mercoledì 2 aprile 2008

Emilio Vedova

DI D. PICCHIOTTI

Nasce da una famiglia operaia il 9 agosto 1919 e si forma come pittore prevalentemente da autodidatta. Da ragazzo tenta svariati mestieri, in fabbrica, presso un fotografo, un restauratore. Alla metà degli anni Trenta inizia a disegnare e a dipingere con grande intensità, privilegiando, come soggetti, prospettive, architetture, figure e molti autoritratti. Nel 1936-37 è ospite di uno zio a Roma dove frequenta la Scuola Libera di Nudo di Amedeo Bocchi, quindi trascorre un periodo a Firenze frequentando con poca assiduità una scuola libera. Nel 1942 espone tre quadri al Premio Bergamo e aderisce al gruppo milanese "Corrente". L'anno seguente tiene una mostra di disegni alla galleria La Spiga, subito chiusa dalla polizia segreta fascista. Negli anni 1944-45 partecipa attivamente alla Resistenza e nei lavori di questi anni si nota già un segno più vigoroso. Nel 1946 firma a Milano il Manifesto del realismo (Oltre Guernica) ed è a Venezia tra i fondatori della "Nuova secessione italiana", poi "Fronte nuovo delle arti". Inizia la partecipazione ad una serie di mostre collettive internazionali, tra cui la Biennale di Venezia nel 1948 e nel 1950, la Biennale di San Paolo nel 1951, ancora la Biennale veneziana nel 1952, Documenta di Kassel nel 1955. A rassegne come la Biennale di Venezia e Documenta di Kassel parteciperà in diverse altre edizioni. Si associa al "Gruppo degli Otto" (1951), promosso da Lionello Venturi, dal quale si dissocia due anni più tardi con una dichiarazione pubblica nel corso del convegno "Alta Cultura" alla Fondazione Giorgio Cini. Crea collages materici e assemblages e lavora in ambito informale con un'intensa gestualità sulla scala cromatica dei bianchi e dei neri, con inserimento dei rossi. Realizza il Ciclo della protesta e il Ciclo della natura. Nel 1954 partecipa alla II Biennale di S. Paolo del Brasile e gli viene conferito un premio che gli permette di trascorrere tre mesi in Brasile. Qui viene fortemente colpito dalla realtà delle zone interne del Sudamerica e dal Carnevale di Rio. 
Nel 1956 ha luogo la prima personale in Germania, a Monaco. Nel 1958 inizia un intenso lavoro litografico e ottiene il Premio Lissone. L'anno seguente espone il primo Scontro di situazioni, un ciclo con tele disposte ad angolo, all'interno della mostra Vitalità nell'arte, allestita nel veneziano Palazzo Grassi e curata da Carlo Scarpa. Nel 1960 viene insignito del Gran Premio per la pittura alla XXX Biennale di Venezia, assegnatogli da una giuria internazionale di soli esperti. Dai primi anni Sessanta lavora ai Plurimi, realizzazioni polimateriche ampiamente articolate nello spazio ed estensibili, esposti in una prima mostra alla Galleria Marlborough di Roma e presentati da Giulio Carlo Argan. Diverse università americane lo invitano a tenere delle "lectures" sui suoi Plurimi. Avvia una serie di esperienze didattiche alla Sommerakademie für bildende Künste di Salisburgo, dal 1965, e all'Accademia di Venezia, dal 1975. Costantemente rivolto all'innovazione nella ricerca, crea lastre in vetro in collaborazione con la fornace muranese di Venini, Spazio-plurimo-luce, lavora ai cicli di Lacerazioni e Frammenti, realizza i Dischi e i Cerchi, inoltre collabora con Luigi Nono alle scenografie di Intolleranza '60 e Prometeo. La sua forte volontà creatrice si manifesta anche nella produzione incisoria attraverso sperimentazioni sulle varie tecniche. Tra le ultime mostre personali si ricordano quelle alla Galleria Civica d'Arte Contemporanea di Torino nel 1996, al Castello di Rivoli nel 1998, alla Galleria Salvatore e Caroline Ala di Milano nel 2001.
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Emilio Vedova
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Critica
...L'artista liberava il furore che aveva dentro di sé, con gesti repentini che diventavano forme astratte. E che lasciavano anche perplessi se recitate con una punta di stramberia.(.... )il suo furore non ha conosciuto scuole o correnti. Vedova, a suo tempo, aveva rimesso in discussione il Futurismo e la sua partecipazione a Corrente, a Oltre Guernica, al Fronte nuovo delle arti, al Gruppo degli Otto, all'Action painting, all'Art brut, sino all'Informale coi quali aveva avuto sempre un rapporto di scambio, mai di subordine. In realtà, Vedova ha sempre agito come una forza della natura.
L'artista veneziano — che di Venezia, ormai, era diventato un elemento del paesaggio come San Marco e l'isola di San Giorgio — viveva i suoi dipinti. Una pennellata era un colpo di nervi, un gesto bilioso e selvaggio. E del selvaggio aveva anche l'aspetto, l'istinto vigile. Natura e carattere si fondevano, diventavano ritmo. Angoscia e lirismo, lucidità e pazzia. Di un finto pazzo, però, che in realtà era un genio.
Sebastiano Grasso
[Corriere della sera - 26 ottobre 2006]
Vedova non ha cessato di lavorare, di protestare, di profetare. La sua voce è rimasta tonante. 
Poiché è irrobustita da una coerenza cristallina. Poiché nulla del lungo percorso di Vedova è andato perduto senza una sua feroce rimessa in discussione delle premesse e del loro svolgimento. 
Non l’ha certo abbandonato il moralismo dualistico dell’ opposizione di luce e tenebra. Però il suo è un moralismo barocco, l’opposto assoluto al rigore monocromatico di un Mondrian. Perché appunto barocco, è sempre pronto a situazioni nuove. Il bianco e il nero non sono separati, ma confluiscono e si dividono, s’intrecciano e traspaiono. Così l’entusiasmo mai spento per Guardi e Piranesi, le griglie geometriche del primo dopoguerra, l’inserimento nella grande corrente internazionale dell’action painting, l’esperienza del teatro e il contatto con la musica convergono tutti in un risultato unico e inimitabile. E promettono ancora novità.”
Carlo Bertelli
" E' con lo sguardo rivolto alla quotidianità, all'immagine del dolore, all'indignazione della gente, che l'artista ripropone nei i suoi messaggi l'opposizione contro una società consumistica e capitalista. La sua pittura è come l'estremo tentativo, la disperata sollecitazione a non rimanere inerti, a non rassegnarsi, ad agire subito finché c'è vita."
Antonio Rombi
Nelle sue opere leggono quelle che sono una costante della produzione artistica dagli anni '60 in poi, una eccezionale continuità della ricerca, una drammaticità espressiva, una sorta di tensione narrativa che si regge su un delicato equilibrio degli opposti, luce ed ombra, informale e forma, segno e spazio, attualità e memoria, in un itinerario tumultuoso, segnato da conflitti e tensioni, dalla vitalità indomita e dalla creatività inesauribile di un grande del '900.
arch. Vilma Torselli
Le sue domande dure sull’uomo e sull’arte, il suo pungolo costante: il movimento .
Nessuno più di Emilio Vedova ha attraversato le contraddizioni del nostro tempo, di un Novecento drammatico, doloroso ed esaltante, interpretandone lo spirito eppure attaccandolo senza tregua. Al tempo della polemica feroce che divampò nel dopoguerra tra realisti ed astrattisti lui non ebbe esitazioni a schierarsi con coloro che intendevano forgiare un’arte nuova per un uomo nuovo che doveva rinascere armato solo della sua coscienza e della sua libertà. L’arte era azione, cultura, etica.
Lo spazio dell’arte doveva farsi esperimento, progetto. Il segno doveva raccontare la storia nel suo farsi, come un sismografo e una stella cometa, scendere dal piedistallo della forma ed entrare nella vita. Il segno, da solo, con la sua forza di raccontare, sbarrare, protestare, ricominciare; un segno veemente che struttura perché agisce, che scuote il tempo, lo costringe a misurarsi con la carne viva del presente. [...]
[...] Ma il suo genio spaziava oltre il quadro e questo finì per uscire da se stesso e invadere lo spazio, propagare la sua furia tragica, capace di minare per far rinascere.
Virginia Baradel
[L'Espresso local, 26 ottobre 2006]
L’immagine di Vedova sembra più simile a quella di Clyfford Still che a quella di Mondrian.
Risulta infatti da un insieme di macchie colorate senza alcun schema d’ordine ; ma si nota subito che l’immagine spaziale è agitata , drammatica. Non può contenersi in un unico piano di proiezione; lo spazio del quadro, infatti, si frantuma in tanti piani, anche materialmente distinti.
Vedova, infatti, abbandona la superficie del quadro: i suoi plurimi sono composti di piani variamente orientati e muovibili: sono lo spazio ristretto e animato entro il quale l’artista compensa l’oppressione del limite con la dirompente violenza del colore. Non è uno spazio che si forma, come nei pittori d’azione americani, ma uno spazio che esplode: cosmo che ritorna caos. Vedova non dissimula il proprio movente ideologico-politico: di fronte ad un succedersi di eventi politici che offendono e mortificano la coscienza, reagisce denunciando la rovina dei grandi valori della natura e della storia e dimostrando come soltanto nella rivolta morale si possa recuperare la condizione naturale e storica della libertà. Nonostante l’apparente analogia con la pittura d’azione americana, la sua pittura presuppone una cultura tipicamente europea, e ne riflette drammaticamente la crisi storica.
[E X C A L I B U R artecontemporanea- 27/11/2006]

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