giovedì 14 febbraio 2008

INFINITO

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

Infinito, ciò che non ha limite, misura o conclusione: così inteso, il concetto ha avuto interpretazioni e sviluppi diversi nella storia del pensiero filosofico. La concezione antica di infinito, elaborata dalla filosofia greca in termini prevalentemente negativi, si differenzia da quella cristiana, fondata sulla identificazione dell'infinito con Dio, nonché dalle moderne concezioni del cosiddetto infinito attuale che interessano soprattutto il pensiero matematico.
# Il concetto di infinito nel pensiero greco. Il termine greco che esprime l'infinito è apeiron, che propriamente significa «indeterminato, indefinito, illimitato». Nella tradizione filosofica lo troviamo impiegato per la prima volta nel celebre frammento di Anassimandro. Apeiron è qui detta l'archè o principio primo, in quanto luogo dal quale tutte le cose hanno origine e nel quale tutte ritornano, dissolvendovisi. In che senso vada inteso l'infinito anassimandreo è ancora oggetto di discussione, ma oggi è generalmente rifiutata l'interpretazione aristotelica che lo assimila alla materia infinita e potenziale. Sono però i pitagorici e gli eleati a fornire i più tipici sviluppi del concetto di infinito, al quale i greci associavano un'idea di incompiutezza, di imperfezione, di mancanza di forma. Di qui quell'horror infiniti che si manifesta nei paradossi di Zenone di Elea nei confronti di grandezze infinite o infinitesime (per es. prodotte dall'infinita suddivisione di un segmento) e che determina un generale ostracismo del concetto di infinito da parte dei maggiori scienziati greci, da Euclide a Eudosso ad Archimede. I pitagorici (Filolao) ammettono l'infinito, unitamente al finito, come la prima delle dieci coppie di contrari o principi costitutivi delle cose, ma nella coppia péras-apeiron il secondo termine designa appunto il non-essere e l'imperfezione. Melisso di Samo ricava poi dalla tesi parmenidea dell'unicità dell'essere la conclusione che l'essere stesso debba considerarsi infinito, non dovendo esso ammettere null'altro fuori di sé. Tuttavia la tendenza prevalente è quella rappresentata da Aristotele, che nega all'infinito qualsiasi realtà, o lo identifica con la pura negatività della materia potenziale, che è agli antipodi di tutto ciò che è dotato di forma e che è pensabile. Così lo stesso progressus o regressus in infinitum di un ragionamento viene considerato come esempio di un pensare illogico e infondato. Questa valutazione è ancora alla base delle antinomie della Critica della ragion pura di Kant: l'uomo può pensare con coerenza il finito, ma di fronte all'idea della serie infinita di tutti gli enti finiti il pensiero non può che avvolgersi in contraddizioni irresolubili. Nella filosofia greca solo gli epicurei, richiamandosi anche a Democrito, accolsero una concezione a suo modo positiva dell'infinito, in quanto, identificandolo col vuoto, ne fecero, assieme agli atomi, la condizione originaria dell'universo e del suo divenire.
# Il concetto di infinito nel pensiero cristiano. È attraverso la mediazione del neoplatonismo che il pensiero cristiano è venuto elaborando, in sede metafisica e teologica, una concezione interamente positiva dell'infinito, sotto la spinta di esigenze mistiche e della nuova nozione di Dio inteso come creatore delle realtà finite. I neoplatonici, da Plotino a Prodo, tendono ad ammettere la contemporanea presenza del finito e dell'infinito nell'Uno divino; ma è poi san Basilio, seguito da Nicola di Metone e da sant'Anselmo, a dichiarare esplicitamente l'identità dell'essenza divina con l'infinito, sia perché tale essenza non può avere limiti, sia s perché essa, come dirà san Tommaso, ha in sé un'infinita virtù creativa (Commentario al De causis, IV). L'identità di Dio con l'infinito è oggetto di minuziosa dimostrazione razionale in e DunsScoto e in Gregorio da Rimini, con i quali la dottrina cristiano-medievale dell'infinito tocca il suo apice. Accanto a questa tradizione si aggiunge poi quella, più propriamente mistica, della teologia negativa, che, identificando l'infinito col divino, intende sottolineare il carattere totalmente trascendente del divino medesimo. Questa linea di pensiero sfocia, all'inizio dell'umanesimo, nella originale e profonda concezione di N. Cusano, che unifica il concetto astratto dell'infinito matematico con l'infinità reale di Dio. Il misticismo della teologia negativa si solleva così, in virtù della dottrina neoplatonica della coincidentia oppositorum, a concezione generale dell'universo: finito e infinito, Dio e mondo, si trovano conciliati nella stessa essenza divina, alla cui comprensione l'uomo si avvicina non solo con l'intuizione mistica, ma anche col pensiero matematico e con la scienza. Le idee di Cusano esercitarono un'influenza decisiva sulle moderne concezioni dell'infinito.
# Il concetto di infinito nel pensiero moderno. L'iniziatore del moderno concetto di infinito è Giordano Bruno, che attinge peraltro ampiamente dal neoplatonismo di Cusano. In Bruno, con l'assunzione del copernicanesimo, è l'infinito diviene il fondamento stesso dell'universo, in quanto il mondo è penetrato in ogni punto dall'attività creatrice di Dio. La coinciedentia oppositorum (di centro e periferia, parte e tutto, ecc.) si trasferisce da Dio all'infinità stessa degli innumerabili mondi. La concezione bruniana, mirando all'unificazione reale o attuale (e non solo potenziale) dell'infinito e del e finito in ogni ente creato, costituisce il punto di partenza delle elaborazioni metafisiche del concetto di infinito che trovano le loro più tipiche espressioni nella sostanza di Spinoza, nell'Io puro di Fichte, nell'Assoluto di Schelling e infine nello Spirito di Hegel. Proprio in Hegel si assiste alla totale identificazione speculativa del finito con l'infinito, in quanto il secondo è «verità» del primo (Lezioni sulla filosofia della religione, II, 2). Bisogna pertanto distinguere tra la «cattiva infinità» prodotta dall'intelletto astraente (l'infinità senza il finito, o l'infinità del progressus e del regressus in infinitum della dialettica kantiana) e l'infinità «buona» della ragione, la quale mostra che infinito e finito sono aspetti complementari della realtà. Il finito, infatti, non è mai «fuori» dell'infinito, poiché la sua stessa «posizione» esige il riferimento implicito a1Ja totalità infinita del reale. Quest'ultima, poi, non è altro dal movimento dialettico dello spirito che si incarna via via e si supera nei suoi momenti finiti e attraverso le sue stesse figure finite.
Accanto alla tradizione speculativa, e talora in contrasto con essa, si è sviluppata una diversa concezione dell'infinito, legata alla matematica e alla logica (Cartesio, Newton, Leibniz, BoIzano). Essa ha in comune con la concezione speculativa il riferimento all'infinito attuale, anziché potenziale, cioè a un concetto di infinito interamente positivo (sebbene in senso più ideale o talora strumentale che ontologico). Questo indirizzo ebbe i suoi iniziali svolgimenti nel calcolo infinitesimale, e nella revisione dei suoi fondamenti realizzata da A.-L. Cauchy con l'introduzione del concetto di limite.
Dalla Enciclopedia di Filosofia, Garzanti
In seguito la storia del concetto di infinito ha trovato i suoi più concreti sviluppi nell'ambiente specialistico della matematica e della logica formale, con i fondamentali contributi di K. Gauss, K. Weierstrass, G. Cantor, J. Dedekind, L. Brouwer, e D. Hilbert. (per la definizione del concetto di infinito attuale e la distinzione da infinito potenziale, vedi la voce insiemi, teoria degli.).

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