L'Antiche Siracuse: Eternità di un mito
a cura DI D. PICCHIOTTI
Il fascino o, se si vuole, il fantasma mitico delle Siracuse ha sempre alimentato la curiosità di storici e viaggiatori di tutti i tempi, come anche di governanti. Non sembra esistere autore, che abbia indagato sui motivi della fama di Siracusa antica, rimasto insensibile all'opinione dei grandi del passato.
Pindaro la definisce «Megalopolis» e Cicerone afferma «urbem Syracusas maximam esse graecorum urbium».
In tempi più moderni Francesco Bonanni, nipote di quel Giacomo Bonanni, Duca di Montalbano, che raccolse in un volume le memorie di Siracusa dopo il Mirabella, riferisce: «molti scrittori, fin dall'antichità, van quasi a gara cercando epiteti per dichiararci al modo possibile la sua magnificenza», e ancora: «tra le memorie illustri, che rendono onorevole il nome siciliano, quelle dell'Antiche Siracuse sono, senza dubbio alcuno, le più degne e le più famose (...) da vari scrittori in vari tempi celebrate».
L'eternità del mito delle Siracuse ha reso così «grande» e «gloriosissima» la Fama della città, nei secoli, da forgiare l'immaginario di letterati e eruditi, di storici e «antiquari». Gli appellativi per cui è nota, attraverso i testi più antichi, sono di volta in volta e ad un tempo: grandissima, bellissima, foltissima, munitissima.
La natura geografica del suo sito, unita all'artificio delle mura e delle torri, hanno reso Siracusa una roccaforte, sia da parte di mare che di terra.
Il mito della Forza, tra l'altro, può essere associato all'idea archetipica di Vittoria, che è, pure, ideologia di dominio e di supremazia militare (Siracusa è, per di più, consacrata al culto di Athena, dea della Vittoria, ovvero della Prudenza propriamente dei Sovrani).
Al tempo degli spagnoli sappiamo come la città si identificasse ancora con l'appellativo di «Inespugnabile» e avesse «Foltissimi Baluardi».
Gli stessi viaggiatori che, nei loro tours divenuti leggendari, si spingono a partire dal '600 e '700 fino a Siracusa, sono guidati dal desiderio della «scoperta» delle «Antiche Siracuse».
Fatalmente, tuttavia, l'impressione quasi univocamente registrata, nei resoconti di viaggio, è senz'altro di delusione, in confronto all'attesa emozione di recarsi a visitare la superba città descritta da Strabone, Tucidide o Diodoro.
L'interesse per le mitiche Siracuse soverchia così tanto, nell'immaginazione, da deluderli, una volta giunti alla meta.
La città che si trovano davanti difficilmente può competere con quella tramandata dalla storia.
Impressioni analoghe si possono, ad esempio, trarre dai racconti di viaggio di Jouvin de Rochefort (1672), di Dryden (1701), di Brydone (1770), di Borch (1777), di Denon (1788), o di Barteles (1786). In tempi più recenti, nel resoconto di viaggio di Paton (1902), riaffiora inconfondibile il senso di insoddisfazione e di disappunto nel vedere un luogo che, così poco, sembra aver conservato del suo aspetto passato e che, tuttavia, continua ad affascinare e commuovere. Ciò che colpisce il visitatore è più una suggestione immaginaria, una evocazione lontana di miti storici e letterari, che non la realtà vera e propria: «senza dubbio, la prima impressione di Siracusa è una delusione (...) tuttavia è impossibile guardarla senza commozione; essa interessa stranamente, si richiama alla nostra immaginazione e ridesta alla nostra memoria tutta la sua meravigliosa attività».
Scrive oggi George Vallet: «Siracusa viene ormai considerata al pari di Atene o a Sparta, non solo per il potere e la forza militare, ma per la posizione conseguita nella difesa dell'ellenismo contro i barbari. Questo è un fatto unico nell'occidente preromano, che non si è verifica-to per nessuna città della Magna Grecia. Tutta la storia futura dell'isola ne è condizionata: la guerra sarà inevitabile tra Siracusa che, dopo altre guerre (...) aveva esteso il suo dominio a quasi tutta l'isola, e Atene, arrivata essa pure al vertice della sua potenza».
«Siracusa - scrive ancora Vallet - come altre città famose (si pensi a Sibari o a Napoli) ha i suoi miti, così profondamente radicati nella nostra cultura che, a volerli eliminare, si farebbe un torto alla storia. I viaggiatori di ieri, come quelli di oggi, sanno che è stata una delle più belle e delle più grandi città del mondo antico».
La stessa ansia di conoscenza, mista pur sempre a curiosità intellettuale, suggestioni letterarie, evocazioni di miti lontani, ispira gli eruditi che, a partire dal Cinquecento, si dedicano, con grande interesse, alla ricognizione diretta dei luoghi della Sicilia Antica. Le loro deduzioni derivano da una ricerca toponomastica empirica, basata, almeno nelle intenzioni, più sull'esame ravvicinato dei luoghi, che non sui giudizi tramandati dagli scrittori e letterati.
L'ansia di rapportare le notizie, tratte dalle fonti classiche, con le rovine è, tuttavia, così forte da indurii a non poche forzature d'inter-pretazione (comprensibili, d'altra parte, in assenza di scavi).
E' interessante rilevare che tale tipo di interesse si manifesta negli eruditi proprio in concomitanza con la rinnovata importanza strategica assunta dalla Sicilia, nel quadro difensivo mediterraneo, conseguentemente alla politica espansionistica spagnola. In questo contesto, la ricognizione di Siracusa Antica,
mentre il ruolo difensivo della città è in forte rilancio, esercita negli eruditi un potente richiamo.
Proprio quando la fama dell'Antiche Siracuse sembra aver ceduto, quasi definitivamente, sotto il peso delle dominazioni straniere, la città risorge più forte e potente. Questa sorta di rinascita può associarsi con l'ideologia e la strategia politica della Spagna, che identifica Siracusa col segno della Fortezza e la rende «rocca fortissima» della Sicilia e del Mediterraneo.
Le prime note ricognizioni della città sono quelle di Claudio Maria Arezzo e di Tommaso Fazello.
Nel 1613 escono a stampa «Le Dichiarazio¬ni della Pianta dell'Antiche Siracuse, e d'alcune scelte medaglie d'esse e de' Principi che quelle possedettero», elaborate da Don Vincenzo Mirabella e Alagona, Cavaliere Siracusano (1570-1624), accompagnate da nove tavole, incise da Francesco Lomia, e da un indice topografico di duecento luoghi.
Le nove tavole costituiscono un avvenimento: esse rappresentano la prima pianta topografica, a stampa, dell'Antica Siracusa.
Storico, geografo, matematico, filosofo, archeologo ante litteram, Mirabella incarna perfettamente l'interesse filologico dell'erudito del suo tempo per il mondo antico: «primo tra i siracusani a cacciar fuori dalle antiche rovine della sua patria le memorie più pregiate d'essa», scrive di lui Francesco Bonanni. Assai difficile dovette essere per Mirabella la identificazione dei luoghi di Siracusa Antica, data la stratificazione di rovine presenti nella città; ardua dovette essere la sua ricostruzione topografica, dal momento che le descrizioni e le notizie dei monumenti di Siracusa, tramandate dagli antichi scrittori, risentono di una forte componente fantastica. Il metodo ricognitivo del Mirabella è, infatti, espressione di quanto gli è consentito dalle conoscenze del suo tempo: «mentre io di molte principali parti di Siracusa veggo fatta menzione, come di Tempij, di Statue, di Palagi, di Piazze, di Strade, di Teatri, di Fiumi, e d'altri edifici e pubblici e privati, conferendo io il tutto col sito, con le tradizioni e con le reliquie, ne formo l'Antiche Siracuse (...) e a vita le restituisco».
Il tessuto viario e i limiti di espansione urbana non possono che essere ricostruiti sulla base di congetture, ferma restando la localizzazione dei monumenti o delle rovine principali. La rappresentazione della città è, perciò, in parte, frutto d'immaginazione. Del resto la configurazione delle Siracuse, così come ci appare nella ricostruzione grafica tramandataci dagli storici, quali il Mirabella, il Bonanni o il Cluverio, è espressione di un insieme inscindibile di elementi reali e fantastici, simbolici e topografici, da non poter essere considerata una rappresentazione cartografica in senso moderno, ma solo un tentativo di «testimonianza» del sistema urbano e territoriale della città, tra i più importanti del mondo antico.
Non per questo, tuttavia, le «riedificate» Siracuse del Mirabella possono diminuire nella nostra considerazione. Esse, anzi, sono in grado di esprimere tutt'oggi, similmente che nel passato, quel fortissimo valore di immagine, carico di suggestioni, che dovette spingere il Mirabella nell'ardua impresa di restituire al mondo, perché ne conservasse memoria, la rappresentazione «del sito, grandezza, bellezza e magnificenza» delle Antiche Siracuse. Se questo è potuto accadere, è certo che l'intento del Mirabella è stato raggiunto.
Ciò che rimane intatta è, infatti, l'immagine di un eccezionale complesso urbano, fortificato, esteso da Ortigia all'Epipoli.
Il territorio fortificato dell'Epipoli, i cui resti sono ancora ben visibili, costituisce, d'altra parte, uno dei più straordinari esempi di architettura militare tramandataci dal mondo antico.
L'interesse suscitato dal Mirabella con la sua ricostruzione topografica della città è tale da
indurre, ben oltre un secolo dopo la prima edizione della carta del 1613, a una nuova stampa delle nove tavole, intitolata "'Descrittione delle quattro città dell'Antica Siracusa".
L'incisione, eseguita da Francesco Ciche, è contenuta nel volume edito a Palermo da Giovan Battista Aiccardo nel 1717. E' Francesco Bonanni a riproporla nel secondo volume Delle Antiche Siracuse che contiene gli scrittori anteriori al suo trisavolo, Duca di Montalbano.
La stampa della carta incisa dal Ciche ha costituito a lungo l'edizione più nota, l'ultima fino a poco tempo fa conosciuta, tratta dalla celebre ricostruzione topografica tramandataci dal Mirabella. (Arnaldo Forni Editore ne ha proposto la ristampa anastatica nel 1987).
Ma ora un recente rinvenimento ci ha restituito una ulteriore edizione ignorata della carta del Mirabella. La fortunata occasione è dovuta a una scoperta di Cesare Samà, con la cui collaborazione si è resa anche possibile questa elegante ristampa anastatica della carta, a cura di Arnaldo Lombardi Editore.
Le nove tavole hanno per titolo "Delineatio Syracusarum Antiquarum Quadriurbium. Ex mente e conjectura D. Vincentii Mirabellae et Alagonae".
Sulla carta appena riemersa, con grande cortesia affidatami da Cesare Samà, ben poche erano le notizie su cui poter contare per una ricerca della provenienza e della datazione. L'unico elemento, che faceva presupporre un'importante edizione non italiana della carta, riguardava il nome dell'incisore. Sulla tavola II è infatti riportato il nome dell'autore: J. Mulder.
Non si conosceva l'anno, né il luogo di edizione ne la raccolta cui la carta doveva appartenere. Risultava tratta da un Thesaurus, ma non se ne conosceva il frontespizio.
Una fortunata circostanza ha fatto sì che la ricerca, condotta presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, portasse a identificare un Thesaurus Antiquitatum et Historiarum Siciliae, di Gio¬vanni Giorgio Graevio, con note di Pietro Burmanno, edito aLugduni Batavorum (Leida) nel 1725.
Il Thesaurus è conservato presso la Biblioteca Nazionale di Firenze e, inoltre, presso la Biblioteca Comunale di Palermo. E' dall'inda¬gine condotta a Palermo che siamo potuti risalire ai due frontespizi che qui riproponiamo, insieme all'anastatica della carta. Questa fa parte della raccolta intitolata "Ichnografìae Syracusarum Antiquarum explicatio"', edita da Petrus Vander Aa. nel 1723 a Lugduni Batavorum (tav. I). La carta è contenuta in una raccolta più ampia, il cui frontespizio è quello del Thesaurus citato, volume XI, edito anch'esso da Vander Aa., nel 1725 (tav. II).
La carta appare uguale, nel complesso delle identificazioni e nell'indice topografico, a quella incisa dal Ciche, a parte alcuni dettagli grafici, dovuti certamente alla diversa mano dell'incisore.
Ciascuna delle nove tavole del Mulder si presenta separata dalle altre e numerata progressivamente, così come le tavole del Ciche.
Mentre, tuttavia, l'edizione del Ciche è riprodotta in scala di canne 100, quella del Mulder riporta una scala di canne 200.
Dopo quanto ci siamo dilungati a dire fin'ora, appare del tutto implicito il riconoscimento del grandissimo valore documentario, storico e d'immagine espresso dalla ristampa della carta ultimamente rinvenuta. Essa rappresenta, in ultima analisi, un'ulteriore affermazione di quel mito delle Antiche Siracuse sulla cui eternità siamo andati discutendo in queste pagine. A conclusione di esse, basti dire che Cesare Samà, cui dobbiamo questa ristampa, è stato, ed è guidato, nella sua ricerca e raccolta di antiche carte di Siracusa, da una curiosità, da un'ansia di conoscenza, da un amore per il ritrovamento di documenti cartografici antichi, che non possono non paragonarsi a quello spirito, sempre vivo, tipico degli Eruditi di tutti i tempi, al quale, pure, dobbiamo gran parte delle memorie del nostro passato e, perché no, dall'eternità del mito delle Siracuse. Lucia Trigilia
Nessun commento:
Posta un commento