mercoledì 9 gennaio 2008

POSTIMPRESSIONISMO

DI D. PICCHIOTTI

Tra i primi ammiratori di Manet c'era un giovanotto piuttosto scorbutico che veniva dal Sud della Francia e si chiamava Paul Cézanne. Costui si impadronì rapidamente del linguaggio di quadri come il Suonatore di flauto e ne fece la base del proprio lavoro. Verso il 1870 Cézanne cominciò a dipingere luminose scene all'aperto, simili a Sulla barca di Manet e al Pont-Neuf di Renoir, ma non condivise mai l'interesse dei suoi amici per l'«attimo fuggente», per il movimento e la mutevolezza delle cose, e verso il 1880 si lasciò alle spalle l'impressionismo e divenne il primo postimpressionista. Non è questa una definizione molto esauriente del Cézanne maturo e dei pittori che seguirono le sue orme ma, per lo meno, lascia capire che essi non erano anti-impressionisti. Tutti questi artisti sapevano fino a che punto fossero debitori alla rivoluzione iniziata da Manet e certo non intendevano annullarne i risultati.
Anzi, volevano portarla più avanti: in realtà il postimpressionismo è uno stadio più avanzato, e importantissimo, della stessa fondamentale «rivoluzione di Manet».
Vediamo, ora, a quale tipo di postimpressionismo era arrivato Cézanne.
La sua natura morta Fruttiera, bicchiere e mele ha i colori freschi e la pennellata facile di un quadro impressionista, ma se la si osserva attentamente per un po' di tempo si scopre una quantità di cose che lasciano perplessi. Intorno a quasi tutte le figure corre una linea nera, e le figure stesse sono più semplici di quanto sarebbero in natura; la tavola sembra inclinata verso l'alto e la prospettiva della fruttiera e del bicchiere non è «esatta». Anche i colori han l'aria di seguire uno schema che mette in risalto il contrasto dei toni caldi e dei toni freddi, e le pennellate formano una specie di disegno che copre tutta la tela e la fa sembrare vagamente luminosa. Ma Cézanne ha fatto tutte queste cose di proposito, o perchè non sapeva fare di meglio? Per strano che possa apparire, più studiamo il quadro più ci convinciamo che tutto va perfettamente bene, lì dove si trova, per quanto, in natura, sarebbe sbagliato. Ed è appunto questo che Cézanne voleva farci sentire. Per lui, ancora più che per Manet, una tela incorniciata è un mondo a sé, con leggi proprie, molto più importanti, per il pittore, delle leggi naturali. L'artista perciò non può prendere una cosa dalla natura e introdurla nel quadro così com'è, senza adattarla. «La fruttiera, i bicchieri e la frutta,» ha l'aria di dirci, «non sono degni di nota in sé. Diventano importanti solo per quel che ne faccio io, nel mio quadro. Questo è il mio compito, e la mia sfida come artista.» Ma Cézanne non considerava la natura semplice materiale grezzo, da trattare come più gli piaceva. La rispettava enormemente e l'alterava solo il minimo indispensabile. Nella sua Fruttiera e ancor più nella Casa in Provenza eseguita qualche tempo dopo, si vede chiaramente con quanta delicatezza Cézanne ha saputo accordare le esigenze dell'arte e della natura, perchè il mondo del quadro è ordinato, ha i suoi limiti ed è fatto di macchie di colore e non di atomi. Le forme sono accuratamente commisurate l'una all'altra e alle dimensioni della tela, eppure rimangono sempre una parte del grande mondo esterno che non si ferma alla cornice.
Cézanne una volta spiegò che la sua meta era di «rifare Poussin, ma dal vero»: vale a dire che desiderava raggiungere un'arte solida e monumentale come quella degli antichi maestri, senza rinunciare a ciò che aveva imparato dall'impressionismo. Lo stesso si può dire di Georges Seurat, un altro grande postimpressionista. La carriera di Seurat fu breve come quella di Masaccio, del Giorgione e di Géricault (morì nel 1891, a trentadue anni), e i risultati che raggiunse sono altrettanto sbalorditivi. Dedicò i suoi migliori sforzi ad alcuni quadri grandissimi, ciascuno dei quali gli prese un anno di tempo o anche più. Lavorava così adagio per molte ragioni, tra l'altro perchè era fermamente convinto che l'arte dovesse basarsi su un «sistema». Come Degas, aveva studiato con un allievo di Ingres, e il suo interesse per la teoria veniva da questa esperienza. Ma, come per tutti gli artisti di genio, le teorie di Seurat non spiegano i suoi quadri; sono, piuttosto, i suoi quadri a spiegare le teorie!
Per Un pomeriggio di domenica sulla Grande Jatte Seurat ha scelto un soggetto popolare diffuso tra gli impressionisti: un'allegra folla che si gode una giornata di sole su un'isola vicino a Parigi. I colori hanno la stessa vivezza da arcobaleno che abbiamo visto nel Pont-Neuf, ma per tutto il resto il quadro è l'esatto opposto di una «fuggevole impressione». Seurat, ancor più di Cézanne, cercava di riportare la calma e la monumentalità nella pittura, e sapeva che questo lo si poteva ottenere solo imponendo un ordine rigidissimo alla scena mossa e confusa, mettendo ogni cosa al posto giusto e costringendola a rimanervi. La Grande Jatte è senza dubbio uno dei quadri più «meditati» di tutti i tempi; è perfettamente controllato, come una pittura murale di Piero della Francesca, anzi, in un certo senso, ha la dignità senza tempo dei dipinti dell'antico Egitto. La passione di Seurat per l'ordine la si vede anche nel modo di dipingere. Le pennellate di Cézanne, quantunque nell'insieme costituissero una specie di disegno, rivelano ancora un tocco fortemente personale, mentre per Seurat ogni tocco di pennello è divenuto una macchiolina precisa di colore puro, un minuscolo, impersonale «mattone» nell'edificio del quadro (questa tecnica è chiamata puntinismo).
Mentre Cézanne e Seurat facevano dell'impressionismo un'arte più classica e severa, Vincent van Gogh puntava in un'altra direzione. Secondo lui l'impressionismo non concedeva all'artista abbastanza libertà per esprimere i suoi intimi sentimenti e, poiché questa era la cosa che gli stava più a cuore, a volte Van Gogh viene definito «espressionista». Anche Van Gogh desiderava «rifare i maestri antichi dal vero», ma i suoi idoli erano Delacroix e Rembrandt anziché Ingres e Poussin. Quantunque fosse destinato a divenire il primo grande pittore olandese dopo il diciassettesimo secolo, Van Gogh non iniziò la sua carriera come pittore: i suoi primi interessi furono la letteratura e la religione; per un certo periodo fece anche il predicatore laico fra i poveri. Solo nel 1880, a ventisette anni, si dedicò all'arte, e poiché morì dieci anni dopo, la sua carriera fu ancora più breve di quella di Seurat. Quasi tutte le sue opere più importanti risalgono agli ultimi tre anni della sua vita, che il pittore trascorse principalmente nel Sud della Francia. Negli ultimi tempi cominciò a soffrire le crisi di una malattia mentale che gli rendeva sempre più difficile dipingere. Van Gogh, senza speranza di guarigione, finì con l'uccidersi, perchè sentiva, fin nel profondo, che solo per la sua arte la vita valeva la pena di essere vissuta.
Il disegno Contadino della Camargue è saturo dello stesso senso di pietà che spinse Van Gogh a fare il predicatore tra la povera gente. Il viso, fortemente modellato, risalta con incredibile forza poiché tutto il resto, lo sfondo, il cappello, le spalle, sono rimasti piatti, per contrasto. In questo modo l'artista ci costringe a condividere la sua esperienza, a sentire quel che ha sentito lui, a capire lo sguardo, che tradisce una pena intima, e la strana espressione della bocca, dal sorriso debole, forzato. Come Cézanne e Seurat, Van Gogh dà nuova forma alla natura ma per ragioni molto diverse. Gli altri sottolineavano gli aspetti tipici delle cose, lui sceglie ciò che è unico, singolare. Con Cézanne e Seurat l'artista tende a sparire dietro al suo lavoro, con Van Gogh ogni forma rivela i suoi sentimenti. Dove gli altri cercano equilibrio e stabilità, l'olandese cerca movimento. Guardate, ad esempio, i puntini sullo sfondo del disegno: sono un'eco del puntinismo di Seurat, ma invece di rimanere al loro posto sembrano fluttuare sul foglio, animati da volontà propria. E altrove, nel disegno, la stessa corrente di tratti di penna diviene ancora più impetuosa.
Nella Strada con cipressi, Van Gogh «scrive» col pennello, ma ogni pennellata è aggressiva, e la passione del pittore per il movimento è quasi travolgente. La strada scorre come un torrente, i cipressi guizzano verso l'alto come fiamme, il cielo è pieno di turbini formati dal sole, dalla luna e dalle stelle. Questa magnifica visione dell'unità di tutte le forme di vita esprime, una volta di più, il senso religioso di Van Gogh, un sentimento forte e profondo come la fede medievale, anche se si basa sulla forza creatrice della natura anziché sul cristianesimo della Bibbia.
La religione sostenne una parte importante anche nel lavoro (se non nella vita) di Paul Gauguin, il quale decise di diventare pittore ancora più tardi di Van Gogh. Fino a trentacinque anni Gauguin era stato un facoltoso uomo d'affari che dipingeva e collezionava quadri moderni per passatempo (per un certo periodo possedette Fruttiera, bicchiere e mele di Cézanne). Ma nel 1889 aveva già fondato un movimento che chiamava simbolismo. Questo nuovo stile, per quanto meno intensamente personale di quello di Van Gogh, era sotto certi aspetti un balzo ancor più audace oltre i confini dell'impressionismo. Gauguin sentiva fino nel profondo che la civiltà occidentale era «in una fase critica», che la società industriale aveva costretto gli uomini a una vita incompleta, in cui l'unico scopo era di affannarsi a far denaro mentre i sentimenti rimanevano ignorati. Per riscoprire in sé il mondo dei sentimenti, Gauguin andò a vivere tra i contadini della Bretagna, nella Francia occidentale. Qui rimase particolarmente colpito scoprendo che la religione faceva ancora parte della vita quotidiana della popolazione, e nel suo Cristo giallo cercò di esprimere questa fede semplice e diretta. Il Cristo è di tipo tardo-gotico, ma portato al livello dell'arte paesana, perchè così lo considerano le tre contadine in primo piano. Anche le altre forme sono state semplificate e appiattite per far capire che sono immaginate, non ritratte dal vero, e i colori smaglianti sono ugualmente «innaturali». Il simbolismo di Gauguin deve molto all'arte medievale, pure vi è una sostanziale differenza: poiché il pittore francese non condivideva l'esperienza religiosa dei contadini, poteva solo dipingere quadri sulla fede, ma non quadri di fede.
Due anni dopo, la ricerca della vita semplice non contaminata dalla civiltà spinse Gauguin ancora più lontano. Il pittore andò nel Pacifico del Sud, come una specie di «missionario alla rovescia», cioè per imparare qualcosa dagli indigeni e non per istruirli. Gauguin trascorse quasi dieci anni in quel mondo tropicale, eppure nessuno dei quadri che dipinse è audace come il Cristo giallo. Le opere più interessanti di questo periodo sono le silografie: con la loro aria decisamente «intagliata» e gli arditi disegni in bianco e nero, ci fanno sentire l'influsso dell'arte indigena dei Mari del Sud. Il tema di Offerte di ringraziamento è di nuovo l'adorazione religiosa, ma l'immagine degli idoli locali ha preso il posto di Cristo.
Nel frattempo le idee di Gauguin venivano riprese da altri artisti, il più importante dei quali fu Edvard Munch, un pittore norvegese. Nell'Urlo, Munch ci fa «vedere» che cosa si prova quando si ha paura. È un quadro di terrore, lo stesso terrore irragionevole che ci assale al risveglio da un incubo. Le lunghe linee ondeggianti sembrano portare l'eco del grido in ogni angolo del quadro; il cielo e la terra sono divenuti una camera di risonanza di paura.
Un quadro ha un'atmosfera stranamente ossessiva, sebbene rappresenti l'interno di un famoso club notturno parigino, il Moulin Rouge. Henri de Toulouse-Lautrec, che lo dipinse, era un grande ammiratore di Degas, ma apprezzava enormemente anche Van Gogh e Gauguin. Il Moulin Rouge ha ancora molto in comune con il Café Concert dell'impressionista Degas; vi è lo stesso balzo improvviso tra il primo piano e lo sfondo, la stessa illuminazione «contrastata», lo stesso interesse per i gesti e le pose degli attori.
Ma Toulouse-Lautrec vede attraverso la gaia superficie della scena, e considera tutti con l'occhio penetrante di un caricaturista, se stesso compreso (il pittore è l'ometto con la barba vicino a quello altissimo, in fondo al locale). Le larghe macchie di colore puro dai contorni scuri, ondeggianti, ci ricordano Gauguin. Toulouse-Lautrec non era un simbolista, eppure il suo quadro ha un significato più profondo di una scena impressionista di club notturno. Lo voglia o no, il pittore ci fa sentire che si tratta di un luogo perverso. Nel 1886, a una mostra di postimpressionisti vennero esposti alcuni quadri di un pittore che nessuno aveva mai sentito nominare. Si chiamava Henri Rousseau e si scoperse che si trattava di un doganiere in ritiro il quale, a quarant'anni, si era messo a dipingere, senza alcuna preparazione. Rousseau era un artista paesano della stessa «razza» di Edward Hicks ma, a differenza di questi, era anche un genio. Come avrebbe potuto, altrimenti, dipingere un quadro come La zingara dormente?
È difficile sottrarsi alla magia di questo sogno dipinto. Quel che accade nel placido paesaggio deserto non ha bisogno di spiegazione perchè non c'è spiegazione possibile, ma forse, proprio per questo, la scena ci appare incredibilmente reale. Qui, finalmente troviamo i sentimenti ingenui e forti che Gauguin considerava tanto necessari all'epoca moderna. E per questo, Rousseau può essere definito, più a ragione di chiunque altro, il padre della pittura del secolo ventesimo.

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