giovedì 7 febbraio 2008

L'assoluto e le forme

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI
 
La comunanza tematica del dibattito estetico nella Francia del Novecento, favorita senza dubbio dalla caratteristica autarchia culturale francese, trova un ulteriore riscontro, oltre che in Valéry, nelle varie opere che i creatori stessi hanno dedicato alla teoria dell'arte, occupandosi in modo particolare del ruolo costruttivo della tecnica nei processi della produttività artistica.
Maurice Denis, per esempio, teorico e protagonista del cosiddetto «simbolismo» pittorico, sostiene che un dipinto, «prima di essere un cavallo di battaglia, una donna nuda o un qualsiasi aneddoto, e essenzialmente una superficie piana ricoperta di colori riuniti in un certo ordine»[70].
L'arte non è «imitazione» pura e semplice della natura ma una sua più complessa trasposizione sentimentale: questa asserzione di Denis trova un sostenitore anche in Apollinaire, che nelle sue Méditations esthétiques, rifiuta la verosimiglianza come criterio estetico e valutativo per le opere d'arte figurative. L'arte non deve conformarsi al gusto naturale ma trasformarlo, modificando con ciò anche la stessa sensibilità degli uomini[71].
André Malraux, che è fra gli artisti colui che ha scritto la più importante opera di estetica esercitando un notevole influsso anche nei riguardi dei «professionisti», riprende anch'egli questa posizione anti-mimetica sostenendo che, più che a vedere il mondo, la pittura tende a crearne un altro, nuovo e irriducibile. È questo il punto di partenza della sua Psychologie de l'art, ampio studio che, al suo apparire, venne considerato non l'estemporanea meditazione di un brillante e discusso letterato ma «la più importante opera d'estetica del nostro tempo»[72]. Oggi dobbiamo forse ridimensionare tale giudizio e riconoscere, con Morawski, «che Malraux si è valso di vari e numerosi motivi, da lui assimilati in conformità ad alcune idee di fondo derivanti dalla sua visione del mondo». Più che un'estetica sistematica
«si tratta di un insieme di tesi definite, che possono essere desunte da una o più idee di fondo, esposte in un linguaggio discorsivo, mosso da ambizioni, più che persuasive, chiarificatrici; e che prende in esame solo alcuni di quei problemi che tradizionalmente sono ritenuti i principali problemi estetici»[73].
Tale impostazione deriva peraltro dalle generali (e generiche) basi filosofiche di Malraux che, conoscitore della fenomenologia, sposa piuttosto la tradizione dell'esistenzialismo nelle sue varie manifestazioni francesi e tedesche tentando di cogliere la potenza dell'uomo e il significato del suo destino, ricerca in cui dobbiamo comprendere e interpretare sia l'adesione sia la successiva rottura con il marxismo e con il partito comunista francese quanto, d'altra parte, l'idea che la ricerca della libertà dell'uomo debba essere affidata all'arte.
Questi ondeggiamenti ideologici, forse drammatici[74], sono implicitamente presenti in tutta la sua opera lettararia ed estetica, dove si nota sempre il tentativo di ridurre la frammentarietà dell'esistente a un principio sovraestetico che ne comprenda l'intima unità. Infatti l'estetica di Malraux è, in primo luogo, l'elogio del museo, il tentativo anzi di costruire il «museo dei musei» dove, se l'opera d'arte e il suo stile appaiono al centro dell'attenzione e dell'interesse, va presupposto tuttavia un criterio soggettivo di selezione delle opere che in esso sono poste: le «voci del silenzio» delle opere d'arte implicano pur sempre una voce, ovvero una «psicologia» dell'arte stessa, un esame dell' anima nel divenire delle sue stesse forme.
Il museo offre infatti alle opere d'arte un nuovo ruolo non più sottomesso alla loro funzione sociale ma indirizzato invece alla determinazione degli specifici caratteri stilistici. L'opera d'arte non è qui limitata dalle intenzioni del suo creatore ma possiede una vita propria, un autonomo universo in cui si muovono, si interpretano e «metamorfizzano» le forme e gli stili. Come già aveva sostenuto Focillon (e prima ancora Baudelaire) l'arte è creazione di un universo concreto distinto dalla natura e non sottomesso alle leggi storiche del reale: «questo universo 'distinto della natura' l'artista l'imporrà attraverso il suo stile e non attraverso una qualità di visione»[75]. Il campo dell'arte, il «museo immaginario» non è dunque quello individuale e limitato dell'artista ma una presenza oggettiva che ha in sé il divenire delle forme e degli stili. L'arte non ha per scopo l'espressione di sentimenti soggettivi, di sogni o giochi né è riducibile alla biografia dell'artista «geniale» ma deve invece affermare l'intrinseca specifica storicità degli stili.
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