ROBERTO SEBASTIAN MATTA ECHAURREN
RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI
"Ho messo il cane sulle rotaie della stazione. Il primo treno che arrivava si è fermato per allarme di pericolo. Si è creato prima uno stato di panico e poi uno scandalo perché tutti pensavano che il cane fosse una bomba". È l'estate del 1954, il cane è di ceramica e il dinamitardo è Roberto Sebastian Matta Echaurren, artista cileno che sta effettuando un esperimento per provare a sé stesso la validità delle sue creazioni. "L'importante era creare avvenimenti, situazioni", dichiarerà successivamente.
Matta, pittore della seconda generazione surrealista, è stato sicuramente un artista bizzarro, ma è anche una figura che ha attraversato il Novecento vivendo una tale quantità di fatti ed incontri straordinari da divenirne una sorta di monumento vivente, un'icona dell'arte di questo secolo. L'imprevisto, il gioco, il rischio, la provocazione, sono alla base dell'arte e della vita di questo artista: "È nell'accidentalità che si prende coscienza. Ogni individuo, ogni vita umana è una scommessa col proprio io, con se stessi, col mondo".
La prima scommessa di Matta, è l'Europa. Nato a Santiago del Cile nel 1911 da una famiglia borghese, nel '33 appena laureato in architettura decide di imbarcarsi verso l'Europa. Matta fara' ritorno in Cile solo in occasione della vittoria elettorale di Salvador Allende e dell'"Unidad.
Dopo sei mesi di navigazione è a Parigi, capitale mondiale dell'arte, una città dove convivono le correnti artistiche più diverse, spesso opposte tra loro, dove c'è spazio per Matisse e Picasso così come per Le Corbusier e Breton.
Matta riesce quasi immediatamente ad entrare nello studio di Le Corbusier, situato in un convento di Rue de Sévres: "Da Le Corbusier, la prima cosa che mi hanno chiesto di fare era andare a prendere la macchina di Charlotte Perrier che avendo avuto un guasto, era ferma in Rue Nôtre Dame des Champs. Poi mi hanno dato da disegnare le giunture in cemento tra le pietre del muro del padiglione svizzero nella città Universitaria. Il mio secondo lavoro è stato pulire e lavare la moquette del Congresso dei Soviets per L'Urss". Nel frattempo fa il giro d'Europa: Spagna, Germania, Russia, Finlandia, Portogallo. Durante i suoi viaggi ha l'occasione di conoscere i poeti Rafael Alberti e Federico Garcìa Lorca. In Scandinavia entra in contatto con l'architetto Alvar Alto.
Nel '36 va a Londra dove conosce Matisse e collabora con Gropius. Comincia a lavorare con la cartapesta: "Sono arrivato a Londra senza fiato. Ero un architetto, ero senza lavoro e mi sono messo a disegnare. Per divertirmi mettevo dei giornali nella vasca da bagno e ne facevo una pasta piena di inchiostro che mi sporcava enormente le mani. Schiacciavo questa pasta cercando di darle la forma dei sassi". Il destino lo sta spingendo verso l'arte. All'inizio del '37, ad una mostra vede delle opere di Henry Moore. Incuriosito, le parodizza facendo dei piccoli panini bucati che porta poi a casa dello scultore, ne nasce un'altra amicizia: "Nel 1988,quando Moore festeggiò il suo ottantesimo compleanno, sua moglie mi raccontò che avevano ancora i miei panini e che durante la guerra quasi quasi li avrebbe mangiati". Nello stesso anno fa parte di un gruppo che collabora alla costruzione del padiglione spagnolo progettato da Josè Luis Sert. Dato il ritardo nella realizzazione del padiglione viene incaricato di seguire giorno per giorno il lavoro che Picasso destinerà all'esposizione: Guernica.
Racconta: "Ero a Parigi, non avevo idea alcuna della pittura. Facevo parte di un gruppo che collaborava alla costruzione del padiglione spagnolo e la costruzione era in ritardo. In Spagna c'era la guerra civile, l'architetto era preoccupato. C'era questo grande dipinto sul muro. Tutti ripetevano "il quadro non sarà terminato!". Venivo spedito di continuo nello studio di Picasso per sapere quando lo avrebbe concluso. Picasso era gentile e pieno di humor. All'epoca io ero molto giovane, non solo d'età ma anche nelle mie intuizioni. Quando cercavo di informarmi egli diceva: "Oh là là! che cosa c'è? Non preoccuparti", e poi parlava di qualcos'altro, ma mai del padiglione. Io lo ammiravo molto. Ma questo non mi aiutava a risolvere il mio incarico. Era all'inizio un disegno e tale rimase". In autunno, dietro consiglio di Dalì, a cui lo aveva raccomandato Garcìa Lorca, si reca da Andrè Breton con una trentina di suoi disegni. Breton ne rimane colpito, ne compra due e arruola Matta nella legione surrealista. È oramai un artista a tutti gli effetti. Inizia a sperimentare le tecniche di "pittura automatica" che non abbandonerà più: partendo dalla macchia di colore stesa con straccio, traccia le forme con il pennello, o più direttamente, con lo stesso tubetto. "Comincio con il macchiare la tela. In ogni macchia cerco qualche cosa, qualche cosa che non è conosciuta, di non visto, qualche cosa di nuovo per me, di sconosciuto. Ed io lavoro fino a che ciò diventi ancora più sconosciuto. La lezione di Leonardo, niente di più: "Io non disegno cavalli, li vedo nella macchia che ho fatto". In un certo modo, tirare e poi mirare, come pretendeva di fare Pancho Villa". Realizzò così i suoi primi oli surrealisti che prima chiamò "Morfologie Psicologiche" e poi "Inscape".
Scoppia la Seconda Guerra mondiale. Il raffinato circolo culturale europeo, che aveva attirato il giovane architetto cileno, viene spazzato via. L'America è per molti l'unica via d'uscita per sfuggire al disastro. Matta partecipa alla diaspora di intellettuali e artisti in fuga, che muteranno il corso della cultura americana, destinati a loro volta ad esserne influenzati.
Negli Stati Uniti ebbe contatti con gli altri surrealisti, con i dadaisti ed esercitò una forte influenza su molti giovani artisti: la rapidità istintiva del suo gesto pittorico guida gli sviluppi della pittura americana d'avanguardia, Gorky, Rothko e Pollock tra gli altri. Le sue opere vengono considerate una specie di barometro psichico in grado di registrare i desideri e gli impulsi della gente. L'allontanamento dall'Europa rappresenta una rottura definitiva. Nel '41 visita il Messico in compagnia di Motherwell. È affascinato dai paesaggi diversi. Sviluppa l'interesse per l'arte primitiva dei vari continenti, delle civiltà americane e oceaniche. "Da ragazzo vivevo nella cultura europea e cominciai a sentire che c'era qualcosa prima, l' "origine". Così, già da allora cominciai a interessarmi all'origine della vita e di ogni cosa, di un'idea, di un conflitto. È per questo che mi interessa molto l'arte delle origini, l'arte primitiva". Risale proprio a questo periodo il sentimento ispiratore di una serie di opere che svilupperà nei due anni successivi denominate "chaoscosmiche". Le mostre in cui espone sono sempre più numerose. Il surrealismo si impone a New York: per Matta significa notorietà crescente. Ma non è certo la ricerca della fama che alimenta la molla creativa che si agita in lui: "Perseguendo la fama ci si dimentica del proprio mondo interiore e della società. Io non voglio essere un simbolo del successo".
Viaggi e sperimentazioni continuano per tutta la sua vita. L'amore per la vitalità della ricerca lo porta, in armonia con il generale moltiplicarsi e differenziarsi dell'arte nata dal disgregarsi delle avanguardie nel secondo dopoguerra, a produrre secondo diversi stili: nel '46 una sua personale è presentata in catalogo da un testo di Marcel Duchamp, lo stesso anno espone nella mostra "Abstract and Cubist Art", l'anno dopo partecipa alla "Exposition Internationale du Surréalisme".
Nel '48 lascia definitivamente New York e ritorna in Europa. Sposta la residenza tra Roma e Parigi, ma sostanzialmente, in arte come nella vita, è in continuo movimento. Alla fine degli anni '50 Matta era un artista universale, con opere esposte in importanti musei di Londra, New York, Venezia, Chicago, Roma, Washington e Parigi. Nel 1971 la rivista francese "Connaissance des Arts" lo collocò fra i dieci migliori pittori contemporanei del mondo.
Negli anni '60 Matta sostenne apertamente il presidente Salvador Allende. In seguito al golpe di Augusto Pinochet, l'artista fu dichiarato "persona non grata" e inserito in una lista nera. Il pittore decise allora di diventare cittadino francese. Nel 1985 il Centro Georges Pompidou di Parigi gli consacró una grande retrospettiva. A 84 anni Roberto Sebastian Matta Echaurren continuava a considerarsi un sabotatore dell'ordine costituito, uno che dipinge - come dichiara egli stesso a piú riprese - scolpisce "per disturbare", perché "il pericolo è vita e oggi e tutti i giorni la mia vita è un attentato". Morirà a Civitavecchia nel 2002.
Scrisse di lui Giuliano Briganti: "Fu sempre un solitario, molto estraneo ai movimenti, alle adesioni ai vari movimenti europei, una persona estremamente fedele a sé stesso". Fedele anche e soprattutto alla vita che per Matta fu essenzialmente "erranzia": "Quando si è erranti si capisce a fondo che il senso della vita è trovare sé stessi. La vita è fatta d'incontri e quando uno vive una catena di incontri è protagonista di una vicenda di "erranzia". Solo chi conosce sé stesso può realizzarsi, cioè dare il meglio a ognuno, a ogni cosa, a ogni incontro".
“AGITARE L'OCCHIO PRIMA DI VEDERE”.
Vedere il nascosto è alla portata di tutti, ma la tradizione ci ha abituato a credere che solo gli Indovini, i Profeti e i Poeti vedano di nascosto. Il nascosto è spesso il Futuro, ma più frequentemente è il Presente stesso. quando si chiede ad un uomo di approfondire il suo “vedere generalmente risponde: “io non sono un profeta”. Invece io affermo di essere profeta, non nel senso intimidatorio, eccezionale, ma nel senso che ogni uomo può coltivare il verbo Vedere. La vera utilità della poesia (Poiesis= creare) è di sviluppare agriculturarmente in ognuno le proprie facoltà poetiche. È a questo che serve la poesia.
Non è poeta chi scrive solo poemi, è poeta chi vede il nascosto (e qui che viene la grande mistificazione). La poesia è un metodo scientifico di vedere. Anche la scienza è volgarmente mistificata nelle sue applicazione, ma il vero scienziato cerca di rivelare in senso apocalittico (rivelazione) il reale, il vero comportamento della materia.
IL REGNO DEGLI OCCHI
Che il mondo che io scelgo, non sia un occhio zoppo. La modalità d'uso del verbo “vedere”, perché umanamente serva alla mente umana, è illuminare, vedere con l'immaginazione, con l'intelligenza. Nonché vedere la vita a tutta luce. L'immaginazione è un proiettore ad alto voltaggio e “l'arte” serve a vedere con chiarezza le difficoltà. La facoltà di immaginare quanto è possibile consiste nell'avere nella mente quattro occhi di qualità. L'immaginazione è un occhio al centro del centro. Coltivare la mente come se si trattasse di agricoltura della cultura. Bisogna “vedere” per capire l'imbecillità dell'arsenale atomico; bisogna vedere a tutta luce perché l'occhio che coglie non barcolli.
ENTRARE NELLA MATERIA
Posso dire che la materia è una cosa meravigliosa. È ciò che una volta si chiamava “natura divina”. La natura fa tutto, erbe, fiori, stelle, cervelli umani, cervelli di cavallo, serpenti, fa tutto e trasforma tutto in pura energia, a volte a velocità inverosimile, si “organima” in organismi non conosciuti da noi, non visti da noi. Entrare in materia è come entrare in un oceano.
MATTA-PENSIERO
di Bianca Madeccia
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