venerdì 4 gennaio 2008

POLLOCK

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

E' considerato il padre dell'action painting, una "pittura d'azione" che prevede movimenti rapidi e risoluti, oppure lenti e sinuosi che servono ad imporre alla tela il ritmo e le pulsioni interiori del corpo che li ha prodotti.
Le sue primissime prove sono in parte esercitazioni scolastiche desunte dai classici, Michelangelo, Tintoretto, Greco, Rubens: nudi e panneggi ancora piuttosto accademici. Dal 1934 al '38 realizza una serie di disegni che tradiscono nel brulicare di segni e forme indistinte l'influsso dell'automatismo dei surrealisti, in particolare la "pittura automatica" iniziata nel 1920 da Masson (Senza titolo, 1934-38, collezione Lee Krasner ).
Egli comprenderà, anche attraverso la lettura di Jung, che "la sfera dell'arte è l'inconscio: è la grande riserva delle forze vitali, a cui soltanto con l'arte si attinge [...] da cui provengono le spinte all'agire.( Argan, 1970).
Nel periodo che va dal '38 ai primi anni quaranta la sua pittura appare sempre più condizionata dall' interesse per i simboli totemici dell'arte messicana oltre alla mitologia classica che affronta nel '43 con le opere Pasifae e Custodi del segreto, ispirate alla genesi del Minotauro dall'unione tra Pasifae e il toro bianco di Minosse; mentre ne La donna luna taglia il cerchio e in Suoni notturni la forma a falce si ricollega all'idea junghiana della luna come archetipo del "femminile".
Gradualmente le sue immagini perdono ogni riferimento col mondo sensibile, opere come Cattedrale,  Full Fathom Five e Watery Paths del 1947, segnano l'inizio dell'uso della tecnica del dripping. A questo modello si affida fino al '53 anno del celebre Pali azzurri. Nelle ultime opere torna a lavorare solo con il pennello, creando strati corposi di colore che si addensano sulla tela (Scent, 1955).
Il colore nelle opere informali diventa sempre più "reale" cioè vale per se stesso, per le sue qualità, non è più illusorio come nella pittura figurativa. Proprio per questa tendenza dell'arte astratta a dichiarare i materiali di cui è fatta ( i colori, il supporto ecc.) e dunque a sottolinearne la loro esistenza reale, si ha in molti casi da parte dei critici e degli artisti stessi un rovesciamento dei termini: l'arte astratta diventa "concreta", diventa oggetto autonomo e concreto; mentre "illusionistica" o "astratta" è considerata invece l'arte figurativa per il suo "ingannare" l'occhio dello spettatore.
Indipendentemente dal nome che gli si può attribuire, l'arte non-figurativa non è un comodo rifugio dalla realtà poiché in ogni caso l'arte avviene nel mondo, e l'artista ne fa parte.
Se ci fosse un ipotetico naufragio da cui emergessero solo opere di eredità classica, che cosa potrebbero capire i nostri posteri del secondo dopoguerra ? Francesco Arcangeli pose questo tipo di quesito in un articolo del 1956, anno della morte di Pollock. Si rispose: "Ma le opere di quel vero, inquietissimo barometro storico che fu Pollock, da quelle sì, capirebbero che cosa fu la nostra angoscia [...]la nostra alienazione inevitabile".
Il dipinto è verosimilmente l'opera a cui l'artista sta lavorando nell'autunno del 1906 poco prima della morte avvenuta nell'ottobre dello stesso anno.
Gli è strettamente correlato l'acquarello di collezione privata zurighese già appartenuto ad Ambroise Vollard. Passato dai mercanti parigini Vollard e Bernheim-Jeune a collezioni private svizzere, quest'opera venne acquistata in seguito dal collezionista milanese Riccardo Juncker. Nel 1987 è entrata a far parte della Galleria Nazionale. (di Majo, 2006)
Nel luglio del 1906 Cézanne comunica al figlio di lavorare "presso Jourdan" citando il nome del mercante che possedeva numerosi terreni nella località di Beauregard a nord-est di Aix.
Il dipinto rappresenta un edificio basso, di un color ocra aranciato sotto un cielo azzurro con a sinistra una porta anch'essa di un azzurro intenso. A destra, arretrata sotto gli alberi si individua una forma scura, che potrebbe essere un pozzo tipico della zona, a forma di alveare. Ancora verso destra e più vicino al primo piano, un muro si erge nell'ombra azzurra.
Nella sua ultima opera egli sembra raggiungere un equilibrio incredibile in cui concilia due tendenze diverse, "dare il massimo di pienezza agli oggetti (le case, gli alberi), e nello stesso tempo farli partecipare ad una totale vita cosmica secondo il principio della continuità della materia". (Barilli 1984).
Quando egli viene a contatto con gli Impressionisti comincia ad intendere la pittura non più come l'incarnazione di scene immaginate o proiezione esterna dei sogni, ma piuttosto come uno studio del reale e del nostro modo di percepirlo; egli continuerà a seguire questo tipo di approccio fino alla fine del suo percorso artistico. Scrive nel luglio 1906 a suo figlio " [...]. Ma devo lavorare di fronte alla natura. Qualunque schizzo o dipinto faccia, dovrebbe essere realizzato (dal vero), basato sui mezzi, sulle sensazioni, e sugli sviluppi suggeriti dal modello".
Come gli Impressionisti anche Cézanne libera la pennellata dagli obblighi descrittivi ma la carica del compito di dare agli oggetti una maggiore consistenza. La linea di contorno non c'è più; le forme non sono più date dal disegno, è il colore attraverso pennellate come tessere e scaglie a costruirle. Egli sembra trattare ogni cosa con la stessa attenzione: un tratto d'acqua, di cielo o di terra non è meno importante di un volto o di una mano e non è meno "formato" di essi.
L'impegno che si cela dietro le sue opere è quello di analizzare il modo in cui vediamo; egli  cerca di ripartire dal grado zero dell'osservazione, eliminando le precedenti conoscenze, tra cui la secolare prospettiva rinascimentale e ogni preconcetto sulla visione.
Egli si concede delle "licenze" rispetto alla realtà: inserire l'azzurro ai bordi delle cose viste in lontananza, gli permette di materializzare quello spessore atmosferico che esiste tra noi e gli oggetti, inserire gli stessi verdi dell'erba nell'azzurro del cielo gli consentono di ricreare quell'equilibrio che esiste nella nostra visione.
"Quando Cézanne descrive la propria concentrazione sull'elemento visuale egli parla dell'importanza della "ricezione" che chiama con la parola sensazion. Essa ha un doppio valore: è qualcosa che lui vede davanti a sé e nel contempo qualcosa che percepisce dentro di sé".(Bohem, 2002)
Dunque egli non dà credito solo ai suoi sensi, ma anche al contributo dell'intelletto infatti afferma: "L'occhio e il cervello devono aiutare a vicenda occorre lavorare al loro reciproco sviluppo: all'occhio attraverso la visione della natura, al cervello attraverso la logica delle sensazioni organizzate che dà i mezzi per esprimersi"
Il ruolo fondamentale di questo artista nel XX secolo è ancora più chiaro nei risultati raggiunti negli ultimi anni di vita in cui "lo troviamo letteralmente abbarbicato al contatto maniacale con la campagna natale, di cui conosce ogni pietra, ogni angolo [...]"  mentre "gli oggetti distinti e le forme della natura si fondono sempre più nel flusso del colore e l'estensione e la profondità di uno spazio mentale diventano soggetto dominante delle sue opere" (M. T. Benedetti 2002)
Da questo "spazio mentale" partiranno le ricerche cubiste.
Esposta a Rotterdam e ad Amsterdam nel 1920, è passata dal 1950 attraverso grandi collezioni americane tra cui quelle di Nelson Rockfeller. Acquistata dallo Stato italiano presso la Malborough Gallery di New York nel 1972, è l'unica opera del periodo neoplastico presente nelle raccolte museali italiane. (di Majo)
La vicenda di Mondrian parte da soluzioni naturalistiche per giungere attraverso passaggi  successivi al cosiddetto Neoplasticismo di cui Grande composizione A rappresenta una delle sue   prime formulazioni.
L'intento primario di Mondrian è quello di penetrare lo spirito del mondo, cioè di arrivare alla pura realtà che si cela dietro l'aspetto fenomenico delle cose. Per fare ciò l'artista deve evitare di fermarsi alla veste esteriore della realtà ma liberare la forma da ogni definizione particolare e depurare la visione da ogni aspetto contingente.
Tornato in Olanda, nel 1916 conosce il connazionale van der Leck che aveva adottato nella sua pittura una superficie di cromia pura (priva di suggestioni naturali, che escludeva la terza dimensione) e sperimentava l'uso di tasselli di colore sul piano: elementi che saranno significativi per l'ulteriore sviluppo dello stile di Mondrian. ( J.P. Oud, 1956).
Egli giunge alla sola forma elementare della linea retta eliminando anche l'accidentalità della curva. Le rette verticali ed orizzontali sono l'espressione di due forze opposte che esistono ovunque e dominano ogni cosa, la loro azione reciproca è alla base di tutto secondo Mondrian, della vita stessa. Dalla composizione di queste due rette nasce il rettangolo che si costituisce come conseguenza logica delle linee che si incrociano.
Allo stesso modo egli giunge anche alla scelta dei colori, rifiutando l'infinita gamma cromatica che si può riscontrare in natura, egli adotta i meno soggettivi colori primari (rosso, giallo, blu) e i non-colori (nero e grigio e bianco).
Scrive nel 1942: " [...] Nella mia prima pittura lo spazio era ancora uno sfondo. Incominciai a determinare le forme: le verticali e le orizzontali divennero rettangoli. Apparivano ancora come forme staccate contro uno sfondo: il loro colore era ancora impuro. Sentendo la mancanza di unità, raggruppai i rettangoli: lo spazio divenne bianco, nero o grigio; la forma divenne rossa, blu o gialla". Ecco come nasce un'opera come Grande Composizione A.
Conseguenza prevedibile di un  tale esempio estremo di equilibrio sarebbe stata una disposizione simmetrica dei piani: egli ricorre invece ad una composizione asimmetrica e questo perché come spiega in un dei suoi numerosi scritti "l'equilibrio può essere ottenuto solo mediante il bilanciarsi di opposizioni ineguali ma equivalenti" dove l'equivalenza è data di volta in volta dalla grandezza e dalla forma dei rettangoli e dall'uso dei colori.
A questo tipo scelta stilistica egli rimarrà fedele per circa venti anni, salvo iniziare nuove sperimentazioni cromatiche poco prima della sua morte (1944).
Lo scopo che è dietro le ricerche di Mondrian è quello di eliminare il tragico dalla vita. La realtà ci appare tragica soltanto per lo squilibrio e la confusione delle sue apparenze e la nostra visione soggettiva non ci permette di andare oltre. Nella plastica nuova invece la pittura non si esprime più mediante la corporeità apparente che dà l'espressione naturale ma riducendo questa corporeità  tridimensionale ad un solo piano, allora essa può esprimere il rapporto puro.(Molisani, 1956).
La realtà è l'immagine del mondo che si cela dietro le apparenze sensibili, e che ha aspetti costanti. Rappresentarla è lo scopo dell'arte perché essa secondo Mondrian "non è l'espressione dell'apparenza della realtà come noi la vediamo, ma è l'espressione della vera realtà e della vera vita, indefinibile ma realizzabile plasticamente"
Presentato per la prima volta da Betty Parson a New York nel 1948, l'opera farà parte alla Biennale di Venezia del 1950 della mostra Arts of This Century della collezione Guggenheim. Peggy Guggenheim nello stesso anno la donerà alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna. (Sandra Pinto)
Rappresenta una delle primissime apparizioni del procedimento del dripping (una tecnica già usata ma in un senso diverso dal surrealista Max Ernst ) in cui il colore viene fatto gocciolare sulla tela attraverso un pennello o una stecca oppure direttamente dal barattolo. Lo racconta lo stesso artista: "Mi allontano sempre più dagli strumenti tradizionali del pittore come il cavalletto, la tavolozza, i pennelli ecc. Preferisco la stecca, la spatola il coltello e la pittura fluida che faccio gocciolare, o un impasto di sabbia, di vetro polverizzato e di altri materiali extrapittorici."
Questo modo di procedere permette all'artista di dar vita ad una sorta di tessuto fatto di reticoli, schizzi e grovigli che si sovrappongono. Gli strati dipinti danno vita ad un fitto intreccio dove si manifestano di volta in volta le qualità del colore: liquidità, viscosità, spessore, trasparenza, opacità e luminosità.
Il gesto creativo nella sua pittura d'azione (action-painting) trae il suo valore dal "negare la rappresentazione per sostituirla con la diretta partecipazione, con l'immissione dell'uomo nel quadro, che diventa così la sua storia". ( Busignani, 1970)
Certamente esiste un forte riferimento in Pollock ai processi psichici inconsci e alla pratica dell'automatismo di matrice surrealista, tuttavia ciò che accade sulla tela non deve essere inteso come un'operazione totalmente fuori controllo; non si tratta di pura casualità, nonostante il colore scenda a pioggia su un telo steso a terra producendo rivoli, schizzi e rigagnoli di materia liquida; egli affermava: "Quando dipingo ho un'idea d'insieme di quello che voglio fare. Posso controllare la colata della pittura, non c'è casualità, così come non c'è né inizio né fine".
Il dripping  è infatti un modello di pittura continuativo, che si estende da un lato all'altro della tela, è detto anche overall: una massa intricata che si estende su tutta la superficie senza tuttavia dare luogo ad uno spazio omogeneo poiché ogni centimetro è diverso, "[...] ogni palmo della tela è pieno di emergenze, di eventi che nascono e si dileguano, senza però che vi siano zone privilegiate: il centro è dappertutto." (Barilli, 1984)
Dunque se il centro è ovunque è come se non esistesse un centro e per lo spettatore è facile "perdersi" osservando un quadro di Pollock: il tentativo di seguire una linea come fosse il filo di Arinanna è fallimentare, non ci condurrà mai fuori dal labirinto delle linee poiché inevitabilmente il nostro sguardo "tenderà ad interrompersi di continuo, fermarsi sempre per seguire un'altra pista. Ci sono frammenti di tracce, segmenti di fili, ciascun segmento modifica e viene modificato, diventa all'istante uno spandersi di macchie, una nuvola di gocce [...]. ( Louis Marin, 2004)
Pollock infrange le regole tradizionali della pittura e rifiuta l'illusionismo che ha visto per secoli la tela come una "finestra aperta sul mondo", cioè luogo della rappresentazione; egli intende la tela non più come supporto virtuale, come ancora viene considerato in tutta l'astrazione degli anni trenta, ma come uno spazio reale; dice: "Sul pavimento mi sento più a mio agio. Mi sento più vicino, più parte del quadro, perché in questo modo posso camminarci intorno, lavorare sui quattro lati, ed essere letteralmente nel quadro."
Rispetto a questo nuovo approccio in cui il supporto da verticale che era viene invece steso a terra, non vanno ignorate, come sottolinea Robertson, le esperienze e le conoscenze di Pollock rispetto all'arte tradizionale degli indiani Navhao del Nuovo Messico ( South West americano); le loro opere consistono in pittogrammi piatti realizzati sul terreno spargendo con le mani sabbia e terra colorata. Inoltre questa pittura di sabbia aveva un carattere effimero (eseguita al sorgere del sole doveva scomparire al tramonto) e il suo significato risiedeva più nell'azione, nel rituale attraverso cui si realizzava, piuttosto che nella rappresentazione stessa; questo ruolo importante dell'esecuzione può riferirsi al maniera di Pollock di intendere la sua opera, registrazione di gesti, frutto di un'azione in cui egli si riconosce.
La pittura di Pollock è il risultato di una fusione dello spazio, del tempo e della materia: lo spazio che tende a diventare reale, così reale che l'artista può girarci intorno; il tempo che è quello dell'azione, del gesto compiuto sopra la tela; la materia infine, che è il colore che racconta tutto questo nel suo intricarsi.
Alessandra Cianni

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