sabato 3 maggio 2008

Le Corbusier, il viaggio in Italia


RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

Le Corbusier viaggio in Italia. Nel corso della sua vita il più grande architetto del Novecento visitò quattro volte il nostro Paese. L'occasione più importante fu quella del 1934, quando, già affermato e famoso, scese a Roma cercando contatti, finanziamenti, commesse. La scoperta del suo taccuino di viaggio rivela per la prima volta i pensieri romani del padre del Moderno e lo schizzo di un edificio che non vedrà mai la luce.
«Sua Eccellenza il Capo del Governo», informa una nota ufficiale in data 15 gennaio 1934, «si è compiaciuto di dare il proprio assenso perché abbia luogo in Italia il progettato corso di conferenze sulle nuove forme dell'Architettura moderna» ad opera del «noto architetto francese Le Corbusier». Di questo soggiorno romano dell'artista, che avrebbe poi avuto luogo nel giugno del '34, si parlerà dal 13 al 15 dicembre, a Roma, in un convegno intitolato L'Italia di Le Corbusier: 1907-1965, a cura di Marida Talamona.
Ma ricostruiamo quel viaggio di settantatré anni fa. All'interessato, il quarantasettenne Charles-Edouard Jeanneret, Le Corbusier appunto, che la aspettava a Parigi, la notizia fu comunicata per lettera da un suo amico italiano, l'ingegner Guido Fiorini, con molta esultanza: «Victoire! Victoire!».
Di una vittoria, infatti, si trattava. Da due anni il maestro dell'architettura moderna si adoperava per ottenere il benestare alla sua visita nella capitale italiana. La richiesta aveva appena fatto in tempo ad arrivare a Roma, che intorno ad essa s'erano aggrovigliati pareri discordi. Lo scontro, dopo aver coinvolto i sindacati dei Professionisti e degli Artisti, finì per investire vari ministeri: Esteri, Corporazioni, Interni. Fra le obiezioni al viaggio ne spiccava una: il «proponente» era «straniero» e, forse, «comunista» (diceria, quest'ultima, erronea). Non restava dunque che appellarsi al Duce, come per un affare di Stato. A rimuovere l'iniziale veto di Mussolini intervennero mediazioni significative. Per impulso di Pietro Maria Bardi, attivo difensore dell'architettura "razionalista", si mossero in favore del viaggio Giuseppe Bottai e l'accademico d'Italia Massimo Bontempelli, direttore, insieme con Bardi, della rivista Quadrante. Essi si fecero garanti della correttezza politica di Le Corbusier e riuscirono ad attenuare le riserve del Duce sui problemi interni che poteva suscitare l'arrivo a Roma di un personaggio-simbolo dell'urbanistica moderna. L'assenso finale del dittatore mitigò la contesa.
In Italia, "Corbu" era stato già tre volte. A vent'anni, nel 1907, aveva visitato Firenze, Lucca, Siena, Pisa, Ravenna; infine Venezia, che lo abbagliò: «Je prends Venise à témoin», avrebbe spesso ripetuto. Nel 1911, in un viaggio alla scoperta del Mediterraneo era riapprodato a Roma: Massenzio e il Pantheon, il Campidoglio e San Pietro, il Vaticano e Villa Adriana, ma anche una chiesa paleocristiana come Santa Maria in Cosmedin divennero luoghi cari alla sua vocazione di "costruttore". Scopi professionali ebbe una sua trasferta a Roma nel 1921: vi instaurò rapporti di scambio fra L'Esprit nouveau, la rivista da lui diretta, e alcuni periodici, da Valori plastici di Mario Broglio ad Architettura ed Arti Decorative di Gustavo Giovannoni e Marcello Piacentini. Quest'ultimo presentò per la prima volta in Italia, in quelle pagine, la figura e l'opera di Le Corbusier.
E adesso, nel 1934? Roma figura, più che mai, nei programmi del grande architetto. È un luogo importante per i suoi progetti di lavoro: cioè per la realizzazione della «Ville Radieuse», la città che, come un idolo, occupa la sua immaginazione. Per attuare questo piano ideale occorre appellarsi all'autorità politica, di qualunque colore essa sia: è un concetto che egli diffonde in ogni occasione, utilizzando anche i Ciam, i Congressi internazionali dell'architettura moderna, di cui è gran parte. Con quell'intenzione apolitica, o meglio "omnipolitica", egli ha progettato nella Mosca di Stalin il Centrosoyuz, un grande fabbricato di uffici e sale riunioni. E nella stessa ottica, nell'ottobre del 1931, ha pensato di inviare a Mussolini un Manifesto che lo induca ad appoggiare il suo progetto per la costruzione del Palazzo delle Nazioni a Ginevra. Progetto al quale si propone di associare i rappresentanti della «giovane architettura italiana».
Quell'appello non è andato a buon fine, ma ecco giunto il momento di riprovarci con l'Italia. Le tre settimane che Le Corbusier vi trascorre sono annotate dall'artista in un suo carnet: un mucchietto di fogli graffiati da un'ardua scrittura. A interpretarli e trascriverli per la prima volta è stata Marida Talamona, curatrice del convegno romano e docente di storia dell'Architettura a Roma Tre. Ne darà conto in un intervento al convegno, appunto (...).
Nomi, cognomi, schizzi di edifici. Giudizi fulminanti. Ragguagli d'ambiente. Figurano in questo journal gli amici vecchi e nuovi dell'ospite illustre: Pirandello, Bontempelli con la sua giovanissima compagna Paola Masino, Fiorini, Libero De Libero, Bardi, il pittore Corrado Cagli. Sfilano gli industriali che egli ha voluto incontrare - Olivetti, Agnelli, Volpi di Misurata - e sui quali conta per appoggi finanziari in vista di futuri progetti costruttivi, per esempio l'Expo parigina del '37. Seguono cenni al modo di passare svagatamente le serate.
Quella Roma in cui, atteso o temuto, piomba il grande architetto è teatro di polemiche pubbliche, che però lo riguardano da vicino. Ci si divide, in politica, sul peso e il significato da dare all'architettura moderna. I fautori del "nuovo" - Bottai, Bontempelli, Filippo Tommaso Marinetti, Enrico Prampolini, Luigi Figini, Gino Pollini, Luigi Piccinato, Giovanni Michelucci e il gruppo Banfi, Belgioioso, Peressutti e Rogers - sono avversati dai tradizionalisti, di nome oscuro ma risoluti nel considerare i fautori del "razionalismo" una schiera di invasori esterofili. In una zona di mezzo si collocano alcuni notabili illustri, del livello, ad esempio, d'un Piacentini.
La presenza di "Corbu" a Roma s'inscrive in questa battaglia. Alla vigilia del suo arrivo, il 26 maggio, c'era stata alla Camera una rumorosa sollevazione contro l'architettura moderna, identificata con Sabaudia e con la nuova stazione di Firenze, in costruzione. I tradizionalisti hanno gridato allo scandalo, ma il 10 giugno Mussolini s'è pronunziato a favore dei giovani "razionalisti" e li ha ricevuti a palazzo Venezia. Così a maggior ragione, per l'ospite, l'esigenza primaria diventa una sola: farsi ricevere dal Duce. Ma non ci riesce (e lo racconta nella lettera alla madre [...]). Forse, per Mussolini, concedere udienza a una grande firma dell'architettura straniera significa esporsi troppo.
Non gli mancano, comunque, i pretesti per indugiare. Il 14 giugno arriverà in Italia, ed è la prima volta, Adolf Hitler. Il 15 ci sarà una solenne manifestazione a Venezia. Giovedì 20 giugno, l'amico Bardi comunica a Le Corbusier che il Duce potrebbe incontrarlo fra il 27 e il 29. Ma lui decide di ripartire. L'aver atteso l'udienza per diciassette giorni è troppo per il suo orgoglio. Di carattere brusco ed egocentrico, com'è, pensa che si sia abusato della sua pazienza.
È stata un'occasione perduta? Si può rispondere di sì. Uno degli obiettivi cui il maestro mirava era Pontinia, la terza città fascista da edificare nel basso Lazio dopo Latina e Sabaudia. Ma resta un miraggio incompiuto. E rimane appena schizzata, nel carnet, l'area in cui dovrebbe sorgere il Palazzo del Littorio, al cui progetto concorrono molti architetti italiani. L'edificio che Le Corbusier immagina, per puro estro personale, ha uno scheletro di acciaio e vetro. Non sarà mai realizzato.
Né mai vedrà la luce la costruzione di quell'ospedale di Venezia, a San Giobbe, il cui progetto verrà affidato a Le Corbusier assai più tardi e che, dopo averne visto soltanto un plastico preparatorio, Bruno Zevi giudicherà un'opera «grandiosa», forse la «più semplice ed eloquente» del maestro. Il progetto di massima viene presentato a Venezia nell'aprile del 1965. Il 27 agosto Le Corbusier annega, per infarto, nel mare di Cap Martin in Costa Azzurra, dove ha trascorso l'estate in un cabanon di legno che s'è costruito sulla roccia. «È morto in un capanno solitario», così lo commemora André Malraux, «l'uomo che aveva concepito delle capitali».

Nessun commento: