martedì 19 febbraio 2008

L'arte e il feticcio mediatico

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

Quando la produzione artistica è semplificata in iperboli decorative, quando i musei funzionano da casse di risonanze per eventi mediatici costruiti in funzione di un mercato fittizio, quando la funzione artistica si appiattisce sul flusso della comunicazione, la domanda di fondo è se sia possibile in generale la trasmissione del sapere artistico. Su questo interrogativo si delinea la differenza fra la bottega artigiana e l'esercizio dell'artista libero di inventare e di sperimentare secondo una estetica, un gusto, individuale. Il dibattito fra sapere artigianale trasmesso da un sistema di codici rigidamente determinati, espressione di un'arte "servile", funzionale ai codici dei poteri costituiti (la Chiesa, il principe o il pubblico, o il mercato), ed esercizio di una concezione dell'arte "liberale", libera cioè da condizionamenti che non fossero quelli dei canoni fondativi di un linguaggio, attraversa almeno cinque secoli che contraddistinguono il sistema culturale occidentale.
L'acquisizione di canoni, di regole, di codici e la relativa possibilità/capacità di trasgressione degli stessi ha segnato, nel corso della cultura occidentale, quel sistema di alternanza fra norme/trasgressioni che sotto differenti punti di vista sono state definite come una dialettica del superamento. La crisi della grande nozione del bello, nel XIX secolo, produce una estetica del brutto insieme alla consapevolezza della "morte dell'arte", superata dalla filosofia. Non è casuale che la crisi del sistema dell'arte, fondato sulla trasmissione di un sapere di tipo artigianale, manuale e legato ad una funzione mimetico rappresentativa, sia coincidente con l'avvento delle tecniche riproduttive e delle tecnologie produttive di tipo meccanico. Se è verificabile la celebre ipotesi, formulata da Walter Benjamin, secondo cui la fotografia avrebbe liberato l'arte dalla necessità mimetico rappresentativa, insieme all'affrancamento della condizione manuale, è anche vero che il cinema, diretta conseguenza della fotografia, parente più prossimo della forma più radicale di anti-arte come Dada, avrebbe prodotto una nuova capacità di produzione estetica legata al rapporto diretto fra produzione di immagine e produzione di senso.
Negli stessi anni Teige e Mukarovsky sono in grado di formulare aggiornate teorie estetiche che costituiscono la base di una concezione moderna della "funzione" artistica capace di prendere in considerazione l'aspetto del mercato e quello altrettanto determinante della tecnologia. Entrambi gli autori, come del resto anche Benjamin, verranno introdotti in Italia solo negli anni Settanta, questo spiega il ritardo italiano nella formulazione di una teoria estetica capace di comprendere il moderno!
Un malinteso "marxismo" dogmatico più idealistico che materialistico, l'ignoranza del dibattito europeo fra fenomenologia e strutturalismo, hanno causato in Italia un ritardo teorico considerevole nell'aggiornamento estetico. Al ritardo teorico si aggiunge l'ingerenza ideologica dell'apparato burocratico comunista del secondo dopoguerra. Con il suo pesante condizionamento nelle scelte e negli indirizzi della comunicazione riconduce l'esperienza artistica ad una funzione di comunicazione sociale escludendo di fatto le esperienze più radicali a favore di un selezionato gruppo di artisti che in nome del "realismo" e della figurazione si configurano come legittimi esponenti di una estetica ortodossa e depositari della verità artistica. Questi ignorano deliberatamente l'evoluzione dei linguaggi e delle modalità espressive dell'arte che, proprio in quel periodo, sta compiendo uno degli atti più radicali verso l'affrancamento e il superamento della "cultura". L'arte orienta la propria estetica verso la funzione più estrema, quella della de-materializzazione.

Mentre in Italia il dibattito è ristretto a una provinciale querelle fra "realisti" e "astrattisti" è bene ricordare che in Europa e in America si sperimenta l'informale, l'action painting, le cinematografie non narrative, la musica concreta, insomma tutte quelle ricerche derivate dalle avanguardie storiche, che porteranno verso il nuovo realismo, la pop-art, il concettuale e fluxus, fino a sfociare nei nuovi territori dell'estetico diffuso con la performance, l'happening, i video, e la ricerca tecnologica, in un processo che non a caso mette in questione lo statuto dell'immagine insieme allo stesso concetto di arte mimetico-figurativa. L'artista non è più asservito alla forma, ma è progettista e attore di una funzione radicalmente progettuale. L'artista liberato dalle funzioni mimetico rappresentative, apologetiche e servili, può affermarsi come individuo assoluto ed esercitare una funzione radicale non soltanto di critica sociale, ma soprattutto di indicatore di possibilità di liberazione, in una parola, di evoluzione.

La funzione immateriale dell'arte affermatasi già nella linea Malevich-Duchamp, elaborate le complesse strategie che investono con Klee la preistoria del visibile, ipotizzato con l'astrattismo la messa in crisi del figurativo per conquistare l'ambito del figurale, ritroveranno nelle esperienze del secondo dopoguerra dal nuovo realismo da Yves Klein a Piero Manzoni, da Beuys a Kosuth, dal nuovo dada di Fluxus alle esperienze comportamentali, un nuovo territorio che non può limitarsi alla forma o allo statuto tradizionale dell'immagine. E' l'ambito tecnologico che vede concentrare le diverse esperienze sperimentali e progettuali della funzione artistica evolutiva.

Questa premesa è necessaria per poter inquadrare il ritardo culturale della teoresi sull'arte che caratterizza il secondo novecento: Un ritardo e una indigenza estetica che ha trovato facile terreno di coltura nella ideologia, o nello sterile filologismo chiuso nell'ambito storicistico. Gli insegnamenti universitari, e persino nelle Accademie di Belle Arti, si risolvono in ambito storicistico e non fenomenologico né estetologico. In Italia non esistono infatti ambiti disciplinari capaci di coniugare l'estetica e l'arte non necessariamente inquadrati in ambito storicistico. Le posizioni teoriche di Argan, di Menna pur determinanti per un rinnovamento epocale degli studi soprattutto per l'ambito della critica, non sono applicabili a una fenomenologia che attraversi la dimensione mediatica. L'estetica mediologica di Barilli ha costituito, fin dai primi anni sessanta, sulla influenza di McLuhan una posizione certamente avanzata, tuttavia non supportata da una estensione di largo respiro, lo stesso dicasi per Celant, o per altro verso più complesso nel versante semiologico nel caso delle importanti analisi di Garroni o nel caso di un'estetica formativa di Pareyson.

Un segnale determinante per un approccio fenomenologico si registra nel magistero di Luciano Anceschi e di Dino Formaggio che non a caso si rifanno alla scuola fenomenologica di Dufrenne e di Merleau-Ponty, rimasti per l'Italia poco praticati. Mancano dunque in Italia approfondite riflessioni sul problema dell'immagine dal punto di vista del suo statuto, così come è mancata una riflessione sulla funzione artistica in relazione alla evoluzione dello statuto complessivo della dimensione artistica in relazione a quella estetica. Soltanto recentemente posizioni avanzate sul problema dell'immagine considerata dal punto di vista della problematica "veritativa" dell'immagine vengono da Pietro Montani, da Giuseppe Di Giacomo, e da Elio Franzini. Un importante contributo alla teoria nell'ambito di una estetica "diffusa" viene da Mario Perniola, ma non si registra ancora un incontro effettivo con l'ambito della storia dell'arte. Un segnale significativo in questo senso viene da un dibattito aperto di recente nell'ambito della Società Italiana di estetica promosso da Luigi Russo che vede un auspicabile incontro fra estetologi e storici dell'arte.

L'indigenza estetica si riflette nella organizzazione del sistema artistico italiano. Il fenomeno del "mostrismo" riconduce a una logica regressiva improntata a una funzione conservatrice del Museo sostanzialmente asservito al sistema della confezione e della distribuzione di "pacchetti preconfezionati". La ricerca artistica è stata tenuta fuori dall'ambito universitario e dalle stesse Accademie di Belle Arti (fatte salve le dovute eccezioni come il Museo di arte contemporanea promosso a Roma da Simonetta Lux). I musei di arte contemporanea in Italia nella loro esiguità, esauriscono la loro funzione in quella di mero contenitore, ma i musei, si sa, sono come i frigoriferi, se si stacca la corrente, si trasformano in contenitori di merce putrida! Inoltre non è chiara la distinzione fra l'ambito del moderno e una definizione del contemporaneo.

Non è dunque da stupirsi, alla luce di queste considerazioni, come l'ambito tecnologico, così come la ricerca artistica, nel senso aperto dalle posizioni più radicali del Novecento, siano rimaste tagliate fuori dalla funzione della didattica e della formazione, intese come sperimentazione produttrice di senso. Un ingenuo determinismo tecnologico caratterizza la quasi totalità della "giovane" critica di stampo giornalistico e appiattita nell'ambito della comunicazione: una comunicazione che è tuttavia priva di contenuti critici e di sguardo produttivo di una Theoria. L'asservimento alla logica della "diffusione" quantitativa, il consenso verso un pubblico sempre più distaccato dalla esperienza artistica, sta producendo una pericolosa indigenza estetica che si riscontra anche nell'ambito dei linguaggi un tempo contigui e interagenti con l'arte come la letteratura, il teatro, la musica, l'architettura, il cinema. Non è casuale che in Italia la ricerca artistica si stia chiudendo verso forme ampiamente superate già nel Novecento. Un malinteso e confuso conformismo verso il "politicamente corretto" e un falso pragmatismo non fanno che accreditare la falsa luce nella quale risplende l'idiozia dell'arte contemporanea.

Ripartiamo dunque dalla domanda iniziale, se sia trasmissibile il sapere artistico? non potremmo rispondere senza rivolgerci un'altra domanda: ma a cosa serve il sapere artistico? Ci troviamo di fronte a una ipotesi di artisticità accreditata dal mercato che risponde ad esempio al nome di Damien Hirst e alle 1.700 sterline con cui sono stati venduti due bicchieri da Martini della "Farmacia", il nome del ristorante venduto da Sotheby's in 168 lotti per 11 milioni di sterline. O all'equivalente nostrano che corrisponde al nome di Cattelan la cui funzione si riscontra nell'evento mediatico "provocatorio", la notizia di un cittadino indignato che finisce in ospedale per tentare di staccare i bambini fantocci impiccati, come per il simulacro del Papa colpito da meteorite e tutte le amenità di dubbio gusto pagate con cifre esorbitanti, certificando l'unica funzione mediatica e falsamente "provocatoria" (ma cosa provocano?). Ci sarà pure una differenza fra Andy Warhol e Cattelan, su questo almeno si potrà discutere!
Il problema serio è che la domanda sulla funzione artistica è vanificata dall'evento mediale, che di per sé ovviamente prescinde ogni problematica filosofica, estetica, etica e… artistica! Ex apocalittici e neofiti dell'integralismo mercantile e della chiacchiera, intrisa di "politicamente corretto", galleggiano sul deserto culturale e assolvono una mortificante funzione di cassa di risonanza mediatica per ogni fenomeno legato alla funzione mediatica, scambiando la funzione artistica con quella mediatica ma certamente lontano dalle ipotesi aperte da Andy Warhol e da Arthur Danto. In questa logica riduttiva appaiono lontane le ipotesi progressive di una ricerca artistica avanzata sui media da Gene Youngblood (Expanded Cinema del 1969 non è mai stato tradotto in Italia!) da Woody e Steina Wasulka, da Nam June Paik, così come si sono dimenticate le ipotesi progressive poste dalla de-materializzazione dell'arte come possibile supporto teorico per una fenomenologia dei media davvero attivi nella nuova sfera comunicazionale, in una ipotesi di risocializzazione come indicato da De Kerchove nella suggestiva metafora di "pelle della cultura".
Un sapere artistico può essere trasmesso come semplice funzione ripetitiva, di tecniche avulse da una funzione evolutiva. Un sapere inteso come ricerca e come verifica non è trasmissibile, ma è solo agibile a patto che si creino le condizioni utili per esercitare la funzione artistica. Dall'ambito della formazione a quella della produzione. L'arte non può prescindere dalla sua funzione primaria "fondativa" di un linguaggio anche attraverso l'atto teoretico che "trans-forma" indicando possibilità inedite per l'uomo. di Dario Evola

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