LA Pop Art
DI D. PICCHIOTTI
Tendenza artistica nata in Inghilterra e diffusasi maggiormente negli Stati Uniti dagli anni Sessanta in poi, basata sull'uso di una iconografia fortemente derivata dalla realtà e soprattutto dall'immaginario popolare urbano contemporaneo, dalla società dei consumi e della comunicazione di massa.
Il pop inglese, con Paolozzi e Hamilton, è legato ai temi della tecnologia e della mitizzazione dei prodotti e delle immagini di largo consumo.
L'atteggiamento verso la società industriale nel Pop inglese sembra essere di studio e di resa documentaria, inventaristica, senza accenti polemici né coperture o dissimulazioni.
Il Pop americano, invece, sposa totalmente la connotazione anche kitsch dei simboli più emblematici della cultura popolare delle grandi città e anzi ne propone una visione decisamente positiva e spesso entusiastica, nel nome della necessità e di conseguenza della bontà di fondo riconosciuta all'organizzazione sociale del mondo contemporaneo.
L'assunzione delle immagini più tipiche e stereotipate della vita sociale americana non è effettuata con scopi dissacratori, ma con l'intento di attribuire loro una dignità culturale attraverso la stessa operazione di isolamento e straniamento rispetto al contesto originale e di assunzione nell'ambito artistico di oggetti e immagini d'uso comune già operata in funzione fortemente critica dal movimento Dada.
Molti i grandi protagonisti del Pop americano; tra i più importanti, oltre Rauschenberg e Johns, già esponenti tra i maggiori del New Dada, Rosenquist, con le sue immagini mediate dalla pubblicità con la stessa valenza e violenza illusionistica; Oldenburg, con i suoi oggetti molli (macchine da scrivere, cibo, lavandini, ecc; realizzati in plastica imbottita); Dine, con l'inglobamento di oggetti d'uso comune (indumenti personali, utensili, ecc.) nell'opera; Lichtenstein, con l'ingigantimento dei retini da stampa dei fumetti; Segal, con i calchi umani a grandezza naturale fermati in atteggiamenti di vita quotidiana; Wesselman, con i suoi grandi nudi americani; Warhol, con l'assunzione dell'iconografia mitologica della comunicazione di massa tradotta in produzione seriale.
In Inghilterra, oltre Paolozzi e Hamilton, abbiamo Jones, con l'ironia dei suoi manichini erotici e Kitaj, con le raffinate combinazioni di immagini, parole e riporti fotografici tratti spesso da rotocalchi con evidenti riferimenti sociologici.
Al di fuori degli Stati Uniti e dell'Inghilterra il Pop si è ugualmente diffuso ma con esempi meno eclatanti: lo svedese Fahlstrom, l'islandese Errò, gli italiani Schifano, Adami, Tadini, Gnoli, Ceroli.
Uno degli eventi principali del XX secolo è senza dubbio l'avvento della società dei consumi e della civiltà di massa a partire dagli anni '50 e '60. Se fino a questo momento l'artista ha indagato e ricercato nella natura e nella psiche i significati e le finalità della sua esistenza, da adesso in poi deve tener conto di una realtà esterna che, con le sue connotazioni di spettacolo, pubblicità e, in tempi più recenti, di informazione, agisce profondamente sull'inconscio collettivo, modificando sia il rapporto creativo dell'uomo con le cose che i suoi meccanismi immaginativi.
Il movimento artistico che segna questo passaggio è quello della Pop Art che ha le sue origini nel dibattito avviato in Inghilterra nei primi anni '50 sulla comunicazione di massa e sulle immagini ad essa collegate. Il termine deriva dall'abbreviazione di "popular art" di cui una prima definizione dà l'artista inglese Richard Hamilton nel 1957 riferendosi alla "popular imagery", l'insieme delle immagini di grande consumo nella società industriale.
Il linguaggio pop si diffonde in seguito negli Stati Uniti dove succede a quasi un ventennio di arte informale e trova un pubblico sensibile al suo messaggio. Qui le prime avvisaglie si hanno come abbiamo visto con i protagonisti del New Dada, in special modo Robert Rauschenberg e Jasper Johns, che pur non abbandonando ancora le tracce di incomprensione e di disagio scaricate sulla tela dall'Action Painting e dalla tendenza informale più astratta, popolano i loro quadri di immagini e oggetti "reali", di uso corrente, addossati sulla tela o semplicemente dipinti: da adesso in poi l'artista contemporaneo si pone l'interrogativo su che cosa sia il primario e lo specifico nel fare arte rispetto allo sconfinato panorama circostante della pubblicità, dell'oggetto di consumo e dell'immagine popolare.
Proprio a partire dai primissimi anni Sessanta artisti come Jim Dine, Claes Oldenburg, Roy Lichtenstein e James Rosenquist, rispetto a questo interrogativo si attestano su precise posizioni; essi infatti, assolutamente disillusi del fatto di credere nell'arte come riscatto e scettici sulle possibilità di scelte libere ed autonome dell'individuo, ricorrono appunto a tecniche prelevate dal linguaggio pubblicitario. Scrive nel 1965 Roy Lichtenstein: "Da Cezanne l'arte è diventata estremamente romantica e irrealistica, si è nutrita di arte, si è trasformata in una utopia. Ha avuto sempre meno a che fare con il mondo, guarda al di dentro... Fuori c'è il mondo. L'arte Pop guarda fuori, al mondo; mostra di accettare il suo ambiente, il che non è bene né male, ma soltanto segno di un atteggiamento diverso".
La Pop Art è un movimento strettamente legato ai ritmi della metropoli moderna e della sua cultura popolare che gli artisti inglobano nelle loro immagini; la principale fonte di ispirazione è proprio l'universo della società di massa con il conseguente linguaggio promozionale e commerciale che ha sugli uomini notevole influenza
L'artista pop decide che nel suo lavoro è prioritaria la coincidenza tra arte e vita e, rompendo ogni barriera tra l'ambito artistico e la subcultura, diffusasi attraverso il linguaggio dei media, egli la eleva conferendole dignità estetica. Questo atto è compiuto non per assumere posizione critica o di contestazione, ma accettando la realtà del sistema. Il livellamento culturale e ideologico prodotto dai mass-media che propongono immagini facilmente comprensibili da tutti non viene contestato, ma anzi accettato, ribadito e messo in risalto.
La Pop Art ha un rapporto complesso, a volte ambiguo, con la realtà sociale contemporanea, ma ha avuto un effetto notevole nel pubblico ed ha facilitato l'accettazione di forme d'arte non legate alla tradizione, ma più vicine alla capacità di assorbimento culturale delle masse di quanto non lo siano state le contemporanee esperienze astratte, visuali e ambientali.
Una delle caratteristiche della Pop Art è l'impiego degli oggetti d'uso comune, di derivazione duchampiana, ma, mentre l'artista francese li decontestualizza inserendoli nell'ambito artistico come significanti poetici, gli artisti pop li restituiscono come scarti della società dei consumi e tuttavia elementi "necessari" all'interno della vita della società contemporanea. "Ciò che caratterizza il Pop", afferma ancora Lichtenstein, " è innanzitutto l'uso che esso fa di quello che viene disprezzato". Paradossalmente, la pop art appare come la più grande apologia del sistema dei consumi che si propone però di smascherare e demitizzare attraverso un'operazione ironico-dissacratoria. Il carattere apparentemente apologetico si manifesta nella presentazione di tutti gli oggetti di più largo consumo e di più banale uso, in primo luogo il cibo confezionato, nel loro aspetto più rigogliosamente appariscente e allettante, cosi come fanno i manifesti pubblicitari, di cui il pop ripete però, scoprendoli, i meccanismi di presa sui più poveri automatismi inconsci del pubblico medio.
Si ha così l'acquisizione nella cultura artistica contemporanea di un concetto d'uso degli oggetti assunti alla dimensione estetica non come materia informe, né come ready-made o object-trouvé di stampo dada o surrealista, né come rifiuto dell'industria riscattato a oggetto d'arte, né come testimonianza di un rapporto dell'uomo con la realtà che è andato perduto o che sta per perdersi, ma esattamente per quello che l'oggetto è nel suo rapporto di uso e consumo e come prodotto di un sistema industriale consumistico standardizzato e seriale.
L'artista pop più celebre è sicuramente Andy Warhol (1930-1987 / "Trenta è meglio di una", 1963; "Fiori", 1964; "Campbell's Soup", 1965; "Marilyn Monroe", 1967). Egli rivela in un'opera tra le più emblematiche della Pop Art, l'immagine della Gioconda moltiplicata trenta volte, l'intenzione che sottende tutta la sua produzione artistica. Riconosciuto che, come scrive Achille Bonito Oliva, "...nella società di massa il conformismo non è un peccato mortale, non è inteso come perdita della personalità, bensì come adeguamento confortevole a standard di comportamento che permettono al corpo sociale di respirare un'atmosfera unanime, una maniera di sfuggire lungo la tangente della quantità ad una solitudine altrettanto quantitativa...", la stessa creazione artistica in Warhol segue il procedimento seriale, ripetitivo, conformista. Egli ripete immagini già ampiamente diffuse dai mezzi di comunicazione di massa e largamente fruite dalla collettività. Tra gli oggetti e le immagini da lui rielaborati e prodotti in serie con assoluta indifferenza attraverso la tecnica serigrafica, oltre ai ritratti dei miti dello spettacolo, Marilyn, Elvis Presley, Liz Taylor, gli incidenti automobilistici, i disordini razziali, la sedia elettrica, i francobolli, i dollari, le scatole di minestra Campbell e le bottiglie di Coca-cola.
La Pop Art inglese si caratterizza per l'assoluta mancanza di omogeneità e stile, pur nel comune interesse verso la cultura della civiltà urbana. Già nel 1955 una mostra organizzata dall'Institute of Contemporary Art mette in risalto l'interesse degli artisti pop inglesi verso i temi tecnologici della moderna civiltà: qui si affermano artisti come Cordell, Mc Hale, Paolozzi e Richard Hamilton (1922) che in una mostra successiva alla White Chapel di Londra nel 1958 presenta il collage "What Is It That Makes Today's Homes So Different So Appealing?" del 1956, una sorta di manifesto della nascente esperienza inglese in cui è rappresentato l'interno di un ambiente carico di tutti i simboli della nuova cultura popolare.
Di connotazione differente e maggiormente astratta è l'opera di Peter Blake (1932: "Drum Majorette", 1957; "Tatto ed Lady", 1958) che lavora su elaborazione di immagini attraverso tecniche fotografiche come il montaggio, realizzando insiemi di "immaginette" sostenuti da una pittura intensa, realizzata a piccoli tocchi, quasi di stampo ottocentesco, decisamente lontana dalla sintesi oggettiva della Pop Art americana. Le figure di Blake sono infatti sia ricavate dai media, ma anche dalla tradizione e dal folklore inglese e dall'atmosfera fiabesca e segreta rivelata proprio dal suo intenso pittoricismo.
La fase più avanzata della Pop Art inglese, coinvolta con la vita urbana in modo più diretto e aggressivo, assembla segni e simboli dalle provenienze più disparate attraverso una rappresentazione figurativa in cui, accanto alla ripresa di metodi tradizionali quali grafica e pittura, appare l'uso di decalcomanie, della tecnica del fumetto e del riporto fotografico.
Ronald B. Kitaj (1932 "An Urban Old Man", 1964; "Sincronia con F. B.", 1968-69) fa parte, insieme con Jones, Tilson, Hockney, del gruppo del Royal College of Art di Oxford, da cui ha origine la nuova fase; la sua pittura , intessuta di riferimenti letterari e sociologici, si serve di elementi della comunicazione urbana per realizzare immagini di cui esalta la violenza espressiva, collocandosi al livello più colto del movimento pop inglese.
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