinamiche dei processi psichici ed anche sociali in icone astratte, dove le mobilità è frutto di calibrate deviazioni e controllatissimi scarti ottico percettivi.
A questi due può essere affiancato Nativi (protagonista peraltro con Berti del gruppo dell’Astrattismo classico di Firenze), che ha sviluppato geometrie schizofreniche come metafore di scontri e di situazioni di lotta.
Bonfanti invece si è ritagliato uno spazio di intimità e di silenzio in cui, ragionando sui presupposti costruttivi della pittura antica, ha cercato di sintonizzare l’astrazione su una frequenza discreta e continua.
Su un versante più decisamente oggettuale ed assemblativo, quand’anche inseribile nel campo dell’industria e del design, si collocano le opere di Barisani, che fa della sperimentazione creativa ad ampio raggio e multidisciplinare un’espansione concreta del linguaggio astratto.
Conte delega il fatto artistico ad una funzionalità decorativa a cui unisce spesso e volentieri aspirazioni costruttive che possano interagire anche con spazi urbani o pareti di edifici.
Magnelli è ormai avviato ad una impostazione astratta che può dirsi a tutti gli effetti classica, sia rispetto al solido disegno di forme e di andamenti geometrici all’interno della sua opera, sia per l’importanza che ricopre l’artista nel panorama della nuova astrazione italiana dalla fine degli anni ’40.
Veronesi identifica la sua ricerca pittorica con la grammatica e la genetica fotografica, di cui gli interessano le pure condizioni di visione e di spazi, di efficienza ottica e di illuminazione senza alcuna interferenza da parte del soggetto né della macchina stessa. 
• Futurismo secondi anni dieci 
A partire dal 1915 il Futurismo attraversa una fase che può definirsi “sintetica”, in cui la resa simultanea dei processi dinamici è portata ad un grado maggiore di astrazione ed elaborazione di analogie formali di figure umane, paesaggi, sensazioni uditive ed ottiche o addirittura spirituali. E’ il segnale di uno sviluppo del linguaggio futurista verso forme ancor più riassuntive ed onnicomprensive, in cui il particolare viene perso in favore di forme generiche che possano appunto sintetizzare con maggior enfasi i fenomeni naturali. C’è di questo una consapevolezza maggiore da parte degli stessi artisti, se si pensa alla definizione che danno di sé Balla e Depero, nella Ricostruzione Futurista dell’Universo, in cui si definiscono “astrattisti futuristi”.
Balla trasforma le ricerche sulla durata e lo svolgimento di situazioni dinamiche in elementi di ritmo e di decorazione pura, tanto che alcune delle opere di questo periodo diventano motivi combinatori adattabili a stoffe e tessuti futuristi.
Depero semplifica in modo ancor più ingenuo e naife i volumi dei corpi, trasformando la composizione in una moltiplicazione di silhouette e di profili che mantengono il grado imitativo quel tanto che basta per poterne percepire la propensione alla parodia ed al gioco.
Dottori è affascinato da situazioni esplosive e di forte impatto emotivo, che risveglierebbero la coscienza ed aprirebbero le porte della percezione verso orizzonti sempre più aperti ed infiniti.
Evola, adesso nel periodo da lui definito di “idealismo sensoriale”, intende l’astrazione come un modo per intuire l’arbitrario ed il trascendente e presagire stati mentali fuori della realtà ordinaria.
Magnelli, che non prende parte di fatto ai manifesti od alle manifestazioni futuriste, percepisce del movimento la spinta avanguardistica e la distruzione dei vecchi linguaggi figurativi in favore di una autonoma ridefinizione della forma e del colore. 
Futurismo anni venti 
Gli anni ’20 del Futurismo possono essere contraddistinti dal manifesto L’arte meccanica, firmato nel 1922 da Paladini, Pannaggi e Prampolini. Col termine “meccanico” non si intendono più la dinamica eccitazione espressa da automobili o treni in corsa o la meccanica interna e fisiologica di cavalli al galoppo e di uomini in movimento, bensì una diversa facoltà di concepire la struttura razionale dell’universo, anche nel senso di un superamento delle geometrie terrestri. 
E’ la civiltà industriale ed architettonica ad interessare gli artisti in senso costruttivo e funzionale e non più semplicemente emotivo, al punto da riconnettere tutta l’enfasi del periodo eroico del movimento a dei principi di metafisica razionalità.
C’è però da precisare che non tutti gli artisti presenti in questa area problematica hanno inteso allo stesso modo il rinnovato senso meccanico e che in questo decennio, più che nei precedenti, le differenze emergono con ancora più chiarezza e definizione di forme.
Evola mette a punto la sua ricerca astratta arrivando a definire delle simbologie astrali, cosmologiche ed in particolar modo alchemiche, tanto da riconnettono la sua pittura agli interessi di tipo filosofico ed esoterico, senza ignorare tangenze con l’aleatorietà e la spersonalizzazione dadaista.
Fillia ritiene di poter trasformare l’umanità riducendo l’uomo alle sue sole necessità funzionali, dove sentimenti ed emozioni sono esclusi in favore di una moderna ed avveniristica idolatria per ingranaggi e congegni meccanici, capaci inoltre di animare spazi scenici teatrali e divenire ambiente.
Prampolini, ancor più di Fillia, perviene ad una ricerca che esalta in questi anni lo spazio scenico ed architettonico, ricchi entrambi di prospettive multidirezionali accordate ad un nuovo tipo di esperienza moderna che nasce a contatto con i prodigi e le strutture della tecnologia. 
• Futurismo anni trenta 
E’ il periodo definito Secondo futurismo, caratterizzato, tra le altre cose, dall’aeropittura a partire dal manifesto pubblicato nel 1929 con le firme di Balla, Benedetta, Depero, Dottori, Fillia, Marinetti, Prampolini, Somenzi e Tato. La visione aerea non garantisce sempre la soppressione di raffigurazioni imitative della realtà, che spesso e volentieri è osservata attraverso prospettive didascaliche ed illustrative, come si trattasse semplicemente di un paesaggio en plen air dipinto durante un’acrobazia aerea od una trasvolata. Svanite le utopie contestatarie e rivoluzionarie degli anni ‘10, è soltanto grazie all’impulso creativo di singoli artisti che viene evitato l’appiattimento dello stile futurista a fatto di gusto corrente, moda o consumo. A fianco della visione aerea descrittiva se ne aggiunge infatti una siderale, cosmica e addirittura divina, che guarda ai processi organici e mistici di una materia originaria.
Interessanti sono a proposito le corrispondenze con certa pittura surrealista, oltre che le contrapposizioni con l’astrattismo positivista del Milione o del Concretismo internazionale e la simpatia per il razionalismo architettonico opposto alla tradizione “novecentesca”.
Nello stretto ambito aeropittorico, Dottori dispiega il suo vocabolario di forme circolari ed a ventaglio che aprono la visione ad orizzonti di illimitata estensione, in cui suoni, luci, prospettive, sembrano fondersi in una ottimistica continuità ed indistinzione atmosferica.
Fillia traduce quelli che erano idoli meccanici in corpi trascendenti che sembrano galleggiare in uno spazio immaginario, aperto direttamente su altri mondi, altri sistemi stellari, come si trattasse di apparizioni divine.
Oriani sembra aver condensato la nuova umanità in enormi corpi amorfi provvisti di membra ed organi adatti per vivere in spazi siderali, proiettati al di là dell’orizzonte terrestre in un universo incantato privo di tensioni e drammi.
Prampolini condensa la sua passione per la danza ed il teatro in forme organiche che tracciano delle traiettorie di movimenti in uno spazio ambientale senza più confini ma immerso direttamente nella materia originaria del cosmo. 
• Scultura anni quaranta- cinquanta 
Per certi versi la scultura ha sempre richiesto tempi e modalità di lavorazione che, non potendo prescindere da una manualità di tipo artigianale, la rendono per necessità custode di una tecnica antica e sedimentata nei secoli. I tempi di adattamento rispetto a linguaggi e forme della contemporaneità si fanno pertanto più lenti ma questo esalta ancor di più il momento dello stacco e dell’abbandono della tradizione da parte di numerosi scultori tra gli anni quaranta e cinquanta.
C’è quindi da considerare, nel caso degli scultori, un forte senso viscerale della materia e degli stimoli dell’immaginario in maniera diversa che per la pratica della pittura. Di ciò i seguenti artisti sono soltanto alcuni degli innumerevoli esempi.
Franchina è un tipico esempio di come, pur guardando alla scultura arcaica o classica, proprio facendo leva sulla manualità, si possano adattare i materiali e i procedimenti dell’industria (in questo caso automobilistica) alle forme prive di funzione e ricche di slanci utopistici dell’arte.
Mastroianni in questa fase presenta ancora il versante più organico ed umano della scultura, di cui, ricollegandosi a Moore o Laurens ed intensificando il dinamismo della materia con riferimenti alla plastica concitata di Boccioni, arriva direttamente alla sofferenza dei suoi processi interni di crescita.
Viani invece mostra la possibilità di solidificare l’esperienza della scultura classica in forme pure in cui l’allusione al corpo umano, o biologico in senso lato, diviene una dolce carezza poetica, un candido reperto di un mondo di sogno.
 
 

4 commenti:

Anonimo ha detto...

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