Dall’espressionismo al postmoderno: (seconda parte)
a cura DI D. PICCHIOTTI
Agli inizi degli anni Cinquanta del Novecento in Europa (ma anche in America ed in Giappone) si afferma una tendenza artistica definita Informale (i cui principali esponenti sono i francesi Fautrier e Dubuffet, il tedesco Hartung, gli italiani Fontana, Vedova, Burri e più recentemente Barth, caposcuola della «Logica delle forme») che mette in evidenza un caratteristico atteggiamento di sfiducia nei valori tradizionali della razionalità e della conoscenza. Gli elementi tradizionali dell’espressione - linee, colori, figure - perdono significato. Il rifiuto della ratio spinge al rifiuto della forma, qualunque essa sia, figurativa o non figurativa: l’atto creativo tende a coincidere con l’agire stesso. Le opere informali si differenziano notevolmente le une dalle altre a seconda della personalità dei singoli artisti e dei procedimenti esecutivi adottati. All’interno del movimento possiamo infatti distinguere: una pittura d’azione, in cui il colore è steso con gesto istintivo, quasi violento; una pittura segnica, fatta di motivi e segni che si richiamano a caratteri di scritture inventate; una pittura materica, eseguita con particolari impasti o accostamenti di materiali eterogenei.
In estrema sintesi: per il rifiuto dell’immagine ottenuta attraverso regole consolidate e per la ricerca di immediatezza e istintività espressiva, l’Informale si riallaccia all’Impressionismo tanto che si è potuto definirlo anche come «Impressionismo astratto»; per il rifiuto della tradizione culturale, si riallaccia al Dadaismo; per l’esaltazione dell’inconscio, al Surrealismo; per la violenza dell’immagine, all’Espressionismo. Seguendo la via tracciata dall’Informale, si manifesta negli Stati Uniti, intorno agli anni Cinquanta, una tendenza definita Action Painting (pittura d’azione).
Willem De Kooning
E’ una linea (sviluppata in particolare dalla scuola di New York) che attribuisce al gesto del dipingere, all’azione in quanto tale una centralità assoluta, pur all’interno di una notevole varietà di tecniche artistiche: se Jackson Pollock, ad esempio, predilige la tecnica del dripping (il famoso ‘sgocciolamento’ del colore) Willem De Kooning accosterà colori violenti alla maniera espressionista (e non a caso la sua pittura è stata definita una sorta di «espressionismo astratto») mentre un pittore come Franz Kline utilizzerà ossessivamente grandi segni neri su fondi bianchi.
L’Op-art - il cui nome nasce dalla contrazione dell’espressione «Optical art» - si manifesta inizialmente verso la fine degli anni Cinquanta del Novecento. Si tratta di un tipo di pittura caratterizzata dal desiderio di approfondire e riutilizzare le ricerche visuali già condotte nell’ambito del Bauhaus, del Futurismo e del Dadaismo. Agli artisti della Op-art non interessa la raffigurazione del mondo esterno o la figura umana, ma gli innumerevoli stimoli prodotti dalla realtà contemporanea - il dinamismo, le continue trasformazioni, la nuova tecnologia, il culto dello spettacolo visivo e sonoro. L’invenzione della forma diventa pertanto un procedimento di tipo coscientemente scientifico: vengono usate tecniche industriali per ricreare effetti di movimento ed effetti ottici,
Optical Art
congegni meccanici, luminosi, elettromagnetici volti a stimolare accostamenti di colori netti a linee e forme geometriche e capaci di destare nell’osservatore particolari reazioni ottiche e psicologiche, del tutto soggettive.
All’arte informale segue la Pop-art (abbreviazione di Popular art), un movimento artistico nato in Inghilterra ma sviluppatosi soprattutto negli Stati Uniti. È detta «popolare» nel senso che l’interesse dell’artista si rivolge alla vita quotidiana dell’individuo contemporaneo, o meglio: a quel mondo artificiale-industriale che ha irreversibilmente mutato l’ambiente delle città moderne. L’elemento base dell’opera pop include sempre un’immagine o un oggetto tratti dal comune immaginario contemporaneo: bottiglie di Coca Cola, personaggi di fumetti, rottami d’auto.
Le composizioni di tali immagini o oggetti non possono essere considerate né pittura né scultura, secondo il significato tradizionale dei termini: sono piuttosto composizioni nuove, riflesse secondo innumerevoli tecniche esecutive: collage, ingrandimento fotografico, fotomontaggio, stampo in gesso, fusione di materiale plastico. Ma la pop-art è ‘popolare’ anche per un altro motivo: ama i colori pieni e vivaci, le superfici lucenti, lo smalto e la plastica; nel suo impulso inventivo crea nuovi oggetti densamente colorati, traducendoli in forme di enormi dimensioni.Ogni autore si esprime affrontando in modo ossessivo un unico aspetto della realtà: Segal ripete figure umane a grandezza naturale, realizzate in gesso, colte nell’atto di compiere i gesti più quotidiani, ma inserite in una sorta di spazio irreale, totalmente vuoto.
Oldemburg propone oggetti di uso comune ingigantiti e alterati nei materiali (cibi di gesso); Rosenquist proietta sovrapposte immagini banali (fette di melone, sandwich) fino a renderle spaesanti, al limite minacciose; Lichtenstein si esprime attraverso un riuso delle immagini dei fumetti; Warhol infine – forse il rappresentante più notevole del movimento - riproduce con instancabile ripetitività lo stesso identico soggetto, dall’immagine di Marylin Monroe alla Gioconda di Leonardo, sino a farne svanire il significato originario.
6. Alla fine degli anni Settanta, in ambito internazionale, si evidenzia una nuova linea di tendenza che considera la produzione artistica come progetto astratto, teorico, esclusivo prodotto del pensiero, totalmente sottratto ai dettami della realizzazione concreta, in aperta opposizione alla produzione artistica tradizionale. Tale tendenza, che afferma il valore primario della progettazione mentale rispetto all’opera realizzata, prende il nome di Arte Concettuale. Essa rifiuta la realizzazione tradizionale sospettando in ogni prodotto artistico la potenziale riduzione a merce bene di consumo. L’arte viene quindi intesa come idea, come pura conoscenza. L’impostazione di pensiero del Concettuale ha influenzato, anche se con esiti non sempre coerenti, larga parte della ricerca artistica seguente. Sono nate così da un lato l’Arte povera, intesa come totale rifiuto del «bel materiale», della composizione strutturata secondo regole precise, con un chiaro atteggiamento di ribellione verso la produzione artistica tradizionale: non si presentano più opere, ma informazioni, progetti, operazioni sulla realtà, proposte aperte, modi di essere nel mondo, piuttosto che risultati definitivi; dall’altro la Body-art, in cui l’«opera» viene ossessivamente costituita dal corpo umano esposto nella sua ‘nudità’, per così dire, cioè come medium d’arte. L’artista interviene sul corpo stesso – anche e soprattutto il proprio - talora con azioni violente, spesso riprese in diretta televisiva, in una sorta di estremo ‘teatro-performance’.
A partire dalla fine degli anni Settanta, si diffonde infine in Europa e negli Stati Uniti una nuova tendenza, la cosiddetta Transavanguardia, nata e sviluppatasi come reazione al Concettuale e ascrivibile alla vastissima area culturale del «Postmoderno», un termine che designa una complessa dimensione di reazione allo sperimentalismo delle avanguardie storiche, originariamente impiegato in architettura e nel disegno industriale ma successivamente - in forza di un’enorme diffusione - riferito anche alle più varie sfere culturali di fine secolo, dalla pittura, alla letteratura, alla filosofia.
Gli esponenti della Transavanguardia danno vita ad immagini figurative pur senza mirare ad una rappresentazione descrittiva della realtà. Sono opere caratterizzate da vaste zone di colore monocromo, da macchie e drippings oltre che da figure capovolte o «galleggianti» nello spazio del dipinto.
Nella Transavanguardia vengono riutilizzati i materiali e gli strumenti tradizionali (pennelli, tele, colori), pur senza rifiutare le tecniche espressive delle esperienze più recenti: l’esito è una pittura estetizzante, fortemente rivolta a celebrare la propria assoluta libertà creativa, ma soprattutto non più segnata da alcun peso ideologico o sovrastruttura intellettuale.
Bartolomeo Quinto
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