martedì 29 aprile 2008

Appunti per una poetica dell’interazione inconsapevole

a cura DI D. PICCHIOTTI

Il pensiero nasce dal coraggio di essere, di rappresentare, di agire in modo assolutamente
personale:spesso siamo schiavi di abitudini come se così potessimo evitare la solitudine di vedere , comprendere e cercare di trasformare situazioni che altri sembra non vedano, non comprendano e non abbiano desiderio di cambiare.
Nessuno si può esimere dall’esigenza di manifestare il proprio essere più profondo, nel dare immagini alle idee, nel tradurre in gesti concreti le attitudini che avrebbero potuto rimanere solo belle speranze mai attuate.
Il coraggio di vivere è un’incessante ricerca. La chiarezza non è una maschera della coscienza, valori esibiti piattamente da predicatori laici che pretendono di essere più puliti dei preti, ma nasce dal rapporto con ciò con non è consapevole oltre la logica delle buone maniere e del saper vivere in cui eccellono i cortigiani. Chiarezza, onestà che una volta conquistata elimina la paura perché in fondo ciò che dobbiamo temere non è più in noi stessi.
Quanto ci accade lo vediamo solo come un momento,una pietra miliare ai margini di una antica strada, sulla quale la presenza di un numero ci fa pensare al tempo, alla distanza necessaria , mentre dalle parole che deponiamo sulla carta nasce la sensazione del futuro. Verrà un giorno ma noi non sappiamo prima quando sarà in cui ciò che ora intravediamo come un’ombra verrà alla luce e ci sentiremo come quei cercatori d’oro che solo una vaga intuizione aveva spinto agli estremi del mondo conosciuto.
Ricchi di una speranza che non abbiamo lasciato morire e di quell’idee che ci hanno nutrito mentre intorno spesso c’era solo desolazione.
Il coraggio è nell’affermare quanto molti sostengono di aver già compreso,pronunciando spesso solo parole vuote, dando ad esso un volto diverso così che nessuno si riconosce più in esso. Le immagini nuove sono percepite e subito trasformate in innumerevoli specchi d’acqua nei quali potrebbe naufragare una moltitudine di narcisi. Il pensiero si perde cade nel vuoto nel momento in cui la ragione non ha più credenze.
…la trasformazione…
…ed il coraggio della trasformazione…
la trasformazione è come una musica composta da tanti suoni diversi che generano linee invisibili,intersezioni di affetti di pensieri che si moltiplicano all’infinito come armonici ai limiti dell’udibile.
Il coraggio del pensiero è l’ intuire anche là dove il corpo sembra non seguirci per una sorta di sordità che forse è solo un limite della percezione mentre le sensazioni ci immergono in una complessità che potrebbe apparirci insondabile.
E’ da questa dimensione apparentemente muta che sorgono correnti tramite le quali
percorriamo distanze enormi mentre la nostra esistenza non ci sembra nemmeno più la stessa
..arte strappata dall’abbraccio mortale con la malattia in cui l’aveva confinata una scienza nazista
_nessuno potrà più credere che sia la follia a regalarci il dono di creare
l’immagine di una bellezza che è solo degli esseri umani l’arte patologica
è la marchiatura infame di Hans Prinzhorn, un cantante fallito che è divenuto psichiatra a cui ha creduto uno psichiatra fallito che ha cercato di diventare artista,Andrè Breton
l’arte patologica è un fraintendimento mortale così come l’idea di una arte che sarebbe terapia curare attraverso l’arte quando l’arte è espressione di una sanità che non può essere insegnata_
bisogna innanzitutto rendere possibile l’arte della cur _
l’arte della cura …. la trasformazione del pensiero che si rivolge ad ogni uomo e non solo all’artista
arte della cura che si concretizza nell’abbandono del delirio,della fantasticheria, di quell’impulso a reagire all’horror vacui ed a costruire sulla tela e con i colori, a scolpire sul marmo od incidere sul legno o ad incollare alla moviola forme, figure inanimate quando l’immagine sembra svanire e non aver più posto nei sogni e nella veglia..
Lo psichiatra nella cura si rivela artista e forgia la materia di un pensiero nuovo che comincia a pulsare e rende possibile l’essere insieme oltre l’isolamento in cui la ragione, fin dai tempi di Rousseau, aveva confinato il buon selvaggio….
…coesistere, collaborare con modalità prima sconosciute…
…movimenti collettivi dai quali può scaturire in un fare artistico…
…e molti rimangono stupiti di come si possa creare insieme e pensano alla dissociazione di sempre…taluni vaneggiano di un “impastamento”
.. vaneggiano e pensano al cadavre exquis, al foglio piegato dei surrealisti in cui ciascuno scriveva all’insaputa dell’altro ed ciò che veniva fuori era un testo senza senso..
Le cadavre exquis boira le vin nouveau
La frase dissociata dei surrealisti fa pensare che non sia mai esistita nella storia dell’arte la possibilità di una collaborazione inconsapevole: senza la scoperta della nascita e dell’immagine interiore essa non è realizzabile se non in forme razionali e perverse.
torna alla memoria Andy Warhol che succhiò il sangue a Basquiat con la complicità di Clemente…
può essere rievocata la cooperazione di Cucchi e di Chia…o di Walter Dahn e Georg Dokoupil che produceva giustapposizioni, contiguità spaziali di figurazioni che rimanevano estranee l’una all’altra.
taluni vaneggiano e pensano al calcolo cosciente di galleristi furbi…
ma in fondo gli artisti hanno sempre collaborato attraverso l’espediente della “citazione”..
ogni “citazione” è un chiamare ad una collaborazione anche se con intenzioni quanto mai diverse..
la storia dell’arte è una “citazione” continua un richiamo incessante alla ricerca degli altri. Pur nel rifiuto di citare si potrebbe pensare sia implicito un confronto.
Ogni forma di pensiero che si traduce in un linguaggio espressivo fa riferimento inevitabilmente a significanti comuni
…consapevolmente od inconsapevolmente…
ciò che non si è mai compreso è che l’artista, l’artista che ha la fantasia e l’immagine interiore, eccelle in quella “citazione” che è memoria inconsapevole nella deformazione che rende irriconoscibile l’analogia e la somiglianza fino a quella mutazione che dà vita ad immagini nuove mai viste prima.
Ma quest’ultime a ben guardare risulterebbero assolutamente incomprensibili se anch’esse non mantenessero un nesso sia pure lontanissimo con un discorso precedente che ci consente comunque di ricondurle nell’alveo di una storia collettiva.
La collaborazione inconscia è l’elemento essenziale di ogni fare artistico come nella musica in cui l’autore scrive le note in una superficie bidimensionale ed altri le interpretano trasportandole coi loro strumenti in uno spazio a tre o quattro dimensioni.
L’adesione cosciente, intenzionale alla partitura nulla toglie a quella deformazione involontaria che ogni interprete, artista anch’esso opera come avviene anche quando il disegnatore affida ad altri la realizzazione della scultura.
Realizzazione che, in quest’ultimo caso è una “citazione” letterale consapevole di un disegno altrui che deve contenere però un elemento di fantasia, una deformazione inconsapevole.:
Deformazione a volte impercettibile e neppure coscientemente avvertita che conferisce un senso artistico all’opera e le impedisce di essere semplicemente una copia manierata od una traduzione piatta e letterale.
Ma nella malattia non è possibile l’operare insieme, l’interazione inconsapevole perché quella che sembra espressività artistica è spesso solo una mimesis invertita.
“Mimesis invertita” che anche non obbedendo ai canoni della figurazione classica non riesce ad essere rappresentazione
La “Mimesis invertita” pur non essendo riproduzione realistica, cattura oggettiva di una figura percepita fuori di sé non va oltre il tentativo vano e compulsivo di colmare l’horror vacui manipolando un oggetto materiale a cui viene attribuito in modo delirante il senso dell’immagine perduta., come se quest’ultima non potesse manifestarsi senza un supporto fisico.
Supporto fisico, feticcio magico in cui si cerca di vedere se stessi come in uno specchio opaco.. supporto fisico come simulacro di un’unità che sembra essere svanita per sempre, esteriorizzazione manierata di una forma irreale, allucinatoria in cui si esprime la malattia della mente. Specchio opaco che spinge ad una sfida mortale come il ritratto di Dorian Gray.
E se le immagini possono essere create insieme e condivise ed espresse con linguaggi diversi in quella continua deformazione che opera attraverso la fantasia, il delirio e l’allucinazione spezza il legame fra gli uomini e crea manufatti isolati non assimilabili al mondo dell’arte.
Mondo dell’arte reso possibile da comunicazioni invisibili, messaggi misteriosi che un tempo si pensava mandassero gli dei.
Un artista, riconosciuto come Dubuffet, potrebbe cercare allora di imitare le forme della pazzia, specchiandosi all’inverso, volgendosi all’interno verso quei frammenti “artistici” svuotati di significato che non gli rimandano l’immagine dell’altro ma solo la propria effige clonata all’infinito, dietro un’apparenza di diversità. Cercando di spezzare la dittatura della coscienza, “l’artista”ricade in una materialità bruta in cui l’errore volutamente esibito o la traccia di animale riprodotta tale e quale sulla tela parla di una concretezza che è assenza di pensiero, spaesamento e delirio. Le forme naturali, le macchie, le impronte sono esibite come tali: i ritratti, i corpi di donna diventano paesaggi , rocce nude dove domina l’inumano ed la desertificazione nell’intenzione sempre frustrata di rappresentare il vuoto ed il nulla.
La collaborazione nasce invece dall’interazione inconsapevole, dal reciproco reagire delle immagini interiori all’interno di un gruppo che crea una mentalità artistica comune che elabora continuamente idee e rappresentazioni…
Idee, rappresentazioni, immagini che si trasformano in parole e parole che diventano immagini in un flusso continuo di pensiero … Domenico Fargnoli 31-10-03

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