giovedì 14 febbraio 2008

ALBERTO BURRI

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

La strada perseguita da Burri non è nel Novecento una novità assoluta. Prima
di lui numerosi artisti, sia pure da prospettive differenti, avevano intessuto un
serrato dialogo con la realtà esterna. Il riferimento è ai collage cubisti, al
polimaterismo futurista, al dadaismo, a Duchamp. Tutte queste esperienze,
come giustamente nota Rossella Siligato, “rendendo più incerta la separazione
tra lo spazio interno all’opera e lo spazio esterno, gettano semi forieri di più
radicali fioriture e tracciano intricate vie, che nella situazione culturale totalmente
mutata seguita alla seconda guerra mondiale, vengono percorse con spirito
nuovo, scuotendo violentemente alle radici l’albero dell’arte”.
Calvesi ci spiega come il realismo di Burri vada inquadrato dentro il movimento
dell’Informale “autentica frattura che aprì il nuovo corso dell’arte nella seconda
metà del secolo”. L’Informale rovescia infatti il tradizionale rapporto tra materia
e forma: sempre la materia era stata vista come veicolo fisico della forma, ora
la forma viene “subordinata alla materia”, il quadro perciò “inclina a proporsi
come un brano o un campione di realtà”, il gesto lo fa diventare “un campo
d’azione, nel quale l’io dell’artista si incontra o si scontra con l’emergente fisicità
del dipinto”. Questo confronto con la materia, nell’ambito della cultura mediterranea, assurge
ad una sorta di teatro degli elementi: terra, fuoco, aria. Attiva una sorta di
immaginazione discensiva: è la terra che attrae, la profondità ctonia. Lo si
constata in Burri, nel suo “regime notturno” a cui “corrisponde un sentimento
sotterraneo, colto ora nelle sue immersioni, ora nei dialoghi non metaforici con
Recensioni l’elemento fuoco (che abita il profondo e tende all’alto), ora nel drammatico
confronto con i colori – rosso e oro – di un sussulto vitale e luminoso”.
Ma lo si constata pure in Dubuffet con i suo “eczemi terrosi” e in Tapies in cui
la terra diventa “soglia verso l’inesplorato”, “pertugio che introduce al mondo
infero”, cioè il regno della “pura profondità”, il “regno della psiche”.
In Klein, invece, è il cielo ad attrarre, egli “rovescia nel diurno il notturno di
Burri”, come appare chiaramente nella spugna imbevuta di blu, segno di “purezza
e tripudio”. A voler cercare tra gli antecedenti dell’Informale, si deve fare riferimento a
Fautrier e alle sue “hautes pâtes”, “accumuli di materia pittorica densa e
grumosa, ottenuti con strati successivi di tempera e colla”.
“In Fautrier, Dubuffet, Tapies, sia pure con accenti molto diversi tra loro, gli
impasti aggettanti e modellati o scalfiti erano immagini principalmente allusive,
nell’intima sostanza, a un forte sentimento della terra, o della carne”.
All’informale si avvicinò in qualche modo anche Lucio Fontana, invero più
interessato allo spazio che alla materia, che, aggiungendo all’impasto pittorico
ciottoli e vetri, allude “alla natura cosmica della materia stessa, con i suoi
splendori di asteroidi o vaganti corpuscoli spaziali”. L’informale di Burri, quando avvia i primi passi, cerca di dare spessore all’impasto pittorico. Lo fa mescolandovi le più disparate sostanze: catrame, vinavil,
cementite, segatura, pietra pomice, polvere d’alluminio: “il coagulo pittorico
si rappiglia e si incrosta”. A partire dal 1950 inserisce materiali grezzi che
dialogano con zone dipinte. Con i Sacchi, assumono valore di segni, oltre alla
materialità delle pezze di juta, spesso consunte, “le cuciture e i fili, le tracce
sottili degli aghi”. I Sacchi evolvono: “gli strappi e le cuciture sembrano di più in più ferite, quasi
carnalmente rimarginate, la materia subisce strappi e sfibramenti”.
Passerà alle Plastiche, che spingono ad una diversa “violenza d’intervento, che
si esplicita nell’espressionismo delle combustioni”. Col fuoco Burri continuerà ad interrogare la materia dei Legni e dei Ferri.
Individuiamo tuttavia una costante: la permanenza di una aspirazione alla
geometria: il gesto distruttivo entra sempre in dialettica con la forma. Informe
e forma “sono dati psicologicamente correlati e inscindibili”: Dagli anni Settanta la carica aggressiva in Burri tenderà a decantarsi. “Le materie, ora di preferenza industriali, non sono più detriti né corpi martoriati.
Nascono i Cretti, le cui spaccature prodotte da un controllato processo di
essiccazione non hanno più l’asprezza di una ferita, ma la ricchezza di un disegno
graduato negli spessori e stampato nella luce effusa del caolino bianco e
trattenuto nelle maglie del nero”. Poi comincia a lavorare per cicli di opere. Nascono Il Viaggio, Sestante, Annottarsi:
“un quadro si collega all’altro secondo un disegno organico e sistematico, che
stabilisce un’unità com-positiva”. In tal modo dialoga con il tempo. “Costretto
in questi potenti canali, il flusso delle pulsioni si convoglia nell’idea ordinatrice
cui è ricondotto come a uno sfocio di assoluto, in cui rispecchiarsi come in una
superiore ragione di se stesso”. L’influenza di Burri sull’arte americana è stata decisiva sin dagli anni Cinquanta.
E’ soprattutto Rauschenberg a coglierne la portata. Lo nota opportunamente
Rossella Siligato. “Burri ha infranto gli argini dei prelievi dalla realtà operati dal
Dadaismo, ponendo il problema dell’intervento attivo dell’artista su di essi e
della continuità della vita della materia, dalla realtà all’interno dell’opera;
Rauschenberg assorbe questa lezione, la potenzia con i suggerimenti dell’Action
Painting e sviluppa insieme a Jasper Johns il principio di equivalenza esistenziale
tra pittura e realtà”. Assonanze possono cogliersi in Cage, che primissimo aspirò
all’annullamento tra rappresentazione e realtà. Rauschenberg introducendo
oggetti estranei nel quadro, intende porre il quadro in dialogo con la realtà.
Recensioni Quegli oggetti infatti non perdono la loro identità, recano su di sé i segni del
contesto da cui provengono, raccontano del loro mondo.
Il passaggio al comportamentismo è breve. Se ne faranno interpreti, a partire
dalla fine degli anni Cinquanta, Yves Klein e Piero Manzoni, che sviluppano a
partire da “ricerche materiche e oggettuali di altissimo livello”, una componente
comportamentistica che si rifà più propriamente alla lezione di Duchamp che
a quella di Burri, indicando tuttavia il sottile filo rosso che lega l’una all’altra.
Salvatore Colazzo

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