sabato 5 gennaio 2008

Verso la luce

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

Nel Sigillus sigillorum il filosofo nolano Giordano Bruno scrisse: “Una sola luce illumina tutte le cose, una sola luce vivifica tutte le cose discendendo secondo determinati gradi dalle superiori alle inferiori ed ascendendo dalle inferiori alle superiori”. Nel suo L’immenso e gli innumerevoli addirittura Bruno fa “parlare” la luce: “Come potrei sperare, o infelice, che tu possa ritrovare nelle tenebre l’atto della ragione, se, per quanto la luce colpisca i tuoi occhi, rifuggi dal senso della vera luce? Io sono la luce e grazie a me tu puoi illuminare ogni cosa, conoscerla nel proprio aspetto e secondo quelle forme per cui una cosa si distingue dall’altra. Io sono il primo principio della conoscenza”. Leen Spruit aveva giustamente sostenuto che “il quadro metafisico della conoscenza nel De umbris idearum di Bruno è quello della metafisica della luce: la luce divina che pervade la realtà, rende possibile all'uomo risalire nella conoscenza e di ritornare alla fonte della luce, fondamento ultimo della realtà”.
La presenza della simbologia della luce, quasi sempre nella figura del sole e talvolta del fuoco rischiaratore e, insieme, purificatore, è rintracciabile, in forma esplicita e costante, in tutte le grandi tradizioni culturali e in tutte le grandi religioni, insieme all'altra grande simbologia dell'acqua. La simbologia della luce, che evoca lo splendore del sole e la potenza redentrice dell'oriente, è essenzialmente connessa da Platone e da altri prima e dopo di lui con il processo della conoscenza e del perfezionamento morale. Nella filosofia antica, Aristotele attribuisce alla luce la caratteristica di essere il quinto elemento, l'etere, composto di materia fluida e sottile, che circonda e comprende l'universo degli enti composti dai quattro elementi primordiali (acqua, aria, terra, fuoco). Nella filosofia neoplatonica la luce è invece considerata come la manifestazione propria del divino, attraverso cui l'Uno si comunica per emanazione alle intelligenze celesti e quindi al mondo sensibile. “In questi contesti”, scrive Massimo Cacciari, “[la luce] emerge in un duplice aspetto. Una dimensione è quella per cui la luce è condizione generale dell’apparire, e quindi un Inizio sovraessenziale dove non è l’elemento dell’apparire bensì la condizione dell’apparire stesso. In secondo luogo, la luce emerge anche come ciò che noi vediamo”.
Una sintesi fra elementi dottrinali aristotelici e neoplatonici ha dato origine ad una vera e propria metafisica della luce, di cui restano tracce nel pensiero di Tommaso e soprattutto Bonaventura. Secondo questa concezione, la luce è il principio fisico originario da cui tutti gli enti derivano la corporeità. Nel pensiero medievale è ricorrente la convinzione che la luce renda possibile la generazione dei corpi. Alla concezione del divino come luce si connette una peculiare dottrina della conoscenza elaborata da Agostino.
L'uomo conosce i principi ideali per l'illuminazione, cioè attraverso l'aiuto di una particolare facoltà conoscitiva offerta da Dio. Anche Dante Alighieri nella sua Commedia descrive un percorso simbolico di ascensione attraverso le sfere dei pianeti, illuminato da una luce d’intensità crescente. Nella prefazione al Pimander Ficino, studioso di Dante, parla di una luce d’origine divina che insegna come, sollevandosi sopra gli inganni dei sensi e delle nubi della fantasia, si debba rivolgere la mente alla Mente divina, allo stesso modo in cui la luna si rivolge al sole, cosicché Pimandro, la Mente divina, possa penetrare nella nostra mente mettendoci in grado di contemplare l’ordine di tutte le cose. Sia dal punto di vista filosofico che da quello scientifico, la luce è ciò che rende visibili tutti gli enti, e quindi anche noi stessi e il mondo.
Il passaggio dalle tenebre alla luce dev'essere graduale, perché, come scriveva Bruno, “per loro costituzione gli occhi non sopportano un avanzamento immediato da uno degli estremi all'altro, ma con la mediazione delle ombre e con un po’ più di luce per volta”. Quindi, concludeva Bruno, “l'ombra prepara la vista alla luce”. Grazie al loro lavoro, gli artisti potranno scoprire, andando oltre le apparenze, il mondo che li circonda gradualmente, in misura sempre maggiore, fino a coglierne l’essenza.

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