IL LAVORO INTELLETTUALE DELLE DONNE APPARTENENTI ALLA BORGHESIA TRA L'800 E IL '900
a cura DI D. PICCHIOTTI
Questa relazione si propone come obiettivo l'analisi breve e sintetica del ruolo svolto dalle donne in seno alle attività intellettuali a cavallo dei secoli XIX e XX.
Il testo è composto di tre distinte sezioni. In apertura vi è una accurata ricostruzione commentata della storia italiana dall'Unità al secondo dopoguerra con accenni a quanto di rilevante avvenuto anche in altri contesti, che serve come quadro d'insieme entro cui inserire il corpo centrale della tesina, composta di due sezioni.
La prima è dedicata ad una ricostruzione generale delle principali attività intellettuali femminili nel periodo preso in esame, la seconda è un'analisi più analitica e più specifica di alcune determinate professioni femminili (per l'esattezza si tratta di sei attività: dottoresse in medicina, stenografe, telefoniste, dattilografe, letterate e dottoresse in legge attive nel mondo dell'avvocatura).
Le fonti a cui ci siamo rifatti sono essenzialmente due, una serie di pubblicazioni specifiche sulla storia italiana e mondiale sul periodo e le pubblicazioni della rivista "La Donna", una delle prime specifiche "militanti" per l'emancipazione femminile.
La redazione dell'elaborato presenta l'inserimento di numerose nozioni di carattere storico e politico, con annesse invasioni di campo nella sociologia e nella medicina, che hanno il compito di permettere di informare e descrivere la cornice storica e sociale entro cui si sono affermati i fenomeno e i protagonisti di cui si parla più analiticamente.
Ci sentiamo in dovere, per onestà intellettuale, di comunicare fin da ora la scarsità di materiale e di relative fonti recuperato per quanto riguarda alcune specifiche attività lavorative. Non si tratta, però, solo di una scusa o di una giustificazione per aver realizzato capitoli di breve dimensione, ma anche la difficoltà a trovare documenti da analizzare, è di per sé un dato di notevole importanza su cui vorremmo spendere alcune brevi parole per tentare, senza la presunzione di riuscirci, di dare una spiegazione a tale fenomeno.
L'attività delle donne in campi non strettamente ritenuti "femminili" (come quelli del "sociale" o della "carità") sono sempre state guardate con sospetto da tutto il resto della società e, in molti casi, anche da molte donne.
Il fatto che molte delle protagoniste delle vicende di cui ci siamo occupati appartenessero a classi sociali soprattutto di media e piccola borghesia, o comunque non disagiate, non era affatto un elemento che aiutasse ad essere maggiormente emancipate, anzi, in taluni casi fu un ostacolo non indifferente.
L'occhio vigile e censurante della società (di ogni società di ogni paese e di tutte le epoche!), che in molti casi è venata di un maschilismo (che spesso sconfina nella misoginia!) che non può passare inosservato, ha sempre tollerato e sensibilmente accettato de facto le donne delle classi più umili e meno abbienti svolgessero attività lavorativa extradomestica se non altro per mantenersi in caso di disastri economici ( morte del marito in primis), ma ha sempre considerato trasgressiva dell'ordine sociale costituito ogni attività lavorativa di donne appartenenti a ceti sociali agiati.
La donna della borghesia, come vedremo in seguito, poteva e doveva essere colta e istruita, ma solo per fine personale di "casta" e non certo per svolgere un'attività lavorativa autonoma. Erano viste come pericolose rivoluzionarie tutte quelle ragazza di buona famiglia che osavano voler svolgere un'attività intellettuale autonoma per avere una soddisfazione personale e anche economica.
Spesso erano le stesse donne più anziane e più conservatrici a scoraggiare le proprie "eredi" dall'intraprendere tali attività in quanto prive di fiducia, loro stesse per prime, verso il genere umano femminile.
Forse ha ragione il prof. Giuliano Amato quando sostiene che a volte i primi nemici (e i più grandi da sconfiggere) delle donne sono proprio le donne stesse che non hanno completa fiducia in se stesse e nelle proprie capacità lavorative.
Un'altra peculiarità da sottolineare è che nelle nostre società tutti gli oggetti e tutte le parole hanno un genere, che inevitabilmente non può che essere che quello maschile.
Non è un caso che la maggior parte dei vocaboli e delle espressioni letterarie retoriche che indicano il potere o la leadership nella guida degli eventi siano di genere maschile.
Per quanto riguarda il genere degli oggetti lo si può notare entrando in una qualsiasi delle aule scolastiche delle strutture realizzate prima degli anni '70: altezza delle lavagne e di altre infrastrutture sono di norma state realizzate a "misura d'uomo" e non hanno tenuto in conto le normali differenze medie di altezza rispetto alle donne, risultando così, svantaggiose per la componente femminile rispetto ai colleghi maschi.
Anche il numero dei servizi igienici spesso in molte strutture sono da un punto di vista puramente numerico a favore degli uomini e deficitari rispetto alle esigenze del pubblico femminile.
Non sembra questa la sede per analizzare altri aspetti della questione come talune espressioni popolari da cui si estrapola un maschilismo degenerato che ancora incrosta la nostra società: si inorridisce quando si sente che per indicare una donna che svolge attività fino a ieri ritenute prettamente maschili (ad esempio militari o agenti di pubblica sicurezza) si ricorre a frasi del tipo "agente in gonnella" al posto del più consono, e corretto, poliziotta.
La società è talmente impregnata di maschilismo che spesso anche per fare un complimento ad una donna dal carattere forte e dalle capacità forti si ricorre alla proposizione "donna con le palle" (chiediamo scusa per la volgarità con cui si citano alcuni attributi maschili, ma ci sembra il modo più diretto per enunciare il nostro pensiero e, come diceva Machiavelli, "il fine giustifica i mezzi") il cui cattivo gusto è chiaramente concepibile.
La nostra società comunque si è molto evoluta e una riduzione delle asimmetrie sostanziale e non solo più formale è già stata quasi raggiunta, anche se molto c'è ancora da fare e per questo resta ancora di grande necessaria attualità il festeggiare annualmente una giornata dedicata alle donne (8 maggio).
Da biasimare, al pari degli accenti maschilisti prima descritti, sono anche alcune tendenze di segno uguale e opposto che provengono dal mondo femminile: una netta contrapposizione con il mondo maschile basandosi su di una supposta superiorità delle donne è stupido come e più del vecchio (e del nuovo) maschilismo.
Non vogliamo soffermarci oltre sull'argomento e vogliamo inoltrarci subito nella nostra opera di ricostruzione storica, ma ci sembra il caso di concludere affermando che le nostre società democratiche devono ancora operare realmente dei passi in avanti a cui tutti, uomini e donne, devono collaborare e attivarsi per realizzare modelli di convivenza basati su di una reale uguaglianza che non sia solo una "non diseguaglianza" basata su una statunitense visione political correct della vita.
Tale eguaglianza deve essere "attiva", ossia essere propugnata, diffusa e difesa anche da norme legislative e da comportamenti partecipativi e, last but not least, da sanzioni punitive nei confronti di chi la minaccia.
Tutto ciò deve avvenire tenendo conto delle naturali differenze fisiologiche tra uomini e donne. Potremmo dire che noi aspiriamo ad una "uguaglianza nella diversità" che, contrariamente all'isola di Utopia di cui parlava nell'omonima opera San Tommaso Moro, deve essere facilmente raggiungibile e vivibile da tutti, uomini e donne.
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