domenica 10 febbraio 2008

Le macchine possono Pensare?

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

La riflessione intorno alla natura e alle proprietà della mente umana risale all’antichità; l’espressione "filosofia della mente" sembra, comunque, caratterizzare un particolare ambito di discussione sulla base di alcune questioni fondamentali, come ad esempio il rapporto tra mente e cervello, l’architettura cognitiva del cervello, l’analisi delle capacità rappresentative, ecc…
Il punto di partenza di tutte queste tematiche è Cartesio, il quale sosteneva la caratterizzazione del pensiero cosciente come essenza del mentale e delineò la divisione fra res cogitans e res extensa attraverso le quali studiare i rapporti conoscitivi tra soggetto conoscente e realtà conosciuta.
Inoltre considerava la mente come una sostanza immateriale che, in modo misterioso, interagisce con il corpo: si configura così il cosiddetto dualismo interazionista, che consiste nella spiegazione dell’interazione tra mente e corpo.
Tale concezione, però, ha in sé numerose difficoltà; per risolvere questi problemi è possibile attuare una duplice soluzione: o negando la stretta correlazione che esiste tra eventi fisici ed eventi mentali, o negando il dualismo stesso.
Tutto ciò può essere ottenuto in due modi: 
a. puntando su un anti – sostanzialismo , moderato in Locke (il quale sosteneva la funzione essenziale che svolge la coscienza indipendentemente dalla sostanza), radicale in Hume (il quale dissolve il soggetto conoscente in un fascio di percezioni) o trascendentale in Kant (il quale sosteneva la teoria "dell’io puro"). 
b. rinunciando al carattere originale di una delle due res. 
Nella filosofia del novecento alcuni filosofi rimasero più o meno legati al carattere dualistico di tale riflessione, come ad esempio le teorie di Wundt e James; ben presto assunse connotazioni materialistiche e naturalistiche, grazie al successo del comportamentismo come metodologia dominante nella psicologia.
Tale concezione si diramò, quindi, in due correnti: 
a. il comportamentismo metodologico, che accetta come dati per la rielaborazione teorica i comportamenti osservabili , escludendo ogni riferimento all’introspezione e quindi a eventi interni inosservabili. 
b. il comportamentismo logico, il quale sostiene che le asserzioni psicologiche significano (cioè stanno per) comportamenti o disposizioni al comportamento. 
Risposte contrastanti a questo approccio si ritrovano nei maggiori filosofi e movimenti analitici del novecento.
Intorno agli anni ’70 la scienza cognitiva comincia ad affermarsi come settore indipendente e segnando una svolta proponendo: 
a. l’idea che la scienza della mente non può ignorare l’architettura interna dei processi cognitivi. 
b. l’uso generalizzato di modelli computazionali. 
Si assiste così alla rinascita del materialismo dell’identità tra mente e cervello.
Questa dottrina assume due forme principali: 
a. il materialismo di identità tipo tra eventi mentali e cerebrali (a ogni classe di eventi mentali corrisponde una classe di eventi cerebrali). 
b. il materialismo dell’identità di concorrenza in cui ogni singolo evento mentale è identico a un evento di cerebrale. 
Fanno riferimento a quest’ultima teoria sia la tesi dell’autonomia metodologica e tassonomica della psicologia, sostenuta da Jerry Fodor, sia il monismo anomalo, sostenuto da Donald Davidson, il quale conciliava l’autonomia dei processi psicologici con l’idea che esistono soltanto cause materiali.
La forma più estrema di materialismo è l’eliminativismo, il quale sottolinea l’impossibilità di tradurre il linguaggio mentale, semanticamente inconsistente e ricco di espressioni prive di riferimento, con quello fisicalistico: questa concezione fu sostenuta da Paul e Patricia Churchland.
A questo punto di vista si avvicina anche lo strumentalismo di Daniel Dennett, secondo il quale il linguaggio mentalistico, pur non essendo una realtà sussistente, è necessario per conoscere noi stessi e gli altri. 
Molti filosofi, come Thomas Nagel e John Searle, furono critici nei confronti del fisicalismo, sottolineando la difficoltà di quest’ultimo nel descrivere l’esperienza soggettiva.
Il dibattito odierno si concentra in modo particolare su alcuni aspetti fondamentali: lo statuto ontologico delle entità mentali, l’intenzionalità, i modelli neurobiologici sulla coscienza e sui rapporti tra razionalità ed emozioni, la modularità della mente e la sua scomponibilità in una serie di agenzie cognitive, l’innatismo, l’analisi della percezione, dell’immaginazione e della rappresentazione. 

di: Ilaria Moscheni

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